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La settimana in rete
Il Giorno della Memoria
a cura di Franco Isman

Il lavoro rende liberi

La legge istitutiva

Il 27 gennaio del 1945 le truppe sovietiche entrarono nel campo di sterminio di Auschwitz. Nel 2000 una legge, approvata all'unanimità dal Parlamento italiano, ha sancito che in questo giorno si ricordino le vittime della Shoah e si rifletta su ogni tipo di discriminazione e persecuzione razziale, in analogia a quanto avviene in numerose nazioni europee.

"La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati" (Legge 20 luglio 2000, n. 211, art. 1)


Se questo è un uomo
di Primo Levi

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case;
Voi che trovate tornando la sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce la pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì e per un no
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno:
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole:
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli:
O vi si sfaccia la casa,
La malattia ve lo impedisca,
I vostri cari torcano il viso da voi.


E' stato sterminio, non olocausto
Bruno Segre su Diario per il Giorno della Memoria 2001
http://www.diario.it/cnt/memoria/segre.htm        

Sono trascorsi 56 anni da quando le armate alleate raggiunsero i campi di sterminio nazisti, restituendo la libertà ai pochi prigionieri scampati al massacro: da allora la memoria della Shoah (termine ebraico che in italiano si traduce con annientamento, eliminazione) rappresenta un elemento costitutivo dell'identità per una parte cospicua degli ebrei.         

Ormai, a oltre mezzo secolo di distanza dagli avvenimenti, la generazione dei testimoni diretti (su entrambi i versanti: quello delle vittime e quello dei persecutori) va estinguendosi. Ma anche gli ebrei della nuova generazione, apparentemente estranei alla paura, affrancati - tanto nella diaspora quanto in Israele - dalle ansie dei genitori, continuano a confrontarsi con la memoria della Shoah, condannati a ritornarvi lungo la propria cronistoria, nelle proprie associazioni mentali, nelle proprie decisioni morali, nei codici di comportamento.

Oswiecim, in Polonia (Auschwitz in tedesco): una cittadina presso la quale i nazisti allestirono e misero in opera la macchina di sterminio più efficiente e colossale a memoria d'uomo. Nei forni crematori del grande Lager finì circa un milione e mezzo di esseri umani, per oltre il 90 per cento ebrei. Qui, nell'agosto 2000, viene inaugurata la discoteca System, nella quale ogni fine settimana si danno appuntamento centinaia di giovani. La nascita della discoteca innesca l'ultima di una lunga serie di diatribe che, per tutto il secondo dopoguerra, hanno avvelenato i rapporti tra polacchi ed ebrei: la malcelata invidia dei primi, che non si sono sentiti abbastanza considerati nel ruolo di vittime del nazismo, l'antisemitismo strisciante dei governi comunisti di Varsavia, l'atteggiamento a volte ostile verso gli ebrei della Chiesa cattolica di Polonia e, soprattutto, il destino di Auschwitz, l'uso e la tutela di un luogo che la tragedia della Shoah ha inscritto per sempre nella storia degli ebrei e nella coscienza del mondo. La "pista da ballo sopra le tombe" - come viene definita dai suoi critici - riaccende la guerra per la memoria della Shoah: una vicenda conflittuale fatta di simboli, di controversie religiose e strumentalizzazioni politiche, le cui radici vanno cercate nelle pieghe profonde della recente storia d'Europa.
Già negli anni Ottanta un convento di carmelitane, che si era insediato entro il perimetro dell'ex campo di sterminio, fu trasferito al di fuori dei fili spinati in séguito alle proteste delle comunità ebraiche. Nel 1996, gruppi di pressione ebraici ottennero che fosse annullato il progetto di costruzione di un centro commerciale, mentre nel 1998 vennero rimosse trecento croci in legno piantate ad Auschwitz dagli attivisti del Movimento per la salvezza del popolo polacco, un gruppuscolo ultranazionalista che fa dell'antisemitismo e del radicalismo religioso il proprio cavallo di battaglia. Ora, nel Duemila, a chiedere l'immediata chiusura della discoteca System scende in campo niente meno che il Centro Wiesenthal di Vienna.
Agli ebrei sopravvissuti viene mosso spesso il rimprovero di fare di Auschwitz, della Shoah, un mito, un monumento. A ben vedere, le cose non stanno esattamente così. Per i sopravvissuti e per i loro eredi la Shoah, assai più che un monumento rappresenta il ricordo incancellabile di un disastro, di una vicenda di rovinosa umiliazione, di impotenza e solitudine. Lì, sul corpo indifeso dell'ebraismo europeo si è recata una mutilazione irredimibile. Lì si è consumata la cancellazione di quel grande serbatoio di vita e cultura ashkenazita che da molti secoli era presente nell'Europa centro-orientale. Lì si è inferta una cesura straordinaria nella storia degli ebrei, con la dislocazione fatale e forse definitiva del baricentro della vita ebraica dall'Europa verso due nuovi poli: Israele e America del nord. Di quello che, in Europa, fu lo scenario fisico entro il quale si mossero e fiorirono numerose comunità, estremamente vitali e creative, oggi non rimangono che i muri delle sinagoghe, i cimiteri, i libri, gli oggetti rituali e d'uso quotidiano, le carte: documenti di una storia durata poco meno d'un millennio. Pagine della storia degli ebrei, certamente, ma anche, a pieno titolo, della storia d'Europa e - vorrei aggiungere - della storia dell'intera umanità.
Detto questo, va anche diffondendosi la convinzione che il ricordo dell'orrore, seguito dalla rituale invocazione "ciò non deve accadere mai più", sia privo di reale efficacia quando non si saldi a un'interrogazione argomentata e analitica circa il presente. È infatti chiaro, purtroppo, che nel mondo moderno sono pur sempre all'opera forze dispostissime a produrre ulteriori stragi di massa. E allora, se si intende impedire che la Shoah possa ripetersi o che venga emulata da nuovi mostri, occorre andare al di là della pura e semplice memoria dell'orrore e spingersi avanti sul terreno della riflessione, tentando di cogliere ogni aspetto della complessa situazione socio-culturale e storica della quale la Shoah fu l'orribile espressione. È in particolare necessaria, dunque, una trasmissione di memoria alle giovani generazioni, che le educhi a leggere la storia e a comprendere, affinché in ogni evenienza siano pronte a prevenire e a impedire.

Certo, nel caso della Shoah il rapporto fra memoria e storia è particolarmente complesso, giacché l'elaborazione dei lutti provocati dalla tragedia è lunga e dolorosa. Se è vero, a ogni modo, che il genocidio ebraico appartiene alla storia, i cultori di storiografia della Shoah sogliono considerare acquisito il fatto che, per penetrare le molte insondabili zone d'ombra che si collocano al di là d'ogni presumibile disegno totalizzante, occorre fare ricorso alla memoria delle singole persone coinvolte, e soprattutto dei sopravvissuti. Naturalmente è legittima la preoccupazione di non cadere in "eccessi di memoria", che rischierebbero di schiacciare sul passato la progettazione di un qualsiasi avvenire. Né l'esigenza di sottrarre al mistero e all'irrazionale un evento mostruoso e un simbolo spaventoso qual è la Shoah può essere sacrificata al dovere di ricordare e al timore di assistere a un indebolimento o addirittura a una scomparsa della memoria.
Il problema, dunque, è quello di conciliare il còmpito morale di evitare che il passato cada nell'oblìo con l'impegno a operare perché le nuove generazioni si possano costruire un futuro vivibile e decente, da condividere responsabilmente e fraternamente con tutti i figli degli uomini. In àmbito ebraico, alcune strade in questa direzione appaiono già tracciate. Mi riferisco, in primo luogo, all'esperienza di Yad Vashem, il museo della Shoah di Gerusalemme: un'istituzione che, fin da quando vide la luce nel 1957, volle ricordare accanto alla memoria delle vittime anche i "giusti", ossìa i protagonisti del bene, quanti a rischio della propria vita si prodigarono per la salvezza dei perseguitati. Le vicende dei "giusti" hanno permesso a molti fra i sopravvissuti di ritrovare la speranza nell'umanità. Per numerosi ebrei e per i loro figli è stato possibile ritornare nei Paesi che li avevano perseguitati e traditi, solo dopo avere saputo di uomini che si erano comportati diversamente. I "giusti" sono diventati così il tramite di un riavvicinamento tra le vittime della violenza e i popoli che li hanno oppressi.
In una direzione non dissimile si colloca il lavoro del Post-Holocaust Dialogue Group: un'associazione internazionale le cui iniziative mirano non già a ricomporre la memoria della Shoah - ancor oggi profondamente divisa - in una fittizia unità sotto l'etichetta di una "comune memoria": operazione che, qualora venisse proposta, recherebbe offesa a tutte le persone coinvolte a vario titolo nella tragedia. Il "gruppo di dialogo" intende piuttosto dare luogo al lavoro difficilissimo, e tuttavia necessario, di reciproco riconoscimento - di dialogo, appunto - tra i figli di coloro che la Shoah l'hanno subita e i figli di coloro che, invece, l'hanno architettata e inflitta.
"Solo conservando la memoria di un passato che non potrà mai essere compreso veramente fino in fondo", ebbe a scrivere Gershom G. Scholem, "potremo coltivare la speranza di una riconciliazione tra coloro che sono stati separati".


Emanuele Fiano in piazza Duomo a Milano
Giorno della Memoria 2002

A5405 è il numero di matricola di mio padre impresso sul braccio, è li che inizia la mia memoria.
Lo dico a voi che sapete perché vi è stato raccontato, perché avete visto o perché avete letto e studiato, non dimenticate di raccontare, il filo della memoria è un filo sottile.
A volte pare spezzarsi, a volte annodarsi. A volte ti avvolge di pianto, a volte ti lega agli altri come oggi, in questa piazza, a volte ti separa, ti isola, nel cupo pensiero di essere stato una volta abbandonato al tuo destino.
A volte ti sembra una corda forte che ti difende e ti ordina di resistere. Mi sembra sempre che ad un capo, quel filo della memoria lo tengano in mano i miei nonni, Nella e Olderigo, morti gasati e bruciati nel campo di sterminio di Auschwitz- Birkenau, rapiti dal loro nascondiglio da italiani, fascisti è bene dirlo, e poi lo zio Enzo e la zia Lina e la bisnonna 86enne strappata dal letto di vecchia nella casa di riposo di Firenze, e gli zii Volterra e Sergio mio cugino di 18 mesi che non vide la vita, ma che avrà certo sorriso qualche volta, con il sorriso che vedo in mio figlio che ha oggi la sua età. Anzi mi sembra che all'altro capo di quel filo sottile, ci sia lui, mio figlio, che mi domanda cosa successe, chi sia all'altro capo del filo rosso che tiene in mano senza saperlo, ma che presto sentirà tirare, e penso ai milioni di altri nonni e nipoti e figli e fili, agli zingari e agli omosessuali, ai disabili e ai comunisti, agli antifascisti e
ai renitenti alla leva, ai testimoni di Geova e agli infermi di mente, e voglio dirlo chiaro penso anche a oggi e ai molti altri milioni di morti innocenti che sono venuti dopo i miei nonni, in ogni angolo della terra, per ragioni di colore o di religione, di odio etnico o di motivi economici, per ideologie sbagliate o per la follia di un dittatore.
Questi esseri non chiedono pietà, non chiedono celebrazioni, non chiedono retorica, chiedono che sia scacciata da noi l'indifferenza, e la sordità e la cecità, e il non vedere il vicino di casa braccato, e il macello a pochi chilometri, chiedono che noi si sia, non che si dica e basta. Ci chiedono di essere e non solo di avere.
A questo penso e mi sembra di volare sopra il cielo dell'Europa tenendo per mano la nonna incredula, mostrandole tedeschi e francesi e italiani uniti da una nuova moneta e spagnoli e belgi, mostrandole l'Europa lontana dell'est avvicinarsi, mostrandole la tecnologia e la libertà di comunicare e di vedere, mostrandole la ricchezza e la salute e le nostre città opulente e gli sprechi e mostrandole chi non ce la fa e chi ha smesso di sperare, chi comanda e chi obbedisce e mostrarle le guerre e il pianto e le pulizie etniche e i nostalgici. Le mostrerei chi governa oggi e chi ricorda, chi ha dimenticato e chi si interroga, chi è indifferente e chi non ha smesso di lottare.
Non so se sarebbe contenta, sarebbe sicuramente incredula, lei così probabilmente semplice, morta per caso, per appartenenza e non per scelta, a vedere quanto la sua morte e le altre ancora ci affannano, ci angosciano, quanto ancora si legano alla nostra vita.
Non so più fare distinzione tra il ricordo e la rabbia quando vedo l'oblio di oggi.
Non basta, cara Ministro Moratti un minuto di silenzio nelle scuole, noi non vogliamo il silenzio, vogliamo che si parli e si spieghi, preferiamo un'ora di lezione ad un minuto di silenzio, si racconti di quell'Italia Fascista i cui governanti scelsero le leggi razziali e l'aiuto ai nazisti nella deportazione degli ebrei. Vogliamo che si educhino i nostri giovani a non dimenticare mai, e per non dimenticare bisogna conoscere per filo e per segno e non solo celebrare con un minuto di silenzio.
Un mondo diverso è possibile dicono oggi i cortei, mostrandoci la forza di un desiderio sempre nuovo di cambiamento. Ma chi non ricorda è destinato a ripetersi e a render impossibile il sogno del progresso.
La memoria è per noi un testamento che non abbiamo chiesto, ma che ci lega per sempre al giuramento di libertà e di democrazia.


La testimonianza di Liliana Segre
dal sito
Vigevano.net

Inedita lezione di storia giovedì 19 ottobre al nostro auditorium, dove una sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz ha raccontato ai ragazzi di terza media la sua sconvolgente esperienza. Liliana Segre, 70 anni, un'ebrea italiana che oggi vive a Milano, ha tenuto con il fiato sospeso studenti e professori presenti ad ascoltarla. Una testimonianza drammatica e toccante della sua vita di adolescente nel celeberrimo campo di prigionia, che rappresenta la più grande vergogna dell'umanità
"Quando avevo otto anni - racconta la sopravvissuta - mio padre mi spiegò che non avrei più potuto frequentare la scuola. Per strada le compagne mi segnavano col dito. A casa nostra veniva continuamente la polizia a fare dei controlli. Mia nonna, poverina, offriva loro i biscotti in salotto"
Sono i primi segni dell'immane tragedia. La Segre continua a raccontare in un silenzio di tomba: le prime persecuzioni, il tentativo di fuga in Svizzera, la prigionia a San Vittore, la deportazione al sinistro luogo di sterminio e i giorni della Liberazione. Tappe indimenticabili di una ricostruzione sul filo della memoria che ha commosso un po' tutti."Prima ci fu la disperazione, poi la preghiera e infine il silenzio dentro i vagoni che ci portavano ad Auschwitz - scandisce la Segre nella sua straordinaria testimonianza - Quando aprirono i treni, i burocrati a tavolino avevano studiato nei dettagli quello che chiamavano la soluzione finale"
A quel punto, il racconto diventa una cruda, realistica e, a tratti, drammatica testimonianza sulla vita degli uomini e delle donne-scheletro, che si derubano a vicenda per mangiare, che impazziscono, che vengono torturate, gasate e bruciate nei forni crematori."Sono stata scelta tra le prime 31 donne che arrivarono al campo - sottolinea di fronte alla platea dei ragazzi che continua ad ascoltarla con gli occhi lucidi - Le altre sono state subito sterminate. Si sentiva l'odore dolciastro dei corpi bruciati. Alcune prigioniere francesi ci raccontavano che a bruciare erano corpi umani e noi pensavamo che erano impazzite. Invece era tutto vero. Mi ha salvata il lavoro di schiava-operaia, perché ero più sana delle altre. Pensavo solo a mangiare. A sopravvivere. Non mi voltai neppure quando mandarono a morte Janine, la dolce Janine: la francesina dagli occhi azzurri che cercava di nascondere con uno straccio la mano, dove mancavano due dita che si era tranciate lavorando"
Alla fine dell'impressionante racconto di quei terribili anni della Shoah, i ragazzi si sono alzati in piedi e hanno osservato un minuto di silenzio. Poi l'applauso liberatorio durato una decina di minuti, che ha stemperato solo in parte la fortissima emozione suscitata dalle appassionate parole di chi ha vissuto quegli indimenticabili momenti. Un silenzio per non dimenticare e un applauso per chiedere scusa.

Liliana Segre 800 ragazzi

Liliana Segre a Monza il 20 gennaio 2003 - foto Fabrizio Radaelli



Non se ne poteva parlare
Sandra Colombo ricorda i suoi nonni su
Arengario


Il museo di Berlino

Lo straordinario edificio, progettato dall'architetto Daniel Liebeskind, americano di origine polacca, poco noto prima di vincere questo concorso, č stato inaugurato nel 1999.
La costruzione, tutta rotture, zigzag, interruzioni, evoca una stella di Davide spezzata. Il monumento, decostruttivismo allo stato puro, č un richiamo fortissimo della Shoah.
Le facciate restano cieche anche se l'edificio è dotato di 280 finestre, da considerare piuttosto come ferite. E' impossibile decifrare dall'esterno il numero dei piani.
Il sentimento di malessere si acuisce quando si passa all'interno del museo. Intitolato "tra le linee"  l'interno è uno strano alternarsi di sale e corridoi che provocano nel visitatore sentimenti di vertigine mescolata al soffocamento.
Nel giardino si erge un monumento alla Shoah: un gruppo di 49 colonne il cui posizionamento sconvolge ogni riferimento alla verticalità.
Il museo ebraico ospita una esposizione permanente che ripercorre i due millenni della comunità ebraica a Berlino e in Germania.
Le collezioni sono costituite da libri e oggetti di culto (arche e rotoli della Legge), da documentazioni storiche e opere d'arte (fotografie ed opere di grafica).
Il candeliere di Hanuccà, opera del maestro berlinese Georg Wilhelm Margraff (1776), è considerato come un pezzo unico.
La scoperta del museo ebraico di Berlino sarà dunque un interessante esercizio di memoria che segnerà il visitatore nello spirito e nella carne.
Alla fine del percorso una pesante porta di acciaio immette nella Torre dell'Olocausto. Come ogni stanza vuota nell'edificio di Liebeskind, la Torre dell'Olocausto è stata lasciata in calcestruzzo grezzo. Non è riscaldata né isolata e rimane fredda e umida anche in estate. Di giorno un filo di luce entra da una sola sottile fessura in alto in un angolo. Il rumore della strada è chiaramente percepibile ma il mondo esterno è irraggiungibile. E' un luogo di memoria nel quale la nudità ed il vuoto stanno a significare le innumerevoli vittime del genocidio di massa.

Museo di Berlino


Rassegna stampa

Ciampi agli studenti: «Lo sterminio degli ebrei italiani causato dalle leggi razziali»
sommari dell'
Unità

«Noi italiani riflettendo sulla Shoah, non possiamo dimenticare che lo sterminio di oltre un quinto degli ebrei italiani non fu dovuto soltanto alla barbarie nazista: fu reso possibile anche dalle vergognose leggi razziali del 1938». Lo ha detto il presidente Ciampi parlando ad un gruppo di studenti che hanno vinto il concorso letterario indetto quest'anno in occasione dell'anniversario della liberazione degli internati di Auschwitz. al Quirinale Il Presidente della Repubblica è netto sulla responsabilità.


Quell'«estasi assassina» che trasformò gli uomini in carnefici
Lo studioso Guido Knopp descrive nella sua ultima opera connivenze e responsabilità collettive della violenza di massa
Marzio Breda sul Corriere della Sera

Il 25 luglio 1943, giorno della caduta di Mussolini, cominciò a circolare un commento ispirato ad ambiguo tempismo e che attribuiva a «Lui, Lui solo», il capo del fascismo, la responsabilità della tragedia nazionale. Fu un'operazione ingenua, con l'obiettivo di assolvere gli italiani che avevano sostenuto il dittatore con un largo consenso. Anche nella Germania del dopoguerra si è avuta la tentazione di scansare l'immenso debito morale per il genocidio degli ebrei riversando ogni colpa su Hitler e su pochi gerarchi. Ma non poteva essere altrettanto facile liberare i tedeschi dal sospetto di una complicità di massa. Di essere stati, cioè, quantomeno testimoni passivi (perché molti di loro seppero e tacquero) e dunque colpevoli alla stregua di mandanti e carnefici. E' una vecchia questione, riproposta ora in coincidenza con la «giornata della Memoria» del 27 gennaio anche da un denso saggio di Guido Knopp, Olocausto , che - dice Simon Wiesenthal - è «il testamento di milioni di vittime». E Knopp, storico e giornalista, autore di inchieste choc programmate dalla tv pubblica di Berlino, all'interrogativo che da sessant'anni tormenta il suo Paese, risponde così: «L'Olocausto non può essere addebitato come colpa a noi tedeschi nati dopo la guerra. Però ricadono su di noi la responsabilità e il dovere del ricordo. Responsabilità significa guardare in faccia, sino in fondo, la propria storia». Una posizione vicina a quella del presidente Johannes Rau, quando l'anno scorso chiese scusa alla gente di Marzabotto, esprimendo «dolore, lutto e vergogna» e spiegando che se «le colpe ricadono solamente su chi ha commesso i crimini», «le conseguenze della colpa "devono" affrontarle pure le generazioni successive».

Museo di Berlino 2
Knopp ha messo mano ad archivi pubblici e privati, specie nell'Europa dell'Est, e raccolto centinaia di inedite testimonianze non soltanto dei sopravvissuti ma anche dei «volonterosi carnefici di Hitler», che raccontano «l'estasi assassina» e come poterono «perdere l'anima».
Un esempio. Il 5 ottobre 1941 il segretario di polizia Walter Mattner scrive da Mogilev alla moglie a Vienna: «C'ero anch'io l'altro giorno quando c'è stato il grande massacro. Arrivato il primo carico, mi è tremata un po' la mano quando è venuto il mio turno di sparare, ma sono cose alle quali ci si abitua. Al decimo carico miravo tranquillamente e ho sparato con determinazione anche a donne, bimbi, lattanti».
Ecco: squarci di verità come questo fanno dire allo studioso che «non c'è crimine nella storia dell'umanità che continui tuttora a negarsi tanto ostinatamente a ogni tentativo di spiegazione. Come tutto questo sia potuto accadere rimane una domanda in ampia misura senza risposta». Contro gli ebrei si scatenò una violenza nera, gelida, funebre fin dall'invasione tedesca della Russia (il «Piano generale per l'Est» elaborato da Himmler) e alla quale fu presto chiamato ad applicarsi anche tutto un ceto di medici, ingegneri, tecnici per pianificare e organizzare nei lager la «sterilizzazione razziale» imposta dal Führer.
Ed è proprio questo aspetto, «di esecuzione fredda con metodi e tecniche industriali», a spingere Knopp a sostenere che l'Olocausto degli ebrei resta «senza eguali rispetto alle esperienze dei gulag di Stalin, dei massacri in Cambogia e in Cina». Nessuna omologazione è possibile, dice lo storico tedesco al termine della sua angosciosa full immersion nell'Olocausto. Troppo orrore, troppa assenza di pietà umana, troppa nauseante malvagità da consentire paragoni o permettere prescrizioni di colpa.

Il libro di Guido Knopp, «Olocausto», è edito da Corbaccio (pagine 377, 20).


Una nuova alleanza al Muro del Pianto
Le tre grandi religioni universali possono superare le divisioni: nel nome dei Dieci comandamenti e nel ricordo incancellabile della Shoah
André Chouraqui sul Corriere della Sera

Sono passati non troppi anni dalla Shoah, lo sterminio di massa degli ebrei nei campi di concentramento nazisti, uno dei crimini più raccapriccianti della storia. Tuttavia anche i sopravvissuti della generazione della Shoah hanno la tendenza a occultare le circostanze in cui si è verificata, chiudono i loro ricordi nel cassetto delle cose da dimenticare…

Museo di Berlino 3
Dopo i duri anni vissuti alla macchia, mi ricordo il primo giorno del mio ritorno a Parigi: pranzavo in un ristorante del Quartiere Latino, quando il mio sguardo fu catturato da un viso che non mi sembrava sconosciuto. Cercavo di identificarlo sotto la barba che lo abbelliva. Lui faceva lo stesso. All'improvviso sentii la sua voce e allora non ebbi più alcun dubbio: era la voce di Jules Isaac. Ci siamo alzati insieme, stringendoci in silenzio. Non ci eravamo riconosciuti subito, io ero senza barba e lui barbuto, mentre l'ultima volta che ci eravamo visti durante la clandestinità nell'Alta Loira, a Chambon sur Lignon, lui aveva il viso glabro e io la barba voluminosa dei clandestini.
Seppi allora che sua moglie, sua figlia, suo genero erano morti deportati. Il quaderno a cui lavorava era diventato un libro che non aveva precedenti: Gesù e Israele .
Era l'inizio della fondazione del movimento dell'«Amicizia giudeo-cristiana», che andava sviluppandosi in numerosi comitati in tutta la Francia. Si trattava di fare opera di memoria, di ricordare agli uomini il crimine di cui eravamo stati testimoni.
Il libro di Jules Isaac si levò come un grido dedicato «a mia moglie, a mia figlia, martiri, uccise dai tedeschi, uccise semplicemente perché si chiamavano Isaac».
In quei tempi un abisso separava il mondo cristiano da ciò che rimaneva del mondo ebraico. Jules Isaac comprese quale importanza rappresentasse per tutti la recente elezione di Giovanni XXIII al soglio pontificio. La breve udienza che gli aveva accordato Pio XII a Castel Gandolfo gli aveva permesso di evocare con lui il vecchio mostro de «l'insegnamento del disprezzo», il cui fondamento teologico si perpetuava nella cristianità da circa milleottocento anni. Isaac sapeva di avere la missione di trafiggere e di esorcizzare quel mostro. Fu nella primavera del 1960 che mi rivelò il suo progetto del viaggio in Vaticano. Visto che Giovanni XXIII voleva convocare un grande concilio ecumenico, perché non presentare la questione ebraica nel suo complesso per finirla una volta per tutte con l'idra dell'antisemitismo cristiano.
Anche in Israele il dovere del ricordo si è imposto a partire dalla creazione dello Stato. Una delle sue principali preoccupazioni fu di salvaguardare la memoria di questa tragedia. Dopo qualche anno Yad Vashem riuniva già tutti i documenti e le testimonianze di questa tragica storia, conservati poi nel Memoriale. Basta attraversare la soglia di questo luogo per misurarne l'importanza storica e umana.
A Gerusalemme Yad Vashem è infatti diventato l'università della memoria della Shoah: occorreva insegnarla ai bambini di Israele e del mondo perché quel dramma non si ripetesse mai più.

Uno dei segni di questa tendenza al riconoscimento è stato il documento significativo siglato tra la Santa Sede e lo Stato di Israele nel dicembre 1993, di cui Giovanni Paolo II fu il principale artefice. Quel documento confermava il riconoscimento ufficiale fra due religioni e Stati che hanno lo stesso Dio ed essenzialmente gli stessi profeti e le stesse finalità spirituali, ma la cui storia come quella di molte altre religioni rivali era fatta di una lunga serie di conflitti e di attriti.
Un altro testo di Giovanni Paolo II sulla Shoah esprimeva pentimento per gli errori e le mancanze dei figli e delle figlie della Chiesa nella loro condotta verso il popolo ebraico. La riconciliazione tra gli uomini era al cuore di quel documento. Sperai da allora che il Papa potesse incontrare il popolo di Israele recandosi a Gerusalemme. Ero in città quando esaudì questo desiderio nel Duemila. La sua mano tremava d'emozione quando posò la sua lettera tra le pietre del muro occidentale, la sua emozione era al culmine durante la visita a Yad Vashem, dove onorò con la sua presenza e la sua preghiera la memoria dei 6 milioni di ebrei vittime del nazismo. Papa Giovanni Paolo II è senza dubbio il più grande artefice della riconciliazione tra la cristianità e Israele.
Nella Giornata della Memoria, questo 27 gennaio 2003, dobbiamo stabilire che la sua celebrazione più positiva sia lavorare affinché le tre religioni universali, il giudaismo, il cristianesimo e l'islam, che hanno la stessa finalità, si alleino per salvare il mondo, educandolo a rispettare l'essenza a loro comune: i «Dieci comandamenti».

(Traduzione di Francesca Basso)

L'autore di questo articolo è nato in Algeria nel 1917. Ha studiato diritto a Parigi e frequentato l'Istituto di studi rabbinici. Ha partecipato alla Resistenza e nel '57 si è trasferito in Israele, dove ha ricoperto varie cariche pubbliche. È poeta, scrittore, traduttore e commentatore di testi sacri (famosa la sua versione in francese della Bibbia e del Nuovo Testamento in ventisei volumi).


La giornata della memoria compie tre anni
Giulia Crivelli su Il Sole 24 Ore

"La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati" (Legge 20 luglio 2000, n. 211, art. 1)

Grazie alla legge del luglio 2000, il 27 gennaio 2001 anche in Italia è stata celebrata la prima "Giornata della memoria". Lunedì 27 gennaio 2003 queste celebrazioni compiono quindi tre anni. Ogni grande città e molti piccoli e medi comuni hanno organizzato manifestazioni e

Auschwitz, da campo di sterminio a monumento
Auschwitz-Birkenau, liberato dalle truppe sovietiche il 27 gennaio del 1945, è oggi un monumento: considerato il più grande cimitero ebraico del mondo, ospita un museo e ha appunto lo scopo di tener viva la memoria delle atrocità compiute dal regime nazista per evitare che cose del genere possano ripetersi.

Una giornata che unisce l'Europa
La Giornata della memoria verrà celebrata in tutto il Vecchio continente, da Londra a Vilnius, da Berlino a Stoccolma. Ovunque l'impegno sarà quello di ricordare, imparare dalla storia, impedire che l'intolleranza e il razzismo prevalgano di nuovo.

Il Pianista torna nelle sale
Anche il cinema celebra il giorno della memoria. Il pianista, il film di Roman Polanski distribuito da 01 Distribution, torna infatti nelle sale da oggi fino al 30 gennaio con oltre 190 proiezioni. Il film, vincitore della Palma d'Oro al Festival di Cannes 2002, racconta la storia di Wladyslaw Szpilman, un pianista ebreo polacco di grande talento sfuggito alla deportazione durante l'occupazione nazista della Polonia. Costretto a vivere nel ghetto di Varsavia, Szpilman ne sperimenterà tutte le sofferenze, le umiliazioni e le lotte e riuscirà a fuggire nascondendosi tra le rovine della città.

A Milano il primo "Giardino dei Giusti"
Tre alberi di prunus sono stati piantati questa mattina, venerdì 24 gennaio, a Milano, sul Monte Stella vicino a San Siro, e così è nato il primo "Giardino dei Giusti di tutto il mondo" italiano, voluto dal Comune e dall' Unione delle comunità ebraiche italiane per onorare coloro che scelgono di stare sempre e comunque dalla parte del bene. Sulla falsariga di quelli di Gerusalemme, Erevan e Sarajevo anche Milano dunque, nei giorni della Memoria, ha il giardino con alberi dedicati agli uomini «che hanno scelto il bene», come ricorda un cippo posto dinnanzi al boschetto.

Tre Giusti per Milano
I tre Giusti di Milano sono: Moshe Bejski (rappresentato da Lucien Lazare), ebreo polacco che fu aiutato da Schindler e che ha dedicato la sua vita alla valorizzazione dei buoni anche attraverso il Giardino dei Giusti; Svetlana Broz, nipote del generale Tito, distintasi nel soccorso alle popolazioni colpite dalla guerra in Bosnia; Pietro Kuciukian, medico, figlio di un sopravvissuto al genocidio degli Armeni del 1915, che ha dedicato la vita alla ricerca di coloro che furono giusti nei confronti del suo popolo sofferente.


I siti della Shoah

Museo di Berlino 4
Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea
Istituto culturale indipendente, con sede a Milano, il cui fine istituzionale è lo studio della storia e della cultura ebraica in età contemporanea.

Olokaustos.org
Le quattro tappe dell'Olocausto:
emigrazione, ghettizzazione, massacri con unità mobili, campi di sterminio.

Yad Vashem (in lingua inglese)
Yad Vashem è l'Autorità per il ricordo delle vittime e degli eroi dell'Olocausto, istituita nel 1953 dal Knesset, il Parlamento israeliano, per commemorare le sei milioni di vittime della Shoah. Un sito istituzionale estremamente ricco di contenuti e con un'ampia galleria fotografica

Centro Simon Wiesenthal (in lingua inglese)
Sito ufficiale del Centro fondato dal famoso "cacciatore" dei nazisti criminali di guerra.

Fondation Auschwitz (in lingua francese)
Fondazione di Bruxelles con una ricca biblioteca anche on line, che si occupa attivamente della preservazione della memoria dello sterminio e di una corretta divulgazione storica.

United States Holocaust Memorial Museum (in lingua inglese)
E' il sito del Museo per la memoria dell'Olocausto di Washington. In assoluto una delle fonti di documentazione più ricche reperibili sulla rete.

Memorial and Museum Auschwitz- Birkenau (in lingua inglese)
Il sito del museo di Oswiecim, cittadina polacca nei pressi della quale sorge il campo di Auschwitz.

Judishes Museum Berlin (in lingua tedesca e inglese)
Il sito ufficiale del museo ebraico di Berlino, dedicato alla cultura del popolo ebraico e al ricordo della Shoàh. Molto ben curato graficamente.

Per una didattica dell'olocausto (sito in manutenzione)
Su iniziativa del Ministero della Pubblica Istruzione, un gruppo di insegnati ha raccolto in questo sito documentazione sull'Olocausto a supporto della didattica delle scuole.

RAI-Educational
Sezione del portale di Rai Educational dedicato alla Giornata della Memoria.


Articoli pubblicati da Arengario
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La storia di Auschwitz - Birkenau
- Il fiore e la farfalla (Vittorio Bellini)
- Per non dimenticare (Fabio Isman)
- A Mauthausen 55 anni dopo (Rosella Stucchi)
- Lettera a mia figlia (Felice Cagliani)


   26 gennaio 2003