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MEMORIA
A Mauthausen 55 anni dopo
Cronaca di un pellegrinaggio
di Rosella Stucchi

La scala della morte a Mauthausen

La scala della morte: i prigionieri trasportano blocchi di granito

Una visita ad un campo di sterminio è certamente una esperienza sconvolgente, ma anche di notevole arricchimento interiore che rompe in modo brusco la quotidianità portando a galla sentimenti ed emozioni intense.

Tra il quattro e l'otto maggio scorsi, l'ANED (Associazione nazionale ex deportati) ha organizzato, come tutti gli anni, un pellegrinaggio a vari campi di sterminio, io mi sono limitata a seguirlo nella prima parte: castello di Hartheim, campi di Gusen e Mauthausen. Hanno partecipato, oltre a molti giovani, un ex deportato monzese, Angelo Signorelli autore del libro «A Gusen il mio nome è diventato un numero», ed alcuni figli di deportati morti nei campi, tra cui la monzese Milena Bracesco.

Già il lungo viaggio in pullman è servito da preparazione con informazioni sui luoghi, testimonianze dei familiari e di Angelo Signorelli che, per non commuoversi, cercava di ricordare solo gli episodi di solidarietà fra i deportati ed i pochi da parte della popolazione ed anche di qualche militare; spesso invano perché anche dopo più di cinquant'anni i ricordi di una esperienza tanto traumatica per un ragazzo di 17 anni lo travolgevano e lo soffocavano.

Il castello di Hartheim, a pochi chilometri da Linz come del resto i campi di Gusen e Mauthausen, è una tetra costruzione dove fino dal 1939 venivano «gassati» i bambini minorati e che poi è stato usato per tutti i deportati inabili al lavoro: nessuno è uscito vivo da lì.

Gusen è ormai solo un «memorial», una costruzione di cemento che contiene il forno crematorio, circondata da un alto muro al di là del quale inizia subito una serie di villette con un'incredibile promiscuità tra vita e morte che lascia sgomenti. Nel piccolo spazio intorno al forno crematorio tantissime lapidi tra cui quella realizzata dal nostro Vittorio Bellini che riporta i nomi delle vittime monzesi.

A Mauthausen la prima forte sensazione è il contrasto tra la bellezza e la pace del luogo ed il pensiero di ciò che vi è potuto accadere. Il campo, conservato nelle sue parti essenziali, anche se vi rimangono solo alcune baracche, si trova in cima ad una collina in un paesaggio ondulato e verdissimo, tipo quello della nostra Toscana. Scendendo questo dolce declivio, tra i memoriali delle varie nazioni, ci si trova improvvisamente davanti al baratro della cava di pietra dove hanno perso la vita tanti esseri umani; alla cava si accede con la «scala della morte», oggi modificata e resa meno ripida, dove si procedeva spesso alla decimazione dei prigionieri spingendo giù dall'alto le prime file dei detenuti che la risalivano carichi di grossi blocchi di pietra.
La scala della morte oggi

La scala della morte oggi

In questo luogo di orrore, dominato dal monumento eretto dalla stato di Israele, enorme e contorto candelabro a sette braccia, si è svolto la sera del 7 maggio il concerto della Filarmonica di Vienna: canti ebraici e la nona sinfonia di Beethoven: una emozione fortissima durata più di un'ora, con gli uccellini che cantavano in gara con l'orchestra, uno spicchio di luna, il candelabro, ricordo e monito della tragedia, sempre più scuro e incombente e seimila candeline nelle mani degli spettatori. Alla fine, in seimila, abbiamo risalito la ex scala della morte in silenzio e senza una spinta: abbiamo impiegato un'ora con l'aiuto di una fila di ragazzi schierati lungo la scala pronti a sostenere nella salita gli anziani o chi ne avesse bisogno: May I help you? Posso aiutarla ?
Quel giorno a Mauthausen sono passate quindicimila persone, c'è stata una interminabile sfilata di delegazioni di tutte le nazioni, numerosissima quella italiana, con gonfaloni e rappresentanze di città e paesi. Il giorno prima a Gusen, sul prato accanto al memoriale, abbiamo assistito a bellissimi spettacoli di giovani: canti e recitazioni in varie lingue, particolarmente commoventi quelli russi e polacchi.

La presenza dei giovani è stata importante: intere classi, delegazioni di scuole inviate da comuni, circoscrizioni, associazioni, cooperative; da Monza solo quattro ragazzi premiati dall'ANPI (Associazione nazionale partigiani d'Italia) in seguito ad un concorso sul passaggio dal Novecento al Duemila.
Da anni l'ANED chiede invano alla nostra amministrazione comunale di inviare una delegazione di giovani a questi pellegrinaggi, come invece fa ad esempio il comune di Sesto San Giovanni: non ha nemmeno ricevuto risposta.
Al congresso internazionale dell'ANED, svoltosi quest'anno a Mauthausen ai primi di maggio, il presidente della Camera Violante ha detto che una visita ai lager nazisti dovrebbe far parte di ogni curriculum scolastico «perché vedere vale più di cento racconti e mille lezioni» e recentemente l'assessore alla pubblica istruzione Enrica Galbiati ha inviato a tutte le scuole superiori monzesi i programmi dei pellegrinaggi dell'ANED invitando ad inserirli tra le proposte di gite scolastiche. E' un primo passo che speriamo porti qualche frutto!

Prima della partenza ci siamo sentiti spesso dire «i campi di sterminio? Che tristezza(angoscia)...». Posso testimoniare che i sentimenti suscitati da questa esperienza, più che di tristezza e di orrore, sono state di profonda umanità, di civiltà e di fratellanza. Bene ha detto Scalfaro che nei campi di sterminio è nato il germe dell'Europa unita, e i commenti dei ragazzi, sul pullman durante il ritorno ed in una seguente serata all'ANED di Sesto San Giovanni, sono stati unanimi: «nei prati di Mauthasen ho colto il fiore della solidarietà...», «ho apprezzato la frase "solo gli occhi che hanno pianto sanno vedere veramente"», «ignoravo che in soli quattro giorni avrei acquisito consapevolezza...» e, a proposito di Signorelli, «mi sono stupita nell'accorgermi di come, anche in un'esperienza così dolorosa, i gesti d'amore, di umana sensibilità possano restare vivi nella memoria e cancellare quelli più inconcepibili e disumani.» in su pagina precedente

giugno 2000