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IL GIORNO DEL RICORDO
“Profughi tutta la vita”
Ricordi monzesi dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia
4. Leonardo Caruz - febbraio 2009
a cura di Umberto De Pace


Siamo originari di Zara da generazioni, la nostra comunità venne chiamata Borgherizzo o Arbanasi, e le sue origini risalgono a metà degli anni 1750-'60, quando un gruppo di famiglie di origine albanese, per repressioni di natura religiosa – dato che erano cattolici – dovettero abbandonare quella fetta di Albania in cui vivevano, e si stabilirono nei pressi di Zara. Sono passati secoli, siamo rimasti sempre lì per generazioni. Mio padre aveva svolto il servizio militare per l'Italia, è stato anche in Africa a fare la famosa campagna del '36, sotto la voce “volontario”.

a Zara vecchia nel 1953
Con mio padre a Zara Vecchia nel 1953
 
Siamo venuti in Italia nel '56, proprio il 13 dicembre, il giorno di santa Lucia, è stata una delle ultime ondate. Precedentemente mio padre aveva cercato l'opzione, cosa che inizialmente era stata concessa, successivamente però il governo jugoslavo si era irrigidito, perché le richieste erano tante. Erano tante le persone, fra questi esuli, che avevano in mano una professione, un'attività e andando via, spogliavano quello che era il tessuto lavorativo nel territorio, e credo sia anche questo uno dei motivi per i quali respingevano queste richieste. Finché hanno pensato bene di lasciare libera la gente, ma solo con lo svincolo: cioè tu andavi via e lasciavi lì tutto!
Il 1956, oltretutto, fu caratterizzato dai fatti di Ungheria, la cosa aveva infiammato ulteriormente le coscienze e generato la paura della gente; si viveva in modo abbastanza precario, purtroppo la realtà dopo la guerra era quella. Diciamo che per l'aspetto industriale ed economico, la Jugoslavia è sempre stata un po' arretrata e povera, quindi tolto anche quel poco, rimaneva nulla. Fortuna vuole che mio padre, faceva di tutto, dal muratore, all'agricoltore, perché lì era tradizione, soprattutto a Borgherizzo, erano quasi tutti muratori.
Nel '56, avevo otto anni e mezzo, il solo ricordo mi emoziona ancora fortemente; a noi esuli non è stata concessa la voce e l'ascolto ... noi ci sentiamo un po' come dei lebbrosi.
Ci diedero lo svincolo e siamo partiti con quattro cose, il minimo indispensabile, si partiva e non si sapeva quando saremmo ritornati. Il primo tratto è stato con il traghetto Zara - Trieste, lì c'era un centro di raccolta e smistamento dei profughi. La segnalazione di un conoscente, ci aveva indicato e suggerito di optare per il campo profughi di Aversa in provincia di Caserta, perché altri campi erano stracolmi o erano conciatissimi. Il campo era in un ex ospedale militare, la struttura era composta da grandi capannoni con all'interno tante stanze non molto grandi, per ognuna di esse andava dentro un nucleo famigliare fossero 2/3 persone o 6/7, la cosa non cambiava; un solo servizio in fondo ad ogni capannone. Noi abbiamo dei parenti che oggi abitano a Bologna, sono stati nel campo di Laterina in provincia di Arezzo e ... cosa non ci hanno raccontato: della sporcizia, dai topi a separé costruiti con coperte. E poi niente ... il totale abbandono, da parte degli Enti locali, del Governo, solo l'Opera Profughi, che però era nettamente insufficiente. E poi c'è da dire la verità, noi eravamo degli ospiti sgraditi, perché “creavamo problemi”. In questi giorni che ho sentito gli scioperi degli inglesi contro gli italiani … beh ... ritornano alla mente certe cose, mio padre se l'è sentito sul muso: ”sei venuto qui per portare via il posto di lavoro!”. In sostanza noi eravamo una cosa ibrida: di là eri maledetto perché non hai accettato il paradiso artificiale, il socialismo, tutte queste cose ... di qua eri mal visto dalla componente di sinistra perché traditore: “tu hai lasciato di là il sole dell'avvenire, per venire qua!” – da altri, indifferenza. Gli unici che hanno cavalcato la cosa, forse in modo esagerato, è stata la destra o l'estrema destra e questo francamente non è che ci fa piacere, chiunque esso sia, destra o sinistra, perché la nostra storia, il nostro dolore, sfruttato, cavalcato da chi che sia, ci da fastidio.
Io sono nato nel '48 a giochi fatti, però mio padre mi ha raccontato tante, tante di quelle cose e solo grazie alla sua integrità e moralità non è mai stato toccato. Come mio nonno credo che anche mio padre fosse abbastanza vicino agli ideali di ispirazione socialista e democratica. Mi raccontava che nel '50, la Jugoslavia organizzò una manifestazione a Zara, per rivendicare Trieste e incaricati della milizia, passarono casa per casa a chiedere la firma, per tale rivendicazione, ma lui non firmò. In quegli anni inoltre, venivano diffidati tutti quelli che andavano in chiesa; davanti alla chiesa nel nostro quartiere, c'era un circolo con il Preside della scuola, che controllava chi andava in chiesa. Non dobbiamo negare che nel ventennio, soprattutto Zara, ha beneficiato di una situazione, di uno status eccellente, era una specie di “porto franco”, molti anziani quindi, hanno visto in quella fase storica, sotto il fascismo, un momento di gloria, di benessere. Durante la guerra Zara fu ripetutamente bombardata, e lì venne fuori la vigliaccata di Tito e dei titini, che hanno fomentato gli anglo-americani affinché bombardassero Zara, perché ritenuta “fascista”. E' stato bombardato l'85% della città, che ne è uscita distrutta.

il Duomo bombardato il Duomo ricostruito
il Duomo bombardato e ricostruito

E da lì è nata la caccia all'italiano, senza motivo, molti rivendicavano l'antifascismo, per cui tutta la simbologia che richiamava l'Italia fu distrutta. E hanno fatto così di tutto e di più, hanno distrutto, espulso, anche dal lavoro, dalla scuola. Per la generazione del '40, se individuati come filo italiani, basta … apriti cielo! Gli potevano fare qualsiasi cosa, li denigravano; poi chiaramente, c'è stata la fase successiva di pubblicazione dei testi scolastici, dove questo odio veniva incrementato ai massimi livelli, chiaramente per valorizzare la vittoria di liberazione partigiana, denigrando il nemico, quindi l'Italiano. Io questo l'ho avvertito. Ad esempio agli inizi degli anni '70, quando, sentendo i miei cugini che dicevano: “voi italiani” – accusandoci di ogni male, si poteva percepire tutto l'odio che c'era. Eppure venendo in Italia, non è che abbiamo trovato il miele ... tutt'altro, difficoltà e mille cose che ci venivano contro. Mi ricordo ancora oggi, in meridione quando andavo con mia madre a fare acquisti, ci apostrofavano “Uè tu, profoghese!”. E lì nel campo profughi ce la si passava proprio male; noi siamo ancora stati fortunati, perché mio papà ha avuto la fortuna di lavorare a Zara, al monopolio di Stato – manifattura tabacchi – e venendo in Italia, aveva un certo diritto come profugo, lavorava a Napoli, ma si diceva: “io sono a posto … però i miei figli per niente” – ha fatto così richiesta di trasferirsi nel triangolo industriale, Milano – Torino – Genova. Lì ad Aversa, in questo benedetto lager, la vita era veramente grama, di gente disperata. Qualcuno dei profughi, aveva allungato il viaggio chiedendo di andare, chi in America, chi in Australia, perché non c'erano alternative, c'era la depressione totale. Noi siamo stati ad Aversa, circa un anno e mezzo, verso la fine del '57, abbiamo avuto l'opportunità delle case popolari a Caserta e siamo andati, nel frattempo, siccome io sono venuto qua e non sapevo una parola d'italiano, mi hanno mandato in uno di quei collegi dove mandavano i ragazzi provenienti da quelle parti. Sono finito in quel di Merletto di Graglia, provincia di Vercelli all'epoca, adesso provincia di Biella.

al collegio
Esercitazioni al collegio di Merletto di Graglia - 1958

In collegio sono stato tre anni, tre mesi e undici giorni, fino a finire la quinta. Anni molto duri, lontano dalla mia famiglia, che era a Caserta. Finita quell'avventura … niente, mio papà dopo circa un anno era riuscito ad ottenere il trasferimento a Milano, io ho fatto in tempo a fare la prima media a Caserta, ero solo con mia mamma, perché nel frattempo mio fratello che era più grande era andato a fare il servizio militare. Per cui per me, per noi ragazzi è stato un duplice dramma, in due momenti ravvicinati: abbiamo dovuto lasciare prima ... la nostra terra e subito dopo ... i nostri ... famigliari ... è troppo il dolore ... la rabbia ... che porto ancora dentro ... è quasi un ripresentarsi di certe situazioni … dove noi oggi, siamo spettatori di ciò che abbiamo subito, e di ciò che non abbiamo avuto, verso popolazioni che avranno anche le loro ragioni, ma non più di tanto, perché io sono convinto che gli arabi non vengono a caso in Europa, sono certo che c'è un disegno preciso dietro e lo zingaro non l'ho mai tollerato. A proposito di nomadi, alla nostra gente è stata tolta anche la propria nazionalità, succedeva che, coloro i quali venuti in Italia successivamente optavano per altre destinazioni, America o altro, via di qui perdevano lo status di italiano e arrivavano là da apolide, e dovevano “ricostruirsi” una identità. Anche sui nomi e cognomi accadeva di tutto, ad esempio il nostro cognome è stato cambiato 4 o 5 volte, con l'Italia, con la Jugoslavia; con l'Austria iniziava con la “K” e finiva con “tz”, che era tipico dell'Austria.
A Zara le foibe non c'erano, c'era però tutt'altro, se il canale di Zara potesse parlare … se dovesse far riemergere tutti i cadaveri!! Si parlava di 12, 13 forse 15 mila morti, la stragrande maggioranza, con un sasso e del fil di ferro, veniva buttata nel canale. Lì il terrore subentrava all'imbrunire, loro, i “partigiani”, venivano la notte e cominciavano i guai, chi doveva sparire gli bussavano: “Un controllo!” – e non tornava più a casa. Chi veniva buttato tra le rocce della catena del Velebit, le montagne che costeggiano il litorale verso Fiume, molti in mare, qualcuno in qualche pozzo, qualcuno anche assassinato così, fatto fuori a colpi di pietra, piuttosto che di bastone e in questo hanno effettivamente ecceduto i vicini, gli amici di ieri, c'è stata proprio una vendetta. Tutto ciò ha generato un terrore, insieme alle altre cose che dicevo prima: essere vessati sul lavoro, per strada, insomma ogni occasione era buona: “talianaz”, italiani. Anche noi che eravamo di origini albanesi, venivamo catalogati così, perché magari avevi manifestato una certa simpatia, perché come è capitato a mio papà, avevi fatto il militare sotto l'Italia. Successivamente, era il 1960, la mia famiglia è venuta al nord, a Milano, dove sono stato 24 anni, in zona Lambrate, quartiere Feltri. Siamo giunti in questo quartiere grazie al lavoro di mio padre, che essendo dipendente del monopolio di Stato, usufruiva di agevolazioni nell'assegnazione di queste case, che erano Gescal, poi dell'Ina. Per un certo numero di anni abbiamo pagato l'affitto poi sono venute via a riscatto, a un buon prezzo. Mi sono formato qui, come uomo, a livello scolastico, sotto tutti i punti di vista, mi sono milanesizzato. Diciamo che a nostro favore, parlo degli esuli, sia dalmati, che istriani, una grossa virtù, un grosso pregio, è quello dello spirito di adattamento ad ogni situazione: lavorativa, sociale … per questo molti datori di lavoro, privilegiavano la nostra gente, perché aveva queste caratteristiche, senza grilli per la testa, grandi lavoratori. Ho vissuto così questa realtà milanese, successivamente mi sono risposato, ho fatto un periodo a Cologno Monzese e dal '91 sono qua a Monza. Fra i profughi qui in Italia, ognuno badava alla propria famiglia, però c'era comunque un legame , vuoi non vuoi, la tua provenienza, la tua estrazione da quella realtà, soprattutto fra concittadini. Diciamo che c'era questa solidarietà che accomunava la nostra gente. Alcuni poi sono tornati indietro, delusi da questo esito estremamente negativo qui in Italia: no lavoro, no casa, ghettizzati … qualcuno è andato via anche di testa.
Per quanto riguarda le associazioni dei profughi, quelli qui di Monza li lascerei perdere ... il presidente è un ventitreenne … la cosa mi lascia abbastanza scettico. Diciamo comunque che le associazioni dei profughi hanno avuto la funzione di coordinamento, molta gente venuta da quelle parti, non conosceva le leggi italiane, non conosceva i propri diritti, per cui hanno avuto una loro funzione. Il neo, dal mio punto di vista è che queste associazioni erano troppo caratterizzate politicamente e la cosa a me personalmente non era gradita più di tanto, perché un conto è l'associazione di profughi, un'altro è chi pretende che altri assumano il proprio credo, questa cosa mi da fastidio; difatti anche a livello di raduni di queste associazioni, per un periodo i miei genitori li hanno seguiti, poi si sono dissociati; e io pure, sono stato più di venti anni senza andare, poi ultimamente, gli ultimi sei, sette anni, tranne un anno, ho ripreso ad andare.
L'istituzione della giornata del ricordo, ritengo invece che sia stata una cosa estremamente positiva, perché finalmente se ne parla. Qui a Monza ho partecipato a quella dell'anno scorso e a quella di tre anni fa, con Paolo Sandrini, gestita con garbo e cognizione, eravamo agli inizi, quindi c'era maggior sete di conoscenza, di verità; quella invece di due anni fa con la manifestazione per le vie di Monza, no, non mi è piaciuta. Ho la sensazione però che qui a Monza, soprattutto una forza politica, diciamolo pure, Alleanza Nazionale, voglia gestire in proprio questo argomento. Se un'amministrazione vuole fare un lavoro serio, sui profughi, va all'anagrafe e ricava tutti i nati a Fiume, Zara, Pola eccetera e da lì si risale agli esuli. Sono importanti anche le iniziative di visita dei posti citati. Non se ne è parlato prima, perché in campo giornalistico, dell'editoria, e quello politico, c'era una totale chiusura per molti, troppi anni.
Comunque, profughi tutta la vita, questo è un dato di fatto. Ci portiamo dentro un qualcosa che è difficile da spiegare … io sono stato strappato da lì e buttato in una realtà in cui non sapevo nuotare, la lingua non la conoscevo, e quindi ho avuto molte difficoltà, però negli anni ti accorgi che quando ci sono difficoltà – vedi ad esempio oggi gli inglesi che scioperano contro gli italiani – non ci sono storie … quando c'è la difficoltà nasce la diversità: “tu non sei italiano” – e non sentirsi italiani, ed essere rifiutato dai tuoi … è il massimo, sei sempre in mezzo, un precario, vita natural durante, forse anche per questo c'è questo desiderio … almeno da morto … di tornare nella propria terra. Per me Zara è il mondo, anche se qui ci ho passato una vita, tutto quello che ho è grazie all'Italia, nel bene e nel male, quindi sarei ingrato a dire il contrario, però, ecco … ci sono dei passaggi, dei momenti … che ti fanno sentire straniero comunque. Per i figli non è più così, loro fanno parte di un'altra epoca. Il mio è nato nel 1986, cerco di coinvolgerlo, ma come tutti i ragazzi, su certe cose non si fa coinvolgere più di tanto, con l'età, penso, si farà coinvolgere un po' di più. Per il momento mi limito a ricordargli le origini.

Leonardo Caruz

Zara veneta Zara veneta
Zara veneziana


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  5 marzo 2009