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IL GIORNO DEL RICORDO
“Lascio un posto sicuro, per andare dove non so”
Ricordi monzesi dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia
3. Bruna Crisanaz - novembre 2008
a cura di Umberto De Pace


L'Istria è sempre stata una terra dove sono arrivati tutti. Bosniaci, croati, serbi, macedoni, italiani, sloveni, hanno sempre convissuto fra di loro. Ho vissuto a Peroj, fino a circa sei anni, poi ci siamo trasferiti a Fasana, tra Peroj e Pola. La gente istriana è sempre stata molto ospitale, non hanno mai guardato alla provenienza, alla lingua.
Subito dopo la seconda guerra mondiale, molta gente è andata via, molti gli industriali i commercianti, veniva tutto statalizzato, capisco bene che molti decisero di andarsene. Ciò ha comportato un totale impoverimento della zona e quelli che li hanno sostituiti non erano in grado di gestire le cose, uno può essere un buon partigiano ma non è detto che sia un buon industriale.
Ci sono state anche delle vendette, che si sono scatenate dopo la guerra. Fu stabilito il pugno di ferro, da parte della Jugoslavia, in una zona di confine per la paura che gli fosse sottratta, e questo è stato un errore grossolano, perché sono convinta che non sarebbe andata via tanta gente se avessero avuto maggiore comprensione, un po' più di disponibilità a capire anche le ragioni degli altri. Quando c'erano i fascisti e tedeschi, c'era il terrore dei fascisti e tedeschi. Una volta in paese a seguito dell'uccisione di due tedeschi, hanno fatto un rastrellamento e tantissimi uomini, tra cui mio padre, sono stati portati in prigione a Pola. Poi il giorno dopo ne hanno fucilati alcuni, non so quanti, mio papà se l'è scampata per miracolo, perché hanno fucilato quello della cella accanto.
I fascisti avevano le stesse regole dei tedeschi, lì in Istria. Poi, certo, c'erano quelli che in una certa situazione, forse perché rivestivano un ruolo migliore, magari pensavano che il fascismo fosse migliore, non so; di conseguenza quando sono arrivati i comunisti, la vendetta c'è stata.
Vede come è sbagliata la storia. Mia nonna, ad esempio, aveva due partigiani nascosti nel solaio, quando arrivarono due tedeschi in casa sua; lei gli diede un piatto di prosciutto ai tedeschi giù da basso, con i partigiani sulle loro teste. La povera gente non aveva la possibilità di scelta in una situazione del genere. Dopodiché è vero, anche i partigiani hanno fatto la loro parte. I partigiani difendevano comunque la loro terra, e facevano la loro parte contro i fascisti e i nazisti, e già questo non è poco. Certo anche loro avranno fatto degli errori, magari anche qualcosa di grave, in una situazione di guerra non è facile giudicare, ma io non sono portata a pensare che siano stati i partigiani a far nascere le foibe e queste cose qui; sono nate probabilmente per vendette e tutta una serie di cose che si erano create fra la popolazione. Poi, che ci siano stati di mezzo partigiani o fascisti, come si fa a determinare. Quando eravamo lì, non si sentiva parlare delle foibe e quando si sentivano nominare c'era un attimo di terrore. Noi avevamo vicini la foiba di Pisino, poi passata alla storia quale luogo di infoibamenti. Di più non si può dire, c'era solo questa cosa che aleggiava nell'aria e che uno sentiva e percepiva, era una paura, parlare di foiba voleva dire parlare di paura. Poi, cosa ci fosse dietro ... persone dal paese erano sparite, non erano tanti, uno o due, uno senz'altro. Se questa persona non è stata buttata in una foiba, ma gli è stato fatto qualcosa d'altro, non posso dirlo, di fatto non c'era più, e come è successo nel nostro paese, anche negli altri paesi la parola foibe si bisbigliava, non si diceva. Io poi ho vissuto nella paura già per quello che era successo ai miei genitori, ai quali toccò andare in prigione, a causa delle disavventure di un mio zio, fratello di mio padre, che a seguito della rottura politica tra il Kominform e la Jugoslavia, fu imprigionato per collaborazionismo con i russi, così almeno mi dissero. Fuggito poi dalla prigione, si nascose nei boschi vicino al paese. I miei genitori ed altri parenti lo aiutarono portandogli da mangiare e vestire. Su denuncia da parte di sua moglie furono tutti arrestati, lui compreso. I miei genitori scontarono tre anni di carcere, ai lavori forzati, come prigionieri politici.
Noi quattro, i miei genitori, io di nove anni e mia sorella di due, siamo partiti da Pola e il primo posto in cui arrivammo fu Trieste, dove cera un campo profughi. Lì ci chiesero dove volevamo andare. Mia mamma, che aveva già girato l'Italia da ragazza, disse a Milano: “So che c'è lavoro a Milano”. Da Trieste, siamo quindi andati al centro di smistamento di Cremona. Si stava li qualche giorno, per dei documenti, poi si veniva smistati a Massa Carrara, a Caserta o a Monza, o altri posti dove c'erano i vari campi profughi. Siamo quindi arrivati a Monza, in diverse famiglie, anche se non insieme.

la mia famiglia
La mia famiglia da poco a Monza
Qui il campo profughi era nella Villa Reale, nella parte interna, su un lato dove c'erano le ex scuderie. Veniva ospitata una famiglia per ogni stanza, a parte i primi mesi, che passammo un po' stretti, due famiglie in una stanza molto piccola. I gabinetti erano in comune, i letti a castello. Arrivammo nel settembre del 1956, nella mia vita era il secondo viaggio che facevo. Il primo lo feci, in treno, con una mia zia, per andare a trovare la mia mamma in prigione in Croazia; il secondo viaggio è stato questo dell'espatrio. A me è venuta una fobia dei viaggi, sto male prima di partire, perché lascio un posto sicuro per dove non so.
A Monza, al campo profughi, siamo stati quattro anni e qualche mese, all'inizio eravamo sessanta famiglie, di tutta l'Istria, che si era già svuotata prima e che continuava a svuotarsi. Nel campo profughi c'era un piccolo spaccio gestito da istriani, c'era un direttore che veniva da Roma, mi pare, e con la sua famiglia viveva all'interno del campo; poi c'era un ambulatorio medico, dove il medico veniva una volta la settimana per visitare chi aveva bisogno.La sera che siamo arrivati ci hanno dato i materassi e le coperte perché noi siamo arrivati con due valige in mano. Mio papà e mia mamma avevano spedito i nostri materassi dal paese, però sono arrivati tre mesi dopo. Noi eravamo gente povera, nonostante avessimo terre e la casa che era dei miei nonni, io però non mi sono mai accorta di essere povera, fino a quando non sono andata a scuola in Italia. Ho fatto la seconda elementare alla scuola pubblica De Amicis, con la maestra Villa, la quale un giorno ci fece fare un tema in classe dal titolo: “Com'è la vostra casa. E lì, per me è nato un grande dilemma. A Fasana quando andavo a scuola, l'impramatur dell'insegnante era: Quando raccontate dei fatti, dovete sempre raccontare la verità. Questa verità mi scottava un po'.“Però se la regola è questa, io la racconto– mi dissi – L'addolcisco un po', però io la racconto. E raccontai così, che non era molto che eravamo arrivati, avevamo un letto e per mangiare ci sedevamo sul letto, mettevamo l'asse per lavare sulle ginocchia e così avevamo il tavolo e potevamo mangiare. Però scrissi che mia mamma era molto brava e teneva tutto lindo e in ordine.
Evidentemente la maestra dopo aver letto il tema, sarà stata colpita, si sarà intenerita, non lo so, resta il fatto che fece circolare la voce. Un giorno è arrivato il papà di una mia compagna di classe a visitare questa nostra casa. E' venuto dentro, ha visto che di fatto le cose erano come le avevo raccontate. Non so, lui doveva avere un magazzino e ci disse che ci avrebbe portato un tavolo. Ci ha portato così, un tavolo, delle sedie e una vecchia radio, che per me fu un regalo meraviglioso, e si era anche andato a lamentare con il direttore del campo, il quale prese poi da parte mia madre e le disse: “Ma insomma questa sua figlia cosa va in giro a raccontare!. C'erano poi delle altre compagne di classe che mi portavano altre cose: chi una vestaglietta, chi un paio di scarpe. Io posso dire con sincerità che tutto ciò l'ho vissuto molto male.
In quella classe ero l'unica profuga. Altre bambine profughe erano in altre classi. Mi trovavo a disagio, diventavo di tutti i colori. Poi io, sono sempre stata un po' orgogliosa per natura, non so se perché sono istriana, ma diventavo veramente di tutti i colori. Poi se ne sono accorti, forse l'insegnante, allora pian piano la cosa si è calmata. C'era soltanto la mamma di una mia compagna che faceva arrivare a Natale un regalino al direttore del campo, che poi me lo faceva avere. Questo fatto mi ha fece scoprire che, evidentemente, non eravamo allo stesso livello degli altri, certo, c'era chi stava meglio di noi, però più o meno eravamo tutti uguali o quanto meno eravamo nelle stesse condizioni, come lo eravamo là, in Istria. Invece qui a Monza, si notava la differenza. Poi arrivò Don Cairo, parroco della cappella della Villa Reale, e disse che era meglio che tutte le bambine andassero a scuola dalle suore, invece che nella scuola pubblica. Ci ha fatto cosi andare alla Beata Capitanio, che era una specie di succursale del collegio Bianconi. Qui la differenza con gli altri, se ce ne era bisogno, era ancora più marcata. L'ho frequentata fino alla quinta.

la cresima
La Cresima – sono la seconda da sinistra, insieme agli altri bambini del campo profughi.
Al centro Don Cairo, a destra il direttore del campo

La lingua italiana, l'imparai a scuola. La maestra inoltre disse ai miei genitori di non parlare in croato a casa, ma in italiano. Al campo profughi si poteva stare per un massimo di cinque anni, dopo davano delle case dello stato, forse ALER, non ricordo. Noi però, siamo andati via prima dal campo profughi, comprando una casetta a Brugherio, grazie all'eredità di una mia zia.
Tutti gli altri che sono arrivati dopo di noi al campo, hanno avuto le case a Milano, a San Siro. Invece la tornata precedente le avevano avute, qualcuno, qui a Cederna. Appena arrivati a Monza, mia madre aveva iniziato a fare i servizi presso famiglie, perché non si può avere tutto subito; mio papà, dopo pochi mesi, era riuscito a entrare alla Singer e lavorò lì praticamente fino a che non andò in pensione. La mia mamma alla fine approdò alla Magneti Marelli e lì è stata la sua vita, ha fatto i suoi percorsi all'interno della ditta sempre come operaia, però le piaceva. Per cui da questo punto di vista siamo stati molo fortunati. Perché il lavoro era la cosa più importante in fin dei conti. Qui a Monza, diciamo che come sempre c'era il buono e il cattivo, come dappertutto. C'era chi ha provato a fermare mia mamma e dirgli: Siete venuti qui a rubarci il lavoro”. C'era chi invece normalmente ci accettava una volta che uno incominciava a lavorare. I nostri costumi e cultura erano molto vicini agli altri italiani. Io a Monza mi son sempre trovata bene, anche i miei genitori.
Rimane però il fatto, che quando noi siamo arrivati qui a Monza, con tutte le famiglie che c'erano dentro, si parlava di tutti i problemi che potevano esserci, ma non ci si era mai pianti addosso. Poi, nell'ambito di tante persone, ci può essere stato un po' di tutto. Nel campo profughi ad esempio, non era mai successo niente di sgradevole, però c'erano due o tre che si sapeva, non erano proprio delle brave persone. Noi ci si teneva molto a non fare delle brutte figure nei confronti della città e queste due o tre persone, avevano la mano lunga. Come rubavano fuori, rubavano anche lì nel campo profughi, hanno provato a rubare biciclette, motorini, queste cose così.
La sofferenza maggiore, che hanno avuto le persone nel venir via dall'Istria, è stato proprio quello di abbandonare la propria terra. La nostalgia è forte. Io ero una bambina di nove anni e sono arrivata qui a Monza in settembre, passato l'inverno ho chiesto a mia mamma: “Ma il mare dov'è?”. Lei mi rispose :”Il mare qui non c'è”. Fu una cosa tremenda. Eravamo abituati a vivere all'aperto, molto fuori casa e poi pensavo molto ai miei parenti, a mia nonna, ai miei cugini, alle mie zie. Quello che mi mancava era questo, era la famigliarità, il posto in se stesso.
Personalmente non ho mai frequentato associazioni di profughi, sia quelle di qui che quelle in Istria, per la paura che … non vorrei scoprire che sia una mistificazione. La stessa cosa che è successa, nel febbraio 2008, presso la Circoscrizione 3 (n.d.r.: incontro organizzato per il giorno del ricordo dal Comitato unitario antifascista di Monza), che a me non è piaciuta per niente perché era strumentalizzata. Così anche dall'altra parte, vorrei che questa cosa fosse superata, finalmente. Perché è ora che sia superata. Le foibe, l'esodo, non sono né di destra né di sinistra, sono una tragedia che purtroppo è capitata.

Bruna Crisanaz

Peroj Pisino la foiba
Peroj e la foiba di Pisino oggi


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  22 febbraio 2009