prima pagina pagina precedente indice




IL GIORNO DEL RICORDO
“Sembrava che la terra mi mancava sotto ai piedi”
Ricordi monzesi dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia
2. Teresa Bonazza - dicembre 2008
a cura di Umberto De Pace

Parenzo 1902 Parenzo 1903
Parenzo all'inizio del 1900

Io sono del 1933. Sono nata in un comune che si chiama Parenzo. Mio padre era un agricoltore diretto, avevamo la campagna. Siamo sempre vissuti bene, non ci è mai mancato niente nella nostra famiglia, una famiglia che si voleva bene. Si, c'era il fascismo, ma non era il fascismo come spesso alle volte si parla. Se uno lavorava, non si intrigava … come si dice da noi … noi non abbiamo subito nulla. Dopo, finita la guerra è cominciata l'odissea. Hanno mandato tutti gli uomini ai lavori sotto lo Stato. Nelle miniere, anche quelli che non erano mai stati a lavorare sotto altre persone: a fare le ferrovie, senza essere pagati. Rimanevano a casa bambini e donne anziane. Sulla nostra terra avevamo fame, perché bisognava portare tutto alla cooperativa, misuravano il vino, contavano le uova, se si parlava di politica si andava subito in galera. Noi eravamo gente semplice, figuriamoci avvocati, o gente così, cosa poteva capitargli. I miei fratelli che avevano sempre lavorato la campagna andavano a lavorare in queste miniere, senza essere pagati, perché bisognava aiutare lo Stato.
Mi ricordo nel '45, nella mia frazione dove sono nata, una fila di uomini legati con il fil di ferro, in tre per fila – se la memoria non mi inganna – l'ho visti io e sono stati portati nelle foibe. E là, li buttavano dentro vivi. Le foibe erano a circa 15, 20 chilometri dal nostro paese, dipende. Questi uomini, dopo, sono stati ritrovati e qualcuno si è anche salvato e ha raccontato tutto quanto. Queste persone venivano prese, non perché erano fascisti o criminali di guerra, ma perché avevano un nome italiano, perché magari avevano studiato, o avevano una ricchezza un po' più dell'altro. Per questo venivano presi. Quelli delle campagne un pochino di meno, perché la gente riusciva un po' a camuffarsi, cosa più difficile per quelli delle città. Di cose bruttissime ce ne sono state. Hanno ammazzato persone, che non hanno mai fatto niente. C'era una frazione piccolissima là vicino a noi, c'erano tre fratelli. Solo perché erano un po' più ricchi degli altri, avevano un po' più di terra degli altri, perché lavoravano e davano magari da lavorare anche agli altri, una vigilia di Natale sono venuti in casa, non si è mai saputo chi era o chi non era, e li hanno buttati tutti e tre in un burrone. Sono rimaste tre donne vedove una delle quali incinta. Questo era nel '43, la vigilia di Natale, la prima ondate di violenze. I tedeschi hanno fatta la sua parte, ma una volta finita la guerra non era necessario uccidere le persone, se uno sbagliava si poteva mettere in prigione, ma non uccidere.
All'interno dell'Istria, eravamo tutti istriani. Non si facevano differenze, tra chi era venuto da Venezia, dalla Dalmazia, chi dalla Croazia. Noi eravamo istriani, tutti uguali. Sono venuta via con il mio passaporto italiano, io non sono scappata, noi siamo venuti come optanti. Per rinunciare alla cittadinanza slava – io e la famiglia di mio marito, con la quale sono venuta via – abbiamo pagato nel 1956, dodicimila dinari a testa. Mio papà non era optante. Io ero minorenne, quando c'era quella legge, ma ero fidanzata con una persona che era maggiorenne, che aveva optato per venire via con la sua famiglia. Mi sono così sposata in Istria, per poter accedere regolarmente in Italia. Praticamente noi ci siamo sposati nel '56, lui è venuto via , mentre io sono rimasta ancora là. Dopo sei mesi, con delle persone che mi hanno aiutato, l'ho raggiunto. Siamo andati in un campo profughi a Marina di Carrara. Io sono partita da un piccolo porticciolo di Parenzo il 3 maggio del 1957, sono passata a Trieste per poi raggiungere mio marito.
Le cose sono state molto brutte, molto dure, perché noi la nostra terra la adoriamo. Perché bisogna pensare che uno parte da casa … anche i meridionali sono venuti qua, con la valigia di cartone, non era facile neanche per loro … ma per noi … noi, non eravamo poveri che avevano bisogno di un lavoro. Noi abbiamo lasciato i nostri averi, le nostre case, le nostre abitudini. Io quando non avevamo una casa nostra mi sembrava che la terra mi mancava sotto ai piedi.
A Marina di Carrara, mio marito si fermò un po' di più di me. Io sono arrivata agli inizi di maggio del '57 e sono stata lì fino al marzo del '58. Nel campo profughi a Marina di Carrara, ci davano cinquantamila lire a testa , come buono uscita, come primo aiuto. Siamo poi arrivati a Cusano Milanino in affitto, senza neanche un soldo, quindi a Monza.
La casa dove abito qui a Monza, a Cederna, sono state costruite per i profughi giuliano e dalmati, nel 1967. Sono cinque palazzine. All'inizio eravamo quasi tutti profughi giuliani o dalmati, con qualche profugo anche di Tripoli, perché non si era riusciti a riempirle tutte. Una ventina di appartamenti, andarono a delle famiglie che erano ancora ricoverate nei campi profughi a Cremona. Queste case sono state fatte da una contessa di Pisino che ha lasciato dei capitali e il resto doveva essere stato fatto, con quei fondi americani per la ricostruzione. Ma il terreno, ho sentito dire è stato donato. Non l'ha fatto il Comune di Monza, perché queste case erano quasi demaniali, non dovevano essere vendute. Noi dovevamo stare dentro 25 anni, dopo automaticamente, dovevano diventare nostre. Siamo venuti qua che non pagavamo niente. Settemila lire di affitto e tremila di spese, già con il riscaldamento, il custode, per questo dobbiamo dire che non è che siamo stati abbandonati dallo Stato italiano.
Per quanto riguarda il lavoro, mio marito, ha avuto il beneficio, come profugo, che tutti gli stabilimenti dovevano avere il 10% dei profughi. Per quanto riguarda me, ho avuto la vincita al lotto. C'era un boom, era il 1970. Io dovevo fare la donna di servizio a Monza. Ma non bastava per mandare avanti la famiglia. E allora sono andata a lavorare nel 1970 alla Star, ad Agrate. Da quel giorno la nostra vita è cambiata.
Qualcuno sarà stato meno fortunato, qualcuno più fortunato, perché qualcuno ha avuto anche la fortuna di essere riuscito a spedire i soldi, i suoi soldi. Noi non potevano neanche portare via niente perché era tutto controllato. Poi mio suocero era fattore, di due aziende agricole. Lui era considerato come un fascista. Era un anticomunista. Non era implicato in niente, era un dipendente presso un ricco signore, che aveva tante aziende in giro. Dopo lo hanno buttato fuori, lo hanno sbattuto a destra e sinistra per le carceri. La famiglia è andata in frantumi. I figli più grandi poverini, correvano a cercare qualche lavoro in giro, i due più piccoli con la mamma e alla fine non ce la facevano più a vivere e han deciso di andare via. Da parte della mia famiglia sono rimasti in Istria, solo un fratello è venuto via, gli altri non volevano abbandonare la loro terra. Quando siamo venuti a Monza, siamo rinati, anche se devo dire che i brianzoli sono un po' crudi.
Tutti gli anni siamo andati in Istria, con il visto per turismo, perché dopo era venuto il perdono. Tito aveva fatto – mi ricordo come fosse ieri – a Spalato una grande conferenza, ha perdonato anche i criminali di guerra e tutti gli istriani e dalmati che sono andati via, che possono così tornare in vacanza o anche per semplice voglia. Già era cominciato un pochino prima, ma dopo si stava meglio. La mia famiglia che è stata là, comunque, non hanno mai subito violenze, né niente. Io dico sempre che ci hanno svenduto, perché potevano fare di tutto, ma quel benedetto Tito – chiamiamolo così – si era staccato dalla Russia e avevano paura che ritornava con loro e che veniva un'altra guerra, perché lui il confine lo voleva fino all'Isonzo, voleva Trieste , quasi fino a Venezia, voleva Monfalcone e tutto. A quei tempi c'era Togliatti, che difendeva abbastanza il confine, anche se era comunista e sono riusciti a tenerli in Italia, ma noi ci hanno lasciato là per il quieto vivere dell'altro mondo, non per noi. Perché se a quei tempi non gli davano l'Istria, tornava la guerra, perché Tito diceva che era croata, ma croata non è mai stata, noi siamo sempre stati istriani e basta. Questo popolo non è che si è popolato nei 25 anni in cui c'era il Duce, era già così da almeno 400 anni. Fiume invece non fa parte dell'Istria, è una cosa a parte.
Non frequento ma faccio parte della ”Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia” e ricevo tutti i mesi la rivista “Difesa Adriatica”. Noi non siamo di sinistra, siamo tutti per la destra, ma non per Berlusconi o chi altro, ma perché a noi i comunisti hanno fatto del male. Io non voterò mai alla sinistra. Come dice Fini noi non siamo più fascisti … vabbè … ma questi comunisti non mi piacciono, mi fanno ancora paura.
Dov'è tutto nazionalizzato, non c'è progresso. Se ti sposavi in chiesa – noi siamo cattolici – perdevi il posto di lavoro. I figli di mio nipote, io e mio marito in segreto li abbiamo battezzati. Sotto il fascismo noi non abbiamo vissuto o visto tutto questo, forse ci sarà stato qualcosa, c'era il monopolio, c'era il cambio dei nomi. Delle violenze dell'esercito italiano in Jugoslavia o dei fascisti, non ne sapevamo niente. Noi abbiamo sempre lavorato tranquillamente, era un bel commercio, in famiglia stavamo bene. Di maltrattamenti o queste cose qua … o Dio, se uno andava a rubare o combinava qualche cosa le galere c'erano, ma di maltrattamenti semplici, no. Coi tedeschi invece, chi era partigiano finiva anche a lui a morire. Chi aveva i figli di vent'anni, l'Italia non c'era, non potevi dire che era militare, e quindi li nascondevano. Mio fratello l'abbiamo nascosto, per i tedeschi, in camino per due anni. Gli altri fratelli erano invece sotto i tedeschi a lavorare, alla Todt.
Qualcuno se era partigiano e lo trovavano nel bosco, lo ammazzavano e basta. Anche da parte dei partigiani, durante la guerra, non abbiamo mai avuto problemi, anche se noi già allora – io ero ancora piccola – eravamo contro di loro, ma si stava zitti. Dovevamo portare da mangiare quando loro lo ordinavano. Ma di maltrattamenti … solo dove avevano puntato l'occhio su persone ricche. Ma durante la guerra, diciamo, facevano quelli e facevano quegli altri . Ma è dopo finita la guerra che alla gente è rimasta questa cosa qua. Se li volevate uccidere, perché buttarli vivi in quei buchi?
Durante la guerra, qualcosa successe prima che arrivassero i tedeschi, ma sempre con gli italiani, carabinieri, finanzieri, preti, subito dopo l'armistizio, nel '43. Dopo che sono arrivati i tedeschi c'era un po' di meno, mentre dopo, molti sono andati a finire dentro le foibe.
Sulla giornata del ricordo, il 10 febbraio, la ritengo in parte una cosa positiva, perché oramai sono passati tanti anni … va bene, la fanno, io l'appoggio lo stesso, ma non la tengo molto in considerazione. Oramai siamo diventati anche vecchi, i giovani, i miei figli, non andranno mai avanti con queste cose. Ma siamo stati aiutati abbastanza, almeno dal mio punto di vista; a parte che noi siamo dei grandi lavoratori, non hanno forse neanche avuto occasione per non accettarci, dove siamo andati.

Teresa Bonazza

Parenzo il porto Parenzo la basilica
Parenzo oggi


in su pagina precedente

  15 febbraio 2009