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IL GIORNO DEL RICORDO
“Infanzia e terra si uniscono”
Ricordi monzesi dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia
1. Paolo Sandrini - dicembre 2008
a cura di Umberto De Pace

Noi siamo venuti via da Fiume per nostra volontà, prima che iniziasse il grande esodo. Non potevamo più vivere nella nostra città, insieme ai parenti, agli amici, a tutto ciò che fino ad allora era stato il nostro mondo. Ma lasciammo Fiume anche per scelta, una scelta per poter vivere liberi, perché volevamo rimanere italiani. Io avevo nove anni, era l'ottobre del 1945 prima che ci fosse il diritto di opzione. Perciò abbiamo preso tutto e siamo venuti via.
La storia è stata tranquilla fino all'occupazione Iugoslava. La guerra praticamente non ci ha toccato direttamente. Fiume non è stata mai bombardata, mentre Zara è stata molto bombardata verso la fine della guerra dagli americani, non so come mai, pensare che Fiume aveva anche un siluruficio nel porto. Mi ricordo che passavo le notti in rifugio, per sicurezza.

Paolo Sandrini con il padre ed il fratellino a Fiume
   Paolo Sandrini con il padre ed il fratellino a Fiume
Poi quando sono arrivati gli iugoslavi, naturalmente, le cose si sono scoperte, hanno imposto il loro sistema, anche scolastico. A scuola avevo un libro scritto in italiano, ma con impostazione bolscevica. Perché allora la Iugoslavia era ancora allineata con l'URSS.
Di quel periodo della giovinezza mi ricordo particolarmente il momento dell'esodo quando con i miei genitori andammo a Trieste.
In un'automobile scassata e piena di valigie, stretto tra mio padre e mia madre, insieme al mio fratellino, guardavo attraverso il finestrino posteriore, la casa in cui ero nato e cresciuto, che si allontanava, e diventava sempre più piccola. Mio padre e mia madre piangevano. Io non comprendevo bene, ma capivo che qualcosa di tragico stava avvenendo. Lasciammo così Fiume.

Prima a Trieste per un brevissimo periodo, presso lontani parenti e poi per un anno, in un paese vicino a Vittorio Veneto. Qui vivevamo presso una famiglia di contadini, ed anche se fu un periodo molto duro, lasciò un ricordo fisso nella memoria, pieno di piccoli particolari ormai quasi sbiaditi. Le cene frugali, le sere passate con i contadini intorno al camino, con le donne a fare la maglia, gli uomini con un bicchiere di vino, i bambini a giocare con niente, fino a che arrivava il sonno.
Al mattino andavo a scuola; mio fratello faceva la seconda ed andava con i figli dei contadini alla scuola elementare, nel paese che distava due chilometri. Nel paese c'era la scuola elementare fino alla terza. Io frequentavo la quinta e dovevo andare a Vittorio Veneto, cinque chilometri all'andata e cinque al ritorno, a piedi.
Mio padre non c'era mai, era sempre in giro per l'Italia a cercare di lavorare per portare a casa qualche soldo, mia madre si ammalò e finì all'ospedale. Così per un anno vissi la vita dei contadini, lavorai con loro nei campi, per quel poco aiuto che poteva dare un bambino con le mani con la pelle troppo delicata, in un lavoro dove servono mani grosse ruvide, mani come badili.
Poi, casualmente, siamo venuti a Monza, perché mio padre era un dipendente comunale a Fiume e ottenne l'assegnazione di un posto. Poteva scegliere tra Porto Recanati e Monza. Scelse Monza per poter stare vicino a una mia zia, che era a Milano, e così sono qui. Io ho proseguito qui a Monza i miei studi a partire dalla prima media in su.
Mio padre aveva un fratello a Napoli, altri due a Roma, la famiglia era smembrata. A Monza trovammo sistemazione nel Palazzo di Giustizia in Piazza Garibaldi. Eravamo un po' baraccati. Noi non siamo passati dal campo profughi, perché siamo venuti via prima del grande esodo e non si erano ancora organizzati i campi profughi.
Mio padre proseguì il suo lavoro come dipendente comunale nel comune di Monza. Ed essendo che il Palazzo di Giustizia era proprietà del comune, ricevette così due locali al suo interno. Erano due grandi locali ed erano divisi nel mezzo da delle tende, perché non c'era altro.
L'impatto con Monza è stato con una città abbastanza chiusa, non è facile per un estraneo inserirsi molto facilmente. Però il fatto che mio padre facesse la libera professione e lavorasse in comune ci ha dato l'opportunità di un più facile inserimento.
L'esodo, la lontananza della mia terra, l'ho vissuta abbastanza con distacco, perché ero molto piccolo. Ma sicuramente per mio padre , la mia famiglia e quelli dell'età di mio padre il distacco è stato maggiore. Dover andare via a 10 anni è un conto, a 50 anni è un altro.
A Fiume avevamo una nostra casa, il lavoro, le conoscenze, gli amici. Molti di questi, sono venuti a Milano e mio padre ogni tanto si ritrovava con i suoi amici. Erano gli anni dal '45 al '50. Poi ci fu chi andò via e un po' i rapporti si allentavano con il tempo. Perciò il distacco ha pesato di più per quelli di una certa età.
Oggi c'è la giornata del ricordo. L'amministrazione Faglia ha dato un certo taglio, abbastanza sobrio alla vicenda, senza cercare di prevaricare quelle che sono le varie posizioni. Le organizzazioni che sono nate, anche qui a Monza, sul tema , non so se sono di esuli o cosa. Ho l'impressione che siano nate per questo scopo, cioè nate su una precisa posizione politica.
Io penso che innanzitutto ci sono due modi per vedere le cose. Un modo è quello della maggioranza attuale in consiglio comunale, Mariani & C., che è quello di fare degli esuli una specie di vessillo da sbandierare ad ogni occasione. Un altro invece è quello della parte opposta, che dice: “Sono stati fatti dei torti e questo giustifica tutto!”. La giornata del ricordo, io trovo giusto che sia stata istituita, ma è sbagliato farne un vessillo. Giusto ricordare, ma non farne una propria bandiera, come ad esempio ha fatto Alleanza Nazionale. Ricordare ma senza bandiere politiche, né di destra, né di sinistra.
Sicuramente sono state fatte delle angherie, degli eccidi anche, forse dalle truppe regolari italiane, in gran parte nel centro della Iugoslavia, non in Istria. C'è stato Ante Palevic … e altro. Questo fatto naturalmente ha suscitato una reazione iugoslava, anche nei confronti di Fiume e dopo nei confronti dell'Istria, sotto la dominazione iuogoslava.
Chi ci è andata di mezzo è stata la popolazione. Noi siamo state le vittime di questa guerra.
A Fiume quando c'è stata l'occupazione iugoslava, non ci sono state le foibe, ma ci sono state delle sparizioni. Dalla sera alla mattina, spariva della gente. Dato che le amicizie erano ampie, si sapeva che della gente spariva. Persone mai più viste. E' questa anche la ragione per cui noi a un certo momento, avendone la possibilità, abbiamo tagliato la corda.
Io penso che oggi tutto quanto debba essere superato, debba essere rivisto in un'ottica critica. Però alcune persone non riescono a passarci sopra.
La nostalgia che sento è quella dell'infanzia e quindi per forza di cose è quella legata alla terra. Infanzia e terra si uniscono.

Paolo Sandrini


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  10 febbraio 2009