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La Villa Reale di Monza
di Alberto Colombo


La Villa Reale

La Villa Reale - foto di Umberto Isman

Nell'anno di grazia 1777, con lo stanziamento di settantamila zecchini d'oro da parte di Maria Teresa d'Austria, il di lei figliuolo Ferdinando d'Asburgo - costretto per qualche anno ad affittare residenze estive nei dintorni di Milano - può dare inizio ai lavori per la costruzione della propria residenza di campagna in Monza.
I lavori sono sostanzialmente ultimati nel 1779. Progettista è l'Imperial Regio Architetto Giuseppe Piermarini, folignate, già allievo ed aiuto del Vanvitelli alla Reggia di Caserta.

E della reggia - modelli Schoenbrunn o Versailles per intenderci, piuttosto che di un ritiro bucolico - la Villa di Monza presenta tutte le caratteristiche sia in termini di dimensioni (oltre cinquantamila metri quadrati per più di centoquarantamila metri cubi), adatte ad ospitare l'apparato di corte, che per qualità architettoniche, di forme neoclassiche particolarmente sobrie, equilibrate e armoniose con episodi di alto profilo quali Cappella, Teatrino, Rotonda, Biblioteca.        

L'edificio non presenta a prima vista particolari innovazioni rispetto ai ben collaudati schemi a U della tradizione lombarda del Sei e Settecento: un corpo centrale con due facciate principali rivolte rispettivamente ad Ovest verso la parte pubblica di rappresentanza e ad Est verso la parte privata del giardino con due ali principali, cappella e cavallerizza, che definiscono la corte d'onore, due ali secondarie per i servizi e le scuderie e la più tarda appendice del Serrone.

Ciascuna di queste parti è caratterizzata da un trattamento diversificato delle facciate, ovviamente più ricche e nobili per le parti di rappresentanza, semplificate per le ali secondarie, più dimesse per le parti di servizio.
La caratteristica innovativa rispetto ai tempi, ben leggibile nelle piante dell'edificio, è costituita dal corpo triplo ovvero dalla presenza di corridoi in grado di svincolare dall'interdipendenza le singole stanze. Ciò consente una straordinaria elasticità di esercizio e - ad oltre due secoli di distanza - le più svariate possibilità nelle destinazioni d'uso.

L'inserimento della Villa nel contesto urbano avviene verso Ovest mediante un imponente viale di accesso, caratterizzato fino a pochi decenni or sono da un quadruplice filare di platani poi massacrati dall'ampliamento delle sedi stradali e dalle malattie, che congiunge il Rondò dei Pini al fronte principale della Villa; su questo viale verrà attestata la Stazione reale, tuttora esistente come residenza privata, all'intersezione con la ferrovia Monza-Como. A sud la cerniera con la città è costituita dal tridente dei Boschetti, le cui funzioni di apertura prospettica sono attualmente poco leggibili a causa soprattutto della pessima ripiantumazione dell'ultimo dopoguerra.

Giardini e Parco reale

Giardini e Parco reale in una stampa del 1826
 
I Giardini, dell'estensione di oltre quaranta ettari, comprendono una parte di rappresentanza - in corrispondenza del fronte principale e delle ali della Villa - realizzata negli schemi classici del giardino “alla francese”. Nelle prime indicazioni del Piermarini analogo impianto era previsto per la zona ad Est del Palazzo, con l'eccezione di una limitata zona a Nordest concepita “all'inglese” secondo quanto richiesto dalla nuova moda dell'epoca. In realtà, subentrati nel 1796 i Francesi agli Austriaci, e conseguentemente al Piermarini il suo aiuto e discepolo Luigi Canonica, è a quest'ultimo che si deve, oltre all'impostazione generale del piano del Parco, il definitivo assetto all'inglese dei giardini. Ampie cortine vegetali di essenze diverse vengono disposte “naturalmente” dando comunque luogo ad alcuni spettacolari cannocchiali, ancora leggibili malgrado interventi di ripiantumazione cervellotici per scelta delle essenze e posizionamento, che consentivano dal balcone centrale della Villa di spaziare con lo sguardo fino alla strada per Lecco, a S. Fedele, alla cascina del Sole, al convento delle Grazie, o quello che dal fianco della Villa guarda verso l'abitato monzese attraverso i Boschetti.
Il Parco - oltre seicentoottanta ettari di territorio, attualmente tutti nel comune di Monza, comprendenti ville, cascine, boschi e campagne - è il più vasto parco urbano cintato d'Europa. Annesso a partire dal 1805 alla Villa Reale, destinato alla caccia del cervo, del daino e del capriolo, oltre che a tenuta agricola e per esperimenti botanici, viene cintato l'anno seguente con materiali provenienti dalla demolizione delle mura urbane e del castello visconteo.

I terreni su cui sorge il Parco, nelle immediate adiacenze del cordone morenico ancora ben visibile ad alcune centinaia di metri verso Nord, sono costituiti prevalentemente da depositi alluvionali del fiume Lambro; hanno pertanto caratteristiche e proprietà fisiche eccellenti per far prosperare praticamente tutte le qualità di latifoglie, in particolare le quercie in tutte le loro varietà.
Per le acque, pur essendo la zona da secoli intensamente sfruttata per l'attività molitoria con opere idrauliche di notevole estensione e grande interesse, alcune delle quali ancora rintracciabili e visibili all'interno del Parco e nelle immediate adiacenze, pur in presenza di sorgenti naturali, i fontanili, si provvede all'acquisto, alla deviazione e alla manutenzione di sorgenti integrative per garantire al Lambro e ai laghetti una sufficiente portata.

Oltre alle numerose cascine, alcune tra le quali di notevole valore architettonico, meritano segnalazione le ville Mirabello e Mirabellino. La prima risale alla metà del Seicento, eretta dal Quadrio per i conti Durini in forme barocche e ristrutturata in stile neoclassico nell'Ottocento; la seconda, di un secolo più tarda, costruita sempre per un Durini era collegata alla prima da un famoso viale di carpini di cui rimane praticamente il solo ricordo.

Per quanto riguarda il patrimonio arboreo, costituito da numerosissime varietà di esemplari sia indigeni che esotici, da segnalarsi nella parte Nord del Parco il famoso Bosco Bello, già dei conti della Martesana, celebrato dal quattordicesimo secolo come una delle selve più maestose d'Europa, con il suo centro, il rondò della Stella, dal quale si dipartivano a raggera una serie di viali di straordinaria bellezza. Altri episodi notevoli il Rondò dei tulipiferi, quello dei cedri del Libano, quello dei castagni d'India.
Il tutto, fino all'estremità meridionale del convento delle Grazie Vecchie, viene organizzato e riunito secondo minuziosi piani generali di cui restano numerose tracce sotto forma di tavole, incisioni, appunti, rilievi, progetti, documenti di spesa che consentono di seguire le varie fasi di ideazione e di realizzazione di questa grande opera di armonizzazione e di fusione delle preesistenze. Oltre al Canonica sono attivi e meritevoli almeno di una rapida citazione Luigi Villoresi, capo giardiniere, Giovanni Rossi, Giuseppe Manetti, l'architetto Giacomo Tazzini, e, in tempi più vicini Raffaele Cormio, fondatore e direttore della omonima xiloteca. Nascono e si sviluppano iniziative e istituzioni come scuole di agraria e di botanica per giardinieri, vivai, orto botanico e coltivazioni di primizie e frutti esotici, pubblicazioni di cataloghi, ecc.

Le condizioni attuali di un complesso di questo genere, che avrebbe tutte le carte in regola per essere inserito tra le principali mete turistiche internazionali sono - per motivi storici, amministrativi (in particolare una intricata situazione proprietaria), gestionali, di utilizzazioni scorrette - caratterizzate da degrado, non uso o uso improprio di una gran parte dei beni, a partire dalla Villa, per la quale non è stata ancora individuata una ragionevole destinazione.

Sono forse alle spalle gli anni più bui che hanno visto l'abbandono e la spoliazione della Villa e del Parco dopo il regicidio del 1900, lo sciagurato inserimento dell'Autodromo nel 1922 proprio nella zona del Bosco Bello, con ingenti distruzioni del patrimonio arboreo che continuano fino ai giorni nostri, il suo ampliamento con l'anello di alta velocità, la sottrazione all'uso pubblico di vastissime aree date in concessione spesso a fronte di canoni modestissimi, accompagnate dall'incapacità delle Amministrazioni di proporre idee e fornire strumenti per una corretta fruizione dei beni ancora disponibili per la cittadinanza o di quelli che allo stesso fine potrebbero essere riscattati.

Negli ultimi anni si è assistito ad un certo risveglio di interesse, sono stati promossi studi anche di notevole livello (pregevolissimo quello di Annalisa Maniglio Calcagno su Parco e Giardini), si sono reperiti fondi che hanno consentito di cominciare ad arrestare il degrado del Parco e della Villa, di porre mano al rifacimento delle coperture e - pur con qualche tragicomico dubbio: tre diverse interpretazioni di colori in tre distinti interventi - delle facciate. Grazie anche al lavoro di volontariato da parte di singoli e di associazioni è stato ricuperato l'appartamento reale e sono in corso altri importanti studi e lavori di restauro.

E' chiaro tuttavia che per arrivare al definitivo ricupero e ad un rilancio adeguato occorre un forte salto di qualità: una volta conseguita la conservazione fisica della Villa con gli interventi su coperture e facciate ci sembra necessario individuare per prima cosa, al fine di avviare un progetto globale di restauro edilizio - ambientale, la futura destinazione d'uso per la Villa e gli aggregati.
La scelta di un destino stabile per il complesso di Monza e l'individuazione delle forme più indicate di gestione unitaria e non burocratizzata (Authority?) che possano perseguire gli obiettivi così individuati, dovrebbe coinvolgere non solo la pubblica amministrazione ai suoi più alti livelli, ma anche il meglio delle competenze tecniche internazionali.

Alberto Colombo

Il presente articolo, pubblicato nel dicembre 1997 sul n. 38 della rivista MCM, riveste purtroppo ancora carattere di attualità.
Ulteriori approfondimenti su l'Arengario: Villa Reale, analisi di uno sfascio  e  Il ministro Melandri dice.
Per un esame storico completo e per una bibliografia pressoché esaustiva: La Villa Reale di Monza e Il Parco Reale di Monza, entrambi editi dalla Associazione Pro Monza, a cura di Francesco De Giacomi.


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 20 ottobre 2001