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sulla stampa
a cura di Fr.I. - 29 febbraio - 1 marzo 2008


I sette vizi capitali
apertura de
il Manifesto

Sette punti per riconquistare il potere. In perfetto stile liberista. Silvio Berlusconi presenta un programma elettorale da paura: dalla detassazione degli straordinari alle centrali nucleari, dall'apertura di nuovi Cpt al solito «meno tasse per tutti». Con un implicito elogio dell'evasione fiscale: «Da Prodi e Visco solo terrore». Sul fronte opposto Veltroni prosegue il suo tour in pullman e sogna: «Con noi l'Italia rivivrà il clima dei mitici anni '60»


Prodi ha risanato, Berlusconi vuol distruggere
L'Istat: i conti migliori dal 2000. Il Cavaliere torna alla finanza creativa e al nucleare
Prezzi senza freni: in un anno pane, latte e pasta aumentati fino al 14 per cento
apertura de
l'Unità

Prodi ha risanato i conti. Lo certifica l'Istat che ieri ha pubblicato i risultati per il 2007. L'indebitamento non è mai stato così basso negli ultimi sette anni. L'avanzo primario è al 3% del Pil e il deficit è all'1,9%. mentre la pressione fiscale, grazie alla lotta all'evasione, è al 43,3%. Per Prodi ora l'Italia è un «paese sano». Ma quanto durerà? Nel programma che Berlusconi ha presentato ieri infatti oltre al nucleare, c'è il ritorno a quella finanza creativa che anche grazie ai condoni fiscali aveva fatto sballare tutti i conti pubblici. Intanto fare la spesa è sempre più un'impresa: rispetto a un anno fa gli alimentari sono cresciuti del 5%. Pane, pasta e latte aumentano dal 10 al 14%.


Faccia a faccia: indovina chi non li vuole?
Vittorio Emiliani su
l'Unità

Da quando è tornata in Italia la democrazia, cioè dopo la seconda guerra mondiale, il contraddittorio è stato il sale di tante campagne elettorali, della politica in generale. Una volta si chiamava contraddittorio. Adesso si chiama - in forza della televisione - faccia a faccia. Nell'America che ci insegna cosa sono le primarie e come avviene la selezione della classe dirigente i faccia a faccia sono permanenti: fra Barack Obama e Hillary Clinton se ne fanno in continuazione, e senza che manchino colpi di scena (anche bassi da parte della signora) e sorprese. Da noi, no. Lo vieta, in vista delle elezioni, la legge sul par condicio.

Lo impone la (noiosissima) Commissione parlamentare di Vigilanza. Ora, la prima è stata una legge dell'emergenza. Era tale il dominio diretto e indiretto che Silvio Berlusconi aveva sui canali televisivi che parve giusto e utile dosare le presenze dei vari leader - di due soprattutto, quelli contrapposti - in Tv. In realtà poi Berlusconi ha fatto, più o meno, come gli pareva lo stesso, confidando che nel Paese del diritto c'è sempre un rovescio d'anticipo e chi s'è visto, s'è visto. Lui rovescia il banchetto televisivo e poi tocca agli altri raccogliere i cocci, se ci riescono. A cose fatte però.

Sono passati ben quattordici anni dalla sua famosa «discesa in campo» e la situazione del conflitto di interessi non è cambiata di un peluzzo. Il Cavaliere si è fatta una legge su misura che non ha inciso per nulla sul conflitto medesimo, grande come una montagna. Poi se n'è fatta un'altra per il sistema televisivo - la Gasparri - ed ha bellamente proseguito per la propria strada, camminando con gli scarponi sulle frequenze che invano «Europa 7» reclama da tanti anni e per le quali ha avuto ragione in Italia e in Europa. Vanamente per ora.

Allora, vale proprio la pena di spalmare una bella ingessatura sul dibattito pre-elettorale stabilendo che, non solo, o non tanto, tutti i candidati-leader (compreso il nipotino di Trotzki, chiamiamolo così, o il digiunante senatore Rossi di Bondeno) abbiano diritto di parola, il che è scontato, ma che i faccia a faccia più attesi, a cominciare da quello Berlusconi-Veltroni, fra gli esponenti più gettonabili, con più appeal e quindi pubblico e share, non possano e quindi non debbano avere luogo? O si fanno tutti contro tutti, o non si fanno per niente. Proibiti. Che enormità.

Ripeto: tutti i candidati-premier (tanti, grottescamente tanti in forza della «porcata» calderoliana) hanno diritto di antenna e quindi di presenza televisiva. Però vogliamo rompere questa ingessatura assurda, da sepolcri imbiancati, e consentire che i leaders di alcuni partiti come PdL e Pd, ma pure di raggruppamenti significativi quali la Sinistra Arcobaleno e il Centro di Casini-Pezzotta possano confrontarsi e magari scontrarsi (la democrazia è conflitto, contraddittorio, diversità, e non melassa consociativa) fra loro, faccia a faccia, senza mediazioni, con le regole che Paesi di più lunga e ininterrotta tradizione democratica del nostro ci insegnano?

Ci lamentiamo sempre del fatto che il divario fra Paese legale e Paese reale si è ampliato, che il popolo sovrano si disinteressa sempre più, che scetticismo e qualunquismo dominano al suo interno: vogliamo dunque dargli qualche spunto per interessarsi di più ai leaders, ai loro programmi, al modo di esporli e di motivarli, alle liste che stanno mettendo in piedi (più nuove, meno nuove, con più o meno donne, con più o meno giovani)? Oppure dobbiamo sorbirci decine di conferenze-stampa soporifere o di dibattiti di cartapesta, tutti uguali, fingendo di credere che chi conta per l'1 per cento dei voti, pesa quanto chi ne porta a casa più del 30-35 per cento? Io ho il più grande rispetto per le minoranze e quindi chiedo che abbiano lo spazio necessario. E però non si possono nemmeno chiudere gli occhi sulla realtà vera della politica e servire al pubblico televisivo - che cambierà rattamente canale senza neppure soffermarsi i 17 secondi sacramentali col telecomando brandito - questi piatti precotti e indigeribili.

Inoltre la maxi-ingessatura, da sepolcro imbiancato, voluta dalla Vigilanza, favorisce palesemente Silvio Berlusconi. Il quale non ha mai amato confrontarsi col suo competitore di centrosinistra quando lui partiva, come ora parte, da posizioni di vantaggio. Probabilmente, da uomo consumato di televisione e, concediamoglielo, di sport, egli sa di non essere al meglio della forma. A noi, sarà per i capelli trapiantati e tinti, un giorno scuri e l'altro rossicci, sarà per l'eccesso di fard, sarà per gli anni che passano, più crudelmente per chi non si rassegna, sembra decisamente invecchiato, meno scattante, meno fulmineo nella battuta, o battutaccia, demagogica. E poi in queste elezioni ha scelto, almeno sin qui, una linea generale che non è, come le altre volte, di attacco, anzi di aggressione dell'avversario «comunista» e pertanto, nell'eventuale faccia a faccia, finirebbe per avere, in un dialogo meno concitato, carte meno valide, meno efficaci. Quindi, potendo disporre delle «sue» televisioni (e non alludo soltanto a quelle targate Mediaset), potendo far «sparare» il problema-sicurezza a tutte l'ore col sangue che inonda il video di ogni famiglia, finisce per giocare in casa se gli evitano il confronto diretto con Walter Veltroni. Il quale è uomo di comunicazione e di televisione ormai molto sperimentato, capace di argomentare, motivare, contrattaccare, stando sulle cose, sui problemi, capace di piacere al pubblico più giovane, come non avveniva da tempo ad un leader proveniente da sinistra. Insomma, non levateci i faccia a faccia importanti, quelli che possono interessare e appassionare. Oppure organizziamone nei teatri e facciamoli riprendere da tv satellitari planetarie, magari da Al Jazeera, facciamoli ritrasmettere su internet. Manca poco meno di un mese e mezzo al voto. Si può fare. Nei sepolcri imbiancati ficchiamoci la vecchia politica e la vecchia tv. La democrazia sta fuori, da sempre.


Veltroni a El Pais: «Siamo riformisti, non di sinistra»
sommari de
l'Unità

Il principale quotidiano spagnolo dedica un lungo articolo al tour elettorale di Veltroni e lo intervista per capire meglio come «ringiovanisce la politica italiana». Punto fermo sulle voci di larghe intese: con il Pdl «riforme sì, governo no».


Nubi nere dall´America
L´OTTOVOLANTE di Giuseppe Turani
su
la Repubblica
 
Mercati delusi ieri per colpa dei dati americani. Tutti un po´ sconfortanti. Intanto è uscita la revisione del Pil nel quarto trimestre e la crescita è risultata (sul trimestre precedente) dello 0,6 per cento (invece dello 0,8, come era sembrato in un primo tempo). Poi sono arrivati i dati sulle richieste settimanali di disoccupazione: 373 mila invece delle previste 350 mila. E anche questo ha contribuito al malumore dei mercati: la disoccupazione comincia a crescere in modo preoccupante. Infine, sono arrivate le notizie su nuove rettifiche nel mondo bancario (a causa di altri crediti svaniti). E questo ha confermato che dentro le banche c´è ancora molto disordine e che non tutto è venuto a galla. Insomma, nubi nere e tempesta in arrivo. E questo ha depresso i mercati, e ha tolto loro la voglia di tentare qualche fuga in avanti.


Questo è un paese per carcerati
Rapporto choc: un americano su 100 è in prigione, sono soprattutto neri e ispanici
Maurizio Molinari su
La Stampa

NEW YORK - Ogni cento adulti americani uno si trova dietro le sbarre e nella maggioranza dei casi si tratta di giovani maschi, afroamericani o ispanici. A svelarlo sono le 36 pagine del rapporto del Pew Center di Washington intitolato «One in 100» (Uno su cento) che, cifra dopo cifra, accompagna il lettore in un viaggio nel più popolato sistema carcerario del Pianeta.

Gli Stati Uniti hanno poco più di 300 milioni di abitanti, 230 milioni dei quali sono adulti e alla fine del 2007 il numero dei detenuti è arrivato a 2.319.258, grazie ad un aumento di 25 mila unità dovuto alla crescita delle detenzioni soprattutto negli Stati del Sud-Est: 4.447 in Florida, 2.413 in Georgia, 1.171 in Alabama, 1.267 in Mississippi. Per avere un'idea del dato statistico documentato dal Pew Center bisogna ricorrere ai paragoni internazionali: rispetto ai 2,3 milioni di detenuti americani la Cina, che ha una popolazione assai più numerosa, ne conta appena 1,5 milioni mentre la Federazione russa si ferma a 890 mila.

Per spiegare le ragioni di questo «primato americano» il direttore del Pew Center, Susan Urahn, chiama in causa le leggi di «numerosi Stati» che fanno scattare le manette per piccoli reati come anche la tendenza a riarrestare entro breve tempo chi viola i termini della libertà provvisoria. L'identikit dei detenuti svela una mappa della criminalità che non è affatto omogenea: in carcere si trova un uomo ogni 106 e una donna ogni 355, nel caso degli uomini ispanici il rapporto scende a 1 su 36 e degli uomini afroamericani a 1 su 15 mentre per gli afroamericani compresi fra i 20 e 34 anni si arriva a 1 su 9, ovvero circa il 10 per cento del totale. Nel caso della terza età l'equilibrio invece è rovesciato: oltre i 55 anni i detenuti sono 1 su 837, uno dei gruppi più esigui.

Fra le critiche sollevate nei confronti del rapporto c'è il fatto di non identificare quanti fra i detenuti sono degli immigrati, clandestini o meno, e quando un reporter l'ha rilanciata a Susan Urahn la risposta è stata sferzante: «Non facciamo differenza fra detenuti immigrati o meno, ma se proprio vuole saperlo i giovani immigrati uomini hanno un tasso di detenzione assai più basso dei coetanei nati negli Stati Uniti ed è proprio la loro presenza ad abbassare il tasso di incarcerazione nazionale». Dati alla mano, il tallone d'Achille non sono gli immigrati ma ventenni e trentenni ispanici o afroamericani che tornano in prigione in continuazione: in California, dove la guerra di gang è fra le più sanguinose d'America, ben il 70 per cento dei detenuti scarcerati torna dietro le sbarre entro un periodo massimo di 3 anni.



  1 marzo 2008