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sulla stampa
a cura di Fr.I. - 27-28 febbraio 2008


Povero George
Apertura de
il Manifesto

L'America in panne di George Bush manda in crisi George Washington. Quello sulla banconota. Il dollaro crolla e l'euro vola a quota 1,51 sul biglietto verde. Alla recessione si affianca il rischio inflazione e la Fed annuncia un nuovo intervento sui tassi d'interesse per puntellare un'economia in piena crisi. Intanto il nuovo record negativo della moneta americana provoca un nuovo record positivo del prezzo del petrolio, a 102 $ il barile


Addio pilastro verde
Mario Deaglio su
La Stampa

Da circa sessant'anni, ossia dal secondo dopoguerra, le economie dei Paesi ricchi si muovono in un contesto internazionale che poggia su tre pilastri: il ruolo centrale del dollaro, l'accessibilità delle materie prime energetiche a prezzi tali da non scatenare inflazione, i prodotti alimentari a buon mercato.

Il pilastro energetico era stato lesionato negli Anni Settanta e Ottanta, ma successivamente riparato. Nella giornata di ieri, però, tutti e tre i pilastri si sono messi a tremare in maniera preoccupante. Il prezzo del frumento ha toccato livelli da primato, anche perché le riserve mondiali di cereali sono al punto più basso da trent'anni (quando la popolazione mondiale era all'incirca la metà dell'attuale). Il petrolio ha toccato nuovi massimi, consolidandosi poi oltre la soglia psicologica di 100 dollari al barile.

Soprattutto, però, la quotazione della moneta americana si è indebolita sotto la soglia psicologica di 1,5 dollari per un euro con un ribasso a velocità crescente: in cinque anni il «biglietto verde» ha perso oltre il 30 per cento del suo valore rispetto alla moneta europea e metà di questa perdita è concentrata negli ultimi mesi. Il dollaro scende nei confronti non soltanto dell'euro ma, sia pure in maniera attenuata, anche dello yen, della sterlina e delle altre monete più importanti. E se un euro che sale troppo è un problema dei soli europei, un dollaro che scende troppo diventa un problema per il mondo intero.

Questi tre movimenti sono sufficienti a provocare un deciso disorientamento.

E inducono a domandarsi se sia possibile uscire da una situazione del genere con gli strumenti dell'economia di mercato oppure sia necessario un intervento diretto dei governi.

La risposta più semplice riguarda il frumento (e, più in generale, tutti i cereali). Lo stimolo dell'aumento del prezzo dovrebbe essere sufficiente, nel giro di un anno o due, a far salire la produzione e a risolvere nel breve periodo la situazione, in assenza di forti anomalie climatiche che, come è successo con le recentissime gelate cinesi, possono causare disastri per i raccolti. Tale risultato sarà più rapido e più sicuro se si utilizzeranno sementi geneticamente modificate, il che può provocare dibattiti gravi e scelte dolorose.

Per le materie prime energetiche, i Paesi dell'Unione Europea possono certo stabilizzare i prezzi rinunciando a parte delle entrate derivanti da un carico fiscale eccessivo; la vera stabilizzazione, però, può derivare soltanto da una diversa regolamentazione del mercato petrolifero. Dalle contrattazioni, infatti, dovrebbero essere esclusi gli operatori puramente finanziari, i quali contribuiscono all'instabilità dei mercati determinando caratteristiche ondate speculative. Secondo l'Unione Petrolifera, senza le contrattazioni speculative (di scarsa utilità nel quadro globale dell'economia) i prezzi del greggio potrebbero essere del 20 per cento più bassi e si tratta di una stima ragionevole.

Il vero problema riguarda però il dollaro, da sempre stella fissa del nostro firmamento finanziario, attorno a cui ruotano tutte le altre monete. È tempo di domandarci serenamente se la moneta americana possa ancora occupare a lungo questa posizione di centralità, di «metro universale» dell'economia mondiale. I ribassi a catena del costo del denaro dello scorso mese paiono motivati più dalla preoccupazione di evitare una recessione nell'anno delle elezioni americane che da una visione lungimirante del ruolo degli Stati Uniti nel mondo: per evitare una recessione, probabilmente di breve durata, gli americani si stanno giocando un predominio durato oltre mezzo secolo.

Per molte transazioni finanziarie il dollaro è già oggi utilizzato assai meno di qualche anno fa, pur rimanendo ancora largamente la moneta prevalente. Nella determinazione dei prezzi delle materie prime potrebbe utilmente essere sostituito da un paniere delle principali monete (in cui il dollaro continuerebbe, peraltro, a essere largamente rappresentato). I prezzi espressi in questa nuova unità di misura risulterebbero molto più stabili di quelli espressi in un'unica moneta e rifletterebbero assai meglio l'economia mondiale multipolare che si va delineando con l'irrompere sulla scena mondiale de grandi paesi asiatici.



Dodici scalini verso il baratro
Nouriel Roubini su
la Repubblica

Sul fatto che gli Stati Uniti siano ormai entrati in recessione non sussistono più dubbi; resta da vedere soltanto se la recessione sarà breve e leggera (due trimestri fino alla metà dell´anno) o più lunga, più profonda e più dolorosa. Ma i rischi ora appaiono quelli di una recessione profonda e di una crisi finanziaria sistemica grave. Anzi, per comprendere le recenti mosse della Banca Centrale degli Stati Uniti – una riduzione molto aggressiva del tasso di rifinanziamento – occorre rendersi conto della possibilità sempre maggiore che si vada verso una evoluzione catastrofica della finanza e dell´economia – un circolo vizioso dove una profonda recessione aggrava le perdite finanziarie e dove, a loro volta, le perdite finanziarie ingenti e in aumento e il tracollo del settore finanziario rendono la recessione ancora più grave. Una tale crisi sistemica finanziaria potrebbe svolgersi secondo uno scenario che prevede dodici fasi:

1. A questo punto è chiaro che questa è la peggiore recessione del settore immobiliare dalla grande depressione e che i prezzi delle case negli Stati Uniti crolleranno tra il 20 e il 30 per cento rispetto al picco della bolla. Ciò implicherà anche che un altissimo numero di famiglie, tra i 10 e i 20 milioni, si ritroverà proprietario di case il cui valore sarà inferiore a quello del mutuo ipotecario e che si troverà quindi costretto a cederle, incrementando massicciamente le perdite delle banche che hanno concesso il credito.
Inoltre, ben presto potrebbero essere costrette a dichiarare bancarotta anche alcune delle grandi società immobiliari del settore residenziale.

2. Le perdite procurate al sistema finanziario dal crollo catastrofico del settore dei mutui ad alto rischio, una cifra che, si stima, potrebbe sfiorare i 300 miliardi di dollari, stanno intaccando ora anche i mutui a basso e a bassissimo rischio, in quanto le avventate pratiche utilizzate per concedere i mutui subprime sono le stesse impiegate nell´intero spettro del settore dei mutui. Si tratta quindi di una crisi e di un crollo generalizzati del settore dei mutui, e non soltanto di quello ad alto rischio. Le perdite riguardanti questi vari tipi di mutui saliranno drammaticamente con la caduta dei prezzi delle case e con la discesa a spirale dell´economia verso una grave recessione.

3. La recessione porterà - come sta già facendo - a un notevole aumento del numero di prestiti al consumatore di altre tipologie non onorati: carte di credito, prestiti per l´acquisto di auto e per lo studio. Negli Stati Uniti i prestiti ad alto rischio concessi tramite carte di credito e quelli per l´acquisto di automobili ammontano a centinaia di miliardi di dollari.

4. Il mercato dei prestiti per l´acquisto di immobili commerciali potrebbe ritrovarsi presto in una situazione catastrofica analoga a quella dei mutui subprime, giacché le pratiche per la cessione di prestiti nel settore immobiliare commerciale sono state altrettanto avventate di quelle del settore immobiliare residenziale. La crisi immobiliare residenziale non può che condurre, con un lieve ritardo, allo scoppio della bolla del settore della costruzione di immobili non residenziali, in quanto nessuno vorrà più costruire uffici, negozi o centri commerciali in città fantasma.

5. Se da una parte resta incerta l´entità delle perdite che le società di assicurazioni mono-ramo specializzate subiranno a causa delle assicurazioni concesse ai titoli con sottostanti i mutui residenziali, alle obbligazioni garantite da junk bond (i Cdo) e ad altri prodotti finanziari garantiti da asset tossici; dall´altra, ora è chiaro che queste perdite sono molto più ingenti del pacchetto di salvataggio di 10 o 15 miliardi di dollari che le autorità stanno tentando di raffazzonare.

6. Non è da escludere che alcune importanti banche regionali o addirittura nazionali molto esposte ai mutui ipotecari, sia residenziali sia commerciali, siano costrette a dichiarare bancarotta. Se ciò accadesse, alle 200 o più e istituzioni creditizie che hanno concesso prestiti ad alto rischio, andrebbero ad aggiungersi alcune grandi banche, contribuendo ad aggravare la seria stretta creditizia.

7. Le banche vedranno lievitare le proprie perdite, perché i prestiti concessi sulla base di leve finanziarie per centinaia di miliardi di dollari, saranno iscritti nei bilanci con valori molto inferiori al valore nominale (attualmente circa 80 centesimi su un dollaro, ma presto molto meno). Sono stati

8. Una volta che questa grave recessione sarà in corso, si verificherà una massiccia ondata di fallimenti di società. Tipicamente, in un anno, il tasso di fallimenti di compagnie è del 3,8 per cento circa; nel 2006 e nel 2007, questo tasso è sceso a un quasi trascurabile 0,6 per cento. Tipicamente, negli Stati Uniti, in un anno di recessione, questo tasso balza a più del 10 per cento, potendo arrivare a un 15 per cento. I tassi di fallimento molto bassi degli ultimi due anni si spiegano con l´eccesso di liquidità, le agevolate condizioni del credito e gli spread molto bassi. Ma, d´allora, il riprezzamento del rischio è stato massiccio.

9. Anche il «sistema finanziario ombra» (cioè composto da istituzioni non bancarie) si ritroverà presto nei guai. Questo sistema finanziario ombra è formato da istituzioni che, come le banche, ottengono prestiti a breve termine e in forme liquide, mentre concedono prestiti o investono a lungo termine in asset molto meno liquidi. Questo sistema include i Siv (i veicoli di investimento strutturati), i conduit (veicoli finanziari extra-bilancio), i fondi monetari, le assicurazioni mono-ramo, le banche di investimento, gli hedge fund e altri istituti finanziari non bancari. queste istituzioni sono tutte soggette al rischio di mercato, rischio del credito (dati i loro investimenti rischiosi) e, in particolare, al rischio di mancanza di liquidità legato al rinnovo delle scadenze debitorie, in quanto le loro passività a breve termine possono essere inventariate facilmente, mentre i loro asset sono a lungo termine e illiquidi.

10. I mercati azionari negli Stati Uniti e all´estero cominceranno a conteggiare nel prezzo delle azioni una recessione statunitense grave, invece di una lieve, e un deciso rallentamento dell´economia globale. La ripresa delle borse di fine gennaio sembra essere svanita, perché gli investitori hanno iniziato a rendersi conto che la crisi economica è più grave di quanto prospettato, che le assicurazioni mono-ramo non saranno facilmente salvate, che le perdite finanziarie continueranno a lievitare e che, in una recessione, si contrarranno drasticamente i guadagni delle aziende, e non soltanto quelle del settore finanziario. Alcuni hedge fund con quote di investimenti azionari alte falliranno nel 2008. Per quanto riguarda gli investimenti a maggioranza azionaria, la possibile ondata di richieste di integrazioni dei depositi in garanzia porterebbe a una ulteriore massiccia vendita di titoli azionari,

11.La stretta creditizia che colpisce la maggior parte dei mercati del credito e dei mercati dei derivati del credito porterà a un prosciugarsi della liquidità in diversi mercati finanziari, tra i quali anche gli altrimenti molto liquidi mercati dei derivati. Ciò sfocerà in un´altra ondata di stretta creditizia nei mercati interbancari, innescata dal rischio che pongono le controparti, dalla mancanza di fiducia, dal costo della liquidità e dal rischio del credito e, di conseguenza, cresceranno una serie di tassi interbancari.

12. Ciò risulterà in un circolo vizioso di perdite, contrazione del capitale, contrazione del credito, liquidazioni forzate e svendite massicce di asset a prezzi inferiori ai fondamentali, portando a un ciclo di perdite e di ulteriore contrazione del credito sempre più lungo. Le perdite in conto capitale daranno luogo a ulteriori richieste di integrazione dei depositi di garanzia e a una iscrizione nei bilanci di asset e passività rimaste fino a quel momento fuori bilancio nel sistema finanziario ombra. L´evento che innescherà la successiva fase di questo fenomeno a cascata sarà l´abbassamento del rating delle assicurazioni mono-ramo e il conseguente veloce crollo dei mercati azionari, che, a loro volta, porteranno a ulteriori richieste di integrazione dei depositi e di iscrizioni a bilancio degli asset e delle passività rimaste fino a quel momento fuori bilancio.

Questa spirale contagiosa e a cascata della iscrizione a bilancio di voci precedentemente tenute fuori, della contrazione del credito, della brusca caduta del prezzo degli asset e dell´allargamento degli spread creditizi si trasmetterà poi a quasi tutti i settori del sistema finanziario. La massiccia stretta creditizia renderà dunque la contrazione dell´economia ancora più grave cagionando ulteriori perdite finanziarie. Le perdite totali nel sistema finanziario potrebbero superare i 1.000 miliardi, acuendo, prolungando e aggravando la recessione economica. Con il diffondersi delle perdite e della stretta creditizia al resto del mondo, si arriverà a una recessione economica quasi globale. Gli Stati Uniti e i mercati finanziari globali vivranno la loro più gravi crisi degli ultimi 25 anni.
(traduzione di Guiomar Parada)


New York costa meno di Roma
Mario Platero su
Il Sole 24 Ore

Superata quota 1,50 nel rapporto dollaro-euro, siamo al limite dalla sostenibilità per gli esportatori italiani, anche perché c'è già chi guarda alla prossima soglia di resistenza psicologica, quota 1,55 o persino 1,60. E allora meglio trasformare una debolezza in un punto di forza: l'occasione oggi diventa quella dello shopping negli Stati Uniti. Non solo per comprare da Tiffany o Brooks Brothers o Takyshemaia, tutti sulla Quinta Strada, ma per valutare se non sia giunto il momento per qualche investimento più pesante. Qualche mese fa, a margine delle riunioni del Fondo Monetario, il ministro per l'Economia Tommaso Padoa-Schioppa disse: «Bisogna che ci si abitui, il dollaro non si rafforzerà a breve, occorre che i nostri produttori cerchino di recuperare competitività in altro modo» ma parlando delle opportunità di acquisto anche di immobili o di aziende che si aprono in America, da buon ministro che cerca di tenere gli investimenti in casa, prese le distanze e aggiunse: «L'unico investimento a cui io posso pensare è quello di comprare dei buoni cd di musica classica».
In realtà, uno degli obiettivi di acquisto più ricercato è stato il nuovo condominio al Plaza, lo storico albergo su Central Park, ristrutturato e trasformato in residenza super esclusiva. Gli intermediari immobiliari dicono che Giuseppe De Longhi, imprenditore del caffè, ha pagato 11,2 milioni di dollari per tre stanze da letto al quindicesimo piano del Plaza con vista sul parco. Ma Flavio Briatore l'ha battuto: avrebbe pagato 25 milioni di dollari per 470 metri quadrati all'ottavo piano.

«Ci sono molti elementi che portano all'acquisto di case a New York - dichiara Pietro Cicognani, dello studio di architetti Cicognani e Kalla -: il primo è che il costo, comparato con quelli di Parigi o Londra o Roma, è più basso. Il secondo è che in questo momento abbiamo la combinazione di dollaro debole con prezzi degli immobili in declino. Poi - continua - c'è il fattore Manhattan: è un isola, il terreno e gli sviluppi sono limitati e la città sta diventando un po' come Montecarlo, una meta del bel mondo internazionale».
C'è poi lo shopping più funzionale al lavoro, alle attività aziendali. Un esempio valga per tutti: Zegna è riuscito ad acquistare una palazzina su Washington Street, nel "cool" Meat Pack District, che diventerà per il 2010 la nuova sede americana del gruppo, 25mila piedi quadrati, circa 2.500 metri quadrati. I locali, oggi sotto il marchio "Industria Superstudio", sono fra i più prestigiosi di New York, gli attuali affittuari ospitano da tempo manifestazioni di lusso. L'altro investimento importante di Zegna è quello del nuovo Global Store sulla Quinta Strada: mille metri quadrati su tre livelli, marmi, legni pregiati, una scalinata in vetro a acciaio, tutto realizzato in Italia e trasportato in America su design dell'architetto Peter Marino. Proprio negli Usa Zegna pensa di investire circa 50 milioni di euro nei prossimi tre anni.


L'aggressione vaticana
Filippo Gentiloni su
il Manifesto

La gerarchia cattolica, in questi giorni, è aggressiva come non mai. Titoli come «I vescovi contro i medici» non si erano mai visti. Neppure nei giorni più caldi come quelli dei referendum su divorzio e aborto. Oggi oltre Tevere è logico che si rimpianga quella Democrazia Cristiana che sosteneva le posizioni cattoliche permettendo alla gerarchia di non esporsi in prima fila. Oggi, al contrario, la gerarchia deve esporsi se non vuole accettare la scomparsa della voce cattolica nel dibattito pubblico.
E la possibilità di un partito più o meno ufficialmente cattolico? Se ne è parlato e se ne parla. Come si parla di un abbraccio dei cattolici teodem con Pierferdinando Casini. Come si è parlato di «genuflessioni» vistose da parte di laici molto noti, come Giuliano Ferrara. Ma la gerarchia non sembra entusiasta. Forse diffida della sincerità di alcuni. Forse - direi soprattutto - diffida dello spazio politico che le aggregazioni etichettate come cattoliche potrebbero avere. Il loro spazio dovrebbe essere quel «centro» che abbraccia i moderati sia di destra che di sinistra e non esclude nessuno. Uno spazio che di fatto si è talmente ristretto da apparire inesistente. Oggi il bipolarismo è inevitabile e costringe anche i cattolici a schierarsi: proprio quello che la gerarchia non vorrebbe, per evitare una chiesa di destra contro una chiesa di sinistra.
Niente centro e quindi niente partito cattolico. Alla gerarchia non rimane che intervenire direttamente, in prima persona. È quello che sta accadendo in questi giorni. Non un partito, ma i temi. Meglio: un tema, quello che si presta maggiormente a una campagna elettorale, il grande tema cattolico della famiglia e dell'aborto. Un tema difficile, comunque, come hanno dimostrato i recenti referendum e come dimostrano i dati su divorzio, unioni di fatto, separazioni, ecc.
Un altro fatto spiega l'irritazione dei palazzi vaticani. Il nuovo Partito Democratico, erede non soltanto del comunismo ma anche della Dc, ha aperto, anche se con moderazione, le sue liste a persone autorevoli ma lontane dalle posizioni cattoliche, come l'oncologo Umberto Veronesi. L'accordo con i radicali, tradizionali avversari del Vaticano, contribuisce all'irritazione. E probabilmente anche a un certo spostamento cattolico verso la destra. Berlusconi, ovviamente, pronto ad approfittarne.
A questo punto, però, è bene distinguere decisamente fra Vaticano e mondo cattolico italiano. Il primo è il soggetto della irritazione e della aggressione. Il secondo ne è ignaro e probabilmente anche lontano. Il tempo di un cattolicesimo che aspettava indicazioni politiche dalla chiesa gerarchica ed era disposto a seguirle si può dichiarare finito e lontano. Il successo del cardinale Ruini nel referendum sulla procreazione assistita non fa testo, basta osservare le cifre, tutte in diminuzione, della frequenza ai riti cattolici. E si può ragionevolmente prevedere che anche l'attuale aggressività non gioverà molto alla causa della gerarchia cattolica.


Laici e cattolici, basta muri
Il discorso di Walter Veltroni al convegno dei cattolici del Pd
su
l'Unità

Un anno e mezzo fa, un nostro grande amico, un maestro come Pietro Scoppola, si domandava, e domandava alla platea che lo ascoltava, cosa dovesse essere il nuovo Partito democratico che allora stava iniziando il suo cammino, quale dovesse essere il suo retroterra sociale e culturale, a quali riserve dovesse attingere e come si potesse riuscire a metterle in circolo. Storicamente, sottolineava Scoppola, i partiti nascono per rappresentare interessi e valori emergenti che non hanno spazio nella realtà sociale e politica e vogliono conquistarlo.

Così il partito liberale, così il partito socialista, così il partito popolare e poi i comunisti, la Democrazia cristiana, e più tardi gli ambientalisti, i verdi.

Passando all'oggi, da storico Scoppola partiva dalle domande inevase lasciate dal tempo, dai problemi irrisolti lasciati dal secolo scorso, legati tutti a un intreccio di beni e interessi materiali e immateriali. In sostanza, diceva, il XX secolo ha segnato il fallimento delle ideologie di liberazione dell'uomo legate al mito dell'uomo nuovo costruito dal potere politico o dallo Stato. Ma ha segnato anche il fallimento del mito di una democrazia spontaneamente capace di assicurare le risposte giuste alle sfide della modernità. La nostra democrazia, diceva Scoppola, è riuscita a integrare le masse popolari nello Stato, ha prodotto maggiore benessere, ha distribuito in modo più equo la ricchezza. Ma non ha risposto fino in fondo alle domande, alle paure provocate dalla modernità...

Una mancata risposta legata anche a due rischi costanti, a due tendenze nemiche della ricerca capace di condurre alle soluzioni: da una parte la tentazione della rinuncia alla difesa della laicità dello Stato, dall'altra l'idea di escludere l'apporto dell'esperienza religiosa alla formazione del tessuto etico della società. Trascorso un anno e mezzo, questi rischi non sembrano essersi allontanati da noi. Al contrario.

Affiora in particolare, in queste settimane, in questi giorni, la tentazione di dare per scontata nel nostro Paese una netta separazione e una nuova contrapposizione tra laici e cattolici. Unico caso in Europa, dove tutti i partiti a vocazione maggioritaria, a destra come a sinistra, sono "misti", per ispirazioni religiose e non, L'Italia sarebbe condannata a ripetere all'infinito la divisione di Porta Pia, superando all'indietro le stesse collaborazioni che si sono avute nella Prima Repubblica.

Dovremmo ricadere, così, proprio in ciò che si era voluto evitare alla Costituente, quando si ricercavano sempre intese alte tra le forze politiche. Dovremmo rassegnarci a quei muri divisori, a quelle autosufficienze non comunicanti, che uomini come De Gasperi avevano già inteso superare, nelle forme allora possibili. Dovremmo essere costretti da una parte a minimizzare le conquiste ottenute dal movimento dei lavoratori o dalla rivoluzione femminile o ancora i passi avanti compiuti sui grandi temi legati ai diritti civili. E dovremmo, dall'altra, non considerare, dimenticare, espungere dalla storia, il carattere grande e speciale del cattolicesimo politico italiano, che è stato quello di perseguire un disegno democratico al cui interno far valere l'apporto che la fede religiosa poteva fornire alla realizzazione di un paese più unito e aperto.

Dovremmo, dovrebbe in particolare chi non è credente, ritenere di non aver nulla da imparare dall'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa, dalla grande esperienza di libertà del Concilio, dall'esortazione della Gaudium et Spes affinché la Chiesa aprisse "porte e finestre", dall'inizio del lungo cammino dell'opzione per i poveri, per gli sfruttati, per ciò che la Chiesa chiamò un impegnarsi nel mondo e nella società a partire dagli ultimi.

Dovremmo considerare prive di fondamento le preoccupazioni di quanti nella Chiesa si interrogano, e interrogano l'umanità contemporanea, sul valore della vita e su quello della famiglia, sul tema dell'educazione e sul valore della ricerca scientifica e i limiti alle sue applicazioni tecnologiche, limiti che l'uomo deve avere la saggezza di porsi.

Si tratta di interrogativi profondi, che rendono inquiete le coscienze di credenti e non credenti. Solo una visione superficiale può ridurle a ingerenze o interferenze. "La società giusta - ha scritto Benedetto XVI nella sua prima enciclica dedicata alla carità cristiana - non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia, l'adoperarsi per la giustizia, lavorando per l'apertura dell'intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente"

Sono parole come queste, così chiare nella distinzione dei piani, che aprono la via del dialogo, che affermano nel modo più alto il valore della laicità, che allontano il rischio della separazione e rendono possibile la ricerca di un terreno su cui muoversi e incontrarsi in nome del bene comune.

Uno dei rischi più grandi che oggi possiamo correre è quello di rinchiuderci in certezze assolute, dentro identità chiuse, esclusive ed escludenti. L'identità fa parte della vita degli uomini e dei popoli, che devono sapere dove affondano le proprie radici. Guai, però, se l'identità diventa un muro precario dietro il quale trincerarsi con ansia e preoccupazione, e non il terreno solido sul quale poggiare per potersi sporgere tranquillamente verso l'altro da sé.

Si tratta dunque di superare la contrapposizione secca che divide, che bolla gli uni come "oscurantisti" e gli altri come "laicisti esasperati", per arrivare a una reciproca considerazione.

È proprio l'importanza e la complessità dei grandi temi che la modernità ci pone di fronte, a rendere essenziale la tensione verso una laicità eticamente esigente, una laicità che sappia sostituire al paradigma dell' "aut-aut" quello dell' "et-et".

Nei momenti migliori della nostra storia è stato così. Ed è così che l'Italia è sempre andata avanti, ha superato i momenti più difficili, è cresciuta.

Pensiamo proprio all'esempio della Costituente, a quando tra quei banchi si discusse se la nuova Costituzione dovesse avere un presupposto ideologico e un punto di incontro, e questo punto di incontro fu trovato nell'idea della dignità della persona umana.

Ecco un esempio di sintesi, di reciproco arricchimento, di perseguimento concreto del bene comune: era una idea di matrice cristiana che, laicamente declinata, ha ispirato largamente il testo costituzionale.

Allora io mi chiedo cosa debba mai impedire che quella straordinaria intuizione, il primato della dignità della persona umana, sia oggi principio animatore della vita associata. Mi domando cosa debba mai impedire che essa ispiri, ad esempio, una laicità e una libertà di coscienza e di religione che non neghino, anzi valorizzino, l'apporto delle esperienze religiose alla vita sociale.

Sono domande che io credo sia giusto porsi soprattutto oggi, in un tempo così denso di cambiamenti e così insicuro...

Oggi la grande questione di fronte a noi è quella dei valori. Valori consumati dalla cultura predominante del nostro tempo, che è, "ingannevolmente, quella dello 'star bene' come principio assoluto", per riprendere le parole scelte in occasione della scorsa Pasqua dal Cardinal Martini. Valori senza i quali una società non può stare insieme, non è nemmeno più tale, e un individuo rischia di essere solo un viandante privo di meta, privo del senso stesso del suo cammino.

Eppure. Eppure resta vero che le persone vogliono, ancora oggi, sentire di avere uno scopo. E' vero che vogliono essere riconosciute nella loro individualità e al tempo stesso sentirsi parte di qualcosa di più grande. Vogliono poter credere di non essere semplicemente destinate a percorrere una lunga strada verso il nulla.

Non è, questa, una cosa che riguarda solo chi crede. E la politica non può chiamarsi fuori, non può essere indifferente. Il terreno degli ideali e dei valori morali che servono per tenere insieme una società è grandissimo. Le convinzioni di fede di ciascuno si possono e si devono conciliare con il bene di tutti, superando i reciproci sospetti, cercando un punto di incontro virtuoso, che non mortifichi i convincimenti degli uni o degli altri.

Vedete, a volte le idee e le posizioni politiche vengono semplificate, a volte la comprensione profonda viene sacrificata sull'altare della notizia che fa colore e viene letta sui giornali con più facilità. Tutto si riduce, ad esempio, a identificare l'uno o l'altro dei candidati delle primarie americane con questo o quello degli esponenti politici del nostro Paese, cercando somiglianze o facili affinità.

Ma se di Barack Obama, delle sue idee, io devo sottolineare una delle cose su cui più mi trovo d'accordo, anzi in piena sintonia, è proprio la novità del suo approccio, la capacità di superare gli schemi "classici" che separano rigidamente sfera privata e sfera pubblica. "Dire che uomini e donne non dovrebbero far confluire la loro morale personale, la loro fede, nel dibattito pubblico, è un assurdo pratico", dice Obama, che aggiunge: "se noi progressisti riuscissimo a disfarci dei pregiudizi, potremmo riconoscere l'esistenza di valori convergenti, condivisi da credenti e laici, quando si tratta della direzione morale e materiale del nostro Paese". Obama esprime con queste parole, in modo molto chiaro, una cosa molto profonda e preziosa: i laici sbagliano quando chiedono ai credenti di lasciare fuori dalla porta la religione prima di entrare nell'agone politico. Allo stesso modo, alle persone motivate dalla fede, una democrazia pluralista chiede di tradurre le proprie preoccupazioni in valori universali piuttosto che esclusivamente religiosi, e in proposte sottoposte alla discussione, aperte alla ragione.

Io sono convinto che questi siano davvero temi alti, decisivi, oggi forse più di ieri. Di fronte ad essi una politica che non sia altrettanto alta e grande, che non sappia superare la separazione e ricercare la sintesi, è condannata a rimanere muta, senza risposte.... Il Partito democratico ha il suo fondamento nel portare con sé, nella sua stessa identità, due idee precise: quella di un Paese non più separato da muri, da cortine di ferro, e quella di una politica non più ideologica. Una politica, cioè, che non sceglie di far suo un unico principio, un unico interesse, come se in una decisione si dovesse considerare un solo aspetto, un solo sguardo sul mondo, in un gioco a somma zero. Una politica che sceglie invece di equilibrare tutto questo, con ragionevolezza e potremmo dire con saggezza. La politica, per come la intendiamo noi, è questo....

Voglio rifarmi ancora a Pietro Scoppola, a un articolo che scrisse il giorno della visita di Papa Giovanni Paolo II al Parlamento italiano, perché non saprei dir meglio: "La laicità dello Stato italiano non è indifferenza dello Stato al fattore religioso, non è ideologia di Stato alternativa a singole fedi religiose, ma riconoscimento del ruolo e degli spazi di ogni fede religiosa, come fattore che contribuisce al formarsi di un'etica collettiva nel quadro di un pluralismo e di una libertà a tutti garantiti".

"I cattolici sanno - continuava Scoppola - quanto è difficile, in una società secolarizzata come la nostra, una testimonianza coerente al Vangelo; sanno di potere e dover concorrere democraticamente, come tutti i cittadini, a far sì che le leggi dello stato siano ispirate ai valori di cui sono portatori, ma sanno di non poter esigere la piena rispondenza delle leggi a questi valori: il formarsi della legge è necessariamente legato alla dialettica democratica fra posizioni diverse, talvolta contrastanti".

La politica è questo. E' lo spazio della convivenza con altri che hanno diversi valori etici. Ed è tentativo di argomentare e convincere gli altri della bontà di un'idea, di una proposta, di una scelta. E' ricerca comune di soluzioni buone e condivisibili ai problemi di tutti. Altrimenti il confronto resta fermo allo scontro tra visioni incomponibili e inconciliabili, e la democrazia si riduce a registrazione dei rapporti di forza numerici.

Il Partito democratico è nato con questa consapevolezza. E' nato per guardare in avanti anziché indietro, alla storia del XXI secolo anziché a quella del Novecento. Ed è per questo che tra le sue ambizioni e i suoi obiettivi ha quello di ripensare in modo nuovo, serio e adeguato ai problemi di oggi, la laicità e il rapporto tra etica e politica.

E' stato scritto ieri, e io sono d'accordo: ci sono realtà sociali, culturali, confessionali, che possono, e che talora devono, rappresentare ottiche più parziali, esporre le proprie motivazioni in un modo assertivo, anche per lanciare messaggi di riconoscimento e di carattere educativo ai propri aderenti e nella società. Ma la politica che vuol far camminare un Paese ha un dovere in più, anche scontando il fatto di non poter ogni volta accontentare tutti: andare oltre ogni anacronistico steccato e costruire ponti. I ponti culturali su cui il Paese può correre.

La laicità delle istituzioni, valore che accomuna credenti e non credenti, non va invocata a parole, più o meno polemiche, ma fatta vivere ogni giorno.

La laicità si difende e si afferma rilanciando il ruolo della politica, che tutti deve ascoltare, da tutti deve raccogliere, per poi esercitare un prima persona il proprio inderogabile dovere di sintesi. E di responsabile decisione.

Come noi faremo anche sui temi più sensibili e importanti, dal testamento biologico ai diritti delle persone che convivono stabilmente. Temi delicati, da sottrarre all'incendio della polemica elettorale.

Perché ha ragione il direttore dell'Osservatore Romano quando dice, come ha fatto ancora ieri, che i temi etici non devono "diventare dei mezzi per raccogliere voti" e che "se si riesce a tenerli fuori dell'agone elettorale allora c'è qualche possibilità in più che su alcune questioni fondame si crei del consenso".

Parole sagge. Anche perché chiunque abbia a cuore la dignità della persona umana sa che le grandi domande che il nostro tempo porta con sé sono uguali per tutti, sono spesso nuove e richiedono risposte ugualmente comuni e nuove.

Non mi convince, in questo senso, l'idea che ci sarebbero domande costitutivamente diverse tra laici e cattolici.

Pensiamo proprio alle questioni ormai definite "eticamente sensibili", pensiamo a tutto ciò che ha a che fare con la vita, il suo inizio, la sua fine, la sua trasmissione.

Ma pensiamo anche al tema della democrazia, della crisi democratica di cui oggi soffre il nostro Paese, cosa che come sapete è uno degli "assilli" del Pd. Ricorderete certo tutti i molti interventi fatti ad esempio proprio dal Cardinal Martini, che da Arcivescovo da Milano, nelle sue lettere pastorali per la festa di Sant'Ambrogio chiedeva ai cattolici di farsi carico in politica non solo delle questioni di immediata rilevanza etica ma anche del buon funzionamento della democrazia e delle istituzioni.

Usciamo allora dai vecchi cliché, dalle separazioni di comodo, dai compartimenti stagni che per alcuni dovrebbero continuare a dividere la politica. Ripeto: le domande sono le stesse per tutti. Non costruiamo caricature speculari e che si alimentano a vicenda: non ci sono da una parte i cosiddetti "laici" che si occuperebbero in modo semplicistico e ideologico dei diritti volendo affermare una neutralità ideologica assoluta dello Stato e dall'altra parte dei credenti che sarebbero contrari alla crescita dei diritti perché avversari della libertà della persona.

Il Partito democratico, laici e cattolici insieme, come si vede da Statuto, Manifesto e Codice Etico, non ha mai assunto un approccio puramente individualistico, perché sappiamo bene che la singola persona è inserita in ambienti culturali e sociali che non le consentono di scegliere liberamente anche contro la volontà del gruppo o la sensibilità altrui. A volte si può e si deve limitare un diritto non solo perché ciò interagisce coi diritti altrui, ma anche a tutela della persona stessa.

Questa mattina ho sentito che il leader dello schieramento a noi avverso ha definito il suo un partito "monarchico", e questo è innegabile, e al tempo stesso "anarchico", nel senso di indifferente rispetto alle questioni di "etica e morale", che si potrebbero risolvere esclusivamente con la libertà di coscienza. E' chiaro che la coscienza di ognuno è incomprimibile. Ma lo sforzo deve essere cercare la sintesi. Non l'agnosticismo. E' una visione che non ci appartiene. Per noi il rapporto tra etica e politica è un rapporto forte e vitale. Implica un rigore che si deve poter riconoscere anche nel momento della scelta delle donne e degli uomini chiamati a portare in Parlamento le nostre idee e i nostri programmi. Nei giorni scorsi autorevoli voci si sono levate dal mondo cattolico per chiedere una selezione attenta delle candidature. Sono preoccupazioni giuste, e sono anche le nostre, quelle che hanno dato vita al codice etico del Partito democratico, quelle che ci hanno spinto ad arricchire le nostre liste con figure rappresentative di una visione eticamente esigente della politica come quelle, che sono lieto di annunciare oggi, del professor Mauro Ceruti e del giornalista,e conduttore del programma "A sua immagine", Andrea Sarubbi.

La proposta del Partito democratico è la proposta di chi sa che non è certo compito di un partito produrre catechismi laici, ma sa altrettanto bene che la politica non può dare soluzioni ai problemi senza farsi guidare da un sistema di valori e senza interpellare in profondità le coscienze.

E' un equilibrio delicato, ma indispensabile. Quando nei giorni scorsi abbiamo scritto il nostro programma non abbiamo prodotto un punto a parte sui diritti, proponendo un elenco deduttivo e astorico di priorità tra valori e principi. Non è questa la via per coniugare etica e politica. Lo sforzo, continuo, deve essere quello della sintesi.

Se affronto un valore alla volta è ovvio che io, prendendolo isolatamente, lo possa affermare come intangibile, incomprimbile, non negoziabile. Tuttavia quando il politico è chiamato a fare scelte e opera direttamente sulla complessità della realtà si trova di fronte, per fare alcuni esempi, al dovere di coniugare la difesa della vita e il rifiuto dell'accanimento terapeutico; la valorizzazione della particolare dignità della famiglia fondata sul matrimonio e i diritti delle persone che convivono stabilmente; gli obblighi di servizio del personale sanitario e l'obiezione di coscienza; la tutela della salute fisica e psichica della donna e quella della vita umana dal suo inizio.

E a proposito della legge 194: dov'è la contraddizione tra la difesa di una legge che ha dimezzato il numero degli aborti e fatto uscire le donne dal buio della clandestinità e la volontà nostra di applicarla integralmente, valorizzandone gli aspetti di prevenzione e facendo leva sui progressi della scienza per rafforzare la tutela della vita e allontanare dalle donne quello che resta comunque un dramma? Dov'è la contraddizione?

E' a partire da questi convincimenti profondi che abbiamo risposto alla richiesta dei radicali di schierarsi con noi. Se abbiamo detto loro non di apparentarsi con la nostra lista, come con insistenza ci hanno chiesto, ma di entrarci dentro, rinunciando a presentarsi col loro simbolo accanto al nostro, impegnandosi a sottoscrivere il nostro programma e a formare un unico gruppo parlamentare all'indomani delle elezioni, è perché anche a loro abbiamo chiesto di superare la pura cultura delle identità separate e autosufficienti e di mettersi in gioco e in discussione, a confronto con gli altri, assumendo il rischio e abbracciando l'opportunità di una ricerca comune.

Noi abbiamo fatto, così, una grande operazione di coinvolgimento. Abbiamo portato dentro il nostro grande progetto, dentro la nostra visione politica e culturale, una forza che rimanendo sola, allora sì avrebbe finito per esprimere posizioni esasperatamente laiciste, per rimarcare il suo ruolo, per sottolineare i suoi obiettivi, per guadagnare un consenso di tipo esclusivamente identitario.

Invece abbiamo chiesto, e abbiamo ottenuto, molto. Ad un partito che si chiama "radicale" e che quindi ha sempre fatto della nettezza delle sue posizioni la sua identità, abbiamo chiesto di accettare la cultura del dialogo e della mediazione.

L'abbiamo fatto perché chi vuole venire con noi deve accettare di condividere questo nostro impegno. E perché, semplicemente, questo è quel che serve all'Italia, al nostro Paese.

Il mondo sta cambiando attorno a noi. E l'Italia non ha a che fare con una crisi congiunturale, dalla quale potrà uscire più o meno come è entrata. Solo se sapremo chiamare a raccolta tutte le risorse intellettuali e morali del Paese, le straordinarie energie oggi sottoutilizzate, a cominciare dal talento delle donne e da quello dei giovani, potremo dare all'Italia un futuro di ripresa, di rilancio, di speranza.

Solo se sapremo ascoltare le domande che arrivano dalle famiglie italiane, se sapremo sostenerle concretamente e farle essere serenamente quel luogo d'amore e di solidarietà che sono, proteggendo i bambini con leggi che puniscano nel modo più severo chi si macchia del più orrendo dei crimini; e ancora moltiplicando i posti negli asili nido e rendendo più flessibili gli orari e i tempi di lavoro, aiutando in modo significativo attraverso l'introduzione di una "Dote fiscale" le famiglie con figli. Ribaltando, in poche parole, l'attuale circolo vizioso tra bassi tassi di occupazione femminile, bassa natalità e alti tassi di povertà minorile, facendolo diventare un circolo virtuoso fatto di più donne occupate, più nascite e famiglie economicamente più sicure.

Per tutto questo è nato il Partito Democratico: non per affiancare forze che restano divise, magari accomunate solo dal nemico da sconfiggere. Tutto il contrario: il Partito Democratico è nato per unire il Paese, per abbattere muri e steccati, per aprire porte e costruire ponti: tra impresa e lavoro, tra lavoratori dipendenti e autonomi, tra Nord e Sud, tra padri e figli, tra laici e cattolici. Perché solo insieme, lavorando insieme, pensando insieme, cercando insieme, ce la possiamo fare.

Insieme, laici e cattolici del Partito democratico, noi rivendichiamo il valore della nostra responsabilità. Dell'etica della responsabilità.

Alcide De Gasperi, pochi mesi dopo la fine della guerra, alla prima Settimana Sociale dei Cattolici italiani, richiamava il carattere inevitabilmente diverso dei due punti di vista: "Avvicinarsi a questa assise", disse, "è come eseguire una grande ascensione montana. Ci si trova in un'atmosfera ossigenata. Non sempre quando si scende dall'alta montagna è possibile mantenere la stessa atmosfera, e direi non sempre la stessa prospettiva può essere attuata quando si tratti di dover fissare una pratica di convivenza civile che tiene conto delle opinioni altrui e che deve cercare una via di mezzo fra quelle che possono essere le aspirazioni di principio e le possibilità di azione." Sono parole che testimoniano la grandezza dello statista e dell'uomo, del credente e del laico insieme. E che sono l'esempio di come larga parte della storia dell'impegno dei cattolici sia stata segnata, in Italia, da momenti in cui ad una astratta etica della testimonianza è stata privilegiata un'etica della responsabilità, per garantire la coesione sociale e culturale del Paese.

Come non ripensare, ad esempio, all'atteggiamento di Aldo Moro, che ricorderemo domani, sul referendum sul divorzio e sulla solidarietà nazionale. Come non andare con la mente e col cuore a uno degli uomini che tra i primi ha indicato il cammino e ha lavorato per aprire la strada. "Aveva un fortissimo pudore e riserbo sulle cose intime e personali", ha detto Giovanni Bazoli ricordando Beniamino Andreatta, "ma è altrettanto vero che i valori del cattolicesimo informavano le sue scelte e i suoi comportamenti privati e pubblici".

C'è un grande patrimonio che vive, attraverso le persone animate da fede vera e profonda, dentro il Partito democratico, e che contribuisce a dargli identità e forza. E' anche grazie a questa ricchezza che proseguiremo il nostro cammino e che cambieremo l'Italia. Insieme.


"Vanna Marchi e figlia imprenditrici della truffa"
Brevissime de
la Repubblica


MILANO - Un sistema basato su una «intuizione imprenditoriale e delinquenziale» messo in piedi da Vanna Marchi, e dai suoi soci. Per questo il sostituto procuratore generale di Milano, De Petris, ha chiesto ai giudici della IV Corte d´appello di Milano la condanna di 10 anni e 4 mesi di reclusione per la Marchi e la figlia. Attraverso la televisione usata come un´esca "facevano leva sulla credulità popolare" per fare "abboccare" quante più vittime possibile.


La pazza idea delle scuole divise per tribù
Gian Antonio Stella sul
Corriere della Sera


L a commissione per la Promozione della Virtù saudita è arrivata a suggerire il bando, tra le lettere latine, della «X»: somiglia a una croce. Un problema, se ci arrivassimo: come scrivi taxi, extra, xilografia, export o marxista?
E poi, come la insegni a un bambino, senza questa «X», la moltiplicazione «2 X 2»? La domanda è meno surreale di quanto appaia. E sorge davanti a una curiosa tesi lanciata da un editoriale di Avvenire. Secondo il quale lo Stato dovrebbe «garantire che i genitori di sinistra possano mandare i figli in scuole di sinistra, quelli liberali in scuole liberali, quelli cattolici in scuole di ispirazione cattolica». Principio che automaticamente dovrebbe essere esteso, salvo forzature costituzionali, ad islamici e buddisti, geovisti e «scientologisti», induisti e animisti e cultori del wudu.
Secondo Giacomo Samek Lodovici, infatti, è in ballo «un valore non negoziabile come la libertà di educazione». E «poiché la trasmissione culturale dovrebbe essere trasmissione della verità, la scuola dovrebbe trasmettere principalmente (non esclusivamente) la verità. Cioè quelle tesi e quei valori che essa e i genitori che l'hanno scelta considerano vere». Un papà e una mamma sono di sinistra? Hanno diritto a una scuola di sinistra. Sono di destra? Scuola di destra.
Certo, c'è un problemino: «quale» sinistra? Quella bertinottiana o pecoraroscania, veltroniana o pannelliana, dilibertiana o turigliattiana? Mica facile, trovare la scuola giusta. E «quale» destra? Berlusconiana o finiana, buttiglionesca o mussoliniana, rotondiana o santanchesca? Quanta dose di simpatie trotzkiste può essere tollerabile per un bravo genitore post-diessino? Quanti fez e gagliardetti e busti del Capoccione possono essere accettati sopra l'armadio in classe da un bravo genitore liberale?

Certo, per venti, trenta o quaranta milioni di precari sarebbe un'occasione unica. Potrebbero smettere d'invocare sempre più allievi disabili, veri, semi-veri e smaccatamente falsi per allargare il numero degli insegnanti di sostegno, che in Sicilia sono arrivati ad essere quasi il 18% del corpo docente, per spartirsi ciascuno una fettina di questo nuovo mercato. La scuola personalizzata. Su misura.

Anzi, c'è chi dirà che non occorre neppure fare dei libri nuovi. Ci sono già. Siete genitori di sinistra? Ne «L'età contemporanea» di Ortoleva-Rivelli, i vostri figlioli possono leggere che la figura di Stalin «appariva rassicurante nella sua immensa autorità e nella sua salda permanenza al potere. Il timore da essa ispirato poteva quasi essere sentito positivamente, come il rispetto dovuto ad un'autorità dura ma giusta». Oppure, sul «Dizionario giuridico italiano-inglese» di Francesco De Franchis, che dopo il trionfo elettorale nel 2001 «il nuovo governo Berlusconi si presenta come una compagine all'altezza dei propositi, dal decreto salvaladri al condono edilizio, dal vecchio regime dei lavori pubblici alla virtuale abolizione del Secit: un free for all degno di Somoza». Per non parlare della differenza tra i lager nazisti e i gulag sovietici, spiegata negli «Elementi di Storia» di Camera-Fabietti, dove i primi furono la conseguenza «logica e necessaria» di un regime fondato «sulla sopraffazione e l'eliminazione delle "razze inferiori"», mentre l'«ignominia» dei secondi non va imputata al comunismo che «esprimeva l'esigenza di uguaglianza come premessa di libertà» ma al «tentativo utopico» di tradurre immediatamente «questo sacrosanto ideale» in atto o peggio ancora alla «conversione di Stalin al tradizionale imperialismo».
Quanto ai genitori di destra, stiano tranquilli anche loro. Basterà dare più spazio a manuali come «I nuovi sentieri della Storia» di Federica Bellesini. Dove la differenza tra destra e sinistra storica viene ricostruita così: «Gli uomini della Destra erano aristocratici e grandi proprietari terrieri. Essi facevano politica al solo scopo di servire lo Stato e non per elevarsi socialmente o arricchirsi» mentre quelli della Sinistra, «erano professionisti, imprenditori e avvocati disposti a fare carriera in qualunque modo, talvolta sacrificando perfino il bene della nazione ai propri interessi». Troppo soft? Si può allargare a tutta la penisola la scelta fatta dalla professoressa Angela Pellicciari del romano «Lucrezio Caro» che ai suoi liceali, con il «Manifesto» di Marx e il Concordato, ha fatto adottare «Le conversazioni segrete» di Adolf Hitler, con commossa prefazione del neonazista Franco Freda: «Dinanzi alle parole e ai detti memorabili dei Capi e dei Maestri i semplici devoti devono stare in raccoglimento e osservare il silenzio».

«E noi?», diranno i genitori leghisti. Ma certo, avanti le scuole padane. Con libri come «La storia della Lombardia a fumetti» distribuita dalla Regione. Dove c'era sì qualche sventurato strafalcione («Verso il 3000 dopo Cristo la civiltà camuna era piuttosto evoluta...») ma in compenso i rampolli celtici potevano leggere una nuova ricostruzione del Risorgimento: «alcune manovre e piccoli intrighi, certi eroismi e strani trattati avevano portato la penisola italiana a essere un unico regno...» O manuali come «Noi veneti» che, voluto e finanziato dalla Regione guidata da Galan, non aveva una riga su pittori come Giorgione o Tintoretto, Tiziano o Canaletto né su musicisti come Vivaldi o Albinoni o scrittori come Pietro Bembo o Ruzante, ma regalava una poesia di Catullo tradotta dal latino in dialetto: «Cossa de mejo gh'è del riposarse / infin, dal peso e dal strassinamento...».
E poi spazio, ovvio, alle scuole musulmane. Dove i genitori, in nome della «loro» verità potrebbero chiedere lo stesso sussidiario su cui studiò Magdi Allam («L'imperialismo internazionale ha conficcato il cancro dell'entità sionista nel cuore del mondo arabo per ostacolare la nascita della Nazione araba accomunata dall'unità del sangue, della lingua, della storia, della geografia, della religione e del destino»).

E poi ancora scuole cattoliche senza Darwin e i neo-darwiniani e magari, come sognava il ministro della cultura dei gemelli Kaczynski in Polonia, senza Kafka, Dostoevskij e Goethe. E poi ancora scuole luterane e scuole valdesi e scuole anglicane e scuole di ogni genere su misura della «verità» scelta dai genitori. Tra i quali avranno soddisfazione, si spera, anche i comunisti coreani che potranno finalmente allevare i figlioli nel culto dell'«Adorato Kim Jong-il», che nei libri di testo sale in cima al monte Yongnam e declama celeste: «Corea, ti farò brillare!»


  28 febbraio 2008