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sulla stampa
a cura di Fr.I. - 11-12 febbraio 2008


Il Pentagono: condanna a morte per i prigionieri dell´11 settembre
Sei imputati, via alla "Norimberga di Guantanamo". Le diffidenze per le scelte giuridiche e gli interrogatori sotto tortura. L´accusa: attacchi alla popolazione, omicidi in violazione delle leggi di guerra.,
Arturo Zampaglione su
la Repubblica

NEW YORK - A sessanta anni dall´impiccagione dei gerarchi nazisti a Norimberga, i magistrati militari americani hanno avviato ieri un processo per crimini di guerra - carico di simbolismi quanto quello tedesco - contro i responsabili degli attentati dell´11 settembre. E hanno chiesto la pena di morte per Khalid Sheikh Mohammed e altri cinque dirigenti di Al Qaeda detenuti nelle celle di Guantanamo. Le accuse principali: attacchi contro la popolazione civile, omicidi in violazione delle leggi di guerra, terrorismo.
«Dimostreremo che Al Qaeda aveva un piano sofisticato e elaborato da tempo per colpire gli Stati Uniti», ha detto il generale Thomas Hartmann, consulente giuridico del Pentagono, illustrando ieri i 169 capi di imputazione contenuti in un documento di 90 pagine.
L´iter giudiziario della Norimberga di Guantanamo si preannuncia complesso e ricco di polemiche. All´estero, specie in Europa, c´è sempre stata molta diffidenza per le scelte giuridiche della Casa Bianca e del Pentagono nell´era Bush, considerate più influenzate da sentimenti di vendetta che non di equità. E l´ipotesi di condanne a morte eseguite a Guantanamo, che è quasi una metafora di questa giustizia zoppa, rischia di accentuare le preoccupazioni.
Un altro aspetto inquietante riguarda il ruolo delle testimonianze sotto tortura. Khalid Mohammed, considerato il cervello strategico dell´11 settembre, ha confessato le sue responsabilità negli attacchi del 2001, oltre che nel precedente attentato del 1993 contro le Torri Gemelle. Ma subito dopo la cattura, il braccio destro militare di Osama Bin Laden è finito in un carcere segreto della Cia: lì, secondo le ammissioni del direttore dell´intelligence, Michael Hayden, fu sottoposto a interrogatori duri, con l´uso anche del «waterboarding».
E´ una tecnica che consiste nel simulare l´affogamento del detenuto in modo da convincerlo a parlare: era stata autorizzata segretamente dalla Casa Bianca, ma poi è stata messa al bando. Molti - a cominciare dall´Onu - la considerano una tortura. Secondo Hayden, le rivelazioni ottenute con quel metodo «permisero di evitare altre catastrofiche perdite di vite in America e nei paesi alleati».

Il Pentagono assicura che gli imputati avranno gli stessi diritti che quelli nelle corti marziali americane e promette che non sarà un processo segreto: l´unica eccezione potrebbe riguardare documenti riservati che hanno attinenza con la sicurezza nazionale. Comincerà probabilmente d´estate in una tendopoli chiamata Camp Justice: sarà il primo vero tribunale nella base navale di Guantanamo. Non ci sarà posto per tutti: sarà scelto un numero limitato di giornalisti e i parenti delle 2973 vittime dell´11 settembre seguiranno i lavori su una televisione a circuito chiuso. In caso di condanna gli imputati avranno automaticamente diritto a un appello. Per l´eventuale esecuzione sarà installato a Guantanamo il lettino per l´iniezione letale.


L´arma del razzismo il dilemma dei Clinton  
Obama trionfa in altri tre Stati, ora Hillary ha davvero paura
Vittorio Zucconi su
la Repubblica

Arriva sempre un momento nella storia delle vicende politiche, militari o economiche, quando un´armata, un prodotto nuovo, una crisi, un successo raggiungono il «tipping point», spiegò uno studio del 2000 oggi divenuto testo, il momento in cui viene rotto l´equilibrio, e la spinta inerziale si fa irresistibile a favore di una parte. Dopo la tripletta di Barack Obama nelle votazioni di sabato, dove ha schiacciato più che sconfitto l´avversaria Hillary Clinton nel West, nel Sud, nella Grande Prateria, questo momento di criticità è vicinissimo.
Se la Clinton non riuscisse a fermarlo domani, nelle tre primarie dette del "Potomac" o della baia di Chesapeake perchè investono i due stati, Maryland e Virginia, e la capitale Washington divise appunto dal fiume Potomac che sfocia in quella baia, la sua speranza di fermare le armate di Obama il 4 marzo negli ultimi grandi stati in palio, Texas, Ohio e Pennsylvania, somiglierebbe, più che a un Piave, a una Beresina. E la questione fondamentale davanti alla quale gli Stati Uniti si troverebbero, sarebbe quella che dall´inizio di questa sbalorditiva stagione politica americana incombe sulla nazione: è davvero pronta l´America a eleggere un Presidente di sangue africano?
Gli ingegneri della politica si affannano in queste ore a calcolare quanti delegati al congresso di fine agosto avranno l´uno o l´altra e da che parte si schiereranno i congressisti di professione non eletti ma scelti dal partito, dunque non impegnati e giustamente osservano che le geometria dei voti ancora non è decisiva per nessuno. Ma se la "matematica elettorale" resta in bilico è la "matematica politica" quella che sta volgendo contro i Clinton e che diventerebbe disastrosa dopo un´eventuale disfatta domani, sulle rive dello storico fiume che divise il Nord dal Sud ribelle, le giubbe blu dalle giubbe grigie nella Guerra Civile.

Il successo sbalorditivo del movimento Obamista, perché di questo ormai si deve parlare, di un movimento, sta ponendo la questione con crescente intensità. La Clinton, che già si è vista derubata da quel fattore di novità storica che il suo essere femmina proponeva e sul quale tanto contava, grazie alla "novità ancora più nuova" del cosiddetto "neo Kennedy" afro americano, avrebbe, per lanciare una controffensiva disperata dopo una sconfitta sul Potomac, una sola arma a disposizione. L´arma, diciamolo brutalmente, del razzismo. Quella che il marito invadente aveva tentato di usare prima delle primarie nella Carolina del Sud e che era esplosa in mano alla moglie.
Ma l´arma del razzismo, cioè del dubbio - inconfessato ma evidente nella resistenza che l´elettorato bianco sta dimostrando nei confronti di Obama - che il nome e la pelle lo rendano ineleggibile, sarebbe l´arma atomica, la bomba della fine del mondo che potrebbe spingere Hillary alla conquista della candidatura e polverizzare il partito democratico, regalando la Casa Bianca al 72enne McCaine, come il tragico e scosso Congresso democratico del 1968 la regalò a Nixon.

Il dilemma che metterà alla prova la capacità politica di Hillary e di Bill (messo in disparte e col guinzaglio dopo le sue disastrose sortite) è sapere se i "Billary" siano, come accusano i loro nemici, pronti a vincere a qualunque costo, anche al prezzo di disintegrare le speranza di vittoria di un partito che già si sentiva, dopo il disastro Bush, la Casa Bianca in tasca. O se invece, dimostrando una sensibilità della quale non molti fanno loro credito, accettino di fare il proverbiale passo indietro e sostenere Barack Obama, affiancando le proprie "armate rosa" e i propri elettori bianchi al movimento spontaneo che sta spingendo l´avversario oltre il "tipping point", oltre lo stallo.

Hillary è troppo combattiva, troppo intelligente e ambiziosa, per arrendersi fino a quando la matematica politica non coinciderà con la matematica elettorale, e il rischio di una candidatura ottenuta facendo terra bruciata del partito le è sicuramente ben chiaro. Ma Obama sfrutta ora un vantaggio strategico fondamentale, quello di essersi presentato da subito, da quando si candidò davanti al municipio di Springflield, in Illinois, un anno or sono, come il campione della politica "per", e non "contro". Il suo messaggio di riconciliazione nel cambiamento, di mano tesa verso indipendenti e repubblicani risuona più alto della partigianeria di bandiera che Hillary ha brandito. Per fermare l´avanzata del movimento Obamista, i Clinton saranno tentati di utilizzare la strategia manichea che fece vincere Bush, il «noi contro loro», i buoni democratici contro i cattivi repubblicani e, senza dirlo, le donne contro gli uomini, i bianchi contro i neri. Quella formula dello scontro di civiltà che un elettorato stanco di guerre, esterne o interne, sembra non volere più.


La gamba tesa del Vaticano
Gad Lerner su
la Repubblica

Ho provato molta curiosità, l´altra sera, quando il Tg1 ha annunciato con rilievo, nei suoi titoli d´apertura, un´intervista al direttore di Avvenire, Dino Boffo.
Che cosa sta per comunicarci di così importante il mio amico Boffo, la cui relazione fiduciaria con il cardinale Ruini prosegue da quasi vent´anni?
Si esprimerà sulla difesa della vita, sul ruolo della famiglia, sulla controversia teologica con gli ebrei? Macché, la parola gli viene data nei primi minuti del telegiornale, quelli dedicati alla politica interna, subito dopo un resoconto sul braccio di ferro nel centrodestra fra Berlusconi e Casini. Premesso, come di consueto, che la Chiesa non fa scelte di schieramento, il direttore di Avvenire dice finalmente quel che premeva rendere pubblico a lui e a Ruini: "E´ interesse dei cattolici, ma anche dello stesso centrodestra, che sia salvaguardata la presenza in quello schieramento di un partito che fa direttamente riferimento alla dottrina sociale cristiana".
Così noi telespettatori abbiamo potuto arguire che dalla Cei viene trasmesso un duplice invito: all´Udc perché rimanga nel centrodestra; e a Berlusconi perché rettifichi il suo perentorio invito alla confluenza dell´Udc nel Popolo delle libertà, pena la fine della coalizione elettorale.
Poco m´importa stabilire se la dichiarazione di Boffo al Tg1 vada considerata un´ingerenza oppure no. Certo però che un tale singolare, minuzioso interessamento alla sfera partitica, declina assai modestamente il diritto rivendicato dalla Chiesa a intervenire nel dibattito pubblico. Va bene che la religione entra sempre più spesso, a proposito o a sproposito, nei discorsi politici. Va bene che la Chiesa rivendica il diritto-dovere di esprimersi su leggi e regolamenti, come si suol dire, "eticamente sensibili". Ma dubito esistano argomenti spirituali in favore della salvaguardia di un partito cristiano nel centrodestra.
Di conseguenza vi sono altre domande che rivolgerei a Boffo. Forse Ruini avrebbe preferito che un omologo partito di matrice cattolica sopravvivesse anche nel centrosinistra? La speranza delusa della Chiesa era di ispirarli entrambi, magari nell´attesa che rinasca al centro una nuova Democrazia cristiana?
Fatto sta che il sorprendente intervento a gamba tesa della Chiesa nel dibattito in corso nel centrodestra, denota una sua preoccupazione mondana. Viene il dubbio che alla Chiesa dispiaccia la formazione di due grandi partiti alternativi. Non per motivi religiosi, ma perché un sistema tendenzialmente bipartitico indebolirebbe l´esercizio dell´azione lobbistica in cui s´è specializzata, avvantaggiandosi della frammentazione parlamentare. La politica della Seconda Repubblica è stata afflitta da un crescente degrado morale, ma ciò paradossalmente ha favorito la Cei nel reperimento di interlocutori strumentalmente clericali. La nascita del Pd e del Pdl da questo punto di vista rappresentano un´incognita.

Non ho la più pallida idea di come andrà a finire il braccio di ferro fra Berlusconi e Casini. Ma in compenso adesso mi è più chiaro il disegno politico perseguito da Ruini. Guarda caso il leader dell´Udc, non appena subito l´aut aut degli alleati di centrodestra –o vieni in lista con noi, o corri da solo – s´è premurato di far sapere qual è stata la sua prima telefonata: al vicario di Roma, che non è più presidente della Cei ma conserva l´anomalo ruolo di leader politico dei vescovi italiani.
Dispiace che per diventare una democrazia matura l´Italia debba imbattersi pure in questo ostacolo. Dispiace che la Chiesa viva con fastidio la nascita di due grandi partiti alternativi, all´interno dei quali i cattolici possano trovarsi a loro agio. Senza bisogno di rappresentanze parlamentari separate, che a me sembrano piuttosto dépendances curiali per cardinali appassionati di politica.


Asilo negato a Milano: il giudice sconfessa il Comune
su
Il Sole 24 Ore

Il giudice della prima sezione civile di Milano, Claudio Marangoni, ha accolto il ricorso presentato nelle settimane scorse da una immigrata marocchina, contro la circolare emessa dal Comune di Milano nella quale si escludono le iscrizioni agli asili per i figli degli immigrati irregolari.
Secondo il legale della donna, che ora potrà iscrivere la propria figlia in una scuola materna, è stato riconosciuto «il carattere discriminatorio» della circolare, quantomeno nella parte che è stata contestata e impugnata davanti al tribunale civile.
La causa civile intentata dalla donna, rimasta senza permesso di soggiorno perché con la seconda gravidanza ha perso il lavoro e non é più riuscita a mettersi in regola, si basa sull'art. 44 del testo unico sull'immigrazione ("Azione civile contro la discriminazione") e sul presupposto giuridico che la condizione dei genitori non può precludere i diritti dei figli.



Le donne parlano ma pochi ascoltano
Dacia Maraini sul
Corriere della Sera

Ogni giorno sento alla radio o leggo sui giornali la domanda fatidica: ma come mai le donne non reagiscono? Perché non dicono qualcosa di fronte alla invadenza della Chiesa che pretende di decidere sui loro corpi? Eppure le donne parlano, e scrivono anche, ma le loro voci faticano a farsi sentire. Io stessa ho ragionato varie volte su questa rubrica a proposito dell'aborto, ma è come se non l'avessi mai fatto. Dispiace ripetermi ma, per non passare da reticente, ribadirò: l'aborto certo non è una soluzione, si tratta di una scelta brutale che porta ferite sul corpo della donna e danni a un progetto di vita. Ma proibirlo vuol dire mandarlo in clandestinità. Per questo è nata la legge. Che ha immediatamente fatto calare la percentuale del 40%.
Chi è veramente contro l'aborto dovrebbe essere contento: lo scopo è o non è abolire la pratica abortiva? Se una legge riesce a ridurla di tanto, non sarà una buona legge? Invece no, l'aborto viene preso a pretesto per una crociata politica e ideologica sul diritto alla vita. Le donne, ancora troppo spesso lasciate sole di fronte alla responsabilità riproduttiva, vengono criminalizzate, si cerca di togliere loro ogni libertà di decisione. Da lì si capisce che si tratta di una questione di potere. Il potere di controllo sulla procreazione.
Anch'io sono per arrivare a eliminare l'aborto e con me milioni di donne, ma non credo che la soluzione stia in una legge proibitiva. L'interruzione della gravidanza si può eliminare solo con una cultura della maternità responsabile. Dare alle donne la possibilità di scegliere prima, non dopo. Quindi puntare sulla consapevolezza, sul sesso sicuro, sulle pratiche anticoncezionali. Che invece sono proibite dalla Chiesa. È come se si intraprendesse una campagna contro le morti sul lavoro e nello stesso tempo si proibisse l'uso dei caschi, delle cinture di sicurezza, degli estintori e delle sirene di allarme.

Le televisioni d'altronde, salvo casi rarissimi, mettono in mostra una Italia del tutto virtuale. Una Italia sognata da menti grossolane e ingenue, priva di consistenza e di verità. Una Italia di donne sempre svestite e di uomini vestitissimi, che passano il tempo a insultarsi, perdendo completamente di vista il paese. Una Italia in cui è premiato chi fa il prepotente, chi è ricco e chi grida di più. Una Italia in cui il corpo femminile è usato per vendere qualsiasi merce, trasformandolo, nella immaginazione collettiva, in merce esso stesso: sono la tua arancia, sono la tua birra, sono la tua automobile, sono il tuo computer. Assaggiami, prendimi, comprami!
Sarebbe questa una cultura che rispetta la vita?


Come sta diventando difficile telefonare!
Blackberry, Modu, touchscreens e il telefonino semplice per gli anziani
Anna Masera su
La Stampa

BARCELLONA. La parola d'ordine al MWC (Mobile World Congress) e' liberare Internet dalla schiavitu' dei fili e poterla avere sempre con sè.  E le novita' vere qui non sono i gadget, ma i contenuti, i software e le applicazioni,  sviluppati ad hoc per i telefonini online.
"Il 2007 è stato l'anno della svolta per l'adozione della banda larga mobile nel mondo consumer e che la televisione sta evolvendo da un'esperienza in broadcast verso una Tv personalizzata" ha dichiarato il presidente e Ceo di Ericsson Carl-Henric Svanberg.

Abbiamo fatto visita a Microsoft che tra le altre cose annunciava nuove aziende produttrici di telefonini che aderiscono al suo sistema operativo Windows Mobile, che - caso vuole - si e' tenuta proprio mentre le agenzie battevano la notizia del gran rifiuto di Yahoo! per la sua offerta di acquisto ostile.  Tra le altre, con Windows stanno due giganti asiatici come SamsungSony Ericsson.

Alla Research In Motion (Rim), riconosciuta universalmente con il marchio del suo telefonino Blackberry che offre l'email "push", tutti sfoderano il Pearl 8110, smartphone che punta ai "consumer" e non solo ai clienti "business" di questa azienda che ha fatto dello status-symbol il suo distintivo, con l'email comodamente sempre a portata di mano, ma solo per chi ha la fortuna di avere l'azienda che paga la bolletta, seppur non costi tanto: in Italia non si sa bene perche' la comodita' di avere la posta elettronica sul cellulare è considerata un privilegio da concedere solo alla crema della gerarchia aziendale. Che spesso non e' quella che ne ha piu' bisogno... Grande partner di Blackberry e' Vodafone, che per la sua piattaforma ha annunciato di aver attivato una partnership per lo sviluppo di nuovi servizi.
Delusi ma non sorpresi dall'assenza del tanto atteso Android di Google, presente solo sotto forma di prototipo negli stand di chi ha partecipato allo sviluppo della piattaforma,  uno dei pochi gadget davvero innovativi che abbiamo visto finora e' il nuovo Modu della start-up israeliana (lanciata dall'inventore del minidisk che ha venduto poi a Sandisk): il telefonino piu' piccolo al mondo, grande come la batteria di un telefonino o un iPod shuffle x intenderci, che si infila in diverse "jackets" (giaccche, un po' piu delle cover a cui siamo abituati) a prezzo contenuto che cambiano l'uso che fai del telefono o gli danno un look personalizzato. In Italia sara' commercializzato dal prossimo autunno da Tim.   
Tra le altre tendenze dell'anno ci sono i telefonini touch-screen, sull'onda dell'iPhone di Apple, mentre Motorola mostra il suo Z10 che ha un'ergonomia angolata interessante (è stato parzialmente sviluppato al centro ricerche di Torino). Ancora più interessante è l'impegno di Motorola nel Wi-Max, l'Internet a banda larga senza fili che in Italia è ancora in attesa dell'assegnazione delle licenze ma sta prendendo piede in tutto il mondo.
Mentre in questo mercato che punta ai giovani, emerge e si distingue l'austriaca Emporia con il suo telefonino "Life" per anziani (se over-50 si puo' gia' dirsi tali...): un oggetto molto basico con le scritte grandi e i tasti comodi. Decisamente caratteristiche sottovalutate, ma che con la popolazione europea che invecchia a vista d'occhio sono destinate a ritornare fondamentali.



  12 febbraio 2008