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La settimana sulla stampa
a cura di Fr.I.

Il cavaliere liberale ha abolito il mercato
Eugenio Scalfari su
la Repubblica

Alitalia e Air France

TEMPO fa, in uno dei miei articoli domenicali, citai una battuta di Petrolini raccontata da un suo scrupoloso biografo. La cito di nuovo perché si attaglia bene al caso presente. Il grande comico romano stava cantando la sua canzone intitolata "Gastone". Arrivato alla fine, uno spettatore del loggione fischiò sonoramente. Petrolini avanzò fino al bordo del palcoscenico, puntò il dito verso il fischiatore e nel silenzio generale disse: «Io nun ce l´ho co´ te ma co´ quelli che stanno intorno e che ancora nun t´hanno buttato de sotto». Seguì un piccolo parapiglia sopraffatto dagli applausi di tutto il teatro. Così si dovrebbe dire oggi a Berlusconi per il suo comportamento sull´Alitalia, oltre che per tante altre cose.
Pare che finalmente la Consob abbia acceso un faro su quel comportamento e così pure la Procura di Roma. Starebbero esaminando se nelle quotidiane esternazioni berlusconiane vi siano gli estremi del reato di "insider trading" e di turbativa del mercato.
Non voglio credere e non credo che il leader del centrodestra stia speculando in Borsa (altri certamente lo fanno e si saranno già arricchiti di parecchi milioni di euro) ma sulla turbativa di mercato non c´è da accender fari, basta affiancare ad ogni dichiarazione berlusconiana le oscillazioni del titolo Alitalia che sono dell´ordine di 30/40 punti all´insù o all´ingiù. In qualunque mercato del mondo Berlusconi sarebbe già stato chiamato a render conto di quanto dice; l´Agenzia che tutela le contrattazioni di Borsa lo avrebbe ammonito e multato, la magistratura inquirente l´avrebbe già messo sotto processo. Ma soprattutto gli elettori ne avrebbero ricavato un giudizio di inaffidabilità e di non credibilità definitivo.
Voglio sperare che gli elettori ancora incerti su chi votare l´abbiano a questo punto escluso dal loro ventaglio di possibilità.
Affidare il governo del paese per i prossimi cinque anni a un personaggio che non si fa scrupolo di turbare il mercato con false notizie riportate e diffuse da tutto il sistema mediatico è uno di quegli spettacoli che purtroppo squalificano un paese intero almeno quanto l´immondizia napoletana.
Eccellono in questa gara soprattutto le emittenti televisive, quelle private e quelle pubbliche; in particolare – dispiace dirlo – il Tg1 il quale riferisce in presa diretta le sortite del Cavaliere senza che vi sia una voce che ne sottolinei gli effetti sul listino borsistico. Il risultato è che Berlusconi resta in video per il doppio del tempo del suo principale avversario turbando non solo i mercati borsistici ma anche l´andamento del negoziato tra Air France e sindacati tra lo stupore di tutti gli operatori internazionali.
Venerdì sera l´annunciatrice del Tg1 delle ore 20 si è addirittura lasciata andare ad una critica contro la legge della "par condicio", da lei ritenuta incivile, senza spiegare perché in Italia esista una legge del genere, dovuta ad un vergognoso conflitto di interessi che fa capo al proprietario delle reti Mediaset. Legge che peraltro nessuna delle emittenti televisive rispetta a cominciare dal Tg1, già ufficialmente ammonito dall´Agenzia delle comunicazioni.
Evidentemente direttori e conduttori danno per scontata la vittoria elettorale del centrodestra e sanno anche che se l´esito fosse diverso il vincitore di centrosinistra si guarderebbe bene dal praticare vendette. Perciò tanto vale scommettere in anticipo senza rischiare nulla se non la reputazione. Ma chi si preoccupa della reputazione nell´Italia dei cannoli alla siciliana.
* * *
Domenica scorsa, occupandomi dell´Alitalia e della fantomatica cordata patriottica berlusconiana, scrissi che a mio avviso quella cordata ci sarà davvero se Berlusconi vincerà. Per lui è un punto d´onore e i mezzi per realizzare l´obiettivo ci sono. Li ho anche enumerati ed è stato proprio il leader del centrodestra a confermarlo quando ha detto appena ieri che dopo la sua sicura vittoria chiamerà uno ad uno gli imprenditori italiani per chiedere l´obolo di san Silvio e «voglio vedere chi non ci starà».
Ci staranno tutti, non c´è dubbio alcuno, «chinati erba che passa il vento». Ci staranno i capi delle società pubbliche a cominciare dall´Eni e da Finmeccanica, in attesa di riconferma o di nuova nomina; ci staranno i capi di imprese private concessionarie dello Stato, ci staranno le banche desiderose di benefici; ci staranno le imprese medie che hanno già o ambiscono di avere rapporti fluidi con l´uomo che dovrebbe governare l´Italia per altri cinque anni in attesa di volare per altri sette sul più alto Colle di Roma.
Il mercato? Chissenefrega del mercato, contano i rapporti tra affari e politica e il Berlusca è imbattibile su quel terreno: tu dai una cosa a me e io do una cosa a te. Il mercato di Berlusconi si configura così e non saranno certo un Tremonti o un Letta ad impedirglielo, anzi. Quanto a Fini non è neppure il caso di scomodarsi a chiedere: lui aspetta l´eredità ed è d´accordo su tutto, sebbene non sia ancora certo dell´esito d´una così lunga attesa.
Dunque la cordata patriottica ci sarà. Ma che tipo di cordata? L´obolo di san Silvio versato dagli imprenditori non è sufficiente, se supererà il miliardo sarà già molto, ma diciamo pure che arrivi a due o a tre. Per rilanciare Alitalia e insieme Malpensa e la Sea ce ne vogliono almeno altri otto. E in più ci vuole un "know-how" che non si improvvisa. Forse i tedeschi di Lufthansa? Forse gli americani del Tpg? Forse l´Aeroflot di Putin? Air One non è decentemente presentabile come vettore di due hub con pretese internazionali.
Dunque la cordata patriottica non sarebbe patriottica se non nei fiocchi che impacchettano il torrone. Il torrone sarebbe straniero. L´organizzazione sarebbe straniera. Gli esuberi sarebbero trattati dal gestore straniero, esattamente come sta accadendo in queste ore con Air France, ma con una variante in più: la pratica richiede tempo e il tempo non c´è. Per allungarlo ci vuole un aiuto di Stato, vietato dall´Ue in mancanza di garanzie bancabili. Se questa norma fosse violata saremmo denunciati alla Corte di giustizia europea e multati pesantemente.
Oppure si va, volutamente, al fallimento come anche ora si rischia di fare. Allora tutto diventa più facile perché il fallimento significa congelamento dei debiti e interruzione dei contratti di lavoro. I nuovi padroni decideranno a tempo debito quali di quei contratti rinnovare e quali no, ripartendo comunque da zero.
Dov´è la vittoria? Si sciolga la chioma e se la lasci tagliare. La prospettiva, diciamolo, non è esaltante.
* * *
Nella stessa giornata di ieri il Cavaliere si è manifestato anche a proposito del cosiddetto voto disgiunto e ha tirato in ballo sua eminenza il cardinal Ruini. Eminence, come dice la Littizzetto. È stata una pagina da manuale. Per chi se la fosse persa raccontiamola perché ne vale la pena. E cominciamo dal voto disgiunto. Che cosa significa? Perché è venuta fuori questa ipotesi?
Normalmente un elettore vota per lo stesso partito nella scheda della Camera e in quella del Senato, specie ora con una legge come l´attuale che non prevede preferenze ai candidati. Nella sua assoluta certezza di vincere le elezioni alla Camera, nell´animo di Berlusconi si è però insinuato il dubbio di pareggiare o addirittura di perdere al Senato (aggiungo tra parentesi che questa ipotesi corrisponde esattamente alla realtà). Perciò suggerisce agli elettori centristi il cosiddetto voto disgiunto: votino pure per Casini Udc alla Camera, ma al Senato no, al Senato votino per il Pdl in modo da evitare il pareggio.
Che c´entra Eminence in questo pasticcio? Il Cavaliere ce lo fa entrare, gli chiede pubblicamente di entrarci e gli fa pubblicamente presenti i vantaggi che avrà se eseguirà il mandato o invece i danni che può subire se rifiuterà di adoperarsi in favore.
Convinca Casini a incoraggiare o almeno a subire senza strilli il voto disgiunto. In cambio (è il Cavaliere che parla) avrà l´impegno del nuovo governo ad adottare tutti i provvedimenti chiesti dalla Chiesa in tema di coppie di fatto (mai), di procreazione assistita (abolirla), di eutanasia (quod deus avertat), di testamento biologico (come sopra), di aborto (moratoria e radicale riforma), di Corano nelle scuole (divieto), di insegnamento religioso (anche all´Università). Se c´è altro chiedetelo e "aperietur".
Ma se rifiuterà, tutto diventerà problematico. In fondo (molto in fondo) lo Stato è laico e bisogna pur tenerne conto. Se lo ricordi, sua Eminenza, e non creda che la partita si giochi sul velluto. Del resto il Papa ha pur battezzato Magdi Allam. E dunque il Cavaliere ne adotterà il programma e magari farà in modo di fargli affidare la direzione del "Corriere della Sera", purché gli elettori dell´Udc votino per Berlusconi al Senato.
Ha sentito, Eminenza?
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Una cosa risulta chiara: hanno ridotto la religione ad una partita di giro. Forse per la gerarchia ecclesiastica lo è sempre stata, per i cardinali e per molti vescovi. Ma non fino a questo punto. I credenti per primi dovrebbero esserne schifati e ribellarsi di fronte a questa vera e propria simonia. Gli opinionisti (esistono ancora?) dovrebbero spiegarla e indignarsene.
Ho un presentimento: il centrosinistra vincerà sia alla Camera sia al Senato. Fino a pochi giorni fa pensavo il contrario, che non ce l´avrebbe fatta. Ebbene ho cambiato idea. Ce la fa. Con avversari di questo livello non si può perdere. Gli elettori cominciano a capirlo. Io sono pronto a scommetterci.


Fascismo senza antifascismo
Moni Ovadia su
l'Unità del 29 marzo

stragi italiane

Questa mattina a Dergano, nell'hinterland milanese verrà piantato un albero in memoria di Giovanni Pesce, il leggendario partigiano comandante dei GAP (gruppi di azione patriottica) e combattente delle Brigate Internazionali in Spagna. Io, insieme ad altri, ci sarò, perché sono antifascista, perché sento il dovere irrinunciabile di onorare la memoria di un combattente per la libertà e perché a mio parere in Italia come in Europa non è possibile dichiararsi autenticamente democratici senza assumere l'eredità della Resistenza antifascista.
Devo dare a questa mia adesione un tono perentorio e non equivoco perché la destra italiana con ogni strumento di comunicazione disponibile si ingegna per confinare ad un solo episodio le responsabilità del regime: "le leggi razziali".
Questa operazione non vede impegnati solo gli eredi del fascismo, ma pur se in buona fede e senza gli intenti strumentali di costoro rischiano di favorire un gioco perverso e sinistro anche importanti e meritevoli istituzioni che lavorano nel campo della memoria dello sterminio degli ebrei.

Il crimine del fascismo non può essere ridotto solo alle sole leggi razziali. Le leggi razziali furono la conseguenza dell'efferatezza del fascismo, non furono solo un eccesso, una "svista", una perdita di controllo. Il fascismo italiano fu una brutale dittatura, liberticida e guerrafondaia, fu un regime colonialista violento che si macchiò di crimini di guerra contro popolazioni inermi. Dimentichiamo troppo spesso che dietro la frusta e retorica cortina del topos "italiani brava gente", i fascisti italiani si macchiarono di atrocità inenarrabili. Come possiamo dimenticare le stragi nelle ex colonie d'Africa, il genocidio dei Libici - si calcola ne siano stati uccisi 1 su 8 - le pulizie etniche nei territori della ex Jugoslavia, i Campi di concentramento -valga il Campo di Arbe per tutti - dove venne deliberatamente causata la morte per stenti e torture di migliaia di prigionieri? Le documentazioni dei crimini commessi dal fascismo italiano sono innumerevoli, raccolte meticolosamente per dovere di giustizia e di memoria, dagli Istituti per la Resistenza dei vari paesi che subirono le violenze, dagli storici, dalle Università, dai Tribunali.

Etiopia, Jugoslavia e Grecia richiesero l'estradizione di 1200 criminali di guerra italiani - i più attivamente ricercati furono Pietro Badoglio, Mario Roatta e Rodolfo Graziani - che non furono mai consegnati alla Giustizia né pertanto processati. Se l'orrore delle leggi razziali, della shoah, vengono espunte dal contesto generale dei crimini fascisti, se l'universalità delle vittime e la solidarietà fra esse viene meno, l'immenso calvario ebraico si stempererà in una istituzionalizzazione senza fine che diverrà ricettacolo ideale delle false coscienze e di tutti i più ipocriti mea culpa. Il pericolo di una tale deriva è reale e si avvicina a grande velocità a misura che i testimoni diretti ci lasciano. Il compito delle seconde e terze generazioni è quello di tenere vivo lo spirito dell'antifascismo come strumento di lotta contro ogni discriminazione, violenza e sopraffazione di oggi e di domani.


Nel 2011 Milano avrà il suo museo di arte contemporanea
Serena Danna su
Il Sole 24 Ore

Museo di Arte Contemporanea

Il Museo di Arte Contemporanea di Milano, presentato oggi alla Triennale, ha tre anni di tempo per passare dalla carta alla città. La sfida, infatti, è che diventi realtà, entro giugno 2011. Il progetto, che porta la firma dell'architetto statunitense Daniel Libeskind (pensato e disegnato in meno di due mesi), sorgerà nel contestato quartiere CityLife, l'area del polo storico della Fiera, occupando, proprio al centro del parco, una superficie di 18 mila metri quadri circa. E la sorpresa è sul tetto: la terrazza dell'edificio di cinque piani ospiterà, infatti, un orto: «L'idea, ha detto Libeskind, è quella di portare la natura a Milano».
Il museo, che costerà alla cordata di Ligresti&Co. quaranta milioni di euro (il doppio della cifra prevista per il Museo di design poi dirottato sulla Triennale), ha tutte le caratteristiche tipiche dei progetti "archistar": recupera un concetto nobile del passato (in questo caso, la sezione aurea di Leonardo), rilancia l'idea di museo come cuore pulsante della città (tipica dei grandi centri culturali degli ultimi anni dal Guggenheim di New York e Bilbao al Centre Pompidou di Parigi), e - strizzando l'occhio alle nuove issues ecologiche - punta tutto sulla sostenibilità dell'operazione.
«Mi sono chiesto, ha affermato l'architetto, come riportare nel XXI secolo l'idea rinascimentale dell'uomo al centro dell'universo. Da qui, ho lavorato sulla torsione del quadrato e del cerchio che arriva fino al Duomo», e ne riprende il materiale, il marmo di Candoglia. «Una forma organica con i quattro angoli che rappresentano le stagioni e che ha all'interno uno spazio fluido pronto a essere vissuto a pieno dal pubblico». Il sindaco Letizia Moratti, entusiasta del progetto e ansiosa di riuscire nella sua sfida contro il tempo, afferma che il museo è tagliato sulla città: «Ha le caratteristiche di Milano», ha detto. In effetti, un museo dotato di grande parcheggio sotterraneo, centro relax e benessere (in una sola parola, Spa) e ristorante extra lusso sembra perfetto per l'anima fashion del capoluogo lombardo.

Certo, in una città come Milano non si può non tenere conto delle numerose realtà private che sono esplose proprio in assenza di un centro di arte contemporanea in grado di convogliare risorse e professionalità. Anche perché è proprio grazie a quelle fondazioni e gallerie se il capoluogo lombardo può vantare oggi un mercato dell'arte in grado di competere con New York e Londra.


Khaled che fece il Kamikaze
Robert Fisk su
l'Unità

kamikaze strage su un bus in Israele

Khaled mi guardava con un largo sorriso. Era quasi sul punto di scoppiare a ridere. Ad un certo punto, quando gli ho detto che doveva abbandonare ogni idea di diventare un attentatore suicida - e che avrebbe potuto esercitare una maggiore influenza sulla sua gente facendo il giornalista - ha rovesciato la testa all'indietro e mi ha lanciato un ghigno, come di chi è stanco della vita già a meno di venti anni. «Tu hai la tua missione», mi ha detto. «Io ho la mia». Le sue sorelle lo guardavano con soggezione. Era il loro eroe, il loro amanuense e il loro maestro, il loro rappresentante e il loro aspirante martire.
Era molto bello, giovane - appena 18 anni - indossava una t-shirt nera Giorgio Armani, aveva la barba molto curata da conquistador spagnolo, i capelli con il gel. Ed era pronto ad immolarsi.
Una sorpresa sinistra. Ero andato a casa di Khaled per parlare con sua madre. Avevo già scritto un libro su suo fratello Hassan e volevo presentare alla famiglia un mio collega giornalista canadese, Nelofer Pazira. Quando Khaled è apparso sul portico, Nelofer ed io abbiamo immediatamente - e simultaneamente - capito che sarebbe stato il prossimo a morire, il prossimo "martire". Ce lo diceva il suo sorriso. Avevo già incontrato questi giovani prima d'allora, ma mai il loro destino mi era apparso evidente come in questo caso.
La sua famiglia si è seduta intorno a noi sulla veranda della loro casa da cui si dominava la città libanese di Sidone. Il salotto era pieno di foto a colori di Hassan che era già andato in paradiso - cosi mi hanno garantito - quello stesso paradiso al quale Khaled era certo di essere destinato. Hassan si era schiantato con la sua autobomba contro un convoglio militare americano a Tal Afar nel nord-ovest dell'Iraq, il suo corpo, o quel che ne restava, era stato sepolto sul posto - o per lo meno questo avevano detto alla madre.
In Libano è facile trovare le famiglie di coloro che sono appena morti. I loro nomi vengono letti dai minareti delle moschee di Sidone (per lo più sono palestinesi) e a Tripoli, nel nord del Libano, il movimento sunnita “Tawhid” si vanta di annoverare centinaia di suicidi tra i suoi sostenitori....
Ciò che sorprende - e di cui non parlano gli americani né il governo iracheno o le autorità britanniche e nemmeno molti giornalisti - è la dimensione di questa offensiva suicida, l'enorme numero di giovani (solo raramente donne) che volontariamente pongono fine alla loro vita in mezzo ai convogli americani, dinanzi alle stazioni di polizia irachene, nei mercati, nei paraggi delle moschee, nelle strade commerciali e in strade isolate e vicino a remoti posti di blocco, nelle grandi città e nei vasti deserti dell'Iraq. Non è mai stato calcolato il numero vero di questa campagna stupefacente e senza precedenti di auto-distruzione... In Iraq si sono fatti saltare in aria 1.121 attentatori suicidi musulmani... È forse questo il più spaventoso e mostruoso lascito dell'invasione dell'Iraq voluta da George Bush cinque anni fa. Gli attentatori suicidi hanno ucciso in Iraq almeno 13.000 uomini, donne e bambini - la stima più prudente parla di 13.132 vittime - e ne hanno feriti almeno 16.112.

Un fenomeno di attentatori suicidi di queste dimensioni è senza precedenti nel mondo arabo. Durante l'occupazione israeliana del Libano, dopo il 1982, un attentato suicida al mese ad opera di Hezbollah era considerato un fatto straordinario. Durante la prima e la seconda Intifada palestinese, negli anni 80 e 90, quattro attentati suicidi al mese erano considerati un fatto senza precedenti. Ma in Iraq gli attentatori suicidi hanno colpito al ritmo di due ogni tre giorni dall'invasione anglo-americana nel 2003...
Studiosi e politici dibattono da tempo sulle motivazioni degli attentatori, sull'identikit psicologico degli uomini e delle donne che con estremo sangue freddo decidono di giustiziare delle persone sacrificando la loro vita. E di fatto sono giustizieri, assassini che vedono le loro vittime - siano essi soldati o civili - prima di far detonare l'esplosivo di cui sono imbottiti. Molto tempo fa gli israeliani sono giunti alla conclusione che non era possibile tracciare il profilo “perfetto” dell'attentatore suicida e, alla luce della mia esperienza in Libano, la penso allo stesso modo...

Ma c'è una spiegazione razionale dietro al fenomeno degli attentati suicidi in Iraq? I primi casi si sono verificati quando le truppe americane avanzavano alla volta di Baghdad. Vicino alla città sciita di Nassirya, un poliziotto iracheno fuori servizio, il sergente Ali Jaffar Moussa Hamadi al-Nomani, lanciò la sua autobomba contro un posto di blocco dei Marines americani. Sposato con cinque figli, aveva combattuto nella guerra Iran-Iraq del 1980-88 e si era arruolato come volontario per combattere contro gli americani dopo che Saddam aveva occupato il Kuwait. Non molto tempo dopo due donne sciite lo emularono.
Persino il governo, ormai morente, di Saddam Hussein ne rimase sconvolto...
Durante i cinque anni di guerra gli attentatori suicidi sin sono concentrati più sulle forze di sicurezza irachene addestrate dagli americani che sulle truppe americane. Almeno 365 attentati sono stati eseguiti con successo contro poliziotti o agenti paramilitari iracheni. Tra gli obiettivi almeno 147 stazioni di polizia (1.577 morti), 43 centri di reclutamento dell'esercito e della polizia (939 morti), 91 posti di blocco (con almeno 564 vittime), 92 pattuglie delle forze di sicurezza (465 morti) ed inoltre scorte, convogli con ministri del governo iracheno ecc. Uno dei centri di reclutamento - nel centro di Baghdad - è stato fatto oggetto di attentati suicidi in otto diverse occasioni.
Invece gli attentatori suicidi hanno attaccato solamente 24 basi americane, facendo 100 vittime americane e 15 irachene, e 43 pattuglie e posti di blocco americani uccidendo 116 soldati americani e almeno 56 civili, 15 dei quali probabilmente colpiti dai soldati americani che avevano aperto il fuoco, e 26 bambini che si trovavano accanto alla pattuglia americana.

Gli attentatori suicidi che si ispiravano ad Al Qaeda attaccavano con deliberato intento provocatorio le moschee sciite, ma anche i mercati e gli ospedali frequentati dai musulmani sciiti. Quasi tutti i 600 iracheni uccisi dagli attentatori suicidi nel mese di maggio 2005 era sciiti. Dopo la parziale demolizione della moschea sciita di Samarra, il 22 febbraio 2006, iniziò per gli attentatori suicidi dell'Iraq una vera e propria “guerra delle moschee”. Fu fatta saltare in aria una moschea sunnita con il bilancio di nove morti e dozzine di feriti e nella stessa settimana gli attentatori suicidi colpirono due moschee sciite. Ai primi di luglio del 2006 sette attentatori suicidi si fecero saltare in aria in moschee sunnite e sciite uccidendo 51 persone. Nello stesso periodo un attentatore suicida fu autore del primo attentato contro un gruppo di pellegrini sciiti che venivano dall'Iran.
Gli attentati suicidi non risparmiarono nemmeno i funerali delle vittime sciite di altri attentati e le feste di matrimonio. Tra gli obiettivi anche le università e i centri commerciali e le vittime erano per lo più sciite. Tuttavia nel corso dell'ultimo anno un crescente numero di leader tribali fedeli agli americani - tra cui Sattar Abu Risha, che ha incontrato pubblicamente il presidente Bush il 13 settembre 2007 ed ex insorti che si sono uniti alle milizie anti-Al Qaeda pagate dagli americani - sono stati oggetto di attentati ad opera di attentatori suicidi sunniti.

Si dubita che le due attentatrici suicide che si sono fatte saltare in aria in un mercato di uccelli all'inizio dell'anno fossero realmente due giovani mentalmente ritardate come sostenuto dal governo. Il fatto che le autorità non dispongono di informazioni affidabili è provato in maniera esemplare da due dichiarazioni contraddittorie rilasciate dagli americani e dai loro protetti iracheni nel marzo dell'anno scorso. Mentre David Satterfield, consigliere per l'Iraq della Segretaria di Stato Condoleezza Rice, affermava che il 90% degli attentatori viene dalla Siria, il primo ministro dell'Iraq, Nouri al-Maliki, annunciava che la maggior parte degli attentatori suicidi viene dall'Arabia Saudita - un altro Paese che confina con l'Iraq.

E' sempre difficile risalire alle motivazioni delle stragi. Chi ricorda ora che l'attentato suicida che ha fatto il maggior numero di vittime - 516 morti e 525 feriti - ha avuto luogo in due remoti villaggi della regione di Kahtaniya, in Iraq, abitati da Yazidi? Sembra che una ragazza Yazidi si fosse innamorata di un sunnita e che la sua stessa gente avesse punito la sua "offesa contro l'onore" lapidandola. Gli assassini venivano probabilmente dalla comunità sunnita. E quindi uno dei lasciti più drammatici della presidenza Bush in Iraq rimane anche il più misterioso: il matrimonio tra nazionalismo e ferocia a sfondo religioso, la nascita di un esercito enorme e senza precedenti di musulmani attirati dall'idea della morte e del sacrificio.
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© The Independent
Traduzione di Carlo Antonio Biscotto


Il Codice dei Beni culturali
Una svolta storica se si pensa ai tanti ecomostri che hanno deturpato la penisola
Si introducono un sistema di garanzie e una gerarchia di valori e di competenze
Giovanni Valentini su
la Repubblica

ecomostro

ROMA - È passato quasi un secolo da quando Benedetto Croce, ministro della Pubblica Istruzione nell´ultimo governo Giolitti, presentò il 25 settembre del 1920 la prima legge sul paesaggio, approvata poi due anni più tardi. E nel frattempo, il Belpaese ha dovuto subire abusi edilizi, scempi e saccheggi che ne hanno deturpato la fisionomia. Ma ora finalmente l´Italia ha un nuovo Codice dei Beni culturali e del Paesaggio, promosso dal ministro Francesco Rutelli, predisposto da una commissione di esperti sotto la guida del professor Salvatore Settis e infine ratificato ieri dal Consiglio dei ministri agli sgoccioli della legislatura. Una svolta che si può considerare storica, se si pensa ai tanti ecomostri ed ecomostriciattoli che intanto hanno deturpato la Penisola; un successo dell´ambientalismo più costruttivo e delle associazioni più responsabili, con in testa il Fai (Fondo per l´ambiente italiano) presieduto da Giulia Maria Crespi.
Già Croce nel '20, come si legge nella sua stessa relazione, intendeva porre "un argine alle ingiustificate devastazioni che si van consumando contro le caratteristiche più note e più amate del nostro suolo". E con l´autorevolezza del filosofo e dello storico, spiegava che il paesaggio "altro non è che la rappresentazione materiale e visibile della patria, con i suoi caratteri fisici particolari quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli". Sfrondata dalla retorica dell´epoca, la definizione regge ancora oggi e sostanzialmente è proprio quella che adesso il Codice recepisce e consacra.
Prima di arrivare all´approvazione definitiva del testo, è stato necessario un confronto serrato fra il governo e le Regioni, a tratti un braccio di ferro, per raggiungere un punto d´equilibrio ragionevole e soddisfacente. Ma questo, fuori da qualsiasi compromesso al ribasso, accresce ora l´importanza e il valore del Codice perché ne fa un "corpus" giuridico condiviso dall´amministrazione centrale e locale. Un patto Stato-Regioni, insomma, contro un malinteso federalismo e una "devolution" selvaggia, in forza del quale lo Stato si riappropria della sua potestà esclusiva sul paesaggio e nel contempo le Regioni rivendicano la propria autonomia nell´ambito delle rispettive competenze territoriali, secondo la Convenzione europea di Firenze sottoscritta nel 2000 e diventata legge nazionale nel 2006.
Fondato sull´articolo 9 della nostra Costituzione, in cui si sancisce al primo comma che "la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica" e al secondo comma che "tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione", il Codice Rutelli può essere l´inizio di una rifondazione ecologica del Paese, la prima pietra di una "nuova Italia", più ordinata e civile. È stata un´importante sentenza della stessa Corte costituzionale a ribadire, nell´ottobre 2007, che la tutela paesaggistica costituisce un valore primario e assoluto, come paradigma dell´identità nazionale. Da qui, dunque, un limite istituzionale all´esercizio dei poteri attribuiti agli enti locali, in quella che gli "sherpa" ai quali si deve la mediazione decisiva preferiscono definire una "competizione virtuosa".
Sono due i punti più qualificanti del Codice: uno riguarda la disciplina dei rapporti Stato-Regioni in questo campo e l´altro il meccanismo di sub-delega ai Comuni. Viene introdotto così un sistema di garanzie che stabilisce una gerarchia di valori e di competenze, prevedendo una pianificazione congiunta fra Stato e Regioni. L´amministrazione centrale emana le "prescrizioni d´uso" a cui i piani regionali devono attenersi e fino a quando queste non vengono rispettate il parere delle Sovrintendenze è vincolante. Poi, resta comunque obbligatorio e in caso di controversie è ammessa anche la possibilità di ricorso da parte delle associazioni ambientaliste.




Assegni, libretti al portatore, contanti:
dal 30 aprile si cambia
Nicoletta Cottone su
Il Sole 24 Ore

assegno

Assegni, libretti al portatore, contanti, dal 30 aprile cambia tutto. Una piccola rivoluzione per le abitudini dei clienti: arriva una stretta sugli assegni, si limita l'uso del contante, si riduce il saldo dei libretti al portatore.

Assegni. La prima distinzione riguarda gli assegni liberi da quelli non trasferibili. L'assegno superiore a 5mila euro dovrà essere sempre non trasferibile e indicare il nome e la ragione sociale del beneficiario. Tutti i nuovi libretti bancari che saranno distribuiti dopo il 30 aprile avranno la clausola «non trasferibile» già inserita. Scoraggiato, poi, l'uso degli assegni liberi, che hanno due vincoli: non possono essere emessi per un importo superiore a 5mila euro e hanno una limitazione nella capacità di circolare (il girante deve sempre apporre il suo codice fiscale).

Per avere assegni liberi, senza la clausola «non trasferibile» occorre fare un richiesta scritta alla banca. Richiesta che comporta il pagamento di una somma di 1,50 euro per ciascun assegno, dovuta a titolo di imposta di bollo.

Gli assegni in nostro possesso potranno essere utilizzati fino al loro esaurimento: per importi pari o superiori a 5mila euro andrà, però, indicata la clausola "non trasferibile", accanto al nome o alla ragione sociale del beneficiario. Assegni emessi prima del 30 giugno possono essere regolarmente incassati. Gli assegni emessi con la dicitura «a me medesimo» vengono considerati come non trasferibili, dunque, possono solo essere incassati in banca o alla Posta, ma non girati ad altri. Le stesse regole valgono per assegni circolari, vaglia postali e cambiari.

L'uso non corretto degli assegni (per esempio la dimenticanza della dicitura non trasferibile su un assegno superiore ai 5mila euro) comporta sanzioni amministrative pecuniarie che possono arrivare al 40% dell'importo trasferito. La mancanza del codice fiscale del girante comporta la nullità delle girate e, dunque, l'impossibilità di incassare l'assegno.

Libretti al portatore. Per i libretti al portatore dal 30 aprile non sarà più possibile aprirne di importo pari o superiore a 5mila euro. Chi possiede libretti al portatore di importo pari o superiore a 5mila euro deve regolarizzarli entro il 30 giugno 2009 estinguendoli, prelevando la somma eccedente o trasformandoli in libretti nominativi. Dal 30 aprile, poi, se cediamo un libretto al portatore abbiamo 30 giorni di tempo per comunicare alla banca i dati identificativi della persona a cui lo cediamo. A partire dal 30 aprile 2008 a chi non rispetta le regole sul saldo dell'importo di un libretto al portatore può essere applicata una sanzione dal 20 al 40% del saldo. Chi non regolarizza il saldo dei libretti entro il 30 giugno 2009 o dimentica di indicare a chi ha ceduto il libretto rischia una sanzione dal 10 al 20% del saldo del libretto.

Contanti. Dal 30 aprile 2008 il limite massimo per effettuare trasferimento di contanti scende da 12.500 a 5mila euro.

Tutte misure, dunque, che mirano a disincentivare l'uso del contante, visto che alla fine del 2006 le transazioni regolate non in contante erano 62 per abitante in Italia, contro le 150 registrate nell'Eurosistema e il 90% delle transazioni commerciali avviene in contanti.


   30 marzo 2008