prima pagina pagina precedente indice



La settimana sulla stampa
a cura di Fr.I.

Io, quel ragazzo che sognava Israele
Elie Wiesel su
la Repubblica

Gerusalemme a

Per il bambino ebreo che è in me, Israele rappresenta un irresistibile richiamo alla speranza, e Gerusalemme un potente canto d´amore.
Quando, in Romania, passeggiavo per le strade della mia piccola città appollaiata sui Carpazi, spesso mi immaginavo in qualche luogo della Giudea, seduto su una panca ad ascoltare un Maestro mentre spiegava il mistero delle parole, la forza delle memorie, l´umana sete di miracoli. Con mio nonno, fervente hasid, parlavo in yiddish. Gli piaceva molto insegnarmi i canti hasidici, e più ancora vedermi immerso nello studio di un trattato talmudico. Il suo sogno era di vivere abbastanza a lungo per vederci tutti riuniti in Terra Santa, e lì accogliere il Messia. In realtà, io sognavo il Messia assai più di uno Stato politico ebraico. Poi è successo quello che è successo.
Dov´ero il 14 maggio 1944? Ancora nel ghetto. Avevo 15 anni. Il primo trasporto verso l´ignoto, organizzato in fretta, si stava preparando a partire, o era appena partito.
Per noi il destino portava la maschera della Morte, di cui il nemico aveva fatto il proprio Salvatore. 14 maggio 1948. Parigi. Israele stava per nascere. Già da tre anni vivevo da apolide in Francia. Da Buchenwald, nel 1945, ero stato liberato dall´esercito americano; un ufficiale mi aveva chiesto dove volevo essere rimpatriato. Come la maggior parte dei miei amici, avevo risposto di voler andare in Palestina; ma a quei tempi il mandato britannico sull´immigrazione ci aveva chiuso le porte. Alla fine, grazie ai francesi dell´Ose, una benemerita organizzazione ebraica di soccorso all´infanzia, fummo accolti in 400 dalla Francia.
Mi ricordo. È un venerdì. Le radio di tutto il mondo trasmettono la voce di David Ben Gurion, che legge la Dichiarazione d´Indipendenza del nuovo Stato ebraico. La sera vado alla sinagoga. Esultanza. Gente sconosciuta che condivide gli stessi sentimenti. Ma è proprio vero? Uno Stato ebraico? A soli tre anni dalla più tremenda catastrofe della nostra storia?
Il pensiero va a mio nonno: lui, molto più di me, avrebbe meritato di vivere questo momento glorioso. Penso a mio padre, a mia madre…trascinati via dal vortice di fuoco e cenere. Devo dire per loro, nel Kaddish dei defunti, parole di gratitudine per il nuovo Stato ebraico? Questo momento fulgido può davvero essere la risposta ai tormenti della nostra Notte? Israele come risarcimento per Auschwitz? Non ricordo con precisione cosa pensai in quel momento, ma spero di aver respinto già allora queste teorie. Che sono crudeli, semplicistiche, assurde. E soprattutto senza alcun valore.

Gerusalemme b

Dopo 2000 anni di travagli, di vite vissute peregrinando da un esilio all´altro, queste vittime della propria debolezza l´avevano infine superata, erano diventati gli autori della propria autodeterminazione, acquistando così un inaspettato potere. Il neonato Stato sovrano era disposto a vivere entro gli stretti confini tracciati dal piano di spartizione delle Nazioni Unite. Ma poi quella giovane nazione, che mancava di armi e di un apparato militare strutturato, fu aggredita non da uno, ma da cinque Paesi arabi bene armati.
A quei tempi non avevo ancora una chiara coscienza del fatto che nella vita degli uomini e in quella delle nazioni, il sogno di uno può trasformarsi in un istante nell´incubo degli altri. Io non ho problemi con nessuna religione. Ma aborrisco i fanatici di qualsiasi religione. I terroristi suicidi, che respirano l´odio e praticano il culto della morte, sono una piaga per tutte le nazioni. E considero i loro capi responsabili di tutto l´orrore che scatenano.
Naturalmente, so bene che gli stessi interrogativi valgono anche nei confronti dei leader israeliani. Dopo anni e anni di sangue, hanno colto ogni possibile opportunità per porre fine al conflitto?

Gerusalemme c

Ovviamente - al pari di molti ebrei che vivono nella diaspora - sento il bisogno di aiutare Israele a rompere, a superare l´isolamento in cui cercano spesso di rinchiuderlo le «nazioni del mondo», per usare un´espressione talmudica. Molti di noi, parlando di Israele, si sentono tenuti a elevare il dibattito a un livello superiore.
Ma questo comporta forse il silenzio sugli uomini, le donne e i bambini palestinesi - soprattutto i bambini che vivono nella miseria, nella paura e nell´afflizione, e ne incolpano Israele? Certamente no. Io so che il governo di Israele, e la maggioranza dei suoi cittadini, pensano che se una soluzione esiste è quella di due Stati disposti a vivere fianco a fianco, optando per la pace. Verso la metà degli anni ´70 pubblicai una lettera a un giovane arabo palestinese. Gli dicevo che in quanto uomo e in quanto ebreo, potevo comprenderlo meglio di chiunque altro. Comprendevo la sua sofferenza, e anche la sua rabbia. Gli dicevo di essere pronto a cercare di aiutarlo a costruire sulle rovine, così come noi ebrei abbiamo fatto tante volte e sempre di nuovo. La differenza è che nell´affrontare le NOSTRE sfide, noi non abbiamo mai scelto la violenza. Se dovessi riscrivere oggi quella lettera, aggiungerei che se lui rinunciasse alla sua tattica - la violenza assoluta del terrorismo suicida - io non esiterei, al pari di molti altri, a schierarmi dalla sua parte. Ma come posso sostenere un uomo, o un gruppo, che predica o semplicemente tollera una dottrina il cui scopo dichiarato è l´annientamento di una comunità di sei milioni di ebrei che vivono nella terra dei loro avi, e dei miei?


Gerusalemme d

© 2008 (Distribuito da The New York Times Syndicate)
Traduzione di Elisabetta Horvat


Lavoro Killer
Ritmi infernali. Subappalti selvaggi. Incidenti nascosti. Norme di sicurezza ignorata. Così al Nord-est le imprese mettono a rischio la vita degli operai. Dalle multinazionali all'industria di Stato
Fabrizio Gatti su
L'espresso

prevenzione infortuni a
prevenzione infortuni

Quando le fabbriche si sfidano, bisogna obbedire e vincere. Gli operai muoiono anche così. Vittime collaterali di gare decise da manager con l'ansia di prestazione. Prendete il comunicato interno dell'Alcoa di Marghera, lo stabilimento veneziano della multinazionale americana dell'alluminio. È il messaggio finale, dopo 30 giorni con i nervi a fior di pelle. Titolo: "Diario di bordo - ultimo atto". Scrive un alto dirigente: "Vittoria! Abbiamo ottenuto il nostro primo obiettivo, da un mese sognavo di poter intitolare così il pezzo dell'ultimo giorno di competizione. Si tratta di una vittoria nostra prima di tutto perché abbiamo fatto un mese da incorniciare, e questo fa bene a noi e al nostro business: 0 infortuni, 7.919 tonnellate, 264 tonnellate al giorno... Record assoluto di tutti i tempi".

prevenzione infortuni b
foto Franco Isman
È una gara tra laminatoi, lanciati come camion sull'autostrada. Lo stabilimento veneto si piazza terzo fra tutti gli impianti Alcoa nel mondo. Solo che gli autisti di camion che corrono troppo vengono fermati dalla polizia. Non i manager di una multinazionale. Così va l'Italia della produzione senza limiti. Così va Marghera, fucina simbolo del Nord-est, tre morti e un operaio sfigurato dall'acido solforico in sette giorni, contributo locale al bollettino nazionale di 123 vittime del lavoro, 123 mila 494 feriti e 3.087 invalidi da inizio 2008.

È lunedì 2 luglio, l'estate scorsa, quando il dirigente scrive tutto questo. Giovedì 5 luglio i manager ne parlano ancora. Lo stabilimento continua a filare come una macchina da corsa. Centra obiettivi come una corazzata nel pieno della battaglia.

Quel giovedì i passi di Mauro Calzavara, 46 anni, di San Donà di Piave, operaio del reparto collaudo, e la folle galoppata di Alcoa si incrociano. Dieci anni fa, raccontano i suoi colleghi chiedendo l'anonimato, le bobine di alluminio passavano per sicurezza all'esterno. Oggi, per guadagnare qualche minuto, i rotoli a 200 gradi vengono fatti raffreddare nei capannoni, in spazi ristretti: "Con tempi da Formula uno". In dieci anni la produzione non è cambiata: 80 mila tonnellate di alluminio all'anno. Ma è quasi raddoppiata la produttività degli operai: perché da 980 dipendenti l'Alcoa di Marghera è scesa a 530.

Quel giovedì, appena tre giorni dopo la fine della gara, Mauro Calzavara, operaio e sindacalista della Uil, cade travolto da una bobina di alluminio rovente e viene schiacciato dal carrello che la sta trasportando. Nello stabilimento di Marghera è il secondo dipendente ucciso in un anno e mezzo. Quasi allo stesso modo. Ma per l'inchiesta non c'è nessuna relazione tra la morte del sindacalista e la corsa tra laminatoi organizzata dai dirigenti. Della gara di produzione sparata sul filo delle 11 tonnellate di alluminio all'ora semplicemente non si parla.

Gli imprenditori del Nord-est sanno trovare una ragione a tutto


Gli schiavi delle 'Smart' cinesi
Viaggio nelle fabbriche lager
Si lavora senza nessun tipo di protezione in capannoni senza riscaldamento a contatto diretto con veleni di ogni tipo per turni di 12-15 ore al giorno.
Vincenzo Borgomeo su
la Repubblica

smart a smart b

Il viaggio fra gli schiavi cinesi che costruiscono le copie della Smart supera l'immaginazione: si lavora a temperature vicino agli zero gradi, in capannoni senza riscaldamento, senza guanti, senza mascherina, senza nessun tipo di protezione a contatto diretto con veleni di ogni tipo. I turni sono di 12-15 ore al giorno e non si fanno distinzioni fra giovani, vecchi o donne. Tutti, in ogni caso, dormono ammassati su letti a castello in fabbrica.

Di fabbriche clandestine che copiano senza pudore la Smart in Cina ce ne sono una ventina. Tutte piccole e tutte piene di schiavi-operai che senza nessuna preparazione (il mestiere lo hanno imparato sul campo) lavorano per un pugno di monete con rischi di ogni genere. La paga? Secondo Zhang Yinshun, direttore vendite della "Shandong Xin Ming Glass Fibre Manufacture Co. Ltd" l'equivalente di 180 euro al mese.

Ma si tratta, evidentemente, di una balla: in Cina chi monta un iPod riceve uno stipendio di 40 euro e anche se il "manager" si appresta a dire che "la paga è molto alta perché questo è un lavoro pericoloso che altrimenti non farebbe nessuno", è impossibile credergli

In fatto di stipendi il discorso è relativo: noi europei non siamo da meno visto che anche nell'Europa dell'Est i "nostri" operai ricevono stipendi da fame. Ossia 380 euro al mese per i polacchi che costruiscono una Fiat 500, 270 per gli slovacchi che assembrano Toyota Aygò, Peugeot 107, Citroen C1 o la nuova Renault Twingo e appena 166 euro per gli ungheresi che fanno nascere la Opel Agila e la Suzuki Splash. Ma questo è un altro discorso: qui ci sono controlli di sicurezza, straordinari e condizioni di lavoro moderne. In Cina no.

E il discorso va oltre: al comparire delle prime auto cinesi ci siamo subito preoccupati delle prove di crash (che i costruttori hanno aggirato immatricolando i propri Suv come veicoli commerciali) ma a giudicare da queste foto ci sono evidenti problemi di affidabilità: nelle immagini si vedono impianti elettrici avvitati sulla carrozzerie di vetroresina con lo stesso criterio con cui si mettono i fili di luci sugli alberi di Natale, connessioni fatte con nastro adesivo e saldature approssimative: una macchina del genere probabilmente è sicurissima: fra guasti e noie tecniche è condannata a rimanere quasi sempre ferma...

Certo, è bene non generalizzare: una cosa sono i piccoli costruttori che copiano le Smart, altra la China Brilliance, la Great Wall e altri "big" dell'auto cinese. Ma a questo punto vorremmo vedere le foto dei loro stabilimenti visto che fino a oggi nessun giornalista è mai stato ammesso ai reparti produzione...

GALLERIA FOTOGRAFICA



"Io, Harry Potter e la solitudine dello scrittore"
intervista a Joanne Rowling su
la Repubblica

Harry Potter

EDIMBURGO - Joanne Rowling, Jo per gli amici, ha lo stesso sguardo, esterrefatto e felice, di Harry Potter, il suo personaggio immaginario. Scrisse il primo libro per necessità, e poi continuò a scrivere, fino al libro numero sette (uscito in Italia a gennaio), senza guardarsi intorno, senza concentrarsi sull´enorme quantità di «pottermaniaci», bambini, ragazzi, adulti, che hanno fatto di questo gigantesco libro di magia e realtà forse il più grande best seller della storia. Harry Potter è il suo eroe; lo ha salvato e gli ha lasciato uno strascico emozionante: lo ha abbandonato ma non può vivere senza di lui. «È mio», dice. Il suo altro eroe è Bob Kennedy. Ce lo ha detto a Edimburgo, dove vive da anni.

Il suo aspetto è quello di una persona che un tempo era sola, terrorizzata, e scrisse un libro – come fece Juan Rulfo con Pedro Páramo – per salvarsi. A volte, nelle sue interviste, ha parlato di un altro grande solitario, Francis Scott Fitzgerald. Ci è sembrato opportuno cominciare da qui per parlare con lei della solitudine e della morte, e della malinconia, che sono i temi dominanti dell´ultimo periodo di Harry Potter, forse il suo alter ego.

È curioso: a volte in Harry Potter, soprattutto negli ultimi libri, c´è una certa dose di malinconia e di solitudine, che ricordano Fiztgerald.
«Indubbiamente. È la malinconia che nasce da un dolore». (...)
Lei parla della morte. Nel sesto e nel settimo libro di Harry Potter, la morte compare non soltanto come parola o pensiero, ma come una possibilità, un´evidenza e una realtà.
«Il piano è sempre stato quello, di far comparire la morte. Da quando era bambino fino al capitolo 34 del settimo libro, Harry ha dovuto essere maturo, nel senso di essere obbligato a dare per scontata l´inevitabilità della propria morte».
Quel capitolo 34 ricorda l´inizio di Cent´anni di solitudine di García Márquez.
«È molto lusinghiero».
È un libro sulla morte, e ovviamente sulla solitudine, come il suo… Il personaggio di Cent´anni di solitudine accompagna il nonno a vedere il ghiaccio, e lei conduce Harry a far visita alla morte.
«Per me, questo capitolo è la chiave di tutti i libri. Tutto, tutto quello che ho scritto è stato pensato per quel momento preciso in cui Harry si addentra nel bosco. È il capitolo che avevo pianificato per diciassette anni. Questo momento è il cuore di tutti i libri. E per me è il vero finale della storia. Sebbene Harry sopravviva, di questo non ho mai avuto dubbi, raggiunge quello stato unico ed estremamente raro che consiste nell´accettare la propria morte. Quante persone hanno la possibilità di accettare la propria morte prima di morire?»
(...)
Lei dice che i suoi libri bisogna leggerli dai sette anni in su.
«Be´, mia figlia maggiore aveva sei anni quando iniziò a leggerli. Ho sempre saputo dove andava con i libri. Per cui sì, penso che un bambino di sei anni possa capire il primo libro [Harry Potter e la pietra filosofale], anche se il finale è abbastanza cupo. Non tanto quanto il finale del secondo libro, ma ho sempre saputo che quando sarebbe arrivata al terzo, al quarto, al quinto… sarebbero morti personaggi che erano molto cari. Il quinto libro è il più cupo di tutti, perché c´è un´assenza di speranza, c´è un´atmosfera oppressiva. E credo che sia per questo che la gente non l´ha tanto amato. Ci sono lettori che preferiscono questo libro a tutti gli altri, ma sono un´eccentrica minoranza. Il quinto, il sesto e l´ultimo non credo che siano adatti per un bambino di sei anni».

La letteratura salva la gente o aiuta a salvarsi. Che ha effetto avuto su di lei lo scrivere?
«Le dirò una cosa. Se anche il primo libro non fosse stato pubblicato, il solo fatto di scriverlo mi ha salvato la vita. Mi dicono sempre che il mondo che ho inventato è irreale: fu proprio questo che mi servì per evadere. Sì, è vero, è irreale da un certo punto di vista. Ma non perché il mio mondo fosse magico, ma perché tutti gli scrittori evadono. Io, inoltre, non lo facevo solo per evadere, ma perché cercavo di avere le idee più chiare su certe questioni che mi preoccupavano. Questioni come l´amore, la perdita, la separazione, la morte… E tutto questo è rispecchiato nel primo libro». (...)
Come fu il giorno in cui le dissero che avrebbero pubblicato il suo primo libro?
«Vidi il mio sogno diventare realtà. Fu un momento straordinario. Non ci credevo, ero estasiata. E quasi immediatamente sentii come se un treno mi stesse spingendo da dietro a tutta velocità, come in un cartone animato. Pensai: "Che mi è successo?". Tre mesi più tardi ricevetti un anticipo astronomico, secondo i miei standard di allora. Deve tener conto che io all´epoca vivevo in un appartamento in affitto, non avevamo né assicurazione né risparmi. Tutti e due indossavamo abiti usati. Sa, i soldi scarseggiavano e avere improvvisamente quel denaro [105.000 dollari, n.d.r.] fu straordinario. Quella notte non riuscii a dormire. Passai la notte intera a camminare da un lato all´altro dell´appartamento. Ricordo vividamente che metà della mia testa diceva: "Ti puoi comprare una casa, ora ti puoi comprare una casa!", e l´altra metà diceva: "Non riuscirò a farlo, è impossibile"». (...)
Lei è Harry Potter. E lei stessa lo dice: «Harry è mio». Ha sempre saputo come sarebbe finito? Ha sempre saputo che sarebbero stati sette libri?
«Ho sempre saputo come sarebbe finito. Fin dal principio avevo tutta la trama già abbozzata, senza i dettagli, ma ho sempre saputo che la sua storia sarebbe finita. E così è stato, anche se molti appassionati sono scontentissimi. Non c´è modo di far risorgere la storia di Harry. Il mondo che ho creato rende possibile l´esistenza di altri libri, ma solo dirlo mi rende nervosa, perché sento che fino a quando morirò la gente mi continuerà a domandare: quando uscirà il prossimo libro? Ma la storia di Harry è finita. E ho sempre voluto che fosse così. Terminarlo è stato molto difficile. Anzi, è stato devastante». (...)
Copyright El País
Traduzione di Fabio Galimberti


Camilleri e le regole del romanzo
Come invento un personaggio
Andrea Camilleri sul
Corriere della Sera

Camilleri

Come si costruisce il personaggio di un romanzo?
Non so come facciano gli altri scrittori, dato che non ho nessuna frequentazione con loro, quindi la mia risposta sarà necessariamente circoscritta al mio personale modo di scrivere.
Se ho bisogno, a un certo momento della narrazione, di far incontrare, per esempio, il protagonista con una ragazza giovane, questo nuovo personaggio comincio a costruirmelo a parte. Prima di tutto, sentendolo parlare, vale a dire scrivendo su di un foglio le parole che secondo me usa di più, alcune sue frasi che possono anche non avere alcuna attinenza col romanzo, gli intercalari, le pause. Non mi rifaccio mai a persone realmente esistenti e conosciute.
Naturalmente, faccio diversi tentativi e finisco con lo scegliere quello che ritengo il più adatto, anche in base all'importanza maggiore o minore che questa giovane donna avrà nello sviluppo della vicenda.
Solo a questo punto, quando so come parla, riesco a vederla, se è bionda o bruna, come veste, se è esile oppure bene in carne, come ride, come piange, come cammina.
Insomma, desumo tutto dalle sue parole. Credo che questo modo d'inventare un personaggio derivi dalla mia lunga frequentazione con testi teatrali. Quando ritengo che il personaggio sia pronto, vale a dire che posso vederlo gironzolare nel mio studio, lo introduco nel romanzo, lo metto a contatto col protagonista.
Spesso però mi capita che quel primo incontro tra i due mi costringa a delle modifiche non sostanziali, a delle piccole correzioni del linguaggio del personaggio nuovo. Nel confronto col linguaggio del protagonista, già sperimentato e collaudato in pagine e pagine, quello nuovo finisce col risultare o non bene messo a fuoco o troppo schematico, o scopertamente funzionale. Allora faccio un'accorta operazione di definizione, di ulteriore personalizzazione, riscrivendo più e più volte quel dialogo fino a quando non sento, se non di avere ottenuto ciò che avevo in mente, almeno di essermici avvicinato abbastanza.

Pubblichiamo il brano scritto da Andrea Camilleri per il libro «Manuale di scrittura creativa» di Roberto Cotroneo (Castelvecchi editore, pagine 224, e 18). Il volume, che sarà in libreria da domani, contiene interventi anche di Stas' Gawronski, Roberto Gilodi e Piergiorgio Nicolazzini. Roberto Cotroneo dirige la Scuola Superiore di Giornalismo della Luiss di Roma e ha tenuto corsi di scrittura creativa. Attualmente è editorialista de «l'Unità».



il libretto rosso
Federico Rampini su
la Repubblica

Di pochi libri si può dire davvero, a decenni di distanza, che hanno segnato un´epoca. Questo ha tentato di cambiare il mondo e c´è quasi riuscito. Ha impresso il suo colore rosso sugli anni Sessanta e Settanta: in Cina, nei campus universitari occidentali, nelle rivoluzioni del Terzo mondo. E´ il secondo best-seller di tutti i tempi dopo la Bibbia. Si dice che in quarant´anni sia stato diffuso in cinque miliardi di esemplari. Nel solo 1967, all´apice della Rivoluzione culturale, ne vengono stampati e diffusi 350 milioni di esemplari. In quell´anno le Citazioni hanno già sprigionato tutta la loro potenza d´indottrinamento delle masse. A partire dal 16 agosto 1966 la cerchia dei fedelissimi di Mao comincia a lanciare appelli pubblici perché gli studenti affluiscano da tutto il paese verso la capitale. Si apre la nuova fase della rivoluzione comunista. Il Grande Timoniere che ha fondato la Repubblica popolare nel 1949 vuole liberarsi degli avversari interni e delle fazioni moderate. Scatena la rivolta dal basso contro gli apparati burocratici del partito, il «bombardamento del quartier generale». Saltando ogni intermediazione, scavalcando la nomenklatura, il popolo deve venire direttamente a contatto con il leader carismatico. Tra l´agosto e il novembre del '66, a ondate successive, sulla Piazza Tienanmen di Pechino si rovesciano adunate oceaniche per osannare il leader. Il sinologo Ross Terrill ricorda la bellezza coreografica di quelle maree umane, l´effetto scenico speciale che derivava proprio dal movimento di centinaia di migliaia di braccia che sventolavano verso il cielo il Libretto: «Agitate in aria, tutte quelle copertine rosse facevano apparire la Piazza Tienanmen come una prateria piena di farfalle».
Via via che il culto di Mao assume connotati sempre più prossimi a una religione, i poteri soprannaturali del Grande Timoniere si estendono al piccolo florilegio dei suoi pensieri. Il reporter britannico Philip Short che visse in Cina in quegli anni ricorda che al Libretto rosso vennero attribuiti veri e propri miracoli. «Alcuni giornali riferirono che dei medici armati delle Citazioni avevano guarito i ciechi e i sordomuti; che un paralitico appoggiandosi sul Libretto si era messo a camminare; che in un altro caso l´apparizione di quelle pagine coi pensieri di Mao aveva resuscitato un morto».
Il vero miracolo di questo Libretto rosso fu un altro, avvenne nei salotti e nelle assemblee studentesche dei nostri paesi: l´innamoramento di certe élites borghesi dell´Occidente per il maoismo lo trasfigurò in un testo prezioso e arcano, perfino esoterico. Raffinati intellettuali europei si esercitarono in una esegesi colta, per disvelare in ogni aforisma significati sempre più profondi, visioni lungimiranti a cui avrebbero dovuto ispirarsi le nostre società, che a quell´epoca erano ben più sviluppate della Cina. Era il mondo a rovescio. Nell´ebbrezza del maoismo occidentale un potente allucinogeno era rappresentato dalla convinzione che l´esperimento cinese fosse irriducibilmente diverso dagli altri socialismi realizzati, in particolare dal modello sovietico. Una rivoluzione dal basso, più democratica, più genuina, più spontanea. Una società dove comandavano davvero le masse, non gli apparati di partito.

È istruttivo rileggere oggi l´Introduzione con cui la casa editrice Einaudi pubblicò in Italia la raccolta Rivoluzione e costruzione, con i testi di Mao dal 1949 al 1957. Pur uscendo nel 1979, quindi tre anni dopo la morte del leader cinese e quando molte verità scomode su di lui stavano affiorando perfino a Pechino, il testo italiano era ancora segnato da una tale venerazione, che arrivava a negare l´evidenza e il significato letterale delle parole: «Il lettore non deve essere tratto in inganno dal fatto che anche Mao usi qui, come farà del resto anche negli anni successivi, una terminologia in parte identica a quella impiegata a quel tempo nel «campo socialista». Espressioni come «centralismo democratico», «direzione del partito», «dittatura del proletariato», «economia pianificata», sono un guscio che racchiude una sostanza diversa e quasi sempre antitetica a quella di altri socialismi». In quel fascino irradiato urbi et orbi traspare la grandezza di Mao, e una delle ragioni per cui è ancora venerato dai cinesi, a cui restituì la fierezza e l´orgoglio di una potenza. Perfino Confucio e le sue dottrine non si esportarono così diffusamente.
Per illuminare le attrazioni del maoismo nella sua stagione più radicale, Zhu Xueqin evoca un parallelismo con la Rivoluzione francese. Zhu è docente universitario e fa parte della generazione dei «figli di Mao». «Molte Guardie rosse - dice - studiarono la Rivoluzione francese. I giacobini ispirarono il loro idealismo utopico. L´esempio della crudeltà giacobina e della violenza rivoluzionaria in Francia fu importante per tutti coloro che pensavano che il vecchio ordine costituito si potesse schiacciare solo con la forza. Più gli studenti erano idealisti, più erano disposti ad accettare la violenza».

Il bilancio complessivo delle vittime della Rivoluzione culturale? Solo nelle campagne muoiono per le violenze e le esecuzioni sommarie tra i 750.000 e il milione e mezzo di persone, a seconda delle stime.
Come simbolo di un decennio da dimenticare molto in fretta, senza fare i conti con le cause e le responsabilità di quell´orrore, il Libretto rosso viene scomunicato tre anni dopo la morte di Mao. Nel 1979 sotto la leadership di Deng Xiaoping una direttiva interna del partito informa i quadri che le Citazioni «hanno avuto un´influenza vasta e negativa». Oggi lo si trova in vendita, in tutte le lingue, nelle bancarelle di souvenir e paccottiglia per turisti.


Osservando gli stormi di uccelli si può capire la Borsa e la politica
Si chiama econofisica, la disciplina che cerca di capire se le leggi della fisica siano utilizzabili per capire fenomeni di natura diversa.
Fabio Marzano su la Repubblica
http://www.repubblica.it/2008/02/sezioni/scienza_e_tecnologia/stormi-studio/stormi-studio/stormi-studio.html

stormi a stormi b

OSSERVARE gli stormi in volo per prevedere l'andamento dei mercati o i risultati delle elezioni. Non è la riesumazione di qualche antica tecnica di divinazione, ma l'econofisica. A metà tra il birdwatching e la teoria dei giochi, è una nuova disciplina che cerca di capire se le leggi della fisica siano utilizzabili per comprendere fenomeni di natura diversa, come quelli biologici o finanziari. Ma non solo: si passa da batteri e automobili fino ai cosiddetti fenomeni di panico, al clapping (applausi) e, più in generale, a tutti i sistemi di comportamento sociale collettivo, dalle elezioni alla dinamica dei prezzi.

L'organizzazione degli stormi, flocking in inglese, non sarebbe così diversa da quella delle operazioni di borsa o dai flussi di particelle, come dimostrano i primi risultati del progetto Starflags presentati il 15 gennaio a Roma.

A partire dallo scorso ottobre, dal tetto del Museo di Storia Romana in zona Termini, due ricercatori del Cnr hanno fotografato quasi ogni giorno stormi di oltre 3000 esemplari. Per l'indagine sono state usate immagini stereoscopiche elaborate con tecniche ispirate ai metodi della fisica statistica. Fotogramma dopo fotogramma è stata così ricostruita la posizione tridimensionale dei singoli uccelli. E i ricercatori hanno scoperto che le dinamiche degli stormi sono simili a quelle che ricorrono nelle turbolenze atmosferiche, per esempio, ma anche nel corpo umano, nelle società di insetti e nelle bolle speculative.


  amore
  amore
"Sino ad ora le teorie proposte non erano mai state direttamente verificate, mentre noi abbiamo raccolto dati in grado di mostrare ciò che accade effettivamente", spiega Andrea Cavagna dell'INFM, coordinatore dell'equipe che ha lavorato sul campo. Il cielo di Roma, soprattutto vicino alla stazione centrale, è uno dei migliori punti in Italia per riprendere il passaggio del popolo migratore. "Quando vengono attaccati da un predatore, per esempio, si disperdono e si ricompattano in tempi molto rapidi, ma il gruppo non segue un leader o un capo", prosegue il ricercatore del Cnr. "Al contrario ogni uccello tende a imitare il volo di un numero limitato di individui, circa 7, in modo del tutto indipendente dalla distanza". Aggiunge lo studioso: "E' un fenomeno che accade anche nei mercati finanziari dove gli operatori sono orientati a fare quello che fanno gli altri, e chi si isola muore. In questo caso, anche se sembra paradossale, il disordine, cioè la mancanza di una guida, è l'elemento che porta equilibrio".

Un meccanismo identico a quello del ranking dei siti internet sui motori di ricerca, e che presiede anche le formiche in fila, che non seguono una pista tracciata dalla regina ma l'odore emesso dalle loro compagne quando trovano del cibo. Così come nel sistema immunitario, i globuli bianchi vanno alla caccia dei batteri in maniera coordinata e sistematica, senza avere un "generale" che organizzi il piano di azione. Craig Reynolds, un ricercatore della Sony computer, ha persino sviluppato un modello informatico sul volo degli stormi che oggi viene applicato nelle analisi della viabilità automobilistica.


   2 marzo 2008