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Il Giorno della Memoria
a cura di G.C.



2008, il Giorno della Memoria in Italia
Redazione de
la Repubblica

Il 27 gennaio 1945, verso mezzogiorno, la prima pattuglia alleata giunse in vista del lager di Auschwitz. Il mondo seppe di una verità che ancora ferisce e grida l'orrore dell'Olocausto. Con una legge pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000 la Repubblica italiana, come altri stati europei, riconosce il 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, come "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte e affinché simili eventi non possano mai più ripetersi. Dal 27 gennaio 2001, data della liberazione di Auschwitz, tutta l'Italia si riunisce intorno alla Memoria dell'Olocausto. Incontri, seminari e eventi mediatici si svolgeranno per tutta la giornata. Il Convegno internazionale su "L'antisemitismo e i moderni crimini contro l'umanità", in programma domani e lunedì 28 a Palazzo Barberini, rappresenta il culmine delle manifestazioni, svoltesi anche in settimana, per il Giorno della Memoria. Un incontro organizzato dal ministero dei beni culturali e dalla presidenza del consiglio che sarà aperto domani sera, a cui parteciperanno Romano Prodi, Francesco Rutelli e dal presidente dell'Unione delle comunità ebraiche (Ucei) Renzo Gattegna. L'intera settimana - accompagnata da una forte programmazione tv e radio, sia pubblica sia privata - è stata comunque caratterizzata da una serie di manifestazioni e di cerimonie, quasi tutte all'insegna di un doppio anniversario che si è intersecato con il Giorno della memoria: il 60/mo della Costituzione e il 70/mo delle Leggi Razziali del novembre del 1938. E proprio questi due temi sono stati, tra l'altro, al centro del discorso del presidente Napolitano al Quirinale - nella manifestazione in onore dei 'Giusti tra le Nazioni' - il 24 gennaio scorso quando ha affermato:"Noi non abbiamo dimenticato e non dimenticheremo mai la Shoah. Non dimentichiamo gli orrori dell'antisemitismo, che è ancora presente in alcune dottrine, e va contrastato qualunque forma assuma". Così come la cerimonia nella Risiera di San Sabba a Trieste, nell'unico campo di sterminio in territorio italiano, dove il ministro della pubblica istruzione Fioroni ha sottolineato "la vergogna" e "le scuse" per le Leggi Razziali. Per domani sono moltissime le manifestazioni programmate in tutta Italia. Anche il Carnevale di Acireale dedicherà attenzione alla Memoria, e la trasmissione di Rai Uno "Domenica In" tutta la puntata.
Ecco il calendario delle principali città.
ROMA: Casa della memoria: proiezione del film 'La strada di Levi'; presentazione del film documentario 'La deportazione e l'internamento dei militari italiani nei Lager nazistì; 'Pedalando nella memoria', in ricordo di Settimia Spizzichino una delle pochissime ebree romane tornate da Auschwitz. Centro studi Cappella Orsini, 'La promessa della casa in ordine, Cultura e consenso nell'Italia fascistà. Casa del Cinema: documentario di History Channel 'Fuga da Auschwitz'.
GENOVA: Palazzo Ducale: Cerimonia commemorativa con Anna Foa.
MILANO: Museo di storia contemporanea, presentazione della mostra 'Dal Lager.Disegni di Lodovico Belgiojoso'; Conservatorio Verdi, Concerto per la Memoria.
FIRENZE: Università, Laurea Honoris Causa alLo scrittore David Grossman; Palazzo Medici Riccardi, convegno in onore di Alberto Nirenstajn; Teatro Goldoni, concerto del violinista Yehezkel Yerushalmi.
TORINO: Al Cimitero monumentale dalle 9.30, preghiera di commemorazione dei caduti e omaggio alla lapide in memoria degli Ebrei, al cippo ex Internati e a quello della Deportazione. Un momento di raccoglimento e le celebrazioni proseguiranno, alle ore 11, in Sala Rossa, dove il sindaco Sergio Chiamparino riceverà il presidente regionale dell'associazione ex internati, Pensiero Acutis, e il presidente della Comunità Ebraica, Tullio Levi.

Anche l'Unesco ricorderà il Giorno della memoria: il 28 gennaio a Parigi il direttore generale, Koïchiro Matsuura, commemorerà le vittime della Shoah alla presenza di Isaac Herzog, Ministro israeliano per gli Affari sociali e il Welfare e Ministro per la Diaspora e la Lotta contro l'antisemitismo, di Xavier Darcos, Ministro francese dell'Educazione e Simone Veil, Presidentessa onoraria della Fondazione per la Memoria della Shoah.

Il 28 gennaio per celebrare il Giorno della Memoria Il Sole 24 ORE, in collaborazione con l'associazione 'Figli della Shoah', la Fondazione Memoriale della Shoah e il Conservatorio di Musica 'G. Verdi' di Milano, trasmetterà in diretta web la testimonianza di Liliana Segre, sopravvissuta all'orrore di Auschwitz, e a seguire il concerto degli allievi del Conservatorio.
Sarà possibile seguire in diretta l'intero evento, trasmesso dalla sala "G.Verdi" del Conservatorio di Milano, collegandosi al sito de Il Sole 24 ORE a partire dalle ore 10.30.
La diretta web dell'evento del 28 gennaio, a cui parteciperanno le scolaresche che si saranno iscritte, permetterà a tutti gli altri studenti di collegarsi dalle proprie scuole per seguire la testimonianza della Sig.ra Segre, ambasciatrice nel mondo della memoria della Shoah.


Per salvare gli ebrei offrì vino ai tedeschi. Lo fucilarono.
Fabio Isman su
Il Messaggero


C'e' il partigiano che, nottetempo, fa ubriacare i soldati tedeschi, per aprire un varco nella rete alla frontiera con la Svizzera e far passare un gruppo d'ebrei (anche Valeria Ancona di Milano, che verrà a ricordarlo): ne manda di là a centinaia, finché salva un ex prigioniero inglese; viene perquisito, ha addosso le prove del contatto, lo fucilano. Un altro, teneva i rapporti tra gl'internati in Svizzera e le loro famiglie: è anch'egli nella Resistenza, e finisce a Mauthausen. Un terzo, ne fa espatriare alcuni di Milano; aiuta anche degli ebrei cecoslovacchi; porta in Svizzera un capitano, che da Praga doveva raggiungere il suo comando, a Londra; organizza la fuga di un apolide della Transilvania, prelevandolo in ospedale quando già stavano per arrestarlo, e consegnandolo a dei conoscenti, che, ha detto il salvato, "per otto ore m'hanno portato in montagna dentro una gerla, finché non mi hanno consegnato alle autorità elvetiche". Martedì, due giorni dopo quello della Memoria, davanti a Carlo Azeglio Ciampi, ex Presidente della Repubblica, al presidente del Senato Franco Marini, al generale Cosimo D'Arrigo che comanda la Guardia di Finanza, l'Ambasciatore d'Israele in Italia, Gideon Meir, consegnerà sei medaglie di Giusto tra le Nazioni a dei famigliari di finanzieri, per ciò che hanno fatto durante la guerra. I Giusti, l'unica onorificenza attribuita da Israele, sono i non ebrei che, disinteressatamente, hanno salvato qualcuno dalla Shoà: finora, 417 in Italia, e 21.758 nel mondo.
La Guardia di Finanza ha svolto un'indagine storica: per anni, un suo nucleo di sette persone, guidato dai generali Corrado Dimartina e Luciano Luciani e dal tenente Gerardo Severino, ha scandagliato tra antichi documenti, e raccolto testimonianze; anche in tutt'Europa e perfino in Canadà. Ha così ricostruito pagine assai nobili e quasi ignote, che ha raccontato in un libro di Luciani e Severino, Gli aiuti ai profughi ebrei e ai perseguitati: il ruolo della Guardia di Finanza, 1943-45, di cui è apparsa una nuova edizione. Due protagonisti, il maresciallo Luigi Cortile, morto in Lager, e il finanziere scelto Salvatore Corrias, fucilato, avevano già ricevuto la medaglia d'oro; degli altri, quasi nulla si sapeva. "Il periodo era poco studiato anche da noi" dice il generale Luciani; "c'è pure un capitano che fa espatriare 300 ebrei slavi, internati all'Aprica; però, nonostante un appello su Shalom, non abbiamo ancora trovato testimoni a riscontro", dice Severino, che dirige il Museo storico del Corpo, presieduto da Luciani. "Sul confine, all'epoca c'era un nostro presidio ogni due chilometri; poi, i nazisti li hanno fatti arretrare di 10, e sostituiti con la Milizia".
Il finanziere Giulio Massarelli, di Terni, è quello che salva l'ebreo apolide, nell'ospedale di Busto Arsizio, nel Varesotto; è nella Resistenza, “Divisione Alfredo Di Dio”; partecipa all'insurrezione di Milano; prima, però, mette al sicuro, all'estero, numerosi antifascisti ed ebrei; anche "Giacomo De Benedetti con la moglie, Nora Pugliese", di Milano. Del tenente Giuseppe Pollo, inserito nel Cnl di Venezia, già si sapeva qualcosa; ma non che avesse sempre informato alcuni ebrei veneziani, quand'erano in pericolo, e nascosto in casa Aldo Temin con il cugino Adolfo Hanau, scampato da un eccidio di 11 persone, a Ferrara, per una rappresaglia; non l'aveva raccontato neppure alla moglie, e lei, ormai vedova, fino a poco tempo fa lo ignorava. Anche il maggiore Raffaello Tani e la moglie Jolanda Salvi, a Roma, ospitano un ebreo: così, Renzo Ajò, si salva dalla deportazione del 16 ottobre 1943; poi, il maggiore "penetrò nella mia abitazione", ha spiegato a suo tempo Ajò stesso, "posta sotto controllo dall'ambasciata germanica; recuperò tutti i miei averi, biancheria, vestiario, argenteria: li conservò e me li ha poi restituiti senza compenso alcuno". Il figlio di Ajò se ne ricorda ancora, e martedì ci sarà.
Infine, il tenente Giorgio Cevoli, napoletano, comandante a Gironico, sopra Como, e mandato a reggere anche la tenenza di Chiavenna (Sondrio) quando il comandante e il vice erano stati arrestati dai tedeschi, perché partigiani. Partigiano lo era anche Cevoli: a Milano parteciperà alla Liberazione. Prima, però, salva Bruno Ditz, ebreo milanese, giurando al comandante tedesco di Chiavenna, forse sul proprio onore di ufficiale, che lo conosceva bene, ed era un “puro ariano”. Forte della sua conoscenza del tedesco, fa liberare altri due finanzieri, accusati di espatri clandestini e pronti ad essere deportati, dal carcere di San Vittore. Disobbedisce all'ordine di consegnare ai tedeschi un'ebrea, fermata al confine. Salva poi Mario e Bice Finzi, ebrei triestini: li va a prendere dov'erano rifugiati, ma ormai in pericolo; li fa passare per suoi zii; con tanto d'attendente al seguito, li porta a Gironico; cede loro il proprio appartamento e va a stare in caserma; li frequenta assiduamente: anche quando Mario Finzi è ricoverato in ospedale. Alla loro figlia, Clara Finzi, aveva già fornito un falso documento: così trasformandola in “Anna Marini”, quando un'altra identità fittizia (una conoscente di Monza, Carla Molteni, le aveva prestato le proprie generalità) era divenuta pericolante, a causa d'una verifica compiuta in Brianza. Umberto Isman, il marito di “Anna”, allora era “l'ingegner Umberto Salvi”. Quando sono nato, un mese prima che la guerra finisse, io mi chiamavo “Fabio Marini”. Grazie per sempre.


Shoah, le foto dell'orrore
Furio Colombo su
l'Unità

Quando sfoglierete con disorientamento e disagio le pagine di Album Auschwitz (pp. 255, euro 35,00, Einaudi) e vedrete le migliaia di fotografie scrupolosamente eseguite e raccolte all'arrivo dei deportati al binario finale di Auschwitz-Birkenau, ricorderete la terribile e semplice definizione di Anna Arendt per tutto questo orrore e questa immensa e bene organizzata quantità di dolore: La banalità del male.
Temo che persino le parole di Anna Arendt siano insufficienti o addirittura inadatte. Ciò che si vede in queste immagini intollerabili e indimenticabili è la normalità.
Non la normalità delle immagini che testimoniano di una immensa e scrupolosa e implacabile rete organizzativa, di una perfetta macchina burocratica capace di portare sistematicamente alla morte lungo un percorso di umiliazione, spogliazione, separazione, offesa, dolore.
No, "la normalità" la constatate con agghiacciante chiarezza, fotografia dopo fotografia. Manca ogni sentimento umano ma anche ogni vibrazione emotiva di qualunque tipo (persino l'odio è assente) dalla parte di chi ha scattato accuratamente, professionalmente, con scrupolosa qualità, le fotografie.
È da questa parte dell'obiettivo, quello del funzionario o del soldato fotografo, che si sente, si vive la vera portata della tragedia. Noi diciamo "comportamento mostruoso". Ma, in realtà, parliamo della pacata e bene organizzata "normalità" di un tempo che è troppo vicino a noi per non sconvolgerci.
"Sconvolgimento" (nel senso di repulsione ma anche di radicale incapacità di comprendere, al modo in cui si "comprendono" anche le peggiori pagine della storia) vuol dire rendersi conto che tutto ciò è avvenuto qui, in Europa, nel cuore caldo di una cultura alta e unica generata da tutti, patrimonio di tutti, che all'improvviso si è spaccata mostrando una spietata e tranquilla lama di morte. Con essa una parte della cultura del mondo si è messa di buona lena a organizzare lo sterminio di un'altra parte di se stessa.
Il fremito di disorientamento, disagi e - diciamo pure - con il tipo di ansia che ha in se il seme nero dell'angoscia, scatta con questa domanda che non ti fai ad alta voce, non la formuli neppure ma ti porti dentro: se le radici del male non sono bestialità o sussulto disumano, ma accurato progetto disegnato "fra noi", dentro la nostra cultura comune, che cosa ci dice che guerra, sconfitta e chiusura dei due ripugnanti regimi - nazista e fascista - abbia estirpato la radice del male, e ripulito (garantito) il futuro? Più guardi queste foto più le vedi "normali", scattate da persone normali, buoni professionisti con un occhio attento anche ai piccoli cenni e gesti e modi quotidiani di vita, tanto che alcune immagini hanno un che di intimo e le persone fotografate mentre arrivano, ancora con i loro vestiti e i loro bambini, al binario della morte, erano certo vicini di vita e vicini di casa, di diploma, di scuola.
Ecco la domanda che pulsa sgradevole e contro ogni desiderio di guardare soltanto il passato.
Dove, come, quando, sono state tagliate le radici del male, se chi ha scattato le migliaia di immagini semplici, quotidiane, insopportabili dell'Album Auschwitz non era che un cittadino come noi, una persona al lavoro, medio- colta, con una buona coscienza civica e delle leggi, buona condotta, famiglia regolare, probabilmente amata, e quasi sempre una chiesa da frequentare?
C'è un punto di appoggio o di certezza che ci aiuti a uscire da questo incubo freddo, che non è l'attesa ossessiva di un ritorno ma una nuova spaccatura omicida, in un tempo che potrebbe essere questo o il prossimo tempo? C'è stato un confine-barriera, un confine-muro, e, se si, dove passa, in che modo ci protegge?
***
Le fotografie di Album Auschwitz sono state organizzate lungo un percorso che forse era lo stesso scrupolosamente seguito dalla efficiente burocrazia al lavoro. Al principio, se non fosse così evidente la presenza di militari armati (ma non speciali unità assassine, solo regolari soldati di un grande paese civile), se non fosse così sorprendente la presenza sui binari di vagoni bestiame e carri merce, le scene potrebbero essere quelle di una folla ordinata di uomini, donne, bambini nel corso di un trasferimento che è eccezionale solo per la quantità di persone, soprattutto famiglie.
Le persone sono intatte negli abiti, nei volti, nei gesti, nello stare accanto o nello scostarsi, più con incertezza che con paura. Certo, c'è qualcosa di strano, sui cappotti o le giacche degli uomini, o i vestiti delle signore o gli abiti dei bambini: la stella che - noi sappiamo - era gialla, ma in queste foto in bianco e nero è soltanto molto visibile. Si capisce che indossarla e mostrarla è già da tempo un fatto quotidiano.
Più avanti si nota che soldati e ufficiali devono avere un progetto, ma alcune immagini li ritraggono in conversazione con i viaggiatori. Improvvisamente, fra i gruppi di "viaggiatori" e le fila di militari, compare, di schiena, l'immagine incongrua, sul momento inspiegabile, di un uomo con la divisa a righe dei prigionieri. Da quel momento accade qualcosa che trasforma in una sorta di misteriosa emergenza che prima sembrava una strana, indecifrabile attesa. La folla viene messa in movimento. E se osserviamo bene le foto notiamo, dopo alcune immagini in cui tutto appare mischiato (soldati e civili, adulti e bambini, uomini e donne) ma nell'atto di seguire istruzioni, che le fotografie, sempre nitide, sempre scrupolosamente eseguite, ci mostrano solo uomini e ragazzi, solo donne e bambini, in gruppi separati. Intanto i volti si fanno segnati, gli abiti logori, le teste rasate, i bambini da soli. E poi, sempre attentamente osservate dagli obiettivi di fotografi bravi e professionali, le figure di uomini con le divise a righe, di donne con la camicia da prigioniere, di bambini con i loro fagotti. I fotografi non chiudono gli occhi, non hanno secondi pensieri, fanno il loro lavoro e basta. La testimonianza terribile di Album Auschwitz è questa.
I mandanti sono stati dichiarati dal mondo criminali, il loro regime di morte e di sterminio è stato rovesciato, i loro bunker espugnati, il mondo liberato.
Ci sono i nostalgici, ci sono i negazionisti, ci sono gli infatuati del "dimenticare per riprendere la strada insieme". Ci sono coloro che sono preoccupati di inondarci di storie e notizie su come, a volte, sono stati trattati male i pochi carnefici identificati.
Eppure non è in quella direzione che punta l'ansia. Negazionisti, nostalgici e rivisitatori del passato sono tenuti a bada da documenti come questi e dalla intelligenza del mondo.

I più sono ancora in giro. Sono un mondo intatto che serve con attenzione il bene o il male senza mettersi di traverso e non fanno caso al segno disturbante e provocatorio della stella gialla su tutti quegli esseri umani, vicini di casa, di lavoro, di vita. È un'ansia fastidiosa, ma è meglio tenerla viva. Ci aiuterà a distinguere il momento in cui non si può e non si deve tacere, proprio mentre tutti taceranno.


Treno per Auschwiz, la memoria sui binari
Ambra Craighero sul
Corriere della Sera


CRACOVIA (Polonia) – I vagoni sono accoglienti e riscaldati. E ognuno, a bordo, ha il suo posto a sedere. Nulla a che vedere con i carri bestiame che negli anni bui delle leggi razziali e del conflitto mondiale hanno trasportato centinaia di migliaia di ebrei e di dissidenti politici dall'Italia ai campi di concentramento e di sterminio della Polonia. Ma il viaggio che 600 ragazzi hanno compiuto da Carpi a Cracovia ha ripercorso lo stesso itinerario di allora. E lungo il tragitto ha fatto tornare la mente alla tragedia delle deportazioni di massa e dell'olocausto.
I TRENI PER AUSHWITZ - Un viaggio della memoria nel Giorno della memoria (la commemorazione di quei tragici eventi che nel 2000 è diventata un appuntamento istituzionale), per non dimenticare e per tramandare, a settant'anni dall'entrata in vigore dei famigerati "Provvedimenti per la difesa della razza", il ricordo di quanto avvenne in un'Italia e in un'Europa che ai giovani d'oggi possono apparire tanto lontane. L'iniziativa è promossa dalla Fondazione Fossoli in collaborazione con gli enti locali e con l'alto patrocinio della Presidenza della Repubblica e delle massime istituzioni italiane. Sono due i treni speciali diretti in Polonia: al primo, partito da Carpi venerdì pomeriggio, si aggiungerà quello che, con a bordo altri 700 studenti, lascerà domenica in serata il binario 21 della stazione Centrale di Milano, lo stesso, collegato con un montacarichi ai sotterranei della stazione, da cui un tempo partivano i carri piombati con i prigionieri destinati ai lager.
ANCHE BERTINOTTI - A Milano ci sarà anche il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, a portare il saluto delle istituzioni ai ragazzi in partenza, che lunedì parteciperanno alla commemorazione internazionale anel campo di Birkenau. Saranno molte le delegazioni che giungeranno dall'Italia in autobus o aereo. Ma quella del doppio "Treno per Aushwitz" è singolare proprio per il valore evocativo di un viaggio sulle orme di coloro che quel viaggio lo compirono più di sessant'anni fa senza mai più fare ritorno in patria.
COME 60 ANNI FA - Sul convoglio partito da Carpi c'era lo scrittore e conduttore televisivo Carlo Lucarelli ("Film e libri non bastano", le sue parole al Corriere.it), non nuovo all'iniziativa, che raccoglierà materiale per i suoi libri e le sue trasmissioni e che a Cracovia terrà un reading sul tema della deportazione e dello sterminio dei prigionieri dei campi. La stazione della cittadina emiliana sorge a pochi chilometri dall'ex campo di concentramento e smistamento di Fossoli (www.fondazionefossoli.it) e proprio da qui partivano a migliaia, ignari di quanto sarebbe loro successo, i futuri internati. Anche noi abbiamo partecipato al viaggio. Per rivivere la storia, occorre passare attraverso la consapevolezza che i "veri" convogli portavano circa 2.000-2.500 deportati per volta. I vagoni merci contenevano ognuno dalle 80 alle 120 persone. E la meta più frequente era proprio il campo di Auschwitz Birkenau.
"NON E' UNA GITA" - Il viaggio dall'Emilia alla piccola banchina universalmente nota come "l'ultima fermata" o la "rampa degli ebrei" - la "Judenrmape" in tedesco -, la stessa "sempre illuminata" che Primo Levi aveva descritto in Se questo è un uomo, dura 22 ore. A bordo è un susseguirsi di momenti di confronto, conferenze, musica.

IL PROGRAMMA - I ragazzi si immergeranno in pieno nella drammatica realtà dei lager, visitando il blok italiano del campo di Auschwitz, osservando da vicino le camere a gas e i forni crematori. Una domenica decisamente diversa, ripensando ai tanti loro coetanei che sessant'anni fa in queste baracche trascorrevano i loro ultimi giorni di vita. Lunedì, poi, tutte le delegazioni partite dall'Italia si riuniranno e parteciperanno insieme alla cerimonia conclusiva e alla fiaccolata al campo di Birkenau

L'ARRIVO – Varcato l'ultimo confine, in Polonia il treno viene accolto da un rigido freddo, ma della temuta neve neanche l'ombra. Quando il convoglio giunge in stazione, gli studenti scendono in modo ordinato, non chiassoso. Ma non è per la stanchezza del lungo trasferimento. Il primo piede poggiato sul suolo polacco riaccende il ricordo di storie e racconti letti sui libri di scuola e le immagini di film e sceneggiati. No, non è davvero una gita scolastica.


Per ricordare l'Olocausto ed evitarne di nuovi
Davide Vannucci su
l'Unità

"Vedi alla voce amore". Così, nel 1988, David Grossman chiamò il proprio romanzo più intenso, quello in cui cercava di spiegare l'Olocausto alle giovani generazioni, attraverso gli occhi e le parole del piccolo Momik, figlio di deportati sopravvissuti all'orrore. Adesso Grossman non è solo un grande scrittore, ma una delle voci più ascoltate di Israele, uno che non fugge dalla realtà, la interpreta, cerca di modificarla. E la realtà di Israele, oggi, è fatta di un equilibrio fragile, perennemente in bilico tra la guerra e la pace.
Ecco perché nel giorno in cui l'Italia celebra la Giornata della Memoria, ricordando che cosa fu la Shoah, Grossman viene chiamato a parlare dell'orrore che fu e di quelli che bisogna evitare. L'Università di Firenze ha deciso di conferire al romanziere israeliano una laurea honoris causa, in Studi Letterari e Culturali Internazionali, e la cerimonia avverrà proprio domani, il 27 gennaio, quando, sessantré anni fa, l'Armata Rossa mise i sigilli sul campo di concentramento simbolo, quello di Auschwitz. Grossman terrà una lectio magistralis nell'Aula Magna dell'università e parteciperà a un dibattito il giorno successivo, al Mandela Forum. Forse parlerà del figlio Uri, morto nella guerra col Libano dell'estate 2006. Sicuramente cercherà di spiegare perché "lo sterminio è successo" e perché "può succedere di nuovo".
L'incontro di Firenze è solo una delle tante iniziative con cui l'Italia invita "a non dimenticare". A Roma, nel marzo 2006, è nata la Casa della Memoria, dove la storia cerca di essere maestra di vita per i contemporanei. A Trastevere domani si ricorderà Primo Levi, lo scrittore che in Italia seppe raccontare più di altri l'Olocausto e la sua capacità di calpestare la dignità umana. In programma film e documentari, tra i quali La strada di Levi, in cui Davide Ferrario e Marco Belpoliti ripercorrono il viaggio di ritorno compiuto da Levi nel 1945, seimila chilometri da Auschwitz fino alla natia Torino. A rendere omaggio allo scrittore piemontese ci sarà anche uno degli attori italiani più in voga del momento, Toni Servillo,che a Bari leggerà alcuni brani tratti da Se questo è un uomo e I sommersi e i salvati.
Sempre a Roma, nelle stanze restaurate di Palazzo Barberini, si terrà una conferenza su "Anti-semitismo e negazione dell'Olocausto". A chiedersi se "il mondo ha imparato la lezione" o meno, saranno in tanti, un vero e proprio parterre de roi. Rappresentanti del governo dimissionario, da Romano Prodi a Giuliano Amato passando per Francesco Rutelli. Ma anche membri del centro destra, come il vicepresidente della Commissione Ue, Franco Frattini. O autorevoli esponenti dell'ebraismo, come il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna.
La giornata della Memoria si celebrerà in tutto il Paese, da Trento a Siracusa. A Milano si onoreranno le vittime dell'Olocausto con le musiche di Ernest Bloch, Max Bruch e Dimitri Shostakovich. A Genova le porte di Palazzo Ducale saranno aperte agli studenti vincitori del concorso "I giovani ricordano la Shoah". Le commemorazioni più imponenti avverranno nell'unico lager italiano, quello di Risiera di San Sabba, a Trieste, con la marcia silenziosa dei deportati sopravvissuti, le visite guidate per le scolaresche, i concerti.
A Siracusa sarà il giorno della "Testimonianza dei giusti". Interverrà, tra gli altri, Franco Perlasca, figlio di Giorgio, lo Schindler italiano che salvò oltre cinquemila ebrei ungheresi fingendosi un diplomatico spagnolo. Personaggio che ha ispirato una fiction televisiva di successo, interpretata da Luca Zingaretti.
In provincia de L'Aquila, invece, a Fossa, Ottaviano del Turco, presidente della Regione Abruzzo, e Marco Pannella prenderanno spunto dalla commemorazione dell'Olocausto per dibattere di diritti umani, e della loro continua violazione in gran parte del pianeta.



L'albero di Anna Franck vivrà
Redazione de
La Stampa

Lo scorso novembre gli avevano dato due settimane di vita. Ma la lunga battaglia di ambientalisti e cittadini affezionati ha finalmente portato alla svolta: l'albero di Anna Frank vivrà. Dopo innumerevoli tentativi di salvare l'ippocastano ultr
acentenario attaccato da un fungo nel 1993, la circoscrizione Centro del Comune di Amsterdam aveva deciso che l'albero, che la piccola scrittrice osservava dalla finestra del solaio del suo nascondiglio, era troppo malato, pertanto doveva essere abbattuto. Innumerevoli proteste si sono alzate da ogni parte del mondo tentando di convincere Job Cohen a cambiare idea, ma il sindaco di Amsterdam sembrava convinto nella sua decisione.

Pur riconoscendo il valore storico e simbolico della pianta, aveva dichiarato, “i funghi parassiti (che hanno causato lo stato di putrefazione, ndr) lo rendono instabile e pericoloso”. Oltre al comitato dei cittadini che vivono intorno alla casa-museo di Anna Frank, anche la professoressa di storia dell'urbanizzazione dell'università di Helsinki, Kaarin Taipale, era scesa in campo rivendicando il valore simbolico dell'albero non solo per Anna, ma per i ragazzi di tutto il mondo. Lo scorso novembre la Fondazione per il sostegno dell'albero di Anna Frank aveva vinto un'ingiunzione per fermarne l'abbattimento, e oggi ha raggiunto l'accordo con la città di Amsterdam, il museo e l'istituto per gli alberi olandesi: il famoso ippocastano, fonte di conforto e ispirazione per Anna, verrà sorretto da una struttura speciale già prima dell'estate.


La comunità dei sopravvissuti
Francesco Erbani su
la Repubblica

la Ferrara di Bassani
"Caro Gegio", scrive Giorgio Bassani, "ho cominciato a giocare a tennis. Tra due o tre mesi credo che sarò abbastanza in forma per proporti di fare il doppio insieme, in qualche torneo a tua scelta, verso il mese di luglio. Sei d´accordo?". Sono i primi segni di una vita che a Ferrara riprende il suo corso lento dopo l´orrore di Auschwitz. E anche il tennis irrora un animo prostrato come quello di Eugenio Ravenna, detto Gegio, cugino dello scrittore del Giardino dei Finzi Contini. Bassani non è stato deportato. Gegio, invece, è sopravvissuto al lager che ha inghiottito suo padre Gino, sua madre Letizia, sua sorella Franca, suo fratello Marcello - che aveva appena quindici anni - e altri quattro zii e cugini Ravenna, una solida famiglia di ebrei ferraresi.
La cartolina di Bassani (maggio ´47) è nel mucchio di lettere che riemerge dalle carte di casa Ravenna (le ha custodite Nora Forti, la vedova di Gegio, morto nel 1977) e che documenta quanto il ritorno inatteso alla luce spinga a ricostruire una piccola comunità di sopravvissuti. Gegio cerca chi, come lui, è scampato. Scrive Primo Levi, scrive Luciana Nissim, scrivono Aldo Moscati, Silvio Barabas e Leonardo De Benedetti. Trentacinque testi in tutto sui quali Paolo Ravenna, cugino di Gegio, avvocato e grande depositario di memorie ferraresi, va ricostruendo la storia di una famiglia - e con essa un pezzo della storia italiana, come ha spiegato durante la prima riunione, qualche giorno fa, della Fondazione che farà nascere proprio a Ferrara il primo Museo della cultura ebraica e della Shoah.
Gegio Ravenna, classe 1920, è figlio di Gino, proprietario di un deposito alimentare. Anche Gino è uno sportivo, ma al tennis ha preferito la ginnastica ed ha persino partecipato alle Olimpiadi di Londra del 1908. La famiglia Ravenna è una famiglia laica. Solo Renzo, il fratello di Gino, svolge attività politica: dal 1926 al 1938 è il podestà di Ferrara (la sua vicenda, dall´adesione al fascismo fino alle leggi razziali e all´internamento in Svizzera è raccontata ne Il podestà ebreo, di Ilaria Pavan, edito da Laterza). Gegio viene arrestato dai fascisti l´8 ottobre del ´43. Gli altri familiari vengono arrestati nel dicembre, dopo aver tentato di riparare in Svizzera. Insieme finiscono prima a Fossoli, poi ad Auschwitz.
Muoiono tutti, tranne Gegio, che il 15 settembre 1945 rientra a Ferrara. E qui la sua storia prende una prima piega, tutta letteraria, nel senso che a lui si ispira Giorgio Bassani per Una lapide in via Mazzini. In quel racconto Gegio diventa Geo Josz, il quale "torna dal regno dei morti in una città dopotutto normale", annota lo scrittore. "Ma anche i poeti, se sono veramente tali, tornano sempre dal regno dei morti. Sono stati di là per diventare poeti, per astrarsi dal mondo, e non sarebbero poeti se non cercassero di tornare di qua, fra noi". Geo Josz arriva in una Ferrara dove nessuno lo riconosce, una città che lo accoglie imbarazzata, e dalla quale si leva un soffuso vociare: "Dopo tanto tempo, dopo tante sofferenze toccate un po´ a tutti, e senza distinzione di fede politica, di censo, di religione, di razza, costui, proprio ora, che cosa voleva?". Incalza la fretta di dimenticare. E nella fretta si infilano le gaffe. In una, la più tragica di tutte, si imbatte Geo: trova il proprio nome fra i morti nei lager iscritti in una lapide apposta alla sinagoga di via Mazzini.
Non sono trascorse due settimane dal suo ritorno a Ferrara, che la storia di Gegio prende una seconda piega. Il 26 settembre gli scrive Aldo Moscati, al quale Gegio ha mandato un biglietto. Gli chiede se sa qualcosa di suo fratello Giorgio. Ancora qualche giorno e il 6 ottobre gli giunge una lettera di Luciana Nissim. Ha appreso con gioia del suo rientro e gli dà notizie degli altri che ce l´hanno fatta - lei stessa, Remo Jona, Stella Valabrega, Laura Geiringer, Liko Moshe Israel. E Primo Levi. Gli racconta che nel campo con lei c´erano la mamma di Gegio, la zia Milena, la sorella Franca e anche alcune sue cuginette. "Purtroppo", aggiunge, "le notizie sulla tua famiglia sono ben tristi". Infine gli chiede di tenerla al corrente di quello che fa.
Sembra una frase di circostanza. È l´avvio invece di un carteggio che si allarga al dolore degli altri. Scrive un certo Mario da Prata di Pordenone. Scrive una Gisella da Fiume. Il 22 ottobre si fa vivo Silvio Barabas.

Nelle lettere scorrono i ricordi. Non tutti raccontano di Auschwitz (Gegio lo farà diffusamente in La forma del cranio una testimonianza pubblicata nel 1963 in Coro della guerra, un volume curato da Alfonso Gatto). Anzi, le narrazioni iniziano spesso dopo la liberazione e anticipano quelle che poi confluiranno ne La tregua di Levi. Primo Levi scrive a Gegio il 6 dicembre: "Comprendo purtroppo assai bene la terribile sensazione di vuoto che ti circonda: solo adesso ci rendiamo esattamente conto di quanto abbiamo perduto". Scrive anche Gegio (a Leonardo De Benedetti, per esempio) e racconta il suo strazio "finché la mattina del 9 maggio, mentre stavo dando il primo colpo di vanga alla mia trincea a 7 km dagli alloggi, arriva la notizia della vittoria".
La vita torna a scorrere e con lei procede anche l´epistolario. Si arriva agli anni Cinquanta, quando in Germania si avvia un processo per chiedere che agli ex deportati sia almeno riconosciuto un indennizzo per il lavoro svolto nel lager. "Io e Primo l´abbiamo già fatto", scrive Leonardo De Benedetti a Gegio nell´aprile del 1952, "e anche Luciano e Aldo. Pensando a te ti invio copia della lettera che abbiamo scritto...".


La memoria dell'Italia peggiore
Elena Loewenthal su
La Stampa


La memoria non è di per sé terapeutica. Come diceva Primo Levi, il fatto che sia accaduto non azzera, anzi moltiplica le probabilità che accada di nuovo. La percezione della storia attraverso la memoria è invece istruttiva: guardare al passato per capire che cosa e come siamo. E quest'anno il presidente Napolitano ci ha ricordato che l'Italia di oggi viene anche, ebbene sì, dall'infamia delle leggi razziali.

Gli italiani amano sparlare del proprio paese e delle sue disfunzioni. Guai però a toccare il cosiddetto "carattere nazionale", dentro il quale vige tenace l'immagine degli italiani "brava gente". Ma a dispetto di questo inossidabile stereotipo, settant'anni fa esatti questo paese è stato capace di sfoderare una legislazione razziale che non fu seconda a nessuno. Nemmeno alla Germania nazista. "Leggi che suscitarono orrore negli Italiani rimasti consapevoli della tradizione umanista e universalista della nostra civiltà" e anticiparono lo sterminio, ha ricordato il presidente Napolitano. Il censimento degli ebrei italiani che nell'agosto del 1938 fu la premessa per una applicazione "a tappeto" delle leggi razziali emanate quell'autunno, costituì dopo l'8 settembre 1943 un comodo strumento per i tedeschi a caccia di stücke ("pezzi" come loro chiamavano i deportati) per i vagoni merci, i forni crematori.

Le leggi razziali, firmate da "Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e per volontà della nazione re d'Italia – imperatore d'Etiopia", stabiliscono restrizioni che vanno dal divieto di contrarre matrimonio misto a quello di firmare manuali scolastici, proibiscono agli ebrei italiani di avere dipendenti, di essere dipendenti di enti statali, banche, assicurazioni, di prestare servizio militare, possedere terreni e aziende. Pretendono, con brutale ottusità, di definire l'appartenenza ebraica in termini di sangue (art. 8, comma a: è di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se appartenga a religione diversa da quella ebraica). Queste leggi, tanto spietate quanto assurde, non furono un meteorite precipitato sul ridente pianeta Italia da una remota regione siderale, bensì il prodotto di forze congiunte: il regime fascista, la consenziente monarchia (i cui degni eredi, forse perché non hanno più nessun regio decreto da firmare, si son dati allo sport, con risultati davvero eccellenti nel lancio di boutades) e il popolo italiano. Stretto nelle maglie di questa orribile storia, che tuttavia è proprio la sua.


Se torna l'antisemitismo in giacca e cravatta
Angela Merkel su
la Repubblica

Ogni anno in una forma diversa, la commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo ci riporta vivo davanti agli occhi il volto del capitolo più buio della Storia tedesca, e ci ricorda le sue conseguenze: un´ondata di guerra, odio e violenza che si abbatté sull´Europa e sul mondo, l´annientamento a sangue freddo e sistematico dell´insieme della vita ebraica. Nelle mani di noi contemporanei resta lo sconvolgimento per quanto accadde, ma anche la responsabilità che ne deriva.
Anche a nome del governo tedesco, posso dire che ci assumiamo appieno questa responsabilità. E che naturalmente affrontiamo la questione aperta: come potremo, di generazione in generazione, essere all´altezza di questa responsabilità? Come potremo esserne all´altezza, quando i testimoni di allora non saranno più tra noi?
Trovare vie e forme giuste per questo compito è una responsabilità del tutto speciale anche per chi oggi ha responsabilità politiche. Ma al tempo stesso c´è una molteplicità di iniziative di persone, voci di tutta la società civile, che a fianco del mondo politico fanno proprio questo tema. E ciò è sempre molto, molto incoraggiante.
In questi giorni, ho premiato i giovani vincitori di un concorso, la cosiddetta "Azione macchie bianche": giovani di oggi che nelle loro patrie sono andati a ricercare le più piccole tracce, memoria, ricordi storici del rogo dei libri e dei campi di concentramento, ricordi che non sono al centro dell´attenzione e anzi sono quasi dimenticati. È incoraggiante.
C´è un miracolo, di cui noi tedeschi possiamo solo essere grati: la vita e la comunità ebraica sono tornate in Germania. Sono sorte tante nuove Sinagoghe. A Berlino penso alla Sinagoga della Rykestrasse. Vita e cultura ebraica da noi hanno assunto un volto del tutto nuovo attraverso gli ebrei venuti dalla Russia a vivere da noi. È un compito incredibile, enorme, per la comunità ebraica in Germania, un compito in cui noi abbiamo il dovere di portare aiuto, dovere legato alla comune responsabilità verso la società intera. Se guardiamo a quale lavoro d´integrazione dei nuovi arrivati viene affrontato dalla comunità ebraica tedesca, sappiamo che non possiamo in nessun caso lasciarla sola.
Nell´ora del ricordo, come oggi, nel momento in cui le Vergogne della Germania sono davanti ai nostri occhi, tanto più è spaventosamente inconcepibile che antisemitismo, xenofobia e razzismo esistano oggi nel nostro Paese e si mostrino presenti nella pratica. E non serve dire che ciò accade anche in altri paesi: occorre un regolamento dei conti con questa realtà.

Certo, è lecito dire che affrontiamo questa responsabilità. Credo che lo facciamo davvero. Combattiamo contro le violenze razziste e le ideologie dell´estrema destra con gli strumenti dello Stato di diritto. A volte discutiamo, e ci dividiamo, su quali strumenti di lotta siano i migliori, se vietare un partito sia possibile o no, se ciò rafforzi o no uno Stato di diritto. Ci sono programmi d´azione e informazione contro l´estremismo di destra, e abbiamo reagito alla violenza d´estrema destra aumentando gli aiuti finanziari a questi programmi.
Ma mentre ricordo questo, non voglio nascondere che facendo ciò non abbiamo ancora, minimamente, trovato la ricetta-panacea per affrontare queste sfide. Dobbiamo guardare in faccia una realtà. Cioè il fatto che di fronte alle paure provate verso la globalizzazione, o verso un presunto eccesso di apertura delle società democratiche, l´estremismo di destra e l´antisemitismo ritrovano una possibilità di farsi strada nelle menti di persone da cui piuttosto non ci si aspetterebbe che cadano vittima di queste tendenze.
Un modello di spiegazione di questo fenomeno è a volte - e bisogna seguirlo - quello che ci dice che naturalmente il pericolo di questa seduzione è specialmente grande quando le persone stesse che vi sono coinvolte vivono in una situazione sociale difficile.
Ciò nonostante, sottolineo che io chiedo sempre di non giustificare mai certe scelte evocando quelle difficoltà sociali. Eppure, ancora, è certo che le società che vengono percepite come giuste sono difese da anticorpi più forti contro simili sfide.
Insisto, tensioni e problemi sociali non sono mai una scusa per certe derive. Ma a volte io ho anche l´esperienza diretta del fatto che negli strati sociali e ceti più istruiti della popolazione si manifestano chiaramente crudi, duri modi di pensare, e un antisemitismo molto ben mascherato, che non è facilmente riconoscibile. Ma con questa forma di antisemitismo si torna sempre a tentare di definire fenomeni sociali di gruppo, e in base a quelle definizioni dei fenomeni sociali si può dichiarare l´emarginazione in un modo o nell´altro.
Una delle realtà più insostenibili è il fatto che in Germania non esiste nessuna istituzione o sede ebraica che possa vivere senza protezione della polizia. Nessun Kindergarten ebraico, nessuna scuola ebraica è priva di agenti schierati sul posto per proteggerla. Ciò non riguarda solo le Sinagoghe.
Quello che quasi mi preoccupa di più, è il fatto che anche in vasti strati della popolazione, malgrado tutta la formazione e l´istruzione sulla Storia, e malgrado tutto quanto è accaduto, regna una certa Sprachlosigkeit, una tendenza e voglia di silenzio, a proposito della nostra propria Storia. E dove c´è voglia di silenzio, c´è sempre anche il pericolo che non si parli di temi e problemi, che si taccia o si minimizza.
Per esempio: si può criticare Israele? Criticare Israele è antisemitismo? Alcuni si spingono persino fino a dire "la cosa migliore è non parlare più degli ebrei, così almeno non fai nulla di sbagliato".
Questo è il fenomeno con cui noi dobbiamo fare i conti nel modo più urgente nell´educazione politica. Dobbiamo incoraggiare la gente a parlare. Perché quel modo di pensare che spinge al silenzio, a non discutere più, può trasformarsi e rafforzarsi con il volto dell´antisemitismo e del razzismo.
Già vediamo diversi fenomeni di questo tipo: dagli episodi di violenza, fino alle forme davvero borghesi dell´antisemitismo. Per questa ragione questa conferenza internazionale sul problema qui a Berlino è così importante. Perché ci può aiutare nello scambio di idee e testimonianze, specialmente in Germania, ci può aiutare a riflettere su cosa si possa fare al meglio e su come al meglio si possa dare una testimonianza, senza cadere nelle accuse e nei sospetti di colpa reciproci.



   27 gennaio 2008