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La settimana sulla stampa
a cura di Fr.I.

Manoscritto ritrovato in Yemen
«Forse la prima copia del Corano»
Polemiche contro gli studiosi: «Complottano per distruggere l'Islam»
Viviana Mazza sul
Corriere della Sera


Corano
  
Il Corano è uno solo: infallibile, contiene la parola di Dio rivelata al Profeta Maometto nel VII secolo dall'arcangelo Gabriele. Così vuole l'Islam, secondo il quale il testo sacro dei musulmani è anche preservato in paradiso in una enorme tavola. Ma alcuni studiosi affermano oggi che, in realtà, ci sono più Corani. A Berlino, alla Brandenburgische Akademie der Wissenschaften,
è in corso il progetto «Corpus Coranicum», che mira a cercare tutti i manoscritti per studiarli e confrontarli. E uno dei partecipanti al progetto, Sergio Noja Noseda, 77 anni, uno dei più grandi arabisti europei, dice al Corriere di avere recuperato, poche settimane fa, in Yemen, quello che potrebbe essere il più antico manoscritto del Corano. Secondo la tradizione islamica, nel 632, alla morte di Maometto, le rivelazioni coraniche non erano state raccolte in un unico libro. La versione ufficiale del Corano risale a una sistemazione voluta dal terzo Califfo, Othman, sulla base di note e trascrizioni dei compagni del Profeta. Noja Noseda crede di aver trovato il Corano scritto dai compagni del Profeta.
Molti fedeli sono convinti che ci sia un testo solo, dice. «Invece, i sapienti musulmani sanno da sempre che c'erano voluti due secoli perché venisse trascritto con una grafia normalizzata e una standardizzazione del testo. Sanno benissimo che ci sono una serie di varianti».
Finora erano disponibili frammenti di Corani del I e del II secolo dell'Egira in microfilm. «Negli anni '30 — spiega il filologo — un professore tedesco ebbe l'idea di fotografare tutti i più antichi manoscritti del Corano, ma le carte sembrarono essere andate perdute sotto i bombardamenti alleati. Le casse dei microfilm sono state recentemente ritrovate a Berlino, ma sono in bianco e nero».

Noja Noseda era andato in Yemen per fotografare alcuni codici la cui esistenza era nota dal 1972. Col permesso del presidente yemenita, ha portato a casa centinaia di foto di tre codici «risalenti agli anni immediatamente successivi alla morte di Maometto», secondo un suo primo esame della grafia.

Saranno analizzati al Carbonio- 14 per determinarne l'età. Poi i testi e le differenze verranno studiati con esperti musulmani.
Una ricerca «scottante». Milioni di persone cercano nel Corano una guida alle proprie azioni. Il sito
ImamReza.net ritiene si tratti di un complotto: «Se i musulmani dubitano dell'autenticità del Corano, l'Islam perderà la sua autorità sociale e politica». Vi sono inoltre studiosi che affermano che il Corano potrebbe essere stato redatto sulla base di testi cristiani ed ebraici. Un'ipotesi smentita decisamente da Noja Noseda: «E' una cattiveria schifosa senza fondamento scientifico ».


Darwin
  
Escono i taccuini inediti: appunti disordinati e appassionati presi tra il 1836 e il 1844 nei quali comincia a prendere corpo la celebre teoria dell´evoluzione
su
la Repubblica
http://www.repubblica.it
 
«Cani. Gatti. Cavalli. Bovini. Capre. Asini. Si sono tutti rinselvatichiti e riprodotti, senza dubbio con un completo successo. Mostrando che la non creazione non è in relazione soltanto con l´adattamento degli animali. Allo stesso modo, l´estinzione potrebbe non dipendere da aspetti dell´adattamento. L´estinzione delle specie non sorprende di più dell´estinzione del singolo».

«Non [c´è] un cambiamento graduale: se una specie si trasforma invero in un´altra deve essere per saltum».

«Nulla di utile per alcuno scopo».

«I gatti, i cani e gli ibis egiziani sono uguali a quelli d´un tempo; tuttavia, separiamo una coppia e mettiamola su un´isola di recente formazione, è molto dubbio che rimarrebbero costanti. Gli animali, su isole separate, dovrebbero diventare diversi purché tenuti abbastanza a lungo separati, in condizioni leggermente diverse».

«Pertanto fra A e B un´immensa distanza di parentela, fra C e B la gradazione più sottile, fra B e D una distinzione alquanto più grande. Così i generi sarebbero formati, attraverso legami di parentela con i tipi antichi, con diverse forme estinte».

«Il mondo deve essere più antico di quanto pensano i geologi».

«I cambiamenti non sono il risultato della volontà dell´animale, ma di una legge dell´adattamento».

«La condizione di ogni animale è in parte dovuta all´adattamento diretto [e in parte al]marchio ereditario [dove il secondo] è di gran lunga l´elemento più importante».

«Quando uno vede i capezzoli sul petto di un uomo, non dice che abbiano un qualche uso, ma che il sesso non sia stato determinante. Lo stesso per le ali inutilizzate sotto le elitre di coleotteri, nati da coleotteri con ali e modificati. Se si trattasse di semplice creazione, di certo sarebbero nati senza».

«Quanto più semplice e sublime sarebbe una forza per cui, agendo l´attrazione secondo certe leggi, tali siano le inevitabili conseguenze; essendo creato l´animale, tali saranno i suoi successori secondo le leggi prefissate della generazione».

«Il Creatore ha continuato a creare animali con la stessa struttura generale dai tempi delle formazioni del Cambriano[?] Concezione miserevole e limitata».

«Quando parliamo degli ordini superiori, dovremmo sempre dire, intellettualmente superiori. Ma chi, al cospetto della Terra, ricoperta di splendide savane e foreste, oserebbe dire che l´intelletto è l´unico scopo di questo mondo?».

«Può darsi che non saremo mai in grado di ricostruire i passi mediante i quali l´organizzazione dell´occhio passò da uno stadio più semplice a uno più perfezionato, conservando le sue relazioni. Il magnifico potere dell´adattamento dato all´organizzazione. Questa forse è la massima difficoltà dell´intera teoria».
«Non è all´altezza della dignità di Colui che si presume abbia detto "Sia fatta luce" e luce fu immaginare che Egli abbia creato una lunga successione di vili animali molluschi».

«Quantunque nessun fatto nuovo venga scoperto da queste speculazioni, anche se parzialmente vere esse sono della massima utilità per l´obiettivo della scienza, ossia la predizione. Prima che i fatti siano raggruppati e denominati, non vi può essere predizione. L´unico vantaggio di scoprire leggi è prevedere che cosa accadrà e vedere una connessione tra fatti sparsi».

«Il genere di ragionamento spesso seguito in tutta la mia teoria consiste nello stabilire un punto come probabile mediante l´induzione, applicandolo poi come ipotesi ad altri punti per vedere se li risolve».

«Si potrebbe dire che esiste una forza come di centomila cunei che cerca di spingere ogni genere di struttura adattata nelle lacune dell´economia della Natura, o piuttosto di formare lacune spingendo fuori i più deboli. La causa finale di tutta questa azione dei cunei deve essere quella di vagliare la struttura appropriata e adattarla al cambiamento».

«1) I nipoti come i nonni; 2) tendenza a piccoli cambiamenti, specialmente in caso di cambiamenti fisici; 3) grande fecondità rispetto al sostegno [assicurato] dai genitori».

«È difficile credere nella guerra, terribile ma silenziosa, che ha luogo fra esseri organici nei boschi tranquilli e nei campi ridenti».

«Dovremo forse rinunciare all´intero sistema della trasmutazione, o credere piuttosto che il tempo sia stato assai più lungo e che i sistemi non siano altro che fogli sparsi, strappati da interi volumi?».

«L´enorme numero degli animali [presenti] nel mondo dipende dalla loro varia struttura e complessità pertanto, quando le forme divennero complicate, dischiusero nuovi modi per aumentare la loro complessità. Pur tuttavia non esiste alcuna tendenza necessaria negli animali semplici a diventare complicati, sebbene tutti, forse, lo avranno fatto per via dei nuovi rapporti causati dall´aumento della complessità altrui. Ci si potrebbe chiedere perché non debbano esserci, in ogni momento, altrettante specie tendenti a de-svilupparsi (alcune probabilmente lo hanno sempre fatto, come i pesci più semplici); la mia risposta è che, se partiamo dalle forme più semplici e supponiamo che esse siano cambiate, quegli stessi cambiamenti tendono a originarne altri. Ma allora perché nei cefalopodi e nei pesci e nei rettili vi è stato un movimento retrogrado? Ammettendo che sia davvero così, ciò dimostra che la legge dello sviluppo in classi parziali è ben lungi dall´esser vera. Io non ho dubbi che, se gli animali più semplici potessero esser distrutti, quelli più altamente organizzati ben presto perderebbero la propria organizzazione per occupare il loro posto».


Le leggi dell'infamia
  
Fabio Isman su Il Messaggero


«SI PARLA sempre, e giustamente, della Shoà: lo sterminio, l'Olocausto. E molto di meno, invece, delle infami Leggi razziali del 1938. Giusto 70 anni fa; e stavolta, anche il Giorno della Memoria può acquisire una valenza diversa. Di quelle Leggi si parla troppo poco: eppure tutto comincia da lì. Costretti ad autodenunciarsi; con il nome della “razza” scritto sull'atto di nascita, e stampigliato sui documenti; licenziati dai pubblici impieghi, ed ho qui la lettera con cui cacciano mia madre, che era maestra; ma anche, ecco un altro documento, da banche e aziende private; in congedo i militari; buttati fuori dall'associazione gli ufficiali in congedo, obbligati a “restituire tessera e distintivo”, e così gl'iscritti al Club Alpino; un recente studio dice che agli ebrei, la Scala fece restituire gli abbonamenti: però rifondendo quanto avevano già pagato. Cancellati dagli Albi i professionisti. Poi, i fatti più curiosi: sequestrate le radio; non si poteva più avere nessuno per le pulizie in casa, però, da noi, la “Peppina” è sempre rimasta: anzi, a un certo punto ci siamo rifugiati a Poli, dove lei viveva. Al Nord, era ancora peggio: a Ferrara, a mio suocero, viene sequestrato ogni avere. La Commissione Anselmi, sui beni sottratti agli ebrei, certifica che a un tale confiscano cinque monete; a un altro, il pianoforte; a un Adler di Milano, l'anticipo “per le conversazioni interurbane”, depositato alla società dei telefoni; a un rappresentante, “le provvigioni maturate in dipendenza dal contratto”; a un medico, le “somme per cure prestate”; a uno, “l'autovettura priva della ruota gommata di scorta”. No: di queste infami Leggi razziali s'è sempre detto troppo poco; non s'è mai raccontato abbastanza quale impatto hanno avuto sulla vita quotidiana della gente, di tantissime famiglie italiane».

Le leggi dell'infamia 2
da "La difesa della razza", 1938, anno II, pagg. 24-25

Questo dice Nando Tagliacozzo, che è una persona singolare. Romano, ingegnere, tre figli, già dirigente del Gruppo Iri, adesso che è pensionato va in giro per le scuole («in ogni parte d'Italia: dove mi chiamano; quasi una la settimana»), a raccontare e farsi interrogare dai ragazzi. Sulla Shoà, e sul resto. A lungo, tutta la sofferenza l'ha tenuta per sé; anche in casa, parlava poco dei suoi, spariti ad Auschwitz: il padre, la sorella Ada (cui ora è intestata una scuola al Laurentino), uno zio, la nonna, «che era del 1869: nata in Ghetto, morta in Lager». Poi, ha cominciato ad accompagnare le scolaresche nei campi di sterminio, ed a raccontare. Tra le carte di casa e quelle degli amici, ha raccolto svariati documenti, appunto, sulla “quotidianità” dell'essere ebrei, allora. Li ha pubblicati a proprie spese; adesso, l'editore Sinnos ne ha fatto un libro (Dalle Leggi Razziali alla Shoà 1938-45, 80 pag., 15 euro), che martedì, alle 10.30, verrà presentato da Menorah, in Piazza delle Cinque Scole. Dice: «Sono documenti per conoscere, capire, insegnare la storia; ma partendo dal particolare: perfino dai casi individuali». Invitati speciali, gli alunni del Liceo Avogadro: «Chissà quanti tra loro sanno che i loro colleghi ebrei d'allora dovettero lasciare le scuole pubbliche; tranne, a Roma, tre che avevano delle “sezioni razziali”: ecco una pagella».
Discutiamo della schedatura degli ebrei italiani nel '38 (8 mila iscritti al partito fascista), cui seguono dapprima il Manifesto, poi la Dichiarazione della Razza. Sfogliamo le carte che ha raccolto. I sequestri delle radio in casa dei suoi amici: Enrico Modigliani, già deputato Pri a Roma, e Fausto Zabban; un parente di sua madre è mandato via dal Credito Italiano, con l'invio d'un «Certificato di prestato servizio»; Confagricoltura anticipa i tempi: una settimana prima delle Leggi Razziali, già «esonera dal servizio il camerata Giorgio Modigliani». I licenziamenti: «I militari; 229 docenti di università: oltre l'un per cento, mentre gli ebrei erano appena l'un per mille della popolazione; poi i dipendenti pubblici e 379 insegnanti; 5.600 alunni, ma c'è chi dice 8.500». «Gli ebrei non potevano possedere case superiori a un certo valore; la nostra è sequestrata; ma il nonno, dagli estimi catastali, dimostra che valeva meno di quel “tetto”, e ce la restituiscono». Tutto documentato.

Le leggi dell'infamia 3
  
Le tessere annonarie; il terribile avviso dattiloscritto, che le Ss, il 16 ottobre, consegnavano a Roma: «Portare con sé viveri per almeno 8 giorni; ammalati, anche casi gravissimi non possono, per nessun motivo, rimanere indietro; la famiglia deve essere pronta per la partenza 20 minuti dopo la presentazione di questo biglietto». Si sa com'è finita.
Altri biglietti, invece, Tagliacozzo non li ha inclusi nel libro: quello che zio Amedeo («stiamo partendo») riuscì a far uscire da Palazzo Salviati alla Lungara, dove gli ebrei erano ammassati; e da Regina Coeli, l'ultima lettera di suo padre a sua madre, prima di finire al Campo di Fossoli e da lì partire, nel convoglio numero 9, per Auschwitz. E lui? «Ero nascosto in un convento, a via Pannonia: eravamo un centinaio». Renato Terracina, già redattore capo di questo giornale, mostrava una propria foto in abito talare: era un “Fratello delle Scuole cristiane”. Le Leggi razziali sono abrogate: prima a Roma dagli alleati, poi in tutt'Italia da Umberto di Savoia, Luogotenente del Regno. Roma è libera da sei mesi, e mamma Tagliacozzo torna a insegnare; per essere riassunta dal Governo alleato, deve però fare domanda.


  
Professione filantropo
Ecco come Bill Gates & c. hanno cambiato il mondo della beneficenza, intrecciando le buone azioni con la logica degli affari
Enrico Franceschini su
la Repubblica

Un tempo erano soprattutto i defunti a lasciare in eredità i patrimoni. Oggi non è più così. Il 2007 è stato un anno record per le donazioni dei viventi. Soprattutto dei miliardari Così i mecenati del terzo millennio applicano la logica degli affari alle buone azioni
Poi, nei giorni scorsi, è giunto l´annuncio che la filantropia "dei viventi" ha sorpassato quella degli estinti: nel 2007 i donatori americani hanno versato complessivamente l´equivalente di 5 miliardi di euro in beneficenza, contro 4 miliardi e 200 mila di beneficenza proveniente da testamenti ed eredità. Tutte le dieci maggiori donazioni singole del 2007 negli Usa provengono per l´appunto dai vivi: la lista di questi "munifici dieci", se così li si può chiamare, è guidata da William Barron Hilton, l´ex proprietario dell´omonima catena di alberghi, e comprende tra gli altri il noto finanziere George Soros, il magnate dei media (oltre che sindaco di New York e possibile candidato alla Casa Bianca) Michael Bloomberg, il petroliere T. Boone Pickens.
«Il 2007 è stato straordinario per la beneficenza», dice Stacy Palmer, direttore della rivista Chronicle of Philantrophy, che ha rivelato la svolta. «Ci sono state più di venti donazioni di oltre 100 milioni di dollari l´una, e tutte da donatori viventi, in un anno di crescenti preoccupazioni per l´economia. Siamo davanti a una svolta nella filantropia. Sempre più gente vuole fare beneficenza mentre è viva, perché vede urgenti bisogni nel mondo e vuole fare qualcosa per affrontarli». Vale anche per gli italiani: 19 milioni dei quali oggi fanno beneficenza, pari a circa il 33 per cento della popolazione, naturalmente a una media di poche decine di euro a testa ma con un incremento del 25 per cento rispetto allo scorso anno. E da Gianmarco Moratti a Pietro Marzotto, da Marco Tronchetti Provera ai fratelli Benetton, anche nel nostro paese tutti i maggiori imprenditori sono impegnati nella filantropia, sebbene non ci siano cifre ufficiali sull´ammontare delle loro donazioni.
La svolta ha cambiato non solo le dimensioni (sempre più soldi) e i tempi (da vivi non da morti) ma anche il modo di fare beneficenza.

La vecchia obiezione di Martin Luther King (ed altri), secondo cui «la filantropia è un´attività encomiabile, ma non assolve la società dalle ingiustizie economiche che la rendono necessaria», rimane valida. Ma la filantropia del ventunesimo secolo assume un altro significato quando a fare beneficenza sono uomini ricchi come uno stato, con un patrimonio pari al prodotto lordo di una nazione come il Belgio o l´Austria: gente come Bill Gates, l´imprenditore più ricco del pianeta, che da quest´anno si è ritirato dalla conduzione della Microsoft per dedicarsi esclusivamente alla filantropia alla testa della fondazione che porta il suo nome (e quello della moglie Melissa), o come Warren Buffett, che nel 2006, chiaramente colpito dall´esempio di Gates, ha preso la storica decisione di donare in beneficenza la quasi totalità del suo patrimonio di 30 miliardi di euro. Se una volta fare la carità poteva sembrare un´ipocrita scusa dei ricchi per non sentirsi colpevoli davanti ai problemi della società, insomma, oggi sembra una missione sociale e un imperativo universale del nostro mondo ricco e privilegiato, ovviamente per coloro che in questo mondo hanno qualche privilegio: «Giving», dare, nel senso appunto di dare agli altri se stessi e parte o tutto di quello che si ha in tasca, come invita a fare sin dal titolo, con opere e dollari sonanti, l´ultimo libro di Bill Clinton. Che suona come l´aggiornamento del celebre motto di John Kennedy: «Non chiederti che cosa il tuo paese può fare per te, chiediti invece che cosa puoi fare tu per il tuo paese». E anche per i paesi altrui, specie se sottosviluppati.
Un ultimo elemento del boom della beneficenza è sottolineato da Salvatore La Spada, il presidente dell´Institute of Philantrophy: «Trent´anni or sono, il 75 per cento della ricchezza mondiale era ereditato. Adesso il 75 per cento della ricchezza è creato, da imprenditori che hanno un sincero desiderio di usare il capitale da essi generato per dare opportunità per il prossimo». Di self made men generosi, del resto, ce ne sono sempre stati: a cominciare dal "padre della filantropia" Andrew Carnegie, l´immigrato scozzese che sbarcato in America fece i mestieri più umili, diventò uno dei baroni del capitalismo del diciannovesimo secolo e poi nel 1900, a 65 anni, donò la gran parte del suo patrimonio in beneficenza. Senza aspettare di diventare un "caro estinto".


La nuova auto «Nano»
Così l'India diventa una superpotenza
Bill Emmot sul
Corriere della Sera

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S i sono versati fiumi di inchiostro sul fatto che il 10 gennaio Tata Motors ha presentato in India la sua nuova auto supereconomica. Ci si è chiesti se la Tata Nano, da 1.700 euro, influirà negativamente sul riscaldamento del pianeta. Si è guardato alle utilitarie del passato, come la Ford Modello T, la Fiat 500 e la Mini.
E si è fatto il paragone tra le innovazioni portate da quelle macchine e le novità della Tata. Ma quel che non è stato notato è il vero aspetto significativo rappresentato da quest'auto, ovvero l'entrata dell'India tra le superpotenze industriali, in competizione con la Cina e, naturalmente, con l'Occidente.
Fin dall'inizio di questo secolo, l'analisi della crescita economica della Cina e dell'India era fondata su un semplice paradigma: che la crescita della Cina si basasse sull'industria manifatturiera, quella dell'India sui servizi. La Tata Nano mostra, invece, che quest'idea è ormai obsoleta. Riguarda il passato. L'India ha salari inferiori a quelli della Cina, quindi costi del lavoro meno elevati. È anche stata assai più lenta nella costruzione di strade e nella modernizzazione di porti ed aeroporti, perciò per l'industria il costo dei trasporti era molto più alto che in Cina. Ed è per questo che lo sviluppo industriale in India ha subito un ritardo, mentre in Cina avanzava a ritmo vertiginoso. In India più di metà del Pil proviene dai servizi e solo un terzo dall'industria; in Cina le proporzioni sono invertite.
Ma ora questa situazione sta cambiando. Si stanno finalmente costruendo nuove strade. I porti sono stati modernizzati. Gli aeroporti sono stati privatizzati e ricostruiti. I consumi (e quindi la domanda interna di prodotti industriali) si stanno espandendo rapidamente. Di conseguenza, negli ultimi due anni l'industria manifatturiera indiana è cresciuta più dei servizi.
Nel prossimo decennio l'industria automobilistica sarà al centro della crescita industriale indiana. Società di tutto il mondo vi stanno investendo: la scorsa settimana la Ford ha annunciato un investimento di 500 milioni di dollari nella fabbricazione di autovetture in India. Questo si verifica anche in Cina, dove il mercato dell'auto è cresciuto prima e più velocemente che in India. Ma mentre in Cina le aziende sono ancora molto al di sotto degli standard mondiali, in India stanno emergendo costruttori di automobili di prim'ordine. Tata Motors è alla testa di questo settore. I risultati raggiunti con la sua utilitaria sotto il profilo del design e delle caratteristiche produttive non sono trascurabili. La Tata Nano costa la metà della sua più diretta rivale sul mercato indiano, realizzata in joint venture dall'indiana Maruti con la giapponese Suzuki. Come per la Ford T e la Fiat 500, il progetto ha senso solo in vista di una produzione in grandi numeri, per un mercato di massa, il che vuol anche dire che Tata dovrà esportare per raggiungere la scala produttiva prevista.
(Traduzione di Maria Sepa)



Pirati del mare, quasi un attacco al giorno
Raoul de Forcate su
Il Sole 24 Ore


pirati
  
Dopo un quadrienno di continuo calo, nel 2007 gli atti di pirateria nel mondo segnano un aumento del 10%, arrivando a quota 263. Sembra strano, all'inizio del terzo millennio, sentir parlare di pirateria. A tutt'oggi, invece, alcune parti del mondo sono considerate ad alto rischio. In particolare, l'area del Corno d'Africa con la Somalia, lo Stretto di Malacca, il Bangladesh, l'Indonesia e lo Stretto di Singapore. E anche zone di fronte alle coste di Tanzania, Kenya e, sull'Atlantico, della Nigeria. Teatro di attacchi sono state anche le acque del mare Arabo, del Sud America e dei Caraibi. Nell'anno appena passato, in particolare, la Nigeria e la Somalia sono stati i punti più caldi del mondo.
Alcune navi italiane sono state coinvolte, nel 2005 e nel 2006, in tentativi di attacchi da parte di pirati. Tanto che per far fronte a quell'emergenza si erano mosse Confitarma e la Marina militare italiana, che ha mandato nelle zone ad alto rischio, a più riprese, pattugliatori e fregate.

L'anno scorso, per la prima vota dal 2003, il numero di atti di pirateria nel mondo è cresciuto. Ed è aumentata anche la quantità di dirottamenti di navi, passata da 14 nel 2006 a 18 nel 2007, con 292 membri di equipaggi presi in ostaggio e 63 rapiti con richiesta di riscatto. Inoltre i pirati si sono dimostrati meglio armati e più audaci nell'assaltare e ferire membri dell'equipaggio di navi. Il rapporto certifica, infatti, una crescita del 35% nel numero di incidenti che hanno comportato l'uso di armi da fuoco (sono stati in tutto 72). Inoltre sono 64 i membri di equipaggi feriti nel 2007, contro i 17 del 2006. «La significativa crescita di questi numeri - afferma Pottengal Mukundan, direttore di Imb - può essere direttamente attribuita all'aumento degli incidenti in Nigeria e Somalia».
In Nigeria, l'anno scorso, sono stati registrati 45 incidenti in totale (25 dei quali a Lagos), contro i 12 del 2006. In Somalia, invece, sono stati contati 31 casi di pirateria. Nel 2006 erano stati 10. Inoltre, il maggior numero al mondo di rapimenti è avvenuto nelle acque somale, dove i pirati hanno preso in ostaggio 154 membri di equipaggi, nel corso di 11 dirottamenti di navi.
Sono invece in diminuzione gli attacchi nelle zone in cui è stata rafforzata la vigilanza sul mare. Ad esempio in Indonesia, dove gli incidenti sono stati 43, contro i 121 del 2006. Analoga la situazione nello stretto di Malacca, dove gli attacchi sono in continua diminuzione dal 2004 (l'anno scorso sono stati 7 contro gli 11 del 2006). Il Bangladesh, infine ha avuto il più grande miglioramento, scendendo da 47 attacchi registrati due anni fa a 15 nel 2007.
L'anno scorso non c'è stato alcun coinvolgimento di unità italiane in atti di pirateria. Cosa che invece è avvenuta nel 2005 e nel 2006 e ha fatto entrare in azione la Marina italiana. Nel luglio di due anni fa, lungo le coste della Somalia furono attaccate, a una settimana di distanza, la petroliera Cielo di Milano della d'Amico di Navigazione e la portacontainer Jolly Marrone, del gruppo Messina. Subito Confitarma chiese l'intervento dell'Italia. E il ministero della Difesa, spiega l'ammiraglio Fabio Caffio, dello Stato maggiore della Marina, «decise di intervenire. È scattata quindi l'operazione "Mare sicuro", portata avanti con il pattugliatore di squadra Granatiere, che ha battuto la zona per 92 giorni e ha portato all'interruzione degli attacchi ai mercantili nazionali».

In questo momento, conclude l'ammiraglio, «nell'area del Mare Arabico non ci sono unità militari italiane. Ma, in caso di emergenza pirati, le navi mercantili italiane possono emettere un segnale di pericolo che viene accolto dal Comando generale delle capitanerie di porto». In questo modo si possono immediatamente allertare le unità, anche di altre Marine, presenti sul luogo.


   20 gennaio 2008