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sulla stampa
a cura di G.C. - 8 giugno 2007


Saper pensare il mondo nuovo
Carlo Petrini su
la Repubblica

Siamo arrivati al dunque: quello che è sempre sembrato un argomento marginale nell´agenda politica dei grandi Paesi del mondo, ciò che è sempre stato ritenuto confinabile tra la protesta di piazza e i piccoli consessi degli ambientalisti, ora è entrato prepotentemente nelle stanze del G8. L´evidenza ha messo di fronte ai maggiori consumatori di energia del pianeta la questione del cambiamento climatico come non più prorogabile, e loro in qualche modo sono nuovamente riusciti a prorogare. Quindi il compromesso raggiunto a Heiligendamm, un impegno generico a prendere in mano la situazione in un futuro più o meno prossimo, non è un successo: la montagna ha partorito un topolino.
Non bastano le dichiarazioni d´intenti, il problema è molto più drammatico; il sistema che va urgentemente corretto è molto più complesso.
Purtroppo, gli otto grandi rappresentano diverse civiltà, diverse sensibilità, ma sono tutti accomunati dalla stessa visione economica, determinata dai parametri di crescita che hanno segnato la traiettoria del loro sviluppo. Questa visione stabilisce che il benessere materiale è l´unico obiettivo e che lo sviluppo è subordinato a un grande consumo di risorse: per cui i Paesi industriali dovrebbero mantenere il livello raggiunto, mentre chi è in via di sviluppo dovrebbe lottare per arrivare dove sono arrivati loro. Tant´è vero che il tavolo si sta aprendo a quei Paesi emergenti, come la Cina e l´India, che stanno ripercorrendo furiosamente le tappe degli otto e che presto, se ci si basa su questa visione economica, saranno destinati a surclassarli.
Mi chiedo, di fronte a questo scenario, quanto i G8 siano consapevoli che la natura ha dei limiti e che il loro stile di vita attuale non tiene conto del fatto che le risorse non sono infinite. Non sono soli al mondo e sono chiamati a rispettare i diritti degli assenti.
Oggi è quanto mai nel loro interesse riuscire a conciliare l´ecologia con l´equità, riuscire a garantire uno sviluppo per tutti, perché "la finitezza delle risorse è la cornice della giustizia". Ma ci riusciranno, ne terranno conto?
La questione non è soltanto etica, parliamo di sicurezza mondiale, di interdipendenza tra i popoli che abitano la terra, di benessere nell´interesse comune. Si tratta di far proprio un nuovo concetto di sviluppo.
C´è un modello che ben descrive quanto sarebbe necessario fare, o meglio quanto resterebbe soltanto più da fare, ed è stato elaborato da Aubrey Meyer nel 2000. Si chiama "Contrazione e convergenza" e parte dal presupposto che nessuno ha il diritto di sfruttare in maniera sproporzionata le risorse: le nazioni dunque dovrebbero muoversi tutte verso lo stesso traguardo, compatibile con gli interessi degli altri Paesi e con la capacità di tenuta della biosfera.
Ci riferiamo naturalmente alle risorse fossili: i Paesi industriali dovrebbero ridurre (contrazione) il loro consumo più di quanto i Paesi in via di sviluppo lo aumentino (per raggiungere la convergenza). Sarà necessario un abbassamento del 50% entro il 2050? Dipende come: l´abbassamento dovrà tener conto che i Paesi poveri hanno pur diritto a una crescita di consumi, perché per avere un minimo di benessere ci vuole un minimo di energia. Essi dovranno poter raggiungere almeno una dignity line, un livello che consenta ai loro cittadini di vivere una vita dignitosa. Quindi l´abbassamento dei ricchi dovrà essere più consistente, altrimenti non ne verremo mai a capo.
Sembrerebbe utopistico pretendere un tale bagno di umiltà da parte dei grandi della terra, ma ricordiamoci che è anche nel loro interesse. Inoltre, ridurre così tanto i nostri consumi di energie fossili non significherebbe necessariamente ridurre anche il nostro benessere. Con la riconversione della produzione energetica e la sua decentralizzazione si può sviluppare una diversa economia, perfettamente in grado di garantire una buona qualità della vita a tutti.
Il punto è proprio la decentralizzazione, l´implementazione di economie locali capaci di fare leva sulla diversità e sulle caratteristiche peculiari dei vari territori, armonizzando le due diverse tendenze che ci chiede il modello "contrazione e convergenza", per portarci a un sistema dove l´importante non sarà più consumare, ma il benessere.

È una scelta politica e tecnica: la fornitura di energia che di solito è centralizzata e basata sull´energia fossile (sia nel Nord sia nel Sud del mondo) deve essere decentrata e fondata su fonti rinnovabili. In una fornitura decentrata gran parte dell´elettricità viene prodotta in piccole unità: piccole centrali idroelettriche, impianti di biomassa, fotovoltaico, eolico. Sono metodi che hanno delle filiere molto più corte, si possono inserire bene nelle condizioni economiche e naturali dei luoghi e se ne può facilmente misurare la sostenibilità. Inoltre si possono utilizzare materie prime locali e i consumatori si trasformano pian piano in produttori di energia, rafforzando la loro partecipazione, consapevolezza e responsabilità.

La molteplicità delle fonti si adatterebbe a livello territoriale: si pensi all´Africa e all´impiego del fotovoltaico, alle zone disabitate e impervie del mondo dove si può implementare l´eolico, a quello che potrebbero fare piccoli stati caraibici ricavando l´etanolo dallo zucchero o alle potenzialità delle biomasse nelle zone dove si generano grandi scarti organici provenienti da altre filiere. Sono soltanto alcuni esempi di come un modello energetico decentralizzato potrebbe migliorare le condizioni di vita in molte parti del globo senza peggiorarle dove già si sta bene.
Durante il G8 si è discusso il grosso problema dell´Africa e degli aiuti umanitari: perché nessuno pensa di convogliare aiuti nella direzione di questo nuovo tipo di produzione energetica? Sarebbe un motore formidabile per lo sviluppo, e finalmente questi popoli avrebbero la possibilità reale di camminare con le proprie gambe. Aiutandoli a produrre elettricità in maniera alternativa e a livello locale, sono sicuro che con piccoli ospedali, scuole, case più accoglienti, una vita più agiata, sarà difficile che le campagne si svuotino, che le terre si abbandonino e che si prosegua con grandi megalopoli sempre più ingigantite e insostenibili e una cronica dipendenza alimentare dai Paesi ricchi.
Sto forse buttando in aria bei sogni di fronte a un consesso che decide buona parte del nostro futuro? Non credo, è tutta questione di volontà, e di pensare in maniera innovativa: sono tutte cose fattibili. Per questo motivo il vero sogno, forse, sarebbe vedere l´Italia partecipare al G8 con un tale livello propositivo, perché la nostra nazione, sempre più piccola di fronte ai grandi, può davvero giocare un ruolo decisivo su queste tematiche. L´Italia è il simbolo della diversità: siamo diversi al nostro interno e siamo sempre stati il crocevia di migrazioni e conquiste, generando un´incredibile capacità di adattamento e una buona dose di genialità. Noi italiani siamo sempre anche stati maestri nella convivialità, e per questa nostra capacità ci distinguiamo spesso anche negli incontri ufficiali. Ecco, sarebbe bello se riuscissimo finalmente a fare nostra la riflessione di Ivan Illich, secondo il quale il termine convivialità, a partire dal suo significato di saper vivere e mangiare insieme, ha assunto ormai, più ampiamente, il significato "della capacità, da parte di una collettività umana di sviluppare un interscambio armonioso con gli individui e i gruppi che la compongono e la capacità di accogliere ciò che è estraneo a questa collettività". Siamo pronti per pensare un mondo nuovo?


"Un vento torbido minaccia il Paese"
Intervista a Fassino
Simone Collini su
l'Unità

"Il Paese è investito da venti torbidi",dice il segretario dei Ds Piero Fassino. "Le illazioni incredibili che sono state pubblicate da un quotidiano come “La Stampa” contro Massimo D'Alema sono la dimostrazione dei veleni con cui si vuole intossicare la vita politica del Paese".
Vediamo contenuto e tempistica di quell'articolo, segretario Fassino: è stato scritto di conti all'estero.
"Non sono mai esistiti né esistono conti esteri né di D'Alema né di Fassino né di nessun altro dirigente nazionale dei Ds. Né tantomeno esistono conti esteri del partito. E bastava poco per capire che quella presunta notizia era una montatura colossale. Eppure un quotidiano autorevole come “La Stampa” non si è sottratto alla tentazione di pubblicare una notizia evidentemente falsa, ma le cui conseguenze di intorbidamento e intossicazione della vita politica del Paese sono evidenti".
Intossicazione che già non mancava, segretario Fassino, visto che l'articolo è stato pubblicato il giorno del dibattito al Senato sul caso Visco-Speciale.
"Una vicenda che ci ha messo di fronte a un clima analogo. Il comportamento di Visco è stato ineccepibile. Ed è risultato evidente, soprattutto nella ricostruzione che Padoa-Schioppa ha fatto al Senato, come in realtà al comportamento trasparente del viceministro non è corrisposto un comportamento altrettanto trasparente del generale Speciale. Il quale invece si è fatto protagonista di una gestione quantomeno spregiudicata e sconcertante del suo ruolo e si è prestato a una montatura che ha contribuito a rendere torbide le acque della politica".
C'è una regia, secondo lei?
"Non so se c'è una regia, quello che so è che veniamo da anni nei quali questo metodo è stato abbondantemente utilizzato dalla destra. Pensiamo ai veleni che sono stati sparsi con le commissioni d'inchiesta su Telekom Serbia e Mitrokhin, usate come vere e proprie clave per colpire gli avversari politici. Pensiamo a come le intercettazioni Telecom hanno fatto emergere un verminaio di faccendieri, di uomini di dubbia fama e provenienza, di agenti infedeli dello Stato che hanno agito con evidenti fini di provocazione e di destabilizzazione".
Vicende chiuse, mentre il caso Unipol-Bnl continua a far discutere.
"Si continua a utilizzare la vicenda per aggredire e denigrare sia il movimento cooperativo sia chi, come i Ds, ha sostenuto in buona fede e senza nessun interesse o convenienza personale l'opportunità di una scelta industriale e finanziaria".
Si parla di togliere la secretazione sulle intercettazioni di Antonveneta. Come vi comporterete di fronte alla richiesta di autorizzazione delle Camere?
"Noi abbiamo sempre votato a favore di queste richieste, purché vengano fatte seguendo le procedura prevista dalla legge".
È preoccupato?
"No. Quello che preoccupa sono i ricorrenti tentativi di destabilizzare la politica italiana, di screditare e delegittimare i partiti, di mettere in mora una classe dirigente. Questo è assolutamente sotto gli occhi di tutti e contribuisce ad accrescere quel disagio dei cittadini, quel malessere dell'opinione pubblica, quell'estraneità della società italiana nei confronti della politica che più volte è stata denunciata. E di cui abbiamo avuto una manifestazione anche nelle elezioni amministrative, con la crescita del fenomeno astensionista".
Le contromisure necessarie?
"È importante prima di tutto che ogni istituzione sia gelosa della propria autonomia e trasparenza, e che chi ha responsabilità istituzionali ad ogni livello gestisca la propria funzione e il proprio potere con rigore, nel rispetto delle istituzioni, nel rispetto della legge e dei cittadini".
Si riferisce a qualcosa o qualcuno in particolare?
"Le faccio un esempio: in queste ore ci viene dalla Basilicata la notizia di nuove perquisizioni ordinate dalla magistratura. Perquisizioni che hanno investito anche Filippo Bubbico, già presidente della Regione Basilicata e oggi sottosegretario al ministero per le Attività produttive. Un uomo stimato, chiunque lo abbia conosciuto ne ha potuto apprezzare l'onestà personale, il rigore istituzionale, la competenza amministrativa. Nessuno può credere agli addebiti che gli vengono rivolti".
La magistratura esercita il suo ruolo, non crede?
"Naturalmente non è minimamente in discussione il diritto della magistratura di indagare se ritiene di avere ragione di indagare. Ma le indagini siano rapide, gli accertamenti siano puntuali e non ci si avventuri in indagini o perquisizioni se non si hanno elementi più che certi".
Perché ha fatto proprio questo esempio?
"Perché non può non suscitare interrogativi preoccupanti il fatto che queste perquisizioni avvengano in Basilicata a 72 ore dal ballottaggio nella città di Matera. Nulla rendeva così urgenti queste perquisizioni da farle alla vigilia di un voto così delicato per quella città. Non solo. Episodi analoghi li abbiamo avuti già nei mesi scorsi. In Calabria, un consigliere regionale dei Ds è stato arrestato mentre era in vacanza, davanti al figlio piccolo, come se stesse per sottrarsi alla magistratura per reati gravissimi. Poi qualche mese dopo un altro magistrato ha riconosciuto l'assoluta insussistenza di qualsiasi fatto che giustificasse accusa e arresto".
Passiamo dal particolare al generale.
"Deve valere un principio di responsabilità. Vale per ciascuno di noi, deve valere per tutti.

Se ciascuno di noi, cioè chi ha responsabilità politiche, istituzionali, pubbliche, è chiamato ad essere responsabile dei propri atti, a compiere ogni atto con responsabilità, non minore dovere ha un direttore di giornale, che non può pubblicare qualsiasi falsa notizia senza chiedersi quali siano le conseguenze e senza verificare se abbia minima attendibilità. E chi gestisce una delicata funzione, come la magistratura, deve valutare le conseguenze dei propri atti. Naturalmente realizzando le indagini che ritiene, ma sapendo che anche il modo in cui si realizzano non è indifferente".
Messaggio chiaro: perché lo lancia proprio ora?
"Dico tutto questo perché viviamo in un momento delicato del Paese. Le elezioni amministrative hanno rilevato un malessere, un disagio che si è manifestato in un astensionismo che ha colpito l'insieme del sistema politico e dei partiti. Un disagio diffuso che si è manifestato soprattutto nel Nord, dove il voto ha assunto un connotato più evidente di contestazione e di protesta nei confronti del governo. Quel voto indica un malessere a cui la politica ha il dovere di dare una risposta e sollecita tutti a uno sforzo per far recuperare credibilità alle istituzioni, alla politica, a chi ha responsabilità pubbliche".
Tutti dice? A pagare per questa situazione è la maggioranza...
"Non credo che possa venire nulla di buono, a nessuno, inquinando, intossicando, intorbidando continuamente la vita politica. Torno ad insistere: il bipolarismo ha bisogno di essere mite per essere forte. In una democrazia forte non ci sono nemici che si combattono per il reciproco annientamento, ci sono avversari che convinti delle proprie ragioni si battono per affermarle. Ma nel riconoscimento dell'altro, nel rispetto delle regole, nel rispetto delle leggi e dei cittadini".
Resta il fatto che voi che siete al governo siete maggiormente interessati a un cambiamento di scenario. Anche perché in questi tredici mesi si è registrato un progressivo calo di consensi.
"Abbiamo la responsabilità di guidare l'Italia e il primo anno di governo ci dice che possiamo farcela, perché nonostante il malessere che i cittadini manifestano, e che naturalmente va raccolto con grande attenzione per capirne le ragioni e per dare risposte adeguate, in questi mesi si sono ottenuti dei risultati significativi. Non dimentichiamoci che soltanto un anno fa l'Italia veniva continuamente bacchettata dalla Commissione europea, dal Fondo monetario, dalla Banca mondiale, dall'Ocse, dalle società di rating internazionali perché i conti erano in disordine. Venivamo additati come un Paese finanziariamente instabile e inaffidabile. Oggi non è più così. In un anno abbiamo portato il deficit del bilancio da più del 4% al 2%. In un anno abbiamo cominciato a ridurre il debito pubblico e messo in campo una politica economica che sta facendo crescere il Paese, le imprese hanno recuperato competitività, le esportazioni tornano a salire, ci sono tutti i segnali di un'Italia che si sta rimettendo in piedi e può tornare a offrire maggiori certezze".
Gli elettori che si sono espressi alle amministrative non si mostrano molto soddisfatti.
"Il voto ci dice che nonostante i risultati dell'azione di governo le aspettative dei cittadini sono più alte. E noi dobbiamo essere capaci di raccoglierle. Il voto ci dice, per esempio, che nel mondo del lavoro autonomo, dei settori produttivi, dell'impresa, non sono superate le difficoltà che si erano già manifestate con la Finanziaria. E nonostante la politica che abbiamo messo in campo cominci a produrre risultati, queste categorie non si sentono sufficientemente riconosciute e valorizzate, si sentono penalizzate. Abbiamo bisogno di adottare altre misure di politica economica e fiscale che siano in grado di raccogliere il loro consenso e di rendere evidente che stiamo facendo una politica per la crescita, di cui le imprese possano beneficiare".
Parla di imprese e settori produttivi, ma risposte le aspettano anche altri, non crede?
"Ma è evidente. Dal voto si vede anche il disagio di settori deboli della società, l'inquietudine per la propria pensione, o per quella a cui si deve arrivare, per il lavoro precario, per un reddito che in termine di potere reale d'acquisto in questi anni si è impoverito. A questa inquietudine vogliamo dare delle risposte. Che dimostrino che è possibile creare le condizioni migliori per ciascuno, offrire a ciascuno maggiori opportunità".

Neanche una parola sull'extragettito, di cui da settimane tanto si parla?
"Con quell'extragettito finanzieremo l'aumento delle pensioni basse e i nuovi ammortizzatori sociali contro la precarietà. Inoltre il maggiore introito fiscale sarà investito sul piano della competitività. Va utilizzato per destinare una quota maggiore di risorse sia sul fronte delle infrastrutture, esigenza tanto delle imprese quanto della modernizzazione della società, sia sul fronte del sostegno a quanti maggiormente investono in ricerca, innovazione, aumento del sistema produttivo".
Tutte riforme economiche e sociali, ma guardando ai mesi passati, alle difficoltà incontrate, sembrerebbe necessario agire anche su un altro fronte.
"E infatti dovremo mettere mano anche a quelle riforme politiche e istituzionali necessarie per dare al sistema maggiore credibilità, efficienza e anche una maggiore capacità di decisione. Non ci rassegniamo all'idea che non si possa cambiare la legge elettorale, che il referendum sia inevitabile. Abbiamo la possibilità, se c'è la volontà politica, di avere una legge migliore di quella pessima di Calderoli".
Anche qui: in concreto?
"Vogliamo mettere mano alle riforme costituzionali che consentano al sistema politico di essere più rapido nelle decisioni, a partire dal superamento del bicameralismo che prevede, unico Paese al mondo, che ogni provvedimento debba essere adottato con doppio passaggio. Vogliamo mettere in campo misure di semplificazione delle procedure che consentano ai cittadini di poter vivere senza l'oppressione di una burocrazia che rende tutto più difficile, che appesantisce la vita di imprese e famiglie".
Fino ad oggi però nessuno degli obiettivi di cui ha parlato è stato raggiunto.
"Per questo parlo di uno scatto. Ed è necessaria una forte coesione della maggioranza. Si è visto al Senato che quando se ne ha consapevolezza, anche se i numeri sono esigui, il centrosinistra può essere unito e dimostrare di essere una maggioranza che c'è, che è capace di assumere decisioni e governare il Paese. Ora occorre che questa consapevolezza ci sia in tutti, che tutti agiamo perché attorno a Prodi la maggioranza realizzi un livello di coesione più alto di quello di questi mesi. Anche rinunciando ciascuno di noi a manifestare ogni giorno una pur legittima distinzione. Non aiuta la babele dei linguaggi, anzi".

Parla di forza grande, ma le liste dell'Ulivo alle amministrative non sono andate bene.
"Intanto: ogniqualvolta ci siamo presentati con l'Ulivo, quel simbolo è stato premiato dagli elettori, ha preso più voti dei partiti che lo costituiscono. Dopodiché, anche in queste elezioni amministrative non deve ingannare il fatto che in molte città l'Ulivo abbia avuto una flessione consistente rispetto alle politiche".
Perché?
"Primo, perché amministrative e politiche sono elezioni diverse. E secondo, perché in molte di quelle città va calcolata anche la presenza delle liste dei sindaci, che chiaramente hanno preso voti che alle politiche erano nel bacino elettorale dell'Ulivo. Quindi se si va a vedere, in gran parte dei luoghi in cui si è votato, la somma dei voti della lista dell'Ulivo con i voti delle liste dei sindaci ci dice che il progetto di dare al Paese una grande forza capace di avere un'ambizione maggioritaria è un obiettivo possibile. Tanto più che il voto del primo turno ci dice che quando il centrosinistra perde perdono tutti. L'idea che una flessione dell'Ulivo possa far beneficiare le forze della sinistra radicale è destituita di fondamento, guardando ai risultati".

Ora ci sono i ballottaggi. Berlusconi dice che poi va al Quirinale.
"Domenica e lunedì non si vota per scegliere chi deve sedere a Palazzo Chigi, perché gli italiani lo hanno già deciso nel 2006 affidando la guida dell'Italia al centrosinistra e a Prodi. È prima di tutto un voto amministrativo, importante perché consente di scegliere sindaci e presidenti di provincia autorevoli, capaci di guidare bene le proprie comunità. Naturalmente è un voto che assume anche un valore politico, visto che Berlusconi per dà a questo voto quasi il valore di una rivincita sulle elezioni politiche. Bene, ci sono due buone ragioni per andare a votare. Per garantire che siano eletti sindaci e presidenti di provincia capaci ed autorevoli e per battere il tentativo di spallata che la destra sta mettendo in campo".


La Guardia di Finanza a casa di due giornalisti
Nota del Cdr del
Corriere della Sera

MILANO - È in atto il tentativo continuo e costante di minare la libertà di informazione, a volte condizionandola e a volte imbavagliandola. L'ultimo episodio riguarda, come già avvenuto altre volte in passato, i giornalisti del Corriere della Sera. La redazione di questo giornale e il Comitato che la rappresenta sindacalmente manifestano fortissima preoccupazione e motivato stupore per le perquisizioni che sono state condotte nelle abitazioni e sui posti di lavoro di due nostri colleghi, Giovanni Bianconi ed Enzo d'Errico, ad opera della Guardia di Finanza su mandato della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. I due giornalisti sono unicamente “responsabili” di avere svolto al meglio e rigorosamente il proprio dovere, informando in modo documentato i lettori: l'uno, sull'indagine giudiziaria aperta nei confronti del senatore Sergio De Gregorio, per riciclaggio e con l'aggravante di avere favorito l'associazione mafiosa; l'altro, ricostruendo la storia personale e le vicende politiche di questo personaggio. La redazione del Corriere e il suo CdR esprimono piena solidarietà ai due colleghi, che verranno tutelati d'intesa con la Direzione in tutte le sedi. I primi colloqui con gli uffici legali del Corriere della Sera portano fin d'ora a ritenere che in quanto accaduto si siano configurati arbitrii e illegittimità, che verranno impugnati davanti al Tribunale del Riesame: come, in particolare, il sequestro di strumenti di lavoro e di materiale privato, che nulla ha a che vedere con l'inchiesta. I giornalisti del Corriere della Sera sono abituati a respingere al mittente ogni tipo di intimidazione e proseguiranno, nella massima indipendenza e trasparenza, nel loro lavoro d'inchiesta, di ricerca e pubblicazione delle notizie, nell'interesse e nel rispetto esclusivo dei lettori.
Il CdR del Corriere della Sera Milano, 7 giugno 2007


La Cosa Rossa presenta il conto al governo
Claudia Fusani su
la Repubblica

ROMA - Passato un guaio, ecco che per il governo se ne appalesa subito un altro. Al suo interno, con la consistenza di oltre 150 parlamentari e di più complessa soluzione, rispetto al caso Speciale, visto che riguarda questioni come redistribuzione dell'extragettito - il "tesoretto" - , pensioni, pace e riarmo, ricerca, precariato. Il "guaio" prende forma alle due del pomeriggio nella platea del teatro Capranica, cento passi dal Parlamento e qualcuno in più da palazzo Chigi. Non ha ancora un nome e un portavoce, si sa che avrà una forma federativa e che mette insieme quattro partiti di maggioranza: Sinistra democratica (Mussi, Angius), Rifondazione, Comunisti italiani e Verdi.

Il glossario della politica chiama questo tipo di riunioni "stati generali", la riunione formativa di qualcosa di nuovo che comincia, dove si decidono contenuti tempi e modi della nuova formazione politica. "Per dirla in maniera più spiccia" dice Elettra Deiana (Rc), vicepresidente della Commissione Difesa della Camera "poco meno della metà dei parlamentari di maggioranza stanno chiedendo il tagliando al governo. D'ora in poi o c' è la tanto attesa svolta nelle scelte del governo oppure...". La parola crisi non viene pronunciata. Ma è lì che aleggia nella sala. "La coalizione, in meno di un anno, è stata abbandonata. Questo è l'ultimo richiamo" dice il segretario dei Verdi Alfonso Pecoraro Scanio. E un membro del governo, il sottosegretario Paolo Cento (Verde) aggiunge: "O arriva la svolta sociale che chiediamo o altrimenti è chiaro che questo governo è ostaggio dei poteri forti".

L'agenda delle cose da fare e da chiedere al governo la scandisce, per primo, Fabio Mussi. A cominciare dal riarmo militare: "Oggi D'Alema ha detto che l'Italia in linea di principio non è contraria ai sistemi di difesa antimissile. Noi invece siamo contrari ai missili al confine con la Russia". Le scelte sul riarmo di Bush "fanno il paio con quelle sul clima" osserva Mussi. Alla vigilia della visita a Roma del presidente americano non è proprio un ben arrivato. Molti dei deputati in questa sala sabato saranno in corteo e in piazza.

Mussi insiste e chiede al governo "non solo la collegialità sulle scelte, siamo qui in tanti a pretendere di poter dire la nostra sulle scelte di politica economica e sociale, ma anche che queste scelte siano verso il basso per un nuovo equilibrio del sistema". E quindi Dpef e pensioni, ridistribuzione dell'extragettito, precariato. In mattinata la "Cosa Rossa" s'è incontrata con i sindacati.

Fin qui l'agenda delle priorità. Poi viene la politica, a che punto è il processo di unità a sinistra del pd. "E' nelle cose - dice Mussi - ma è un processo che deve costruirsi. Guai a fare come il partito democratico che ha scarso peso politico e irrilevanza culturale". Per Franco Giordano, segretario di Rifondazione, "il processo di unità a sinistra è irreversibile e dobbiamo coinvolgere movimenti, sindacati e giovani". Per Oliviero Diliberto, segretario del pdci, quello di oggi "è un evento politico di primaria grandezza".



Maturità, c'è un voto di troppo. Quello di religione
Marina Boscaino su
l'Unità

"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Articolo 3 della Costituzione: oggi un'opzione di inguaribile romanticismo o di insanabile vetero-ottimismo? Già: in quell'idea di società che è la scuola italiana, due punti di un'ordinanza ministeriale emanata il 15 marzo 2007 dal ministro Giuseppe Fioroni in merito all'Esame di Stato sollevano dubbi sull'inconfutabilità di quell'affermazione.
"Il voto in religione contribuisce alla determinazione del credito scolastico" con cui gli studenti accedono all'Esame di Stato.
Esame di Stato, appunto. Di uno Stato che - fino a prova contraria - non è confessionale. Il 23 maggio il Tar del Lazio - cui una serie di associazioni, tra cui il Cidi, erano ricorse per chiedere la sospensiva dell'ordinanza - aveva accolto la richiesta, affermando che "l'insegnamento della religione non può contribuire in alcun modo alla formazione del credito scolastico, perché determinerebbe in via presunta una disparità di trattamento con gli studenti che non seguono l'insegnamento religioso e non usufruiscono di un'attività sostitutiva". Ricordiamo a questo proposito le sentenze della Corte Costituzionale (203/1989 e 13/1991) che hanno stabilito che gli allievi che non scelgono l'Irc non hanno alcun obbligo, né di frequentare un altro insegnamento né di essere presenti a scuola, e che solo la piena facoltatività dell'Irc permette di non considerare questo insegnamento incostituzionale.
Il Consiglio di Stato ha accolto in via provvisoria il ricorso del ministro Fioroni dopo il pronunciamento del Tar, bloccando la sospensiva dei punti dell'ordinanza ministeriale, che è quindi tornata in vigore, come è stato ribadito da una circolare del ministero del 31 maggio a tutte le scuole italiane. Un braccio di ferro davvero pericoloso, che promette di non concludersi qui. Infatti l'udienza per il pronunciamento definitivo del Tar è fissata per il 12 giugno, 8 giorni prima dell'inizio dell'Esame di Stato e a scrutini completati. Qualora la sentenza definitiva annullasse l'ordinanza ministeriale, si metterebbe in dubbio il regolare svolgimento e l'esito dell'esame, determinando una grave situazione di incertezza giuridica, con eventuale fiume di ricorsi sull'esito finale.
Il ministro Fioroni - la cui incontenibile vocazione confessionale riesce a riscuotere consensi unanimi nel centrodestra e silenzi complici (o imbarazzati) nel centrosinistra - è però certamente persona in grado di comprendere che esistono alcuni temi che, per quanto apparentemente limitati, rappresentano paradigmi di un modo di essere e di pensare per il quale non io, ma - meglio e ben più autorevolmente di me - i costituenti e generazioni di donne e uomini hanno speso energie e vita. E sui quali non c'è possibilità alcuna di negoziazione. Uno di questi è la laicità della scuola pubblica: una tutela comune - né di sinistra né di destra -, un patto di civiltà e di difesa del diritto di cittadinanza delle culture - di tutte le culture - nella scuola. E di quel principio di uguaglianza dal quale siamo partiti.
Non è la prima volta che si tenta ad aprire una breccia nella direzione contraria a questi presupposti, nonostante le sentenze della Corte Costituzionale, che afferma che "l'insegnamento della religione cattolica non deve essere in alcun modo discriminante", anche in seguito a quanto stabilito dal Nuovo Concordato dell'84. Ma ora fa più male; ed è più pericoloso. Perché - nei tristi e disorientanti rituali di quest'anno contraddittorio e deludente, tra un Family Day e un arretramento progressivo sui Pacs-Dico - l'ingerenza delle gerarchie ecclesiastiche, il peso che gli viene concesso, gli spazi che gli vengono riservati nella gestione della politica italiana hanno portato a consentire l'ingresso di parole minacciose e inquietanti per la coscienza di tutti i cittadini laici e democratici. Sono parole del passato, di un modo di intendere la scuola che abbiamo combattuto per cinque anni. Parole pericolose nella scuola, il luogo della formazione della coscienza critica e della cittadinanza; e fuori della scuola, dove i bambini e i ragazzi italiani sono sottoposti a martellanti sollecitazioni che dicono altro e che portano altrove. E dove un mondo adulto poco consapevole e molto consumatore abbocca volentieri alla lusinga di una presunta "eticità" in pillole - che è solo basso moralismo - individuata da quelle parole; e così si salva l'anima; o, almeno, si illude di farlo.
Una parola chiave - che rispunta periodicamente - è, ad esempio, "identità": ricordiamo la netta opposizione in Europa alla richiesta di Giovanni Paolo II di far inserire il concetto di "identità cristiana" nella Costituzione europea. L'allentamento della vigilanza su un terreno fertile come quello della scuola pubblica, combinandosi con l'alleanza cattolica trasversale ai partiti politici, potrebbe avere come esito l'allargamento di maglie nell'impianto neutrale e relativista che la Costituzione ha affidato alla pubblica istruzione. Disorienta poi l'enfasi che - in tanti documenti e dichiarazioni sulla scuola - si pone sulla "centralità della persona". Un'espressione che ha perso il proprio positivo significato letterale, assecondando la tendenza a valutare la persona come individualità predeterminata in senso cristiano. Sulla quale, dunque, qualunque intenzionalità educativa della scuola perderebbe la propria efficacia, immobilizzando la persona in una stasi impermeabile che configura quel percorso di scuola a domanda individuale in cui i bravi - che normalmente sono ricchi - diventano più bravi; e i non bravi - la cui inadeguatezza è molto spesso la concretizzazione delle condizioni socio-economico-culturali di partenza - rimangono tenacemente ancorati a quel destino marchiato a lettere di fuoco nel loro Dna.
La scuola, invece, dovrebbe essere terreno di crescita, di emancipazione, di miglioramento. Facciamo attenzione, dunque. L'attenzione, catapultata sulle macro-questioni - famiglia regolar-tradizionale - Dico - non può distrarsi da episodi più mimetizzati, ma ugualmente gravi e inquietanti.



Pezzotta lancia il movimento dei cattolici
Giovanna Casadio su
la Repubblica

ROMA - Gli hanno chiesto di nuovo di entrare nel Partito democratico ma Savino Pezzotta risponde: "No grazie. Le contaminazioni non mi piacciono, ho sempre paura che mi venga una malattia...". Una battutaccia, che l´ex sindacalista Cisl, portavoce del Family day, regala a una platea cattolicissima e trasversale come ai tempi del referendum sulla fecondazione assistita quando si consolidò "l´armata Ruini". Ma ieri l´occasione è più squisitamente politica (il seminario dei Teodem della Margherita sul dopo-Family day) che Giuliano Ferrara, il direttore del Foglio - invitato nella veste di super-laico e provocatore - riassume chiedendo: c´è un partito che rappresenta la piazza cattolica del 12 maggio? Ci sarà il partito di Pezzotta?
Non ci sarà, assicura Pezzotta stesso, ma butta lì: "È urgente la presenza cattolica in politica, non si tratta di costruire un altro partito dei cattolici, ma di fare un movimento para-politico capace di tenere viva una storia, una cultura utili al paese". Perché il Partito democratico, l´unione tra Dl e Ds, è la tomba di quel che resta della Dc e anche "la fine di una parte del cattolicesimo democratico e questo ci obbliga a pensare a nuove forme con cui i cattolici possano portare il loro apporto alla politica. I Popolari se entrano nel Pd stiano attenti". Applausi in sala dove Rocco Buttiglione (Udc) siede accanto alla teodem Paola Binetti, il centrista Bruno Tabacci vicino a Gerardo Bianco della Margherita, Emanula Baio (Dl) con Maria Burani (Fi). Gelo su Pezzotta invece, dal ministro della Pubblica Istruzione Beppe Fioroni, cattolico-popolare, sceso in piazza per il Family day e ieri in prima fila: "Savino, contraddici la tua storia: la forza del cattolicesimo è di essere sale e lievito e capacità di confrontarsi e di contaminarsi. Se no si torna al "non expedit"...".
E quindi, anche i Teodem, l´ala cattolica dura di Dl, ci ripensano sul Partito democratico? "No, non è così - rettifica Enzo Carra - Però non possiamo perdere Pezzotta, né Andrea Riccardi, non possiamo lasciare andar via chi ha votato per noi solo perché dobbiamo prendere la scorciatoia di un partito". Il malumore dei Teodem sulla questione cattolica e il Pd, è evidente. Ma anche l´imbarazzo per l´attacco di Pezzotta contro il Partito democratico. Luigi Bobba cerca di mediare. Sul palco, tagliante e a tratti accorato l´intervento di Riccardi, leader della comunità di Sant´Egidio che parla della fine della luna di miele con Prodi: "Il popolo del Family day è una realtà che i politici cattolici, specie quelli adulti - alludendo a Prodi - credono di conoscere. Il centrodestra ha forse capito di più l´importanza dei valori per la gente". Mentre nel centrosinistra, "forse con il primo Prodi, quello dell´Europa e dell´euro c´è stata luna di miele ma è finita".

Ferrara scrive: "L´investitura di Pezzotta a capopopolo si deve alla sua storia personale non meno che a Camillo Ruini".


Lo scacchista Vladimir spiazza George W.
Franco Venturini sul
Corriere della Sera

Ieri mattina, impegnato com'era a prendere gli europei in contropiede sul clima, George Bush non poteva certo immaginare che di lì a poco Vladimir Putin lo avrebbe spiazzato sulle difese antimissile. Il Presidente russo ha atteso il colloquio bilaterale con il capo della Casa Bianca per scoprire le sue carte: invece di permettere che lo "scudo" americano infiammi l'Europa, perché non utilizzare il radar che noi russi abbiamo già nel Caucaso e gettare così le basi di una leale collaborazione antibalistica?
Dalle minacce alle proposte, dal dito sul grilletto alla mano tesa, Putin ha cambiato registro con rapidità fulminea. La Russia, ha spiegato al termine dell'incontro con Bush, dispone in Azerbaigian di una stazione radar analoga a quella che gli Usa vorrebbero costruire nella Repubblica Ceca. Se Washington accettasse di servirsene i vantaggi sarebbero numerosi: il sistema antimissile coprirebbe tutta l'Europa invece di lasciarne una parte scoperta; i resti di un eventuale ordigno nemico abbattuto cadrebbero in mare e non sul territorio europeo; la Russia potrebbe rinunciare a puntare i suoi missili contro l'Europa (come ventilato nell'intervista pubblicata domenica dal Corriere). E soprattutto Mosca e Washington procederebbero d'amore e d'accordo alla creazione di un sistema antimissile comune, alla sola condizione che gli Usa non siano tanto infidi da compiere nel frattempo altre azioni unilaterali. Sofisticata quanto inattesa, la mossa di Putin è degna della grande tradizione russa nel gioco degli scacchi. Si tratta, per il Cremlino, di mettere in imbarazzo Bush e di rendere quasi impossibile un rifiuto frontale degli Usa ora che Mosca esibisce tutta la sua disponibilità al compromesso. Gli americani sostengono che il loro "scudo" deve proteggerci dai futuri missili iraniani? Bene, il radar azero ha una collocazione perfetta per monitorare l'Iran. Se Washington risponderà picche, avremo la prova provata che lo "scudo" vuole essere anti Russia, non anti Iran. E ogni nostra contromisura, allora, sarà giustificata davanti agli occhi del mondo (in particolare davanti a quelli degli europei). Tanto più che la prima idea di costruire insieme un sistema antimissile fu avanzata da un Presidente americano, tale Bill Clinton. E che il prossimo inquilino della Casa Bianca, a quanto dicono i sondaggi, potrebbe tornare a essere un democratico.
Vladimir Putin ha preparato a lungo il terreno, e ora gioca pesante. Nulla è stato detto da parte russa sui missili che Bush vuole basare in Polonia, ma la precisazione che in caso di intercettazione "i detriti cadrebbero in mare", unitamente a indicazioni provenienti da fonti americane, fanno credere che Mosca voglia puntare su sistemi navali statunitensi dislocati nel Mediterraneo orientale. In parole povere, la Casa Bianca dovrebbe rinunciare all'intera componente europea dello "scudo" così come originariamente concepita, e in particolare tenersi alla larga dai Paesi Nato vicini ai confini della Russia. Per quanto voglia correggere gli errori di mancata consultazione commessi nei mesi scorsi verso la Russia (e anche verso molti alleati europei), è improbabile che George Bush possa perdere la faccia e ingoiare la pillola caucasico-mediterranea offertagli da Putin. Ma rispondere no senza indossare i panni di Stranamore sarà quasi altrettanto difficile.

Per questo si è concordato di affidare la cosa a un gruppo misto di esperti, che potrebbe magari individuare un compromesso reale diverso dalla resa che Putin ha suggerito ieri. Per questo la prossima volta che Bush e Putin si vedranno, nel Maine ai primi di luglio, la partita decisiva entrerà nel vivo. Il presidente russo ha cambiato registro con rapidità fulminea. Difficile, per il capo della Casa Bianca, dare una risposta negativa


  8 giugno 2007