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La settimana sulla stampa
a cura di F.I.


Carlo Maria Martini sul
Corriere della Sera

Chi è per me Dio? Fin da ragazzo mi è sempre piaciuta l'invocazione, che mi pare sia di San Francesco d'Assisi, "mio Dio è mio tutto". Mi piaceva perché con Dio intendevo in qualche modo una totalità, una realtà in cui tutto si riassume e tutto trova ragione di essere. Cercavo così di esprimere il mistero ineffabile, a cui nulla si sottrae. Ma vedevo anche Dio più concretamente come il padre di Gesù Cristo, quel Dio che si rende vicino a noi in Gesù nell'eucarestia. Dunque c'era una serie di immagini che in qualche maniera si accavallavano o si sostituivano l'una con l'altra: l'una più misteriosa, attinente a colui che è l'inconoscibile, l'altra più precisa e concreta, che passava per la figura di Gesù. Mi sono reso conto ben presto che parlare di Dio voleva dire affrontare una duplicità, come una contraddizione quasi insuperabile. Quella cioè di pensare a una Realtà sacra inaccessibile, a un Essere profondamente distante, di cui non si può dire il nome, di cui non si sa quasi nulla: e tutto ciò nella certezza che questo Essere è vicino a noi, ci ama, ci cerca, ci vuole, si rivolge a noi con amore compassionevole e perdonante. Tenere insieme queste due cose sembra un po' impossibile, come del resto tenere insieme la giustizia rigorosa e la misericordia infinita di Dio. Noi non scegliamo tra l'una e l'altra, viviamo in bilico (...).
Come dice il catechismo della Chiesa cattolica, la dichiarazione "io credo in Dio" è la più importante, la fonte di tutte le altre verità sull'uomo, sul mondo e di tutta la vita di ogni credente in lui. D'altra parte il fatto stesso che si parli di "credere " e non di riconoscere semplicemente la sua esistenza, significa che si tratta concretamente di un atto che non è di semplice conoscenza deduttiva, ma che coinvolge tutto l'uomo in una dedizione personale.

È dunque possibile conoscere Dio con le sole forze della ragione naturale? Il Concilio Vaticano I lo afferma, e anch'io l'ho sempre ritenuto in obbedienza al Concilio. Ma forse si tratta della ragione naturale concepita in astratto, prima del peccato. Concretamente la nostra natura umana storica, intrisa di deviazioni, ha bisogno di aiuti concreti, che le vengono dati in abbondanza dalla misericordia di Dio.
Dunque non è tanto importante la distinzione tra la possibilità di conoscenza naturale e soprannaturale, perché noi conosciamo Dio con una conoscenza che viene e dalla natura, dalla grazia e dallo spirito Santo, che è riversata in noi da Dio stesso.
Bisogna dunque accettare di dire a riguardo di Dio alcune cose che possono apparire contraddittorie. Dio è Colui che ci cerca e insieme Colui che si fa cercare. È colui che si rivela e insieme colui che si nasconde. È colui per il quale valgono le parole del salmo "il tuo volto, Signore, io cerco", e tante altre parole della Bibbia, come quelle della sposa del Cantico di Cantici: "Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l'amato del mio cuore; l'ho cercato, ma non l'ho trovato. Mi alzerò e farò il giro della città; per le strade e per le piazze voglio cercare l'amato del mio cuore. L'ho cercato ma non l'ho trovato. Da poco avevo oltrepassato le guardie che fanno la ronda quando trovai l'amato del mio cuore..." (3,1-4). Ma per lui vale anche la parola che lo presenta come il pastore che cerca la pecora smarrita nel deserto, come la donna che spazza la casa per trovare la moneta perduta, come il padre che attende il figlio prodigo e che vorrebbe che tornasse presto. Quindi cerchiamo Dio e siamo cercati da lui. Ma è certamente lui che per primo ci ama, ci cerca, ci rilancia, ci perdona.
A questo punto, sollecitati anche dalle parole del Cantico "ho cercato e non l'ho trovato", ci poniamo il problema dell'ateismo o meglio dell'ignoranza su Dio. Nessuno di noi è lontano da tale esperienza: c'è in noi un ateo potenziale che grida e sussurra ogni giorno le sue difficoltà a credere. Su questo principio si fondava l'iniziativa della "Cattedra dei non credenti" che voleva di per sé "porre i non credenti in cattedra" e "ascoltare quanto essi hanno da dirci della loro non conoscenza di Dio". Quando si parla di "credere in Dio" come fa il catechismo della Chiesa cattolica, si ammette espressamente che c'è nella conoscenza di Dio un qualche atto di fiducia e di abbandono. Noi sappiamo bene che non si può costringere nessuno ad avere fiducia. Io posso donare la mia fiducia a un altro ma soltanto se questi mi sa infondere fiducia. E senza fiducia non si vive (...). L'adesione a Dio comporta un'atmosfera generale di fiducia nella giustezza e nella verità della vita, e quindi nella giustezza e nella verità del suo fondamento.

Molti e diversi sono i modi con cui ci si avvicina al mistero di Dio. La nostra tradizione occidentale ha cercato di comprendere Dio possibilmente anche con una definizione. Lo si è chiamato ad esempio Sommo Bene, Essere Sussistente, Essere Perfettissimo... Non troviamo nessuna di queste denominazioni nella tradizione ebraica. La Bibbia non conosce nomi astratti di Dio, mai ne enumera le opere. Si può affermare che ciò che la Bibbia dice su Dio viene detto anzitutto con dei verbi, non con dei sostantivi. Questi verbi riguardano le grandi opere con cui Dio ha visitato il suo popolo. Sono verbi come creare, promettere, scegliere, eleggere, comandare, guidare, nutrire ecc. Si riferiscono a ciò che Dio ha fatto per il suo popolo. C'è quindi un'esperienza concreta, quella di essere stati aiutati in circostanze difficili, dove l'opera umana sarebbe venuta meno. Questa esperienza cerca la sua ragione ultima e la trova in questo essere misterioso che chiamiamo Dio.
D'altra parte ha qualche ragione anche la tradizione occidentale. Infatti tutte le creature hanno ricevuto da Dio tutto ciò che sono e che hanno. Dio solo è in se stesso la pienezza dell'essere e di ogni perfezione, e colui che è senza origine e senza fine. Tuttavia nel mistero cristiano la natura di Dio ci appare gradualmente come avvolta da una luce ancora più misteriosa. Non è una natura semplicemente capace di tenere salda se stessa, di essere indipendente, di non aver bisogno di nessuno. È una realtà che si protende verso l'altro, in cui è più forte la relazione e il dono di sé che non il possedere se stesso. Per questo Gesù sulla croce ci rivela in maniera decisiva l'essere di Dio come essere per altri: è l'essere di Colui che si dona e perdona.


"Alla fine Gorbaciov capì e così il Muro crollò"
Il nuovo volume delle memorie dell´ex Cancelliere che riunificò la Germania La collaborazione con Mosca e Washington, l´intesa con i coniugi Clinton
Helmut Kohl su
la Repubblica


La fine pacifica della guerra fredda, la riunificazione tedesca, il declino di Gorbaciov. Quei momenti sono narrati dal principale protagonista tedesco di allora, . Nel nuovo volume delle sue memorie (Erinnerungen 1990-1994, editoriale Droemer Verlag, Monaco), che esce oggi, il padre della riunificazione tedesca racconta quei mille momenti decisivi. Ecco, per concessione dell´editore e personalmente di Helmut Kohl, alcuni passaggi significativi del libro, accorpati e sintetizzati per esigenze redazionali.

"Il 1989 fu l´anno di una grande svolta nella storia dell´Europa. I popoli nella Ddr e in altri Stati dell´Europa centrale, orientale e sudorientale, dopo cinquant´anni, conquistarono la libertà. Per noi tedeschi, ma anche per tutti i nostri amici all´Ovest e all´Est, la caduta del Muro di Berlino e l´apertura della Porta di Brandeburgo furono eventi sognati da tempo nel profondo. Per 28 anni il Muro fu il simbolo della disumana divisione della Germania e dell´Europa. Ora rivedo nella memoria quelle immagini commoventi della frontiera aperta. Chi mai potrà dimenticare la gioia catturata dalle immagini di allora sui volti della gente?"
"Il 1989 riavvicinò in modo decisivo la riunificazione della nostra Patria. Ma senza i cambiamenti di fondo in Unione sovietica, in Ungheria, e in Polonia, la rivoluzione pacifica nella Ddr non sarebbe stata possibile. Se ripenso alle immagini indimenticabili, rivedo anche l´Ungheria che apre la Cortina di ferro… E in Polonia rivedo Tadeusz Mazowiecki, un convinto cristiano, eletto primo ministro, che s´impegnò per la riconciliazione tra i nostri due popoli"…
"L´Europa, il nostro vecchio Continente, era tornata viva. Con nuova forza e nuova coscienza di sé. Le cupe prognosi degli anni Settanta e dell´inizio degli Ottanta, di una minaccia di eurosclerosi, furono smentite dai fatti. L´Europa tornò al centro della politica mondiale, soggetto e non oggetto. Duecento anni dopo la Rivoluzione francese, avvenne nel 1989 una svolta in Europa: ancora una volta i popoli presero il loro destino nelle loro mani, come nel 1789 con la Dichiarazione dei diritti dell´uomo e del cittadino… E in un´ammirevole differenza dal 1789, ciò avvenne con un movimento non violento"…
Io e Gorbaciov: i primi contatti
"La fiducia fu una importante precondizione del successo dei nostri complessi colloqui, anche a Mosca. Bene fu che Gorbaciov e io riuscimmo a costruire anche uno stretto rapporto di fiducia personale… Così arrivammo alla dichiarazione comune che ogni Stato - anche la Ddr e una Germania unita - avrebbe avuto il diritto di scegliersi il suo sistema politico e sociale… Lui aveva capito la profondità della crisi del suo Paese e non aveva solo avviato un profondo cambiamento a casa, bensì aveva dato una nuova dinamica alla politica estera sovietica, fino a riflessioni su un ingresso dell´Urss nella Nato… Ciò rese possibile una soluzione costruttiva e volta al futuro della questione tedesca"…
Io e Gorbaciov: i pericoli
"Nel pomeriggio del 23 aprile 1990 chiamai l´ambasciatore sovietico Julij Kvitsisnki, per chiedergli di spiegare a Gorbaciov le mie idee… Spazzai via i timori sovietici di una politica nazionale tedesca, e gli dissi che ritenevo giunto il momento di lavorare insieme sul tema degli impegni economici della Ddr verso l´Urss… Parlai poi con il mio amico George Bush, gli spiegai che Gorbaciov affrontava problemi enormi e che l´insieme del suo processo di riforme sarebbe stato in pericolo se lui non avesse potuto riscuotere successi. La prosecuzione del processo di riforme era nell´interesse comune dell´intero Occidente… Mi era ben chiaro come fosse precaria allora la situazione economica dell´Impero sovietico e mentre il Patto di Varsavia praticamente già non esisteva più, la Nato si sarebbe rafforzata. Gorbaciov poteva immaginarsi un´appartenenza della Germania a entrambi i blocchi, ma Mitterrand gli dette poche speranze…
Io e Gorbaciov: il braccio di ferro, poi l´intesa
"Andai da Gorbaciov a Mosca per un vertice… Gli chiesi subito se era d´accordo che la Germania riconquistasse la sua piena sovranità con la riunificazione. Ovvio, mi rispose… Io replicai chiarendo che la piena sovranità significava l´appartenenza di tutta la Germania unita alla Nato, ma non ebbi la risposta che speravo. Lui mi disse che la Germania unita avrebbe potuto de jure essere membro della Nato, ma de facto il territorio dell´ex Ddr non avrebbe potuto essere inglobato nella Nato… Non potevo accettare, le nostre posizioni sembravano inconciliabili. Gorbaciov capì il mio scetticismo, e rassicurante mi disse: "Abbiamo cominciato i nostri colloqui qui a Mosca, li continueremo nel Caucaso. Respirando l´aria di montagna molto ci sarà più chiaro"… Verso le 13,30 la limousine Zil nera - sette tonnellate, 400 cavalli - ci portò dal Cremlino all´aeroporto del governo. Arrivammo puntuali, e l´Ilyushin 62 presidenziale ci condusse in volo fino ai suoi luoghi natali"…
La Germania unita e la memoria del passato
"Molti chiesero di fare del 9 novembre (data della caduta del Muro, ndr) una festa nazionale. Io trovavo i cupi giorni di novembre ributtanti. La festa nazionale dovrebbe essere un giorno di gioia. La caduta del Muro fu un giorno di gioia, ma riguardando indietro alla Storia, il 9 novembre 1923, in una maledetta concatenazione della Storia tedesca, fu il giorno del primo Putsch di Hitler, e il 9 novembre 1938 ci fu il Pogrom della Notte dei Cristalli"…
Il Putsch contro Gorbaciov
"Quando nella notte tra il 18 e il 19 agosto 1991 appresi del tentativo di forze ostili alle riforme in Urss di rovesciare Gorbaciov, non fui del tutto sorpreso, ma non ero preparato... Il nostro primo appello fu alla direzione sovietica, perché rispettasse i diritti umani e la carta di Helsinki. E ingiunsi di garantire l´incolumità personale di Mikhail Gorbaciov, in nome del suo decisivo contributo alla pace nel mondo… Dopo tre giorni il Putsch era finito, e Gorbaciov, dopo 72 ore agli arresti, tornò incolume a Mosca. Ma da quel momento, il futuro politico del mio amico Mikhail mi apparve segnato".
Willy Brandt, patriota di sinistra
"Willy Brandt era già gravemente segnato dalla sua malattia quando mi visitò un´ultima volta alla Cancelleria… Poi più tardi, nel 1992, prima delle ferie estive, dissi a sua moglie, Brigitte Seebacher-Brandt, che avrei voluto vederlo. Li chiamai il 27 agosto, lo visitai l´indomani. Arrivai a casa loro e fui stupito. Il paziente terminale, afflitto da terribili sofferenze, mi ricevette vestito ed elegante, mi salutò di cuore. Gli chiesi perché si fosse alzato dal letto torturandosi coi dolori. La sua risposta fu: "Quando viene a trovarmi il mio Cancelliere, non resto a letto". Il suo funerale al Reichstag di Berlino fu degno di lui. Diretti da Claudio Abbado, i Berliner Philarmoniker suonarono L´incompiuta. Lui fu sempre un patriota tedesco, un europeo e insieme un cittadino del mondo".
Bill e Hillary Clinton
"Clinton fu sempre un amico e alleato leale, sapeva capire la Germania. Ricordo il suo discorso alla Porta di Brandeburgo. Alcune frasi le pronunciò in tedesco. "Siamo qui insieme", disse, "dove il cuore d´Europa era spaccato in due, dove Muri di cemento dividevano mamme dai figli, e ora eccoci insieme, come una famiglia… Berlinesi, avete vinto la vostra battaglia!"… Invitai i Clinton a casa di Hannelore e mia, a Ludwigshafen-Oggersheim. Hillary era 12 anni più giovane di Hannelore. Impegnata in politica dagli anni degli studi, inventò un nuovo tipo di first lady, imbarazzante o scomodo per alcuni, perché interveniva nella politica quotidiana senza avere un mandato… Hannelore rispettava Hillary per i suoi successi professionali. Secondo la sua esperienza, mi disse mia moglie, la moglie di un capo dell´esecutivo però farebbe meglio a esporsi il meno possibile in politica, se non ha un mandato.

Con Bill Clinton Hannelore ebbe anche un ottimo rapporto. Stimava soprattutto il fatto che lui era un nostro amico fedele. E questo suo sentimento è rimasto in me fino a oggi".


Svolta in Africa: l'economia cresce
I dati della Banca Mondiale. Con un ritmo di crescita medio del 5,4%, e previsioni fino al 7%, i poveri potrebbero dimezzarsi entro il 2015
Francesco Battistini sul
Corriere della Sera

MILANO — Il credito è un credo, in Camerun come in Tanzania. Che se ne fa della carta di credito, chi vive di debito? E come la usa se non ci sono banche, telefoni, luce? E comunque: non serve ben altro in terre dove le strade le chiamano barabara, parola onomatopeica che rifà il suono della ferraglia quando vibra sulle buche? Domande oziose, a Yaoundé o a Dar es Salaam. Volevano la Visa nera, loro. E l'hanno avuta. Si chiama Baatcard, ha un piccolo bottone collegato a una chip acustica. Tu schiacci, lei lancia nello spazio un ultrasuono criptato, unico, non falsificabile. Transazione eseguita. E il soldo nero diventa soldo vero.
La loro Africa sta cambiando. Lo dicono gl'inguaribili afrottimisti della Banca mondiale, ma lo confermano anche al World Economic Forum, all'Onu, al Fondo monetario. "Per la prima volta — scrive la Banca nel suo rapporto 2007— i 44 Paesi africani seguono lo sviluppo economico del resto del mondo, il loro tasso di crescita è simile a quello di molte economie avanzate". Una rinascita veloce, costante: "Molte economie sembrano aver voltato pagina, tanto da intaccare l'alto tasso di povertà e attrarre investimenti". I numeri: crescita media del 5,4%, previsioni uguali per il 2008. Con punte d'eccellenza nelle aree petrolifere di Mauritania (19,8%), Angola (17,6), Ciad (9), Mozambico (7,9). Coi telefoni aumentati del 328% in dieci anni (prima l'avevano 21 africani su mille, ora sono 90); coi rubinetti d'acqua potabile moltiplicati del 18-19%; con la produzione d'elettricità salita del 43,8%. "L'Africa ha imparato a commerciare in modo più efficace — dice John Page, analista della Banca mondiale —. Si affida di più al settore privato, sa evitare le gravi crisi economiche degli anni '70 e '80". Se il tasso di crescita raggiungerà il 7% e non calerà fino al 2015, prevedono le Nazioni Unite, si potrebbe perfino realizzare un sogno: dimezzare la povertà.
Non tutto è nero nel Continente nero, dunque. Anche se il Rinascimento Africano è solo la bozza d'un affresco: il 41% dei subsahariani continua a vivere con meno d'un dollaro al giorno, le strutture sanitarie e scolastiche sono inesistenti per sei africani su dieci, la diffusione di Aids, malaria e Tbc è inarrestabile. Negli ultimi quindici anni 23 Paesi hanno bruciato 18 miliardi di dollari in armi, la corruzione è endemica. "I nostri tassi di crescita non sono accompagnati da una significativa riduzione della povertà", ha riconosciuto ieri Abdelaziz Bouteflika, il presidente algerino, ed è chiaro a molti che i primi contano poco, se manca la seconda. I dati della Banca mondiale, così, sono sempre letti con un certo scetticismo. Due anni fa, a Cannes, fu molto applaudita l'opera d'un regista mauritano, "Bamako", dove i banchieri di Washington facevano la parte di pistoleri da Far West: "Appena arrivano loro in un villaggio — diceva un personaggio del film — finisce come nei duelli al sole: chi è di troppo, viene eliminato".
Il boom non è un ciak, però. Ed è al botteghino finanziario che gli analisti rimandano. C'è la strepitosa interpretazione del golia Sudafrica (che ha il 5,4% della popolazione e il 45% del prodotto lordo di tutto il continente) e dei grandi esportatori di petrolio (Nigeria); c'è la recita costante d'economie diversificate che puntano su agricoltura e turismo (Senegal, Kenya); c'è il passo da moviola di Congo, Seychelles, Swaziland, Costa d'Avorio (all' 1% di crescita); c'è il fiasco Zimbabwe, che sprofonda del 4,4% e ha un'inflazione all' 8.000%...

S'avvicina la Cina, diventata anche qui la maggiore partner commerciale dopo gli Usa. Qualche mese fa, a Pechino, hanno ridisegnato addirittura la mappa geografica: fra Zambia ed Egitto, nasceranno tre macroregioni economiche. Operai gialli e neri, insieme. I peggio pagati del mondo. Il meglio, per sfamare e crescere i nuovi Leoni d'Africa.


Intesa Italia-Algeria Prorogati i contratti di fornitura del gas
Carlo Marroni su
Il Sole 24 Ore

percorso del gasdotto

Nuovo tassello per la sicurezza energetica dei prossimi anni. L'Italia ha raggiunto ieri con l'Algeria un impegno di massima per l'estensione temporale dei contratti di fornitura di gas algerino che andranno in scadenza dal 2014 al 2019. L'intesa è stata raggiunta nel vertice di Alghero in cui è stato firmato l'accordo definitivo per lo sviluppo del gasdotto Galsi, presenti il presidente del Consiglio, Romano Prodi, e il capo dello stato algerino, Abdelaziz Bouteflika. L'intesa sull'estensione dei contratti è stata annunciata dal ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, nel corso della conferenza stampa con il suo collega, Mourad Medelci. L'accordo rafforzerà quindi la posizione strategica dell'Algeria nella fornitura di gas, che si affianca a quella della Russia: insieme i due Paesi convogliano circa il 75% del fabbisogno metanifero italiano. Un asse strategico: "Con l'accordo del gasdotto Galsi – ha detto D'Alema – c'è un salto di qualità nelle nostre relazioni", e lo stesso ha commentato Prodi, secondo il quale "alla politica energetica diamo un respiro strategico".
L'intesa sul nuovo gasdotto, firmata dal ministro per lo Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani (che ha parlato di "accordo storico"), e dal suo omologo, Chabik Khelil, prevede che entro il 2012 venga realizzato un gasdotto di 900 chilometri, di cui 600 offshore fino ad una profondità di 2.800 metri, dall'Algeria alla dorsale tirrenica della Sardegna, fino all'area di Olbia, da dove riprenderà la via del mare e arriverà a Piombino (il tratto italiano sarà realizzato da Snam Rete Gas). La pipe-line, un investimento da due miliardi, a regime trasporterà otto miliardi di metri cubi di gas, che porteranno l'export algerino a circa 40 miliardi di metri cubi annui, quasi la metà dei 90 miliardi di metri cubi dell'attuale fabbisogno italiano. Il consorzio Gasli è controllato al 36% da Sonatrach, la compagnia di stato algerina, 18% da Edison, 13,3% Enel, 13,5% Wintershall, 9% Hera e 10% Regione Sardegna. Degli 8 miliardi di metri cubi due saranno di competenza Edison, altrettanti di Enel, uno di Hera e tre di Sonatrach, che saranno destinati alla commercializzazione sul mercato italiano e alla vendita ad altri operatori, dopo l'autorizzazione ministeriale rilasciata lo scorso 31 ottobre. In sostanza l'intesa – raggiunta un anno fa e che apre il mercato a nuovi competitori dell'Eni – ripete il modello adottato per la russa Gazprom: acquisto a monte della materia prima e apertura a valle al fornitore del mercato interno. L'avvio dei lavori è previsto per il prossimo anno, attualmente si stanno svolgendo studi di ingegneria di dettaglio del progetto.

D'Alema ha poi precisato che si è parlato di nuova collaborazione per la lotta all'immigrazione clandestina, di terrorismo, di Medio Oriente, di sicurezza nel Mediterraneo e di pena di morte: l'Algeria ha annunciato che sarà co-sponsor dell'iniziativa italiana in sede Onu per una moratoria universale.
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Curzio Maltese su
la Repubblica

Il coraggio di cambiare ha reso nei secoli le città italiane le più belle del mondo. La paura del futuro rischia ora di ucciderle, di ridurle a musei invivibili e avvelenati dal traffico. A lanciare l´allarme non è soltanto Renzo Piano, ma i fatti. Le capitali del pianeta, Londra e New York, Parigi e Barcellona, Berlino, Praga e Sydney, si lanciano nell´inaugurazione di grandi opere nei centri urbani. In Italia la contemporaneità suscita immediato sospetto e aperta ribellione. E´ probabilmente, come sostiene Piano, la paura del futuro tipica di una società vecchia come la nostra. In qualche caso il sospetto non sarò infondato. Ma da qui a "non poter spostare una panchina nei centri storici senza provocare la nascita di venti comitati", come dice il presidente dell´associazione dei comuni Lorenzo Domenici, ne corre.
Oltre le ragioni concrete e specifiche, si coglie una paura soltanto nostra. I verdi italiani salgono sulle barricate contro le nuove linee ferroviarie, benedette invece dagli ambientalisti tedeschi, francesi, spagnoli. A Bordeaux e a Nantes si festeggia in piazza il ripristino delle tramvie, considerate a Firenze e a Perugia uno "sfregio ambientale".
Il dato più paradossale è che a scatenare le proteste non sono quasi mai le grandi speculazioni in periferia, l´anonima colata di cemento che ha ripreso a inghiottire pezzi interi di Paese. Ma piuttosto il progetto di qualità. Ravello insorge alla notizia dell´auditorium progettato dal centenario Oscar Niemayer, un mito del Novecento. Firenze s´interroga da anni sulla pensilina degli Uffizi del grande Isozaki, definita un "orrore" da Vittorio Sgarbi, nientemeno. Mentre naturalmente nella periferia, da Novoli in poi, l´intramontabile Salvatore Ligresti progetta vagonate di metri cubi nel silenzio quasi generale.
La guerra alla torre della banca Intesa-Sanpaolo, disegnata da Renzo Piano, muove da una cartolina-manifesto. All´immagine più nota di Torino, dominata dalla Mole, viene affiancata la sagoma bruna di un grattacielo alto come una delle Torri Gemelle. Il fotomontaggio è un falso, secondo l´architetto, che ha esibito subito il progetto vero, dove la torre risulta trasparente, alta la metà e lontana due chilometri e mezzo dalla Mole. Ma intanto, che senso ha fermare il futuro nel segno di una cartolina? Lo chiediamo a Renzo Piano, rintracciato a New York alla vigilia dell´inaugurazione della nuova sede del New York Times, il primo grattacielo della città dopo l´11 settembre.
"Ho l´impressione sempre più spesso, quando torno in Italia, che siamo diventati un paese prigioniero delle paure. E la prima è quella del futuro. Declinata in varie forme. Fanno paura la società multietnica, i cambiamenti sociali, le scoperte scientifiche, sempre rappresentate come pericoli, la contemporaneità in generale. Si fa strada, perfino fra i giovani, la nostalgia di un passato molto idealizzato. Si combina una memoria corta e una speranza breve, e il risultato è l´immobilità. Il passato sarà un buon rifugio, ma il futuro è l´unico posto dove possiamo andare"
Nel comitato torinese colpisce però la presenza di nomi illustri e certo non conservatori, come l´ex sindaco Diego Novelli, il primo a disegnare la città post industriale, ai tempi del Lingotto.
"Per una volta Novelli è stato mal informato. Ha scritto che la torre è alta sessanta metri più della Mole e costa un miliardo. In realtà supera la Mole di soli dieci metri e costa 248 milioni. Ma non è questo il punto. Stimo Novelli e non voglio sottovalutare il disagio che rappresenta. Al contrario, le critiche intelligenti sono preziose. Un palazzo non è un quadro o un romanzo, ma qualcosa destinato a condizionare la vita delle persone, lo vogliano o no. Più voci si ascoltano meglio è. Ma allora Novelli, che conosce Torino meglio di chiunque altro, mi aiuti a fare un progetto migliore per i torinesi. A chi e a che cosa serve una guerra ideologica dove il fatto concreto non conta, si può manipolare a piacimento in nome di una giusta causa?"
Si può anche vedere così, la Torino industriale rifiuta d´inchinarsi allo strapotere della finanza, delle banche, materializzato in un simbolo di dominio come un grattacielo.
"E´ un´altra critica motivata. Ma anche qui, non facciamoci condizionare dai simboli. Le torri sono per natura simboli di potere, d´accordo. Ma costruire in verticale ha dei vantaggi. Qui per esempio, il vantaggio è di poter creare un grande parco per i torinesi. Il San Paolo ha molto terreno, io potrei sdraiare la torre in orizzontale. E i verdi, per assurdo, sarebbero contenti di far sparire un parco"

Per secoli nelle città italiane ai contemporanei è stato permesso non soltanto di costruire ex novo e sovrapporre stili, ma di mettere mano ai monumenti-simbolo. Stern aveva vent´anni quando fu chiamato a "migliorare" il Colosseo, e dopo di lui venne Valadier. Leon Battista Alberti ha rimodellato e stravolto il tempio malatestiano di Rimini. Lo stesso Antonelli riuscì a completare la "follia" della Mole, all´epoca considerata dai torinesi una mostruosità.
"Tutto questo è molto chiaro all´estero. Mi chiamano perché sono italiano, vengo da questa storia. Il problema è che la nostra storia è più conosciuta a Sydney o a Londra. All´estero l´Italia è considerata ancora un laboratorio, noi ci vediamo come un museo. Si parla tanto di modernizzazione, ma è retorica. La modernità è soltanto la parodia del futuro. Siamo il paese dei veti incrociati. Prendiamo la politica. In tutte le democrazie un´opposizione che gioca al massacro e vive soltanto per demolire perde consensi, qui li moltiplica"
E´ una logica da curve ultras, per rimanere all´attualità di questi giorni, dove trionfa lo scontro frontale, lo sventolar di bandiere contrapposte?
"Ma sì, s´è perso il gusto della discussione. Una discussione vera che non consista, diceva Norberto Bobbio, nell´arte retorica di persuadere, di vincere sull´altro. E´ un regresso civile che ormai si vede nel corpo fisico del Paese. Le nostre città sono belle perché hanno mescolato sempre gli stili, sono state oggetto di continue trasformazioni, specchio di milioni di vite vissute. Ora rischiano di modellarsi sullo scontro per bande, dove alla fine trionfa soltanto la difesa dello status quo"
E´ ancora una volta il futuro il grande assente dalla scena?
"Il mio lavoro mi costringe a pensarci in continuazione. Perché se un architetto sbaglia un progetto oggi, glielo ricorderanno per tutta la vita".
Mentre nei media o in politica una cantonata si dimentica nel giro di qualche giorno.
"Sì, ma quando un´intera società assume tempi televisivi, sono guai seri. Più di tutto preoccupa questa difesa di un passato che peraltro non si conosce. Come se il futuro fosse soltanto gravido di minacce. E´ nella natura umana, certo. Penso alle ultime pagine del Grande Gatsby, all´immagine della vita come di una barca destinata a remare sempre contro la corrente e la voglia di lasciarsi portare indietro. Peccato che tornare indietro non si possa. Si può soltanto andare nel futuro. Prima o poi, presto o tardi. A volte, con molto sforzo, troppo tardi".



Mini serie per bambini sui media inglesi. "Così spieghiamo la diversità"
sul
Corriere della Sera

MILANO — Brian il bull terrier si fa intervistare su un ponte, in attesa del suo primo "salto", casco da bungee-jumping in testa. Peg la porcospino si versa una tazza di tè, le ginocchia coperte dal plaid: "La gente crede che un paio di ruote significhi non avere niente nel cervello ". Spud la lumaca non si lascia intimidire da un microfono più grande di lei: "Molti dicono "oh, sei su una sedia a rotelle, non puoi fare niente". In buona parte, si tratta di ignoranza".
Brian, Peg e Spud, insieme a Flash il cane bassotto, Tim la tartaruga e Slim l'insetto-stecco, sono i protagonisti di Creature Discomforts, la nuova idea partorita dai creatori di Wallace&Gromit (il
cartoon dai personaggi di plastilina premiato con l'Oscar 2005). Protagonisti diversamente abili: Flash (in inglese, "lampo ") ha un carrellino al posto delle zampe posteriori, Tim è senza una zampa e si appoggia a due grucce di legno, la sedia di Peg ha due enormi ruote dietro e due piccoline sul davanti, Slim non si separa mai dal suo bastone. Giovedì, la mini- serie a loro dedicata farà il suo esordio sui media britannici, da Internet (sul sito www.creaturediscomforts.org) alla carta stampata, dai cartelloni alle fermate degli autobus agli schermi sotterranei della metropolitana di Londra.
Se la paternità artistica del progetto spetta, come si è detto, alla Aardman Animations di Nick Park, quella "morale " va alla Leonard Cheshire Disability, la più grande associazione britannica di volontari attiva nel settore. "Le persone diversamente abili — commenta il direttore Bryan Dutton — sperimentano inutili barriere sociali, erette sostanzialmente dall'ignoranza. È inaccettabile che, nel 21°secolo, continuino ad esistere questi atteggiamenti negativi verso la disabilità ". Secondo i dati riportati dal Times, nove disabili su 10, nel Regno Unito, si ritengono vittima di discriminazioni. Tra di loro, purtroppo, anche le "voci" di Creature Discomforts: "Ci sono persone che rivolgono la parola a mia moglie, pur di non parlare con me — racconta Ian Wilding, 50 anni, costretto su una sedia a rotelle dalla sclerosi multipla —. Vorrei dire loro: parlate a me, non alla mia posizione. Cercate di vedere l'uomo, non la disabilità ". Il suo alter ego, nella serie, è Tim la tartaruga. Sheila Morgan alias Peg la porcospino, 73 anni, è un'ex insegnante di inglese; da quando ha perso l'uso delle gambe, vive in uno dei centri gestiti dalla Leonard Cheshire Disability. Il suo "uomo nero" sono i "normali" che occupano i parcheggi riservati ai disabili. "Se introduciamo questo tema in giovane età, i bambini saranno posti subito di fronte al fatto che la disabilità è parte della vita e non ne saranno più scioccati". Il successo di Baby Down — la bambola con le fattezze di un bimbo con trisomia del cromosoma 21, creata dall'associazione Down España per insegnare "il rispetto della differenza e di tutti gli esseri umani " — sembra essere lì per dimostrarlo.



   18 novembre 2007