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sulla stampa
a cura di Fr.I. - 12 luglio 2006


Bombe su sette treni Massacro a Bombay
Paolo Salom sul
Corriere della Sera


Attentati a catena in India, 160 morti e 500 feriti. Sospetti sui guerriglieri musulmani del Kashmir
Scene già viste. La normalità che si trasforma in orrore in una frazione di secondo. Il sangue che scorre e si perde, come un fiume nel mare, sui marciapiedi battuti dalle pesanti piogge monsoniche. Sei treni pendolari e una metropolitana sono stati devastati, ieri, da altrettanti esplosioni mentre stavano per entrare o lasciare le stazioni urbane di Bombay (oggi Mumbay), centro finanziario dell'India che guarda al futuro. La conta delle vittime è ancora provvisoria: 160 morti e oltre 500 feriti, molti orrendamente mutilati.
COINCIDENZA — L'11 marzo (o l'11 settembre) del Subcontinente — la coincidenza difficilmente casuale: ieri era l'11 luglio — si è consumato nel giro di mezz'ora. Se a Madrid, nel 2004, i terroristi avevano colpito la mattina presto, Bombay è stata sconvolta dalle esplosioni tra le 18 e le 18 e 30, quando i convogli sono più affollati per la chiusura degli uffici in una città normalmente brulicante e oppressa dal traffico. Pochi dubbi sulla matrice. «È stato un attacco terroristico pianificato», ha detto il ministro degli Interni indiano Shivraj Patil aggiungendo che le autorità avevano «indiscrezioni su un possibile attacco» ma che «il luogo e il giorno erano sconosciuti». Un attentato che ricorda quello al mercato di New Delhi del 29 ottobre scorso (60 morti).
I possibili autori: i separatisti musulmani del Kashmir legati a «Lashkar-i-Taiba», il gruppo terroristico islamico generalmente considerato il braccio armato di Osama bin Laden nella regione asiatica, o «Jaish-e-Mohammed».

Immediata la presa di distanza da parte del Pakistan, Paese che in passato è stato spesso accusato da New Delhi di complicità con i separatisti. «Condanniamo con vigore la serie di bombe contro i treni di pendolari — si legge in un comunicato del ministero degli Esteri di Islamabad la cui paternità è attribuita al presidente Pervez Musharraf —. Il terrorismo è un flagello dei nostri tempi e deve essere condannato, respinto e contrastato in modo efficace e totale».




apertura de il Manifesto

Svastiche e scritte antisemite sulle porte e sulle mura del quartiere ebraico di Roma. È l'altra faccia della festa per l'Italia campione del mondo, quella più profonda e inquietante. Il calcio e il delirio di una notte «tricolore» scoprono tutte le follie del paese reale, anche quelle peggiori. Il presidente Napolitano: «Bisogna mobilitarsi». Il ministro Amato: «Da italiano mi vergogno»


Riccardo Di Segni, rabbino capo della comunità ebraica
romana: scritte ne compaiono tutti i giorni
“Un´azione limitata e stupida non ci hanno rovinato la festa"
Gabriele Isman su
la Repubblica

ROMA - «É stato soltanto un episodio limitato, per fortuna. Non sono riusciti nemmeno a rovinare la festa della comunità romana per la vittoria al Mondiale». Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma - la più antica al mondo dalla diaspora - predica moderazione dopo aver girato nel ghetto e anche nelle zone vicine per vedere se vi fossero altre scritte oltre a quelle ritrovate vicino alla taverna kasher di via del Portico d´Ottavia.
«Non vi sono altre scritte, e la taverna l´altra sera ha chiuso alle due del mattino e alle 7 chi abita nei palazzi intorno le ha notate. Nella notte evidentemente un´opera poco intelligente di qualcuno».
C´è preoccupazione per l´episodio? Quelle scritte sono state fatte nel cuore del ghetto.
«Assolutamente no. Di scritte a Roma e non solo ne appaiono tutti i giorni, e si figuri che ne è apparsa una sempre a Roma che diceva Zidane ebreo. Ma in questo caso era pura idiozia calcistica».
É vero che innalzerete la vigilanza intorno al ghetto?
«Su questo non posso rispondere».
Avete telecamere nei dintorni?
«Se è per questo, abbiamo anche i satelliti (ride, ndr). Ma l´aspetto più importante è un altro».
Quale, professore?
«La solidarietà che ci è giunta soprattutto dalle istituzioni. Il primo a chiamarmi stamattina è stato Gianfranco Fini, poi il presidente della Camera Fausto Bertinotti, e a seguire l´onorevole Giordano di Rifondazione. Poi tanti comunicati, anche dal presidente del Consiglio Prodi e dal sindaco Veltroni e, soprattutto, la telefonata del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, esprimendo la sua vicinanza alla comunità ebraica, si è detto molto preoccupato».



Le riforme insabbiate
Tutti dicono di volerle, ma chi le farà?
Giovanni Sartori sul
Corriere della Sera

Si ricorderà che prima del referendum del 25 e 26 giugno destra e sinistra hanno entrambe promesso di migliorare le rispettive Carte. Per la verità la promessa della destra non era oggettivamente credibile. Sarebbe stato un caso di «cosa fatta, capo ha». Ma so bene che anche nella sinistra si annidano parecchi ipocriti aperti al dialogo soltanto fino a quando «avuta la grazia, gabbato lo santo».
Ciò nonostante il Paese è ormai diffusamente sensibilizzato sulla necessità di migliorare la Costituzione del '48. Il referendum sulla riforma «federalista» (diciamo così) della sinistra nel 2001 mobilitò soltanto un magro 34,1 per cento; la nuova Costituzione di Lorenzago è stata rifiutata dal 63,1 per cento con un'affluenza del 53,7 per cento. Eppoi è dal 1983 (commissione Bozzi) al 1997 (la bicamerale di D'Alema) che i tentativi istituzionali di riforma si susseguono e infallibilmente falliscono. Sarebbe strano se l'opinione pubblica non avvertisse che un problema di riforme esiste.
Esiste anche un generale consenso, tra chi si interessa a queste faccende, sugli obiettivi. In primo luogo occorre rinforzare il capo del governo; in secondo luogo occorre superare il bicameralismo paritario; in terzo luogo bisogna riprogettare l'attuale decentramento di tipo federale; infine, dobbiamo adottare un sistema elettorale assennato. Dunque il problema non sono gli obiettivi. Il problema è quale sia lo strumento che ci consenta di procedere con la ragionevole prospettiva di arrivare in porto.
Oramai le bicamerali sono bruciate (ricordo che anche la commissione Bozzi era, in piccolo, una bicamerale). Restano sul tappeto tre proposte: 1) l'inedita proposta Barbera-Ceccanti di una «convenzione» composta per un terzo rispettivamente di parlamentari, di rappresentanti delle Regioni e di esperti designati dalle organizzazioni sociali; 2) la classica riesumazione dell'idea di un'Assemblea costituente; 3) il ritorno a un'utilizzazione puntuale e mirata della procedura di revisione costituzionale prevista dall'articolo 138. Come tornerò a precisare, io sono contrarissimo da sempre all'elezione di un'Assemblea costituente. Ho anche obiettato alla proposta Barbera-Ceccanti perché mi sembrava una proposta qualsiasi, e cioè senza una ratio che la giustifichi. I rappresentanti delle Regioni sono lì per migliorare la devolution? Figurarsi. E poi cosa c'entrano gli esperti designati dalle organizzazioni sociali? Io li leggo come un riempitivo che suona bene e nulla più. Sia come sia, io sono per lo strumento minimo, normale, dell'articolo 138. Ma questo è lo strumento giuridico. Resta da inventare un nuovo strumento materiale, e cioè «chi sono» i nuovi addetti ai lavori da mettere al lavoro.



Una mossa calcolata contro l'antagonismo
Un altolà a chi nell'Unione rifiuta gli impegni internazionali dell'Italia
Massimo Franco sul
Corriere della Sera

A desso è chiaro che sull'Afghanistan il governo rischia davvero. Un ministro degli Esteri che dice: «Se la mia politica non va bene, il mandato è a disposizione», trasmette un messaggio inequivocabile. È un segnale insieme di esasperazione e di allarme: di esasperazione per il radicalismo della sinistra cosiddetta «antagonista»; di allarme per le conseguenze che un voltafaccia italiano sull'Afghanistan, vero o apparente, avrebbe sulla credibilità internazionale dell'Italia. Evidentemente, Massimo D'Alema avverte la pressione dell'arcipelago pacifista contro le missioni all'estero. E ieri, dal Parlamento di Bruxelles, ha voluto dare un altolà.
Ha l'aria di una mossa calcolata, nonostante le precisazioni successive. Drammatizza le opzioni, nel tentativo di evitare che il governo di Romano Prodi subisca uno smacco agli occhi di Usa, Nato, Nazioni Unite e Ue. Il titolare della Farnesina ventila le dimissioni proprio mentre Kofi Annan arriva a Roma, previsto per oggi; e dopo che l'Onu ha chiesto una maggiore presenza in Afghanistan. Non solo. Per l'Unione è un momento convulso. Lunedì la Camera discuterà la legge che rifinanzia le missioni militari di pace. E il 25 luglio, a esaminarla sarà un Senato dove la maggioranza è in bilico. Le premesse rimangono poco incoraggianti, per il centrosinistra.

Il pacifismo è in ebollizione e preme su Rifondazione, Comunisti italiani e Verdi. E il tentativo di convincere il manipolo dei parlamentari decisi a votare contro appare bloccato. La possibilità che un discorso di Kofi Annan modifichi l'atteggiamento delle frange anti-Bush non è verosimile. Ma i vertici dell'Unione confidano che almeno incornici gli impegni in uno sfondo internazionale tale da ammorbidire le resistenze; e da far capire che la copertura dell'Onu non può essere archiviata in nome dell'unilateralismo pacifista. L'iniziativa di D'Alema sembra prefigurare le conseguenze di un «no» a oltranza.



La politica della maldicenza
Giuseppe D´Avanzo su
la Repubblica

QUALCHE fatto certo, innanzitutto. Ne abbiamo bisogno come di aria fresca. Il Sismi di Nicolò Pollari ha violato la legge istitutiva del 1977 dei servizi segreti che vieta all´intelligence di ingaggiare giornalisti. L´ingaggio di Renato Farina, vicedirettore di "Libero" da parte del Sismi di Pollari, non è contestato. Lo ammette Farina. Non lo nega Pollari. Secondo un´indagine in corso della Procura di Milano il Sismi, che pagava Farina, controllava nei movimenti, e forse intercettava, alcuni giornalisti di "Repubblica".
Sono due questioni che, come ha scritto Ezio Mauro, interpellano la qualità della nostra democrazia e impongono di sapere quanti altri giornalisti e quante altre testate sono state illegalmente controllate (non importa come) in questi anni. A fronte di due fatti accertati e di una domanda, le risposte che il governo ha ritenuto di dare sono inafferrabili.
Il sottosegretario alla Difesa Lorenzo Forcieri, come capitava anche al sottosegretario alla Difesa del precedente governo Berlusconi, ha ricevuto una notula dal Sismi e si è limitato a leggerla in Parlamento.
La domanda era: il Sismi ha intercettato giornalisti?
La risposta del governo è: il Sismi ci dice che non ha intercettato giornalisti.
Non si riesce a cavarsi neanche la curiosità di capire quale fazione del Sismi nega al governo i passi abusivi. Si sa, per ammissione di Renato Farina, che il direttore Nicolò Pollari è contro Marco Mancini, direttore del controspionaggio. Che l´uno e l´altro dispongono di "cordate" all´interno di un Servizio dove, per confessione di Farina, il lavoro di alcuni agenti è ormai fuori controllo.
Chi ha dunque smentito al governo la circostanza dei pedinamenti e delle intercettazioni abusive? I "pollariani"? I "manciniani"? O, se esiste, un terzo partito, una quarta fazione? Non si sa. Non sembra comunque che il governo avverta la responsabilità o il dovere di tagliare con nettezza questo nodo che sta avvelenando il dibattito pubblico. Non avverte la responsabilità istituzionale di rassicurare la stampa nella sua libertà e nella sua autonomia. Preferisce nascondersi dietro la foglia di fico dell´inchiesta giudiziaria in corso senza avvertire che, prima dell´accertamento delle responsabilità penali, è il governo che deve vigilare e dar conto di routine e obiettivi che, in questi anni, si è dato il Sismi di Pollari. Sono stati tutti coerenti con la sua missione istituzionale? Anche la violazione accertata della legge che vieta al Servizio di tenere a stipendio giornalisti appare a un governo, palesemente intimidito o impacciato, un peccato veniale, forse nemmeno un peccatuccio, soltanto un trascurabile niente.
Le confuse mosse del governo si sovrappongono alla grave denuncia del ministro dell´Interno. Giuliano Amato, in Parlamento, ha svelato l´esistenza di un sistema, favorito da "contratti di fatto" (vuol dire, pare di capire, che qualcuno paga qualcun altro) tra giornalisti e pubblici ufficiali in possesso dei brogliacci delle intercettazioni telefoniche. Per farla breve, una liason prezzolata tra procure e giornali. «Alcuni giornalisti - ha detto Giuliano Amato - sarebbero in possesso di una password per entrare negli archivi giudiziari nel momento in cui un atto viene consegnato ai difensori». E´ una denuncia che inquieta. Va presa molto sul serio.



"Esterrefatto sulle intercettazioni"
Amato attacca i giornalisti: hanno password delle Procure.
Il ministro dell´Interno cita il caso Potenza. Mastella: presto in Consiglio dei ministri un ddl contro gli abusi
Gianluca Luzi su
la Repubblica

ROMA - «Sono esterrefatto da ciò che accade in Italia e mi dicono che accade da molto tempo». Usa parole dure, il ministro dell´Interno Amato in commissione Affari costituzionali della Camera, per condannare la diffusione delle intercettazioni che appaiono sui giornali. E mentre il responsabile del Viminale annuncia di aver trasmesso al ministro della Giustizia una comunicazione ricevuta dal prefetto di Potenza, il ministro della Giustizia Mastella anticipa che fra qualche giorno presenterà un disegno di legge sulle intercettazioni. Quella di cui ha parlato Amato davanti alla commissione Affari costituzionali, «è una prassi talmente consolidata - osserva il ministro dell´Interno - che alcuni giornalisti mi dicono che esistono contratti di fatto tra giornalisti e chi fornisce le notizie e collegamenti tra procure e giornali per cui viene data al giornalista una password per entrare nel momento in cui un atto viene dato ai difensori». La propensione alla circolazione di questo materiale «è sconcertante».

Contemporaneamente il ministro della Giustizia Mastella - che manderà una seconda volta gli ispettori del ministero a Potenza - ha annunciato che un disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche sarà presentato nei prossimi giorni in consiglio dei ministri. Il provvedimento prevede sanzioni pecuniarie a carico di testate giornalistiche che pubblichino in modo illegittimo documenti coperti dal segreto istruttorio e dà attuazione alla legge sulla privacy. «Il problema delle intercettazioni esiste - sottolinea il ministro Mastella - e va affrontato al più presto in Parlamento per arrivare ad una soluzione condivisa».
Il giudizio di Amato sulla diffusione delle intercettazioni è netto. «Le intercettazioni non attinenti al reato - ha detto il ministro - dovrebbero essere accantonate e distrutte e mai comparire nel fascicolo. Questo è un punto sul quale si può cominciare a lavorare. Il tema comunque va affrontato: non possiamo ogni settimana assistere ad un caso simile al precedente».

Per questo il ministro dell´Interno è tornato sull´argomento. «Mi ha colpito - ha osservato il ministro dell´Interno - che, essendomi espresso in modo fortemente critico per le intercettazioni delle più diverse persone che appaiono sui giornali in relazione ad ogni vicenda, immediatamente c´è stata una reazione del tipo "ma da che parte sta?", "allora sta con Pollari contro un giornale". Trovo questo tipo di reazione espressiva di un abbassamento raccapricciante del costume morale del nostro Paese, per cui difendere la legalità significherebbe stare dalla parte di qualcuno». Questo, ha aggiunto il ministro, «lo trovo intollerabile perchè trovo intollerabile l´uso che si fa della pubblicizzazione delle intercettazioni in questi casi come anche in altri casi intervenuti negli ultimi mesi. Io non sono nè savoiardo nè antisavoiardo, nè pro Sismi nè anti Sismi, sono perchè ciò che accade e deve restare segreto, resti segreto e perchè si facciano valere le responsabilità di chi ne ha».



Liberalizzazioni, Bankitalia promuove Bersani
su
l'Unità

Il decreto sulle liberazioni piace anche a Bankitalia. Dopo l´approvazione dell´Ue e dell'Antitrust, il "pacchetto salva competitività" scritto dal ministro per lo sviluppo economico Pierluigi Bersani, passa l´esame del governatore Mario Draghi : il decreto approvato dall´esecutivo a inizio luglio va nella giusta direzione anche per le norme rivolte alle banche.

Le norme rivolte alle banche, spiega Draghi nel suo intervento all'assemblea dell'Abi, sono intese «ad accrescere la trasparenza delle condizioni e la tutela della clientela» e. «benché possano esservi aspetti non secondari da correggere, l'obiettivo è da condividere». La trasparenza, sottolinea il governatore, accresce la concorrenza, è «la base della reputazione, è strumento di contenimento degli oneri per la clientela».

Ma non è tutto. Davanti alla platea dei delegati, Draghi ha da un lato bacchettato il sistema bancario accusandolo di immobilità e dall´alto sollecitato a riavviare le aggregazioni. «Mi sia concesso - ha detto Draghi iniziando a parlare a braccio senza più leggere gli appunti - un richiamo alla consapevolzza. Voi amministratori delegati e presidenti, vi trovate in una posizione chiave per iniziare, promuovere o anche ostacolare queste iniziative di consolidamento. A voi sta la responsabilità di creare attori europei che siano in grado di sfruttare le opportunità del mercato non solo azionario oppure lasciare che queste opportunità vengano colte da operatori esteri».



"Pace o guerra, a voi la scelta" l´ultima sfida di Peres a Hamas
"Non pagheremo un prezzo per il soldato rapito"
Alberto Stabile su
la Repubblica

TEL AVIV - Shimon Peres, ha letto le dichiarazioni di Khaled Meshaal, che propone uno scambio di prigionieri? In passato il governo d´Israele ha spesso trattato per la liberazione di ostaggi. Perché questa volta non volete trattare?
«Perché stavolta è diverso. Prima di tutto noi abbiamo lasciato completamente Gaza e si suppone che l´Autorità Palestinese dovrebbe governare Gaza. Non hanno tentato di rapire un soldato israeliano a Gaza, perché lì non ce ne sono più. Sono penetrati nel territorio sovrano di Israele ed hanno preso un soldato israeliano. Perché dovremmo fare uno scambio? Perchè dovremmo pagare un prezzo?»
Per salvargli la vita.
«Per noi, la vita dei soldati è importantissima. Sono i palestinesi che non danno molta scelta. Supponiamo, Dio non voglia, che lo uccidano: che cosa succederebbe allora? Non fanno nessun favore (a tenerlo in vita). Se offrissimo un premio per lui, sarebbe una forma d´incoraggiamento a prendere altri ostaggi e ricevere ogni volta in cambio mille prigionieri. Così s´incoraggia il terrorismo, senza alcuna ragione».
Se liberassero il caporale Shalit, Israele in cambio potrebbe fare un gesto di buona volontà?
«Abbiamo già fatto un gesto di buona volontà, ce ne siamo andati da Gaza. Poi il Primo ministro, Olmert, annunciò che aveva intenzione di incontrare Abu Mazen e che pensava di liberare molti prigionieri, più di quanto pensasse la gente. Non era necessario alcun intervento. Avrebbero potuto ottenere dei prigionieri senza alcuno scambio, ma lo scambio significa la legalizzazione del rapimento. Gli uomini di Hamas hanno preso il potere e devono decidersi: o sono un governo serio o sono un governo terrorista. Dove ha sentito dire che un governo prende ostaggi da un altro governo e chiede un prezzo?»
Ma loro dicono di non avere niente a che fare con i rapitori.

Perché non avete accettato la proposta di tregua offerta da Hamas, anche prima del rapimento del caporale Shalit?
«L´abbiamo accettata, ma loro l´hanno violata. Prima di tutto bisogna fermare la violazioni. Perché hanno lanciato razzi sui cittadini israeliani? Mi dia un solo motivo: noi non siamo più a Gaza e loro prendono di mira i civili, bambini, donne. Che cosa si vuole da noi? Non possiamo avere un governo di terroristi al posto di un governo di legge ed ordine. Hanno dichiarato una guerra. Per quale ragione hanno attaccato un carro armato? Il carro armato si trovava in territorio israeliano e loro ne hanno tirato fuori un soldato israeliano. Perché lo hanno fatto? Perché attaccarlo?»
Perché è in corso un conflitto.
«Se quello è governo di guerra, che sia guerra! Lei non può mettere insieme il mondo selvaggio e quello civilizzato. O le relazioni sono civili o sono belligeranti e violente. Non si possono mischiare le due cose».
Ma anche lo stato d´Israele sta conducendo una guerra contro...
«In che modo? Abbiamo lasciato Gaza volontariamente, ad un alto prezzo in termini umani, finanziari e di salute mentale. Abbiamo speso due miliardi di dollari per smantellare i nostri insediamenti. Abbiamo detto di essere disposti ad accettare la Road Map, di essere pronti a sedere al tavolo negoziale in futuro».
Ma il bombardamento di ponti e di scuole, lo strangolamento economico di Gaza...
«Questo è il risultato delle loro azioni, del continuo lancio di razzi Kassam, giorno e notte, su obiettivi civili, città e quartieri. Se smettessero i lanci, non ci sarebbero problemi. Si stanno punendo da soli. Potrebbero smettere in cinque minuti, ma non lo fanno. Vogliono continuare a lanciare razzi e a tenere prigioniero il soldato. Non ha senso».
Non ci sono negoziati, non c´è possibilità di scambiare prigionieri: secondo lei, come andrà a finire?

Noi abbiamo suggerito ad Abu Mazen, che è il loro presidente ed è disposto a negoziare, di proseguire a negoziare. Sono loro che devono decidere, perché Hamas è stato eletto soprattutto a causa del fallimento di Al Fatah, della corruzione, dell´incapacità di dare una risposta alle necessità del popolo palestinese. Hamas deve dare delle risposte. Devono decidere se vogliono guerra o pace, e se vogliono la pace devono riconoscere Israele, perché la pace la devono fare con Israele».
Abu Mazen è ancora un partner per Israele?
«La lotta interna fra i palestinesi non si è ancora conclusa. Noi abbiamo dato un chiaro appoggio alla politica di Abu Mazen, pensiamo che abbia mostrato coraggio. Se sarà lui il leader, penso che abbiamo una buona probabilità di negoziare. Ma se il leader sarà Mashal, che si nasconde in Siria, non ci sono probabilità».



Lettere al Corriere
Interventi e repliche
I «Diversamente onesti» in Parlamento
sul
Corriere della Sera

Ho appreso dal Corriere del 9 luglio che i «Diversamente onesti» nel panorama del Parlamento italiano, sono un numero da far tremare i polsi. Si parla di deputati e senatori coinvolti in vicende giudiziarie. Per la precisione: 65 del centrodestra e 14 del centrosinistra. Non mi dilungo nei distinguo, perché bastano questi numeri per vergognarsi: certo, preferisco ricevere 14 coltellate e non 65. Non cambia tuttavia l'esito: la morte è sicura, ma anche il numero ha una sua importanza... Nel merito non mi resta che concordare con Di Pietro: in Parlamento si deve entrare con la fedina penale immacolata.
Franco Fronzoli, Rapallo (Ge)


  22 luglio 2006