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sulla stampa
a cura di P.C. - 26 gennaio 2006


Energia paradosso italiano
Domenico Siniscalco su
La Stampa

Da tre anni, ormai, i prezzi dell'energia sono oggetto di grande attenzione e preoccupazione in tutti i Paesi consumatori. Le quotazioni del petrolio greggio, che oscillano intorno ai 70 dollari al barile, sono triplicate dal 2002, quando toccarono i 20 dollari. La crisi del gas che stiamo vivendo da qualche settimana è una questione parzialmente diversa che riguarda, più che il prezzo, la stessa disponibilità fisica di energia, messa a rischio dai tagli alle esportazioni di gas dalla Russia.
Secondo gli osservatori più attenti questa crisi, nonostante il freddo, non dipende da una scarsità di gas e per questo probabilmente verrà riassorbita. La situazione è piuttosto la conseguenza di tensioni in campo energetico tra la Russia e l'Ucraina, e successivamente tra Russia e Moldova. La Russia, come arma politica e commerciale, ha iniziato a limitare l'export di gas verso quei Paesi. Ma i gasdotti per l'Europa passano proprio per quelle regioni e in particolare per l'Ucraina. Così quell'arma si è ritorta anche contro di noi e suona un campanello d'allarme sulla sicurezza dei nostri sistemi energetici.
La vulnerabilità degli approvvigionamenti di gas preoccupa l'Europa, ma colpisce soprattutto l'Italia per un insieme di motivi che discendono dalle nostre scelte (o non scelte) degli ultimi decenni e che riguardano la struttura dell'offerta e del mercato.
Nel nostro Paese, la sicurezza degli approvvigionamenti dipende più che altrove dal gas naturale, perché negli anni si è deciso di trascurare il carbone e il nucleare puntando soltanto sugli idrocarburi. Se consideriamo la produzione di energia elettrica, nell'Unione Europea essa utilizza per il 60 per cento carbone e nucleare mentre il gas rappresenta soltanto il 17 per cento. Da noi, diversamente, il nucleare è assente, il carbone pesa soltanto il 16 per cento, mentre il gas rappresenta il 42 per cento. In tempi normali, la scelta del gas ha importanti vantaggi sul piano dell'ambiente e della logistica. Ma una crisi come quella che stiamo vivendo ci colpisce più che proporzionalmente, vista la nostra maggior dipendenza. Senza contare che, una volta operata la scelta del gas, non siamo riusciti a costruire le infrastrutture necessarie a supportarla, come i rigassificatori, dove ogni progetto di investimento, da Monfalcone a Brindisi, è stato stoppato dalle comunità locali.

Alcune questioni, innanzitutto quelle di prezzo e struttura del mercato, sono europee e ricevono una prima risposta a livello europeo nel documento presentato dal ministro francese Breton al consiglio Ecofin di questa settimana. Altri problemi sono globali e se ne discuterà al G8 di Mosca in marzo. Ma l' insieme delle difficoltà prima richiamate è tipicamente italiano e deve essere affrontato e risolto da noi. Il mercato dell'energia è intrinsecamente non concorrenziale, si equilibra in tempi lunghi, richiede grandi investimenti a redditività differita, spinge spesso a soluzioni non ottimali. Per questo, dopo decenni, serve una politica energetica.


"C´è la mia parola, voto il 9 aprile"
Gianluca Luzi su
la Repubblica

ROMA - «C´è la mia parola, si voterà il 9 aprile». Manca un comunicato scritto, ma il presidente del Consiglio assicura formalmente davanti alle telecamere che si voterà fra poco più di due mesi. Berlusconi ha ottenuto le due settimane in più che chiedeva per approvare la legge Pecorella sulla inappellabilità e per impazzare su tutte le reti tv e le stazioni radio (ieri sul satellitare dopo pranzo e su una radio privata nel tardo pomeriggio. Stamattina da Costanzo e poi in un´altra radio privata) senza i vincoli della par condicio. I Ds e l´opposizione non fanno le barricate e Fassino conferma che «l´importante è mantenere la data del 9 aprile». Così il presidente della Camera Casini - che già l´altro giorno si era opposto alla minaccia del premier di spostare le elezioni a maggio - può dire che «si sta andando in questa direzione», cioè accordo su due settimane in più di lavori parlamentari e voto il 9 aprile.

Berlusconi ha dato la sua parola e, spiega il premier, «se c´è la parola del presidente del Consiglio non credo che si possa pensare che il presidente della Repubblica non se ne fidi. I patti si devono osservare e noi li abbiamo sempre osservati. Pacta servanda sunt». Conferma Casini: «Mi sembra si vada nella direzione di un accordo istituzionale». Conclude Fassino: «Lo abbiamo sempre detto che la cosa importante è mantenere la data del 9 aprile per le elezioni. Se poi il Parlamento deve restare aperto altri 15 giorni, per noi non c´è nessun problema».
Anche ieri il Cavaliere non ha risparmiato accuse alla sinistra, incolpando i Ds degli scioperi dell´Alitalia «per togliere lo scandalo Unipol dai giornali». Dura la replica della Quercia: «Parole patetiche». I Ds «erano scesi in campo a giocare. Bisogna chiamarli i "furbetti del botteghino" invece che "furbetti del quartierino"». Poi se l´è presa ancora con l´Unità: «Una volta "l´Unità" ha scritto che sono peggio di Saddam Hussein e la sera stessa qualcuno ha cercato di farmi fuori». Infine una confessione surreale: «Andare in tv non mi piace, semplicemente lo odio».


Bentornati al Medioevo
Claudio Fava su
l'Unità

Per una volta Berlusconi ha detto il vero: sotto il suo impero l'Italia conoscerà finalmente i poliziotti di quartiere. Ne ha istituiti una sessantina di milioni, ieri mattina alla Camera, con una legge che introduce in Italia la licenza di uccidere per chiunque contro chiunque.
Da domani, per sparare in faccia a qualcuno sarà sufficiente che ci si senta minacciati. E se non t'hanno dato il porto d'armi, la leggina del centrodestra prevede che tu possa ripiegare sul coltello o su qualsiasi altro «mezzo idoneo»: pinze, motoseghe, randelli, attizzatoi, fionde... Una fantasiosa estensione del principio di legittima difesa che ci riporta dritti dritti nel basso medioevo.
Eppure a codesta legge di un solo articoletto, che la Lega si prepara a sventolare negli alpeggi elettorali di Pontida tra ampolle sacre e piadine, va comunque riconosciuto un merito: fa piazza pulita di ogni ipocrisia, di ogni pietismo sociologico mettendo finalmente sullo stesso piano la vita e la borsa, la pelle e i piccioli. Si può sparare su chi ti aggredisce ma anche su chi cerca di fregarti il portafogli, sui ladruncoli che s'infilano a casa tua, sui briganti di quindici anni che vanno all'assalto delle tabaccherie, sul topo d'auto che ti guarda con la faccia cattiva. Come accadeva nel far west, quando i ladri di cavalli non si rieducavano: s'impiccavano e basta. Surreale il commento dell'ingegner Castelli: «È un importante passo avanti per Abele». Caino è avvertito.



Chiesa non lobby
Enzo Bianchi su
La Stampa

Riferisce Gerolamo, il grande padre della chiesa, che l'apostolo Giovanni, ormai vecchio e portato in spalla dai discepoli all'assemblea liturgica, nelle sue omelie si limitava a ripetere: «Dio è amore. Figlioli, amatevi gli uni gli altri!». Benedetto XVI ha iniziato il suo ministero petrino in una venerabile vecchiaia e, in modo altamente significativo, ha voluto che la sua prima enciclica ricordasse ai cristiani - a loro infatti è indirizzata questa lettera - l'essenziale della fede cristiana, ciò che veramente la rende un unicum tra le altre religioni, anche quelle monoteistiche, ciò che è la sintesi di tutta l'esistenza cristiana. Ci attendevamo da Benedetto XVI un'enciclica frutto di un'intera vita di teologo e di vescovo, ma va riconosciuto che in essa lo stile semplice e chiaro, il tono positivo, lo sguardo alimentato da «macrothymia» - la grandezza d'animo nel vedere e nel sentire - l'assenza di ogni polemica e di ogni spirito apologetico mostrano una novità nel suo magistero: il cristianesimo è veramente buona notizia, offerta a tutti con una buona comunicazione.

È un testo che rappresenta un grande dono offerto, oserei dire, anche ai non cristiani, perché l'amore riguarda tutti e meditare sull'amore significa interrogarsi su ciò che per noi uomini dà o non dà senso, ciò che tiene in piedi o distrugge le nostre vite. Quando l'uomo vuole fare storia, quando vuole edificare una comunità, quando cerca la felicità, deve infatti confrontarsi con la propria esperienza di essere amato e di amare.
Anche la seconda parte dell'enciclica, al di là del limpido discorso sulla diaconia della Chiesa, contiene affermazioni che rivelano ai non cristiani come la Chiesa intenda la sua presenza in mezzo ad essi. Il Papa afferma che la Chiesa «non vuole imporre a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di comportamento che appartengono a questa. Vuole semplicemente contribuire alla purificazione della ragione e recare il proprio aiuto per far sì che ciò che è giusto possa, qui ed ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato». E prosegue: «la Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile», la quale «non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica».
Ecco la visione espressa da Benedetto XVI nel suo magistero petrino: una Chiesa che non impone ma propone, che non si fa reggente della società né percorre la via della lobby di pressione, una Chiesa che sta in mezzo agli uomini nutrendo per loro simpatia, una Chiesa libera da partiti e ideologie, che assume il proprio impegno di carità nella gratuità, senza mirare ad altri scopi, nell'umiltà di un servizio concreto mai disgiunto dal pensare, dal meditare, dal contemplare, dal pregare. Sì, di fronte a un testo come questo, chi è cristiano si rallegra: è buona notizia evangelica comunicata bene. E chi cristiano non è, può percepire tutta la simpatia che la chiesa nutre verso di lui, può sentire l'autentica passione della Chiesa per l'umanità.


L'Ulivo schiera Amato e solo due donne
Monica Guerzoni sul
Corriere della Sera

ROMA — Il coach la presenta come «una squadra forte e unita, pronta a vincere la sfida delle elezioni». Dopo lungo travaglio, l'Ulivo schiera i capilista della Camera. Romano Prodi guiderà il listone Ds-Margherita in 14 circoscrizioni su 26 e cioè Piemonte 2, Lombardia 1, Veneto 1, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Umbria, Marche, Lazio 2, Abruzzo, Molise, Campania 1, Basilicata, Calabria e Sicilia 1. Nessuno spazio per la società civile, il Professore si è aggiudicato l'intera quota concordata con Fassino e Rutelli.
Trattativa sofferta, ma non traumatica. Si nota il nome di Giuliano Amato (Veneto 2), unico indipendente «sopravvissuto» di una lunga teoria di papabili. E si nota la penuria di donne. L'Ulivo, che pure si era impegnato a compiere una svolta, schiererà Rosy Bindi in Friuli e Barbara Pollastrini in Lombardia 3. Tutto qua, non una signora di più. Livia Turco e Marina Sereni dovranno consolarsi con onorevoli postazioni nelle teste di lista. E un prezzo allo sforzo unitario lo pagano anche gli ex ministri Pierluigi Bersani ed Enrico Letta, sacrificati alle logiche di partito.
All'ombra della Quercia c'è stata fibrillazione per affidare la Liguria a Fabio Mussi, il leader della minoranza che ha «pacificato» la direzione sul capo Unipol. E non indolore è stata la candidatura di Luciano Violante. L'ex presidente della Camera voleva Catania e l'ha spuntata, dopo un braccio di ferro con il Botteghino che gli aveva tenuto in caldo un posto da numero uno al Senato. Piero Fassino andrà nella sua Torino, Francesco Rutelli capeggerà l'Ulivo nella Capitale che lo ha avuto sindaco e il presidente federale della Margherita, Arturo Parisi, tornerà in Sardegna, pur creando qualche maldipancia ai Dl locali. Scontata la collocazione di Massimo D'Alema in Puglia e di Ciriaco De Mita in Campania. E i due coordinatori, cui va il merito di aver completato il puzzle? Dario Franceschini in Lombardia 2 e Vannino Chiti, che l'ha spuntata su Amato, in Toscana.
Pronta la task force della Margherita per Palazzo Madama. Pierluigi Castagnetti ha sciolto la riserva, così come Franco Marini. New entry Savino Pezzotta, riconfermati Willer Bordon e Lamberto Dini.
Chiti e Marini, protagonisti delle trattative sui capilista, non sono invece riusciti a trovare un'intesa con Clemente Mastella, che il presidente della Camera invita al trasloco nella Cdl: «Lo spazio di Mastella è nel centrodestra. Lui è un democratico cristiano, su tante cose pensa quello che pensiamo noi, il suo posto è qui». Di posti, l'Ulivo gliene offre non più di cinque come «diritto di tribuna» e così, alla vigilia del congresso di Napoli, il leader dell'Udeur minaccia lo strappo: «Se l'Unione consente ai Radicali di mettere in discussione i valori dei cattolici, per noi sarà difficile restare».


La Cdl vieta il video a Santoro
Aldo Fontanarosa su
la Repubblica

ROMA - Con precisione chirurgica, il Polo torna a sbarrare la strada al ritorno di Michele Santoro. Il conduttore di "Sciuscià" e del "Raggio Verde" non andrà in video almeno fino alle elezioni. Tutto succede nel pomeriggio di ieri, nell´arena della commissione parlamentare che vigila sulla Rai. Il centrodestra, che è in maggioranza, presenta decine di correzioni al regolamento che dovrà assicurare "pari condizioni" tv a tutti i partiti in campagna elettorale; la prima è quella che affonda Santoro. L´emendamento vieta il video a quei conduttori che, nell´ultimo anno, abbiano avuto un ruolo politico. Santoro - eurodeputato del centrosinistra fino al 18 ottobre 2005, quando poi si è dimesso - è impallinato. L´altolà passa con i voti di Forza Italia, An, Lega e Udc, compatti. Dice Butti di An: «L´Unione vuole la par condicio. Ma quando noi la assicuriamo vietando il video ai cronisti con un fresco passato in politica, poi si ribella». L´Unione ha già abbandonato la commissione, stizzita e delusa.
Intanto a Viale Mazzini il consiglio Rai discute proprio di Santoro, ma con un orecchio ai lavori della commissione. In Rai tutto sembrava pronto perché il conduttore tornasse in onda con tre prime serate a febbraio, sulla Seconda Rete. Poi Santoro era stato spostato su RaiTre. Pochi giorni ed ecco il rientro slittare a marzo, per imprecisati problemi tecnici. Ieri, infine, lo stop del Polo in commissione.
Dalla Rai, il consigliere progressista Sandro Curzi protesta: la Vigilanza entra a gamba tesa e colpisce la nostra «autonomia editoriale». Protesta Rizzo Nervo: l´appello di Ciampi in favore del pluralismo «viene calpestato». Protesta Rognoni: «L´editto bulgaro è ancora in vigore, anzi diventa legge». Il riferimento è al veto che Silvio Berlusconi pronunciò contro Santoro, Biagi e Luttazzi, il 18 aprile 2002, da Sofia. Dopo mesi di prudente silenzio anche Santoro parla: ricostruisce la «persecuzione» subita e ricorda che la sua elezione al Parlamento europeo non era un atto di militanza, ma una forma di protesta contro la censura. Lui pure considera ancora in vigore lo stop del Cavaliere, l´altolà bulgaro.
Alla fine, il consiglio Rai vota una delibera che colloca il reintegro di Santoro entro la primavera, in ogni caso dopo il voto. Vince la linea moderata del presidente Petruccioli, contrario a sfidare gli orientamenti della politica, della Vigilanza. I tre consiglieri del centrosinistra si accodano, a denti stretti.


Triste barzelletta
Antonio Padellaro su
l'Unità

Un giorno, ha raccontato a Sky, l'Unità ha scritto che sono peggio di Saddam e la sera stessa qualcuno ha cercato di farmi fuori. Dopo averci propinato le più vecchie e insipide battute di questo mondo Berlusconi ha inventato un nuovo genere: la barzelletta triste. La storiella consiste nel fatto che nessuno su questo giornale lo ha mai paragonato all'ex dittatore iracheno, personaggio infame e sanguinario ma non privo di una sua tragica dignità. Sotto questo aspetto verrebbe da dire: via cavaliere, non si monti la testa.
Ma se mai un raffronto del genere ci fosse stato, pensate all'assurdo di un qualcuno che legge l'Unità e subito organizza l'attentato al premier come se dovesse programmare il cinema. Triste, e anche umiliante essere costretti a replicare a questa nuova buffonata. Che l'uomo sia del tutto incapace di articolare concetti seri, valutazioni argomentate, rilievi fondati, lo hanno capito tutti. Così come è diventato un fastidioso rumore di fondo quel suo straparlare televisivo, mai interrotto, in cui mescola i simpatici quadretti familiari ai cento milioni di morti nei gulag staliniani (dei quali ci ha indicato come complici).
Noi, però, non faremo l'errore di sottovalutare l'uomo delle barzellette perché sappiamo che dietro le ripetute provocazioni e le incredibili sparate c'è del metodo. Se ci ha preso di mira denunciandoci per gravi reati, accusandoci di oscure manovre (con il rischio che qualche sconsiderato gli dia retta) a qualcosa d'altro sta sicuramente pensando. L'uomo è potentissimo, si sta giocando la partita decisiva ed è capace di tutto. Perciò, stiamo con gli occhi aperti.


Berlusconi: odio la politica e apparire in tv
Virginia Piccolillo sul
Corriere della Sera

ROMA — «Dicono che sono alla canna del gas e mi aggrediscono. Una volta l'Unità
ha scritto che ero peggio di Saddam Hussein e quella sera stessa qualcuno ha cercato di farmi fuori». È una delle molte rivelazioni che ieri il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha affidato ai microfoni radiotelevisivi. In un lungo faccia a faccia a Skytg24, Pomeriggio, il premier ha spaziato sui temi più vari: dagli scioperi dell'Alitalia («organizzati dalla sinistra»), alla legge sull'aborto («risponde alle esigenze della donna»). Ha annunciato una querela per Diego Della Valle. E ha concluso: «Odio la politica» e «non mi piace andare in tv». Poi, improvvisandosi "dj" all'emittente Rtl, ha confessato: «Mi piacerebbe essere bello come Gary Cooper».
BIBLIOTECARI — Lunga la catena di accuse alla sinistra. Berlusconi attacca ancora l'Unità
senza fornire dettagli sul presunto agguato, suscitando l'ironia del direttore Antonio Padellaro: «Le solite barzellette che, come al solito, non fanno ridere». Imputa ai suoi avversari di aver «orchestrato» gli scioperi dell'Alitalia «per coprire lo scandalo Unipol». Torna sui pranzi tra i vertici ds e il presidente di Generali Antoine Bernheim: «Con un uomo di 81 anni di che hanno parlato, di sport o di vacanze? Ma veramente si crede che gli italiani abbiano l'anello al naso?». Li definisce i «furbetti del Botteghino» e se ne compiace: «Non è male, no? Mi è venuta adesso». Attacca il governo «delle sinistre» per la mancanza di politica energetica e rivela: «Penso che al referendum votai per il nucleare». E ai dirigenti ds, figli della «più grande impresa criminale», il comunismo, suggerisce: «Dovrebbero cambiare mestiere e andare a fare i bibliotecari o i commercianti».

PRODI — «Volevo chiedere, dov'è Prodi?» ironizza il presidente del Consiglio, invitando il leader dell'Unione a un confronto in tv. «So che fa battute, vorrei che le facesse davanti a una telecamera».
ODIATA TV — In un'altra giornata di offensiva mass-mediatica il Cavaliere tradisce la tv: «È una cosa che semplicemente odio», dice a Sky, «avrei tante cose da fare». Ma, soggiunge, «desidero far conoscere agli italiani tutto ciò che è stato fatto». Anche per «la politica e il suo ambiente» esprime antipatia. Ma, spiega, l'essere sopravvissuto a un tumore gli ha fatto sentire «la necessità di dedicare la vita agli altri».
SIGNOR DELLA VALLE — Per quel «bugiardo» ricevuto da Diego Della Valle nella polemica sui diritti tv, Berlusconi annuncia: «Quel signore ne risponderà davanti ai giudici».
Quanto all'accusa di aver stanziato finanziamenti per l'acquisto dei decoder di cui si è avvantaggiata l'azienda del fratello Paolo, Berlusconi replica: «Non lo sapevo io, e non lo sapeva, quasi, nemmeno mio fratello» di quell'attività che ha reso «solo 12 milioni di vecchie lire». Quando gliel'ho detto, ha raccontato, «mio fratello ha risposto: fra 5 minuti non venderemo più decoder».
«NON SONO NANO» — Mescolando affondi politici e confidenze, il premier a Rtl scherza sulla sua statura: «Beh, dicono che sono un nano, ma non riconoscono il mio metro e settantuno di altezza...». E, pur ammettendo di voler essere come Cary Grant e Gary Cooper, aggiunge: «Non mi piaccio così poco da rovinarmi le giornate, mentre alcuni esponenti della sinistra sono sempre di cattivo umore forse perché la mattina si guardano allo specchio...». Virtù? L'amicizia. Tanto da «aver portato in Parlamento vecchi compagni di scuola», ammette citando fra i migliori amici Gianni Letta e Fedele Confalonieri. Vizi? «Il gelato del mio cuoco Michele e la cioccolata quando ho bisogno di affetto». Il fumo, dice, lo abbandonò per un «fioretto». Non legato all'amore ma a un affare in campo edilizio. Dopo essersi descritto come «fedele in modo piuttosto malandrino», ammette: «Mi piace far credere di essere un poco Superman». E quindi detta il suo epitaffio: «Mi piacerebbe che sulla mia lapide fosse scritto che ero una persona buona e giusta».


   26 gennaio 2006