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sulla stampa
a cura di G.C. - 17 gennaio 2006


Ulivo, tregua dopo la prova di forza di Prodi
Monica Guerzoni sul
Corriere della Sera

ROMA - Romano Prodi non avrà la lista unitaria al Senato, né un calendario di date certe per il partito democratico, potrà sfoggiare però un ramoscello d'Ulivo nei simboli dei partiti. E nella lunga, tesa notte di piazza Santi Apostoli, tanto basta a siglare la tregua. Tre ore di vertice e un accordo che i Ds già chiamano "lodo Fassino", perché è il segretario della Quercia a sbloccare il drammatico impasse con una proposta lanciata dal salotto tv di Bruno Vespa: un richiamo all'Ulivo dentro i simboli di Margherita e Ds nella lista di Palazzo Madama.
Pura "convenienza elettorale" quella di andare divisi, rimarca il leader, che incassa anche la convocazione, il 29 gennaio, dei gruppi parlamentari per sancire "in modo solenne" la costituzione dei gruppi unici. E la conferma, per il 4 febbraio, di una grande manifestazione di lancio della campagna elettorale. "Tanto rumore per nulla..." commenta pipa tra i denti Franco Marini, ma Rutelli è contento: "Un passo avanti importante e costruttivo per il partito democratico". E Fassino conferma la prospettiva: "Tutto è bene ciò che finisce bene". Non sarà molto, ma per come si era messa, con quell'ultimatum di Prodi gravido di conseguenze nefaste (o la lista al Senato o ognun per sé), all'una di notte il Professore conviene che è già tantissimo: "I punti di progresso sono concreti... ora non si torna più indietro".

Via libera a liste civiche regionali per Prodi in Sicilia, Friuli e Puglia, l'ex premier capolista in almeno metà delle circoscrizioni della Camera e un drappello di candidature blindatissime per il leader: non più sette, numero che aveva fatto infuriare i fedelissimi di Prodi, ma il doppio.
Se l'intesa andrà in porto la minaccia di una lista personale del presidente sarà definitivamente fugata. Fine di una giornata avvelenata, iniziata con Fassino che allontana l'orizzonte unitario, "la costruzione del partito democratico è un progetto politico che non si improvvisa" e culminata nel pomeriggio con il segretario della Quercia che spedisce al Professore parole mai così aspre: "Prodi non è Dio in terra" e non è vero che le primarie le abbia vinte da solo, "abbiamo pedalato insieme". E Franco Marini, lasciando il Nazareno dove Rutelli ha riunito i suoi per affinare la strategia contro la "fuga in avanti" di Prodi: "Quando si spinge troppo il piede sull'acceleratore, si rischia di andare a sbattere".


La fuga in avanti
Massimo Giannini su
la Repubblica

A tredici giorni dallo scioglimento delle Camere, aleggia sul Paese un´allegra sensazione di caos. Nel centrodestra, Berlusconi non può spendere in campagna elettorale i risultati di una legislatura fallimentare. Usa contro l´avversario l´unica arma che ha: la calunnia politica, travestita da questione morale. È un´operazione disperata e irresponsabile. Il Cavaliere erode la malta posticcia che ancora teneva unita la Casa delle libertà, perdendo il sostegno di Casini e persino l´appoggio di Bossi. Brandisce il caso Unipol come una clava contro i Ds, incassando una pioggia unanime di smentite (ultima quella dei legali di Consorte), e trasformando un prestigioso finanziere internazionale come il presidente delle Generali Bernheim in una specie di Totò Riina (basta averlo incontrato una volta, per diventare politicamente "mascariati").
Il centrosinistra avrebbe validi argomenti per costruire consensi sulle macerie berlusconiane. Ma sta a sua volta implodendo. In preda a una delle sue cicliche crisi interne, ma per l´occasione aggravata dall´imminenza del voto e dall´immanenza dei problemi. Siamo a un paradosso, impensabile solo pochi mesi fa. Il partito democratico, punto di sintesi tra Ds e Margherita e punto di forza per tutta l´Unione, è diventato un elemento di conflitto e un fattore di destabilizzazione. Con una mossa che ha sorpreso gli alleati, Prodi ha deciso di forzare i tempi del progetto. "Subito e ovunque", è diventata la parola d´ordine del Professore, che esige un´ulteriore, immediata cessione di sovranità dai partiti. La lista unitaria anche al Senato. Oppure il simbolo del partito democratico sulle liste di Ds e Margherita. Oppure, in un crescendo di richieste quasi ultimative, un repentino "sciogliete le righe": ognuno per conto suo, con il proprio simbolo.
E a quel punto, quasi certamente, l´utilizzo dell´arma finale: una nuova Lista Prodi, che attinga dalla famosa "società civile" la forza, anche parlamentare, su cui il Professore può costruire una maggioranza più stabile di quella che lo fece penare, e alla fine cadere, nel 1998.
Se vuole essere un modo per far uscire il centrosinistra dall´angolo nel quale l´aveva schiacciato il Cavaliere con lo scandalo di Bankopoli, Prodi ha forse esagerato nel merito. Bastava un appello all´unità dell´asse riformista, magari accompagnato ad una presa di posizione chiara e solidale con gli alleati infangati dal premier. Perché, invece, caricarlo di rammarico quasi definitivo, parlando di "spirito delle primarie perduto"? Se vuole essere un modo per negoziare al rialzo la distribuzione dei collegi e dei seggi nel prossimo Parlamento, Prodi ha forse esagerato nel metodo. Bastava convocare l´ennesimo vertice (nel centrosinistra se ne fanno già tanti) e trattare anche a muso duro sulle candidature, come avviene più o meno da mezzo secolo, e non solo in Italia. Perché, invece, far trapelare un astioso complesso di minorità, in dichiarazioni del tipo "io solo pedalo, mentre gli altri decidono"?
Nell´uno e nell´altro caso, il Professore ha scelto un modo strano per far pesare la sua leadership. Il partito dei riformisti del centrosinistra, che si chiami "democratico" o in qualunque altro modo, è un´idea troppo alta, per poter essere svilita nel gioco tattico che fatalmente caratterizza una campagna elettorale. È stata l´idea più nobile e innovativa, che lo stesso Prodi ha messo in campo nella politica italiana di questi ultimi anni. È il suo grande merito: essere riuscito a rientrare da Bruxelles non solo con il laticlavio formale del costituente europeo, ma con un progetto sostanziale per l´Italia. All´inizio, questo progetto ambizioso non ha avuto il sostegno necessario da chi lo doveva promuovere. Ha subito diversi stop, e altrettante accelerazioni. Le resistenze, soprattutto nella Margherita, sono state tante. Le diffidenze, anche nei Ds, non sono mancate. Si sarebbe potuto concretizzare prima, grazie anche ai numerosi test offerti dal calendario politico con le diverse tornate amministrative. Ma alla fine, sia pure con mille difficoltà, Fassino e Rutelli sono riusciti a trascinare i rispettivi partiti in questa avventura, insieme affascinante e difficile.

Adesso, al di là delle reali intenzioni di questo affondo prodiano, l´orizzonte torna confuso, e la rotta sembra smarrita.
Perché tutto questo? Perché accelerare all´improvviso, correndo il rischio di andare a sbattere contro un muro a meno di tre mesi dalle elezioni? Anche se il suo imprinting è diverso, Prodi è ormai un politico navigato. Non può non aver messo nel conto il pericolo di una rottura. Delle due l´una. O ha peccato di generosità, per troppo amore verso il suo progetto. Ma in questo caso non può contare sulla disponibilità della Margherita e soprattutto della Quercia: il partito democratico è un traguardo da oltrepassare sullo slancio della persuasione politica e della forza elettorale, e non da attraversare stremati, con le braccia alzate in segno di resa e in un momento di oggettiva difficoltà. O ha peccato di avarizia, per scarsa fiducia verso i partiti. E anche in questo caso non può trovare sponde in Fassino e Rutelli, se lo straordinario plebiscito tributatogli dai quattro milioni di elettori delle primarie diventa un suo "patrimonio" esclusivo, da spendere al di fuori e al di sopra dei partiti. Attraverso la presentazione di una lista personale, o magari di tante liste civiche, più o meno esplicitamente riconducibili a lui stesso. Perché se così fosse, si lancerebbe un pessimo segnale agli elettori. E come se non bastasse, si perderebbe anche l´efficacia tecnica di questo escamotage elettorale. Il proporzionale, colpevolmente reintrodotto dal centrodestra, incentiva la distinzione e favorisce la frammentazione. Ma se una Lista Prodi drenasse voti ai Ds e alla Margherita, invece che intercettarne dall´area moderata del centrodestra, la somma algebrica dell´alleanza resterebbe per lo più invariata.
Mai come oggi, in un Paese martoriato nel quale dilagano le vergogne di fine regime e tornano ad agitarsi i vecchi fantasmi del passato, tutti i leader del centrosinistra devono dimostrarsi all´altezza del compito che li aspetta. Devono indicare uno sbocco politico alla crisi italiana. Con fatica, pazienza e grande senso di responsabilità. Il rifugio nell´antipolitica è pericoloso. Destabilizza le istituzioni. E comunque non dura. Berlusconi, che ne è la prova vivente, sta lì a dimostrarlo.


Il Masaniello mediatico
Ernesto Galli Della Loggia sul
Corriere della Sera

Se qualcuno sperava in una campagna elettorale "normale", a questo punto, dopo la visita di Berlusconi alla Procura di Roma e quel che ne è seguito in tv (anche ieri), avrà capito che non tira proprio aria. Fino al suo ingresso negli uffici giudiziari della capitale, il premier sembrava intenzionato, infatti, ad arrivare all'appuntamento elettorale essenzialmente cercando di convincere gli italiani della bontà del suo operato di governante. Contro la disinformazione di una stampa considerata in gran parte ostile per partito preso, contro l'iniquità di un'opposizione dipinta come pronta a dire solo no, il Cavaliere sembrava volersi impegnare soprattutto in un'opera di autopromozione, presentando il suo come il migliore, il più fattivo governo che il Paese avesse mai avuto.
Deve aver capito però che l'operazione non stava riuscendo. Forse glielo ha fatto capire, durante una sua esibizione televisiva, la sarcastica osservazione di un giornalista del calibro di Vittorio Feltri, certo non sospettabile di antiberlusconismo preconcetto. "Presidente — ha più o meno esclamato Feltri —, la smetta di affliggere gli italiani con la lettura dei suoi fogli e foglietti, diagrammi e tabelle. Parli con più sincerità, per esempio riconoscendo anche gli obiettivi mancati, e ci dica che cosa vuol fare in futuro e come". Ammonimento tanto più fondato quanto per Berlusconi difficilissimo da seguire. Perché lui è fatto così, si sa: non gli riesce di non essere logorroico, di non dipingersi come il più buono e il più bravo in tutto, di concedere agli avversari un barlume di ragione. Le parole di Feltri (magari suffragate da qualche sondaggio) gli hanno fatto capire che con l'eloquio torrentizio infarcito di dati e di cifre non solo avrebbe difficilmente convinto gli incerti ma rischiava perfino di disamorare molti dei più convinti tra i suoi.
Ecco allora il cambiamento di strategia. Come se si fosse avverata la leggenda metropolitana che a fargli da consigliere sia arrivato Karl Rove, il mago dell'ultima campagna di Bush. Ma il re della tv commerciale e della pubblicità sa da solo quello che piace al "suo" pubblico. Sa che la sua quasi sola speranza di vittoria risiede in un'alta affluenza alle urne, nel convincere il popolo della destra, anche se non proprio entusiasta del quinquennio di governo, a recarsi comunque alle urne al gran completo. E per ottenere questo scopo c'è un solo mezzo: rendere incandescente la campagna elettorale, tramutarla in una battaglia all'ultimo sangue, spazzare via gli argomenti e dare spazio solo ai sentimenti: quanto più viscerali sono, tanto meglio è. Prima di ogni altro, come si capisce, al sentimento dell'appartenenza che si nutre di antagonismo rispetto all'avversario, e in questo caso dello scontro all'arma bianca con la sinistra.

Pur di vincere, insomma, Berlusconi ha deciso di abbandonare ogni traccia di quella compostezza che nelle democrazie occidentali abitualmente distingue, pure in periodo elettorale, il modo d'essere del governo e di chi lo guida. Ha smesso l'abito del presidente del Consiglio per vestire i panni, che evidentemente sente a lui più congeniali, di un moderno Masaniello mediatico. Per lo stato di salute della democrazia italiana non è un bel segnale.


Primarie per tutti
Gianfranco Pasquino su
l'Unità

Unione
Nessuna legge elettorale proporzionale incentiva e, tanto meno, premia le aggregazioni partitiche, ancora meno quando vengono effettuate in periodi elettorali. Pertanto, la Lista Unitaria andrebbe comunque in controtendenza e, se conflittuale al suo interno, potrebbe non essere apprezzata da una parte di elettori che sono cruciali per il successo del centro-sinistra. L'interpretazione dei desideri dei 4 milioni e 311 mila elettori delle primarie non può essere univoca. La reazione contro la forzatura della legge elettorale proporzionale imposta dalla Cdl è stata almeno altrettanto forte quanto la volontà di incoronare Prodi, visibilmente e potentemente, come capo della coalizione di centro-sinistra e candidato a Palazzo Chigi.
Credo che in moltissimi elettori "primari" abbia anche operato la convinzione di essere finalmente messi in condizione di usufruire dell'opportunità di contare in maniera quasi decisiva in una scelta politica molto rilevante. Ritengo, invece, che sia eccessivo pensare che quegli elettori volessero segnalare la loro disponibilità alla formazione immediata di un, mai adeguatamente definito, partito democratico. Sintetizzerei lo spirito delle primarie come un mix di disponibilità a partecipare in maniera incisiva e non subalterna e di richiesta di coesione rivolta all'alleanza di centro-sinistra.
Probabilmente, serpeggiava e continua a serpeggiare in molti degli elettori, primari e non, parecchia insoddisfazione nei confronti di ciascuno e di tutti i partiti esistenti nel centro-sinistra, insoddisfazione che nessuno di questi partiti ha cercato di placare, ma è esagerato ritenere che quella insoddisfazione si sia tradotta in un mandato alla creazione istantanea di un partito democratico.
Semmai, proprio sulla scia della enorme e inaspettata partecipazione, è apparsa una comprensibile, inevitabile e positiva esigenza aggiuntiva. Preso atto che il vizio enorme della nuova legge elettorale è di essere compiutamente partitocratica, vale a dire di mettere nelle mani dei dirigenti di partito non soltanto la selezione dei candidati, ma addirittura, in pratica, la nomina dei parlamentari nelle deplorevoli lunghe liste bloccate, molti degli elettori "primari" ritengono che qualche forma di influenza da parte loro sulla formazione delle liste debba essere recuperata e garantita. Coerenza vorrebbe che Prodi, come logica conseguenza delle "sue" primarie, si dimostri disponibile a primarie anche per la selezione, non di tutti, ma di molti candidati e candidate al parlamento, attraverso elezioni primarie, per le quali, se si parte concretamente subito, c'è ancora tutto il tempo necessario.
Sarebbe questo un modo, democratico e mobilitante, per stemperare i conflitti e per rilanciare l'entusiasmo del 16 ottobre, per sollecitare le varie associazioni locali, se hanno la forza e la voglia di raccogliere le firme a sostegno di candidature alternative, per mettere in moto la campagna elettorale e, nel fuoco delle elezioni primarie, per discutere concretamente anche del partito democratico.

Mi pare impensabile che il partito democratico riesca a nascere per fusione di vertice senza "passare" e maturare nelle opinioni e nelle azioni dei cittadini elettori nelle varie circoscrizioni. Credo che persino la Lista Unitaria abbia bisogno di giustificazioni più convincenti di quella, politicamente comprensibile, ma "tecnicamente" velleitaria, di porsi in controtendenza come segnale a futura memoria. Non vedrei con favore neppure un manipolo di prodiani imposti dal candidato a Palazzo Chigi, ma, in totale contraddizione con lo "spirito delle primarie", non disponibili a confrontarsi previamente con l'elettorato del centro-sinistra e con le molte associazioni che vorrebbero partecipare in maniera incisiva per rinnovare il parlamento e per elaborare idee politiche e sociali che rendano le posizioni di tutti più chiare e più efficaci. Non credo che vi sia nulla da temere da un dibattito aspro fra le varie componenti del centro-sinistra e/o della sola lista unitaria purché questo dibattito venga condotto in pubblico, in maniera trasparente, fra elettori che, lo sappiamo, sono interessati, informati, determinati a contare.
Questa è la diversità del centro-sinistra. Questo è il vero spirito delle primarie. Altrimenti saremmo soltanto di fronte alla ricomparsa di comportamenti partitocratici sotto qualsiasi sgradevole forma.


Il Professore e la sindrome del '98
Francesco Merlo su
la Repubblica

Lo scontro obliquo, estenuante, più o meno sotterraneo e più o meno furbo, tra il candidato del centrosinistra Romano Prodi e i partiti che l´hanno candidato, vale a dire Ds e Margherita, è una prospettiva amara e desolante per l´Italia che si è sorbita tanti anni di Berlusconi. Ed è ancora più amara la constatazione che la nuova, l´ennesima fibrillazione prodiana, a dieci settimane dal voto, coincida con l´attuale difficoltà del partito di Fassino, una terribile congiuntura storica da molti sotto sotto assaporata come una ghiottoneria. Non sarà dunque facile allontanare il sospetto, chiarissimo nelle reazioni degli alleati diessini, da Salvi ad Angius agli uomini più vicini al segretario, che, come la vedetta della caccia al tonno, Romano Prodi abbia avvistato il pesce dell´Unipol.
E, mentre offriva l´esca della solidarietà, abbia in realtà brandito dietro la schiena l´arpione del Partito democratico "ora e subito", del listone unico anche al Senato.
È un sospetto che rivela diffidenza e forse persino malvolenza, ma è pur vero che Prodi ha perso la sua proverbiale indecisione e ha assunto tratti volitivi, sino alla minaccia, proprio contro i Ds feriti da Consorte e dai suoi cinquanta milioni di euro piuttosto che contro quelle ultime minchionerie di Berlusconi che hanno portato Giuliano Ferrara a scrivere ieri sul Foglio: "Il 9 aprile perderemo e non cambierà nulla. Cin cin".
Certo, la psicologia politica di Prodi non è una spiaggia deserta e il partito democratico non è un´espressione arida e chiusa. Talvolta lascia intravedere la grandezza di un nobile progetto comune che già nel nome non ha nulla di socialista, o di laburista, e meno che mai di postcomunista, ma altre volte serve solo a mettere gli alleati sotto accusa. E difatti, si chiami asinello, o listone unico o partito democratico, tutti sanno che l´ossessione di Prodi risale al 1998, all´anno in cui il professore fu costretto a lasciare il governo, rovesciato da Bertinotti e da una congiura di palazzo attribuita, a torto o a ragione, a D´Alema e a Marini, che sono appunto i Ds e la Margherita. È da allora che Prodi, la cui proverbiale memoria somiglia talvolta al rancore, cerca la rivincita, vuole i pantaloni lunghi, prova a costruirsi un partito contro i partiti che l´hanno inventato e che ai suoi occhi hanno l´astuzia del diavolo perché lo costringono a prendere la forma che essi e solo essi stabiliscono.

Perciò, dopo tanti anni, la rivolta, che periodicamente lo lacera e lo accende, è ancora quella di Pinocchio che vuole diventare di carne e sangue, non più un prodotto di falegnameria, non più il puzzle degli entusiasmi, degli umori e dei calcoli dei suoi Geppetto. Ed è ovvio e naturale che voglia impadronirsi di se stesso, non più funzione ma organismo, non più gelatinoso leader a comando.
Purtroppo però questa sua comprensibile esigenza rischia di soffocarlo. La diffidenza, ormai stagionata e incrostata di astio, può spingerlo a scegliere l´impossibilità come sua unica possibilità. Si può infatti ereditare un partito, lo si può "scalare" per acclamazione elettorale, qualche volta lo si può conquistare con la forza e con la decisione, lo si può comprare al mercato come ha fatto Berlusconi. Mai però lo si può acquisire per concessione degli antagonisti o degli alleati-rivali.
Ecco perché si sente un rumore di idee vuote dietro gli affanni per il partito democratico da fare subito, prima delle elezioni. Per ora infatti non stiamo assistendo alla nascita di un partito con un progetto, ma purtroppo alla rissa su questioni personali e sulla distribuzione dei posti di comando di un barca che non c´è. Anche la composizione delle liste elettorali, che è fisiologicamente conflittuale, normale dialettica, qui rivela una tensione troppo antica, esprime un acido groviglio di rimproveri mai sopiti, un cigolio di ingranaggi senza il lubrificante della passione e della scommessa. Il rischio è che prevalga il nulla, che trionfi l´organigramma, il manuale Cencelli. E che alla fine il centrosinistra vinca senza vincere, senza un´idea sulla guerra e sulla pace, senza inventare il riapprezzamento dell´industria italiana nel mondo, la politica energetica, il sistema finanziario; senza affrontare la disoccupazione giovanile, i tanti Mezzogiorno d´Italia, la politica del mare, l´immigrazione… Attenzione: c´è un modo di battere Berlusconi senza batterlo, prima sprecandosi nell´accapigliamento e nelle fumisterie alchemiche, e subito perdendosi nei labirinti incantati della distribuzione delle spoglie. Gli ingegneri del Nuovo Centro sono già al lavoro, il 9 aprile potrebbe diventare la loro festa. E farsi credere rincitrullito e battuto è forse l´ultimo colpo di coda del berlusconismo, il più velenoso.


Prima che sia troppo tardi
Alessandro Curzi su
l'Unità

Occupazione Rai
Come amministratore della Rai, debbo lanciare un allarme e un appello a tutti gli uomini politici animati da un sincero rispetto per la democrazia, sia di centrosinistra sia di centrodestra, affinché si risparmi al servizio pubblico radiotelevisivo la mortificante riduzione, nelle prossime settimane e mesi, a veicolo di bassa e anche volgare propaganda elettorale. Temo che le censure, le manipolazioni, gli improvvisi cambi di programma, le provocazioni e le sgarbatezze registrate in questi giorni siano niente rispetto a ciò che ci aspetta, se non corriamo subito ai ripari.
Corriamo subito ai ripari: il governo e i partiti facendo un passo indietro, i massimi dirigenti della Rai facendo al contrario un passo in avanti, per difendere e tutelare concretamente quel prezioso bene collettivo che è costituito dall'autonomia e dall'imparzialità del servizio pubblico.
L'ultimo sgradevole episodio, che ha visto vittima la signora Prodi, non può certamente essere archiviato con delle scuse, ma esige una precisa individuazione di responsabilità personali, della cui denuncia e sanzione si deve far carico il consiglio di amministrazione nella sua riunione di mercoledì.
Così come mercoledì deve essere posta la parola fine all'emblematica, assurda telenovela del ritorno in video, concordato e responsabilmente deciso all'unanimità dal CdA, di Michele Santoro. A tutt'oggi, appare di fatto non rimosso - nonostante assicurazioni e assunzioni di responsabilità dei massimi dirigenti dell'azienda - il diktat bulgaro. Da tempo a Santoro si sarebbe dovuto già concretamente assicurare i mezzi e le risorse necessarie per preparare adeguatamente, a beneficio dei telespettatori, i tre appuntamenti informativi già decisi per febbraio e la trasmissione già stabilita per maggio. Non è stato fatto. Il direttore generale ha il potere e la responsabilità di interrompere, subito, in queste ore, il gioco dei rinvii e dello scaricabarile che, altrimenti, avrebbe intuibili e gravi conseguenze politiche e giudiziarie.
L'aggressiva strategia elettorale scelta da Berlusconi - nel tentativo disperato di recuperare i consensi perduti col suo malgoverno sottraendoli, prima ancora che ai suoi avversari, ai suoi pur fedeli alleati - punta innanzitutto sull'invasività mediatica, sulla manipolazione della realtà e sul dissolvimento di ogni residuale parvenza di equilibrio informativo da parte di Mediaset e della Rai. Questo sta facendo saltare ogni regola in particolare nel servizio pubblico. Alcuni dirigenti e giornalisti della Rai notoriamente controllati dal centrodestra danno quotidianamente e sfrontatamente prova di partigianeria e di sudditanza. Ma, al di là dei singoli episodi, è chiara la determinata volontà di asservire complessivamente e massicciamente anche la Rai alle forme, ai contenuti e ai tempi di una campagna elettorale che il Cavaliere percepisce chiaramente come decisiva per i suoi personali interessi politici, industriali ed economici.
Perciò, approssimandosi l'entrata in vigore di quel minimo di norme regolatrici che vanno sotto il nome di par condicio, ha prima occupato per una settimana il teleschermo con il bluff giudiziario sul caso-Unipol, decidendo lui se e quando confrontarsi con un contraddittore, pretendendo di sceglierselo lui insieme ai nomi degli eventuali giornalisti destinati a fare finta di rivolgergli delle domande in grado di agevolare le sue esibizioni. Quindi - non so per iniziativa autoctona o su indicazione dei guru elettorali che sarebbero stati messi a sua disposizione da Bush e/o da Blair - ha avviato insieme ai suoi uomini più vicini una sistematico piano di incontri e pressione sui quadri che ritiene di poter militarizzare negli organi di comunicazione di massa, Rai in primis, perché nelle prossime settimane e mesi la sua propaganda, con le imprescindibili bugie e purtroppo con tutto il suo carico di veleni, venga adeguatamente distillata agli italiani. E perché non vengano intaccati gli interessi e le possibilità di ripresa di Mediaset.
Perciò niente signora Prodi, ancora ostacoli per Santoro, irrituali conferenze stampa propagandistiche contrabbandate per istituzionali, telegiornali obbligati a garantire la massima visibilità a disposizioni e parole d'ordine governative, trasmissioni ostacolate e persino annullate se non in perfetta linea, risorse e mezzi ridotti al lumicino per testate e reti in odore di disobbedienza, professionisti di grande valore ma scomodi (come Freccero, Beha, ecc.) ai quali si continua a negare il lavoro e la presenza in video o in radio, totale assenza della Rai dal grande e decisivo scontro in corso sui diritti sportivi, ecc..
Niente di tipologicamente nuovo, come si vede. Ma in queste settimane e mesi di vigilia elettorale, com'era del resto prevedibile, le conseguenze del conflitto di interessi e della concezione proprietaria che Berlusconi ha delle istituzioni e del governo stanno arrivando a livelli non più compatibili con un minimo di civiltà nei rapporti politici e di rispetto delle articolazioni sociali. Perciò, prima che sia troppo tardi, il Cavaliere si fermi. E se egli non intendesse fermarsi - ma al contrario, come sembra, volesse abbandonarsi definitivamente ai suoi istinti anti-politici - i suoi stessi alleati più ragionevoli e l'opposizione dovrebbero responsabilmente ostacolarlo e bloccarlo. In tutti i casi, ognuno in questi giorni dovrà assumersi con chiarezza le proprie responsabilità. Non sono più consentiti equivoci e ambiguità.



Metalmeccanici, il giorno decisivo
R. Ma. su
la Repubblica

ROMA - Ancora tensioni e disagi sulle strade e autostrade per gli scioperi e blocchi messi in atto dai metalmeccanici che chiedono il rinnovo del contratto scaduto da oltre un anno. Oggi sarà una giornata decisiva perché a Milano, nel pomeriggio, si riunisce la Giunta della Federmeccanica che dovrà decidere se proseguire il negoziato oppure rompere definitivamente con i sindacati. Si profila così una nuova giornata di caos con due manifestazioni principali: a Bologna e a Milano.
Le dichiarazioni di ieri del presidente della Federmeccanica, Massimo Calearo, hanno lasciato aperte entrambe le ipotesi: "La situazione non è semplice. Le imprese hanno bisogno di competitività, ma comprendiamo anche che i lavoratori hanno bisogno di euro". Si intrecciano così le richieste di aumento da parte dei sindacati (non meno di 100 euro per il biennio 2005-2006) nonché agli incrementi aggiuntivi (25 euro) per quei lavoratori che hanno solo il contratto nazionale; e le controfferte degli industriali che con l´allungamento di sei mesi del contratto sono arrivati a proporre 94,5 euro ma hanno detto no ai 25 euro e hanno chiesto una dose maggiore di flessibilità per attenuare la perdita di competitività delle loro imprese (-5,8 per cento negli ultimi quattro anni).
Ieri le tute blu hanno isolato Torino con blocchi stradali lungo tutta la cintura cittadina. Bloccata l´autostrada Milano-Torino. Il traffico è impazzito nel centro di Genova. In tilt anche l´A4 vicino al casello di Brescia Ovest, come l´Autosole tra Firenze e Arezzo. Interrotta la superstrada per Perugia e l´Aurelia all´altezza dello stabilimento della Piaggio. "E se la Federmeccanica darà una risposta negativa - ha minacciato il segretario generale della Uilm, Tonino Regazzi - i blocchi e le proteste si estenderanno in tutta Italia". Provocatoria la replica di Calearo: "Bisognerebbe consigliare ai lavoratori che si mettono al freddo e al gelo a bloccare le strade, di farsi pagare le ore perse dai sindacati, come accade in Germania".
I metalmeccanici incassano il sostegno dei partiti dell´Unione, mentre il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, continua ad attaccare gli industriali: "Federmeccanica chiusa in una torre d´avorio pare non si accorga di quello che sta accadendo".



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