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a cura di Fr.I. - 11 gennaio 2006

il Manifesto
apertura de
il Manifesto

La Banca d'Italia boccia la scalata di Unipol alla Bnl. La «finanza rossa» viene rimessa al suo posto come aveva chiesto Montezemolo, ma tra le scorie dell'avventura il centrosinistra tira un sospiro di sollievo. Oggi direzione Ds, Fassino e D'Alema offrono un po' di scuse. Mentre i giudici ora puntano sulla scalata Telecom: vertici sotto tiro.


Ritirata la legge che equipara Salò alla Resistenza
sommari de
l'Unità

La maggioranza ha accettato di depennare dall'ordine dei lavori del Senato il provvedimento che riconosce ai repubblichini di Salò lo status di militari belligeranti. Equiparandoli, per legge, a quanti combatterono per la libertà. «Questa è una notizia positiva - afferma il capogruppo Ds Gavino Angius - spero e mi auguro che concluderemo la legislatura senza questo scempio». E il vicepresidente dei senatori forzisti Malan riconosce: «Scelta opportuna. Questo provvedimento quanto meno non è urgente».


Scalata Telecom, le rivelazioni di Gnutti
Si indaga sulla cessione del 2001, nel mirino anche l'Opa del '99 e le operazioni in Lussemburgo
Paolo Biondani sul
Corriere della Sera

MILANO - Le indagini dei pm milanesi si allargano all'intero dossier Telecom e gettano nuova luce sulla rete di intrecci azionari e operazioni riservate che hanno accompagnato e seguito la «scalata del secolo». A mettere a verbale le prime rivelazioni, che i magistrati ora vogliono verificare e riscontrare, è stato Emilio Gnutti, che nel 1999 guidò la conquista della compagnia telefonica e la cessione nel 2001 al gruppo Pirelli: affare che garantì al finanziere bresciano e ai suoi alleati una storica plusvalenza di oltre due miliardi e mezzo di euro.

Questa svolta nelle indagini, secondo Radiocor (l'agenzia di stampa del Sole 24 Ore), starebbe offrendo ai pm «la possibilità di ricostruire intrecci clamorosi a tutto campo tra affari e politica». Il nuovo troncone d'inchiesta avrebbe convinto la Procura della necessità di riesaminare tutti i capitoli chiave della vicenda: la scalata iniziale a Olivetti-Telecom, realizzata attraverso la società lussemburghese Bell, controllata dall'Hopa di Gnutti e soci; la vendita al gruppo Pirelli di Marco Tronchetti Provera; le successive operazioni su titoli Hopa e di altre società collegate, che hanno spesso coinvolto compagnie off-shore e fondi con sede in paradisi fiscali.

Di certo Gnutti, già indagato con il banchiere Fiorani per quella scalata ad Antonveneta che ora è considerata l'atto finale di un'«associazione per delinquere» attiva da anni, nello stesso verbale ha rivelato ai pm milanesi di aver versato circa 48 milioni di euro a Gianni Consorte e Ivano Sacchetti, i dirigenti di Unipol ora dimissionari, proprio a partire dalla cessione di Telecom nel 2001. Soldi che Consorte ha giustificato con ipotetiche consulenze anche sul prezzo di Telecom.



Ispettori in procura a Milano
sommari de
l'Unità

Sono arrivati stamattina in Procura a Milano gli ispettori inviati dal ministro della Giustizia Roberto Castelli per fare luce sulle intercettazioni telefoniche relative all'inchiesta Antonveneta finite sui giornali, in particolare quella di Giovanni Consorte, ex numero uno di Unipol con con il segretario della Quercia Piero Fassino. Intanto è stato secretato l'interrogatoriuo di Emilio Gnutti. Umberto Bossi respinge l'accusa, trapelata dall'inchiesta Antonveneta, di aver ricevuto cento milioni di vecchie lire da Fiorani, ex presidente della Popolare di Lodi.


Errori e rimedi (se il voto e' vicino)
Oggi il primo confronto nella Quercia
Paolo Franchi sul
Corriere della Sera

È probabile, che oggi, subito dopo il no della Banca d'Italia all'Opa di Unipol sulla Bnl, la direzione della Quercia farà di tutto per evitare di aggiungere danno a danno. E si capisce. L'imminenza della campagna elettorale dovrebbe bastare da sola a scoraggiare le tentazioni di aprire il fuoco sul quartier generale, per scaricare su un ristretto gruppo dirigente lo sconcerto, e in molti casi l'angoscia, di militanti ed elettori che certo difendono, e giustamente, il partito e l'onorabilità dei dirigenti, ma faticano ad attribuire la responsabilità delle settimane terribili che stanno vivendo alla «mano del nemico». A proposito della quale, è il caso di ricordare, prima Piero Fassino, poi Massimo D'Alema, hanno corretto almeno in parte il tiro, riconoscendo errori di valutazione e promettendo riflessioni non di superficie su tutte le implicazioni.

Il problema, come si diceva un tempo, è politico. Ed è pesante come una montagna. Perché i Ds non sono alle prese con un incidente di percorso dovuto a uno straordinario eccesso di superficialità nel giudicare gli uomini e le cose, ma al passaggio più difficile della loro storia, e sono costretti (ma forse sarebbe più esatto dire: si sono costretti in larga misura da soli) ad affrontarlo nella condizione peggiore. Hanno perfettamente ragione ad indignarsi perché la questione morale viene brandita come un'arma impropria contro la Quercia. Ma la storia recente e meno recente dovrebbe aver insegnato anche a loro che quest'arma diventa davvero contundente, e in certi casi addirittura mortale, solo se e quando la «vittima» ha già commesso gli errori politici che possono prostrarla, e non sa correggerli. Il più serio tra gli errori dei Ds, ha scritto Emanuele Macaluso sul Riformista, è stato quello di pensare che la via migliore per colmare un deficit di politica, e cambiare i rapporti di forza, anche nel centrosinistra, consistesse nell'acquisizione, da parte di Unipol, di una banca.



La Quercia e le banche
Stefano Passigli su
l'Unità del 10 gennaio

La vicenda Unipol-Bnl da semplice, anche se importante, operazione finanziaria è oramai divenuta un affaire politico. Uso la parola «affaire» di proposito: nella vicenda hanno infatti assunto sempre più rilevanza non i suoi aspetti economici sostanziali (la legittimità dell'operazione, il prezzo elevato pagato per Bnl, la valutazione del piano industriale, e così via), ma - grazie a una sapiente regia mediatica - il suo uso distorto a fini politici e i suoi potenziali riflessi elettorali.
Per valutare correttamente il caso, e non prestarsi alle strumentalizzazioni cui sono ricorsi in questi giorni sia il centro-destra che ampi settori del centro-sinistra, occorre esaminare la questione nel più ampio contesto che ha caratterizzato la scena finanziaria dell'ultimo anno, e sottolinearne alcuni aspetti troppo spesso passati sotto silenzio.
1) In primo luogo, è opportuno ricordare che nel 2005 abbiamo assistito a tre importanti scalate: Unipol-Bnl, Bpi-Antonveneta e Rcs-Corriere della Sera. Tra le due scalate bancarie vi sono tuttavia alcune fondamentali differenze. Nel caso Bnl, Unipol ha acquistato dal cosiddetto «contropatto» – organizzato e guidato da Francesco Caltagirone, che ne ha tratto il maggior beneficio – un pacchetto di azioni già esistente da molto tempo, e quindi non frutto di un concerto con Unipol. Al contrario, nel caso Antonveneta gli acquisti di azioni sono inizialmente avvenuti da parte di terzi, organizzati e finanziati da Fiorani nell'ambito di un disegno concertato e attuato ben prima che Bpi ottemperasse agli obblighi di legge, ed anzi all'espresso scopo di eluderli. Inoltre, mentre Unipol è ricorsa per l'acquisto di Bnl soprattutto a mezzi propri e dei propri azionisti mediante un ingente aumento di capitale, la scalata di Fiorani ad Antonveneta non solo non ha rispettato adeguati ratios patrimoniali ma è stata attuata indebitamente con prestiti ai cosiddetti «concertisti», e cioè con il denaro dei clienti della stessa Bpi. Anche senza ricordare i tanti aspetti tuttora oscuri che costellano le varie scalate, è dunque evidente che Unipol non è la questione centrale di una stagione caratterizzata da una contiguità tra affari e politica che trova espressione in innumeri provvedimenti del governo Berlusconi (e basti ricordare la legge Gasparri, la riforma del TFR, gli accordi tra Mediaset e Poste Italiane, gli aiuti al digitale terrestre, e così via). Se la questione Unipol ha acquisito la centralità mediatica che le viene oggi accordata, ciò risponde dunque più che alla realtà effettuale ad una precisa strategia politica intesa a colpire l'Unione e i Ds in particolare.
2) È soprattutto esaminando l'abortita scalata al Corriere della Sera che le diversità tra le varie operazioni e la strumentalizzazione oggi in corso emergono con chiarezza. Di quest'ultima operazione, di gran lunga la più pericolosa dal punto di vista sistemico, perché lesiva della libertà di informazione in un sistema che già conosce una forte concentrazione mediatica nelle mani del Premier, non si parla infatti più. Dimenticanza non da poco, perché in realtà l'operazione vedeva all'opera, oltre a Ricucci e Fiorani, personaggi di rilievo dell'entourage berlusconiano e della rete di relazioni del Premier quali Livolsi e il genero di Aznar. In altre parole, i concertisti dell'operazione Bpi-Antonveneta sono gli stessi che hanno preso parte al contropatto Bnl, e gli stessi che assieme a significativi esponenti del centro-destra si sono mossi per scalare il Corriere della Sera. A quanti oggi chiedono ai Ds di abbandonare ogni pretesa di «diversità» morale, credo pertanto si possa e debba rispondere con fermezza che ben diverse sono state le fattispecie, e che allo stato degli atti ben diverso è stato il comportamento tenuto dalla segreteria Ds nella scalata alla Bnl rispetto al coinvolgimento della Lega e di vari parlamentari e sottosegretari del centro-destra con Fiorani e il gruppo dei concertisti.
3) In particolare, il comportamento del segretario Ds quale emerge dalle intercettazioni appare quello di un osservatore, partecipe ma pur sempre osservatore, e non quello di un regista o di un protagonista interessato. Quanto colpisce chi legga la trascrizione dei pochi minuti di conversazione tra Fassino e Consorte è il senso di sorpresa per l'operazione che pervade le parole di Fassino. Le conversazioni avvengono per iniziativa di Consorte ad operazione sostanzialmente conclusa; la principale preoccupazione espressa dal segretario Ds è che tra Unipol e gli immobiliaristi non vi sia stato preventivo concerto

4) Da più parti si invoca infine, in nome di un fondamentale principio etico, una netta separazione tra politica e finanza. Se con ciò si intende che un partito politico non debba avere interessi imprenditoriali diretti siamo nell'ambito di affermazioni ovvie. E condivisibili proprio per la loro ovvietà. Se invece si intende che un partito non debba intrattenere rapporti continuativi col mondo dell'impresa e della finanza mi permetto di dissentire. Mi sono politicamente formato nella tradizione del riformismo laico, in quel Partito Repubblicano che con il mondo dell'imprenditoria e della finanza ha sempre tenuto rapporti. E li ha sempre tenuti ben sapendo che la struttura del sistema finanziario di un paese condiziona pesantemente l'assetto del suo sistema produttivo. La questione non è dunque quella di tenersi lontani dal mondo della finanza - che alcuni a sinistra si ostinano a considerare come il luogo di perdizione di un'etica superiore - ma quella assai più concreta di come e quali rapporti sia lecito ed opportuno tenere. Gli imprenditori con i quali Ugo La Malfa e Bruno Visentini avevano rapporti erano gli Adriano Olivetti o gli Agnelli (unica storica famiglia del capitalismo italiano che ha dismesso i propri investimenti finanziari per concentrarsi sulla propria attività industriale, anziché rifugiarsi nelle public utilities come hanno fatto i Falck e i Benetton o Tronchetti Provera). E i finanzieri erano i Mattioli e i Cuccia e non i Fiorani e gli Gnutti. In altre parole tra politica e finanza vi possono e debbono essere rapporti, perché spetta alla politica intervenire con provvedimenti atti a modificare struttura e comportamenti del sistema finanziario e produttivo quando questi - come oggi in Italia - si rivelino inadeguati. Ma l'esistenza di rapporti richiede che sia elevata la qualità etica delle controparti, e chiaramente distinti i reciproci ruoli come peraltro è sostanzialmente avvenuto nel caso Unipol.
5) Tutto bene, dunque, nel comportamento dei Ds e del movimento cooperativo? Assolutamente no. La vicenda Unipol ha infatti rivelato non solo comportamenti personali dei massimi dirigenti della società che al di là delle conclusioni cui giungerà la magistratura sono comunque eticamente riprovevoli, ma anche una contiguità con i gruppi protagonisti delle altre scalate del tutto inaccettabile. Urge dunque che i Ds e lo stesso movimento cooperativo rompano ogni e qualsiasi rapporto non con il mondo della finanza in genere, ma con quei finanzieri di assalto che hanno praticato ogni forma di market abuse sino a commettere veri e propri reati penalmente perseguibili. I nomi sono a tutti noti.

6) Dagli avvenimenti di questi ultimi mesi si possono trarre anche due considerazioni sistemiche. La prima è che il sistema dei controlli affidato dal nostro ordinamento a Banca d'Italia non ha funzionato. Dobbiamo solo alla Consob e alla Magistratura se le trame di un gruppo di malaffare e due scalate pericolose per la libertà di informazione (Rcs) e la credibilità del nostro Paese sui mercati finanziari internazionali (Bpi-Antonveneta) sono state sventate. Con la tardiva approvazione della legge sul risparmio, e soprattutto con la nomina del nuovo Governatore, è possibile sperare che la situazione si sia oggi normalizzata. Ma rimane una grave colpa del Governo, e di Berlusconi in particolare, avere ritardato l'uscita di Fazio da Banca d'Italia e avere condizionato il varo della legge all'introduzione di norme sul falso in bilancio atte ancora una volta a coprire le personali situazioni del Premier. Della ritardata adozione di queste misure i Ds non portano responsabilità alcuna, avendole più volte sollecitate. Non così altre forze politiche. È una realtà da non dimenticare.



La maratona del Cavaliere
Curzio Maltese su
la Repubblica

IN PREDA a una bulimia da video ormai incontenibile, lunedì sera Berlusconi, dopo aver monologato dal dipendente Ferrara con la consueta eleganza («Biagi e Santoro si meritavano una bella pedata nel sedere»), è corso al Processo di Biscardi. Si è presentato trafelato e ha giurato: «Mi fermo soltanto due minuti, purtroppo gli impegni...». È rimasto quasi un´ora e alla fine ha avuto anche il coraggio di dire: «Ora devo scappare». Stasera sarà a Porta a Porta, contro Bertinotti, per non perdere l´abitudine. Il fido Vespa ha obbedito all´ordine implicito di non invitare l´ospite naturale per un confronto col premier, Romano Prodi.
Ha chiesto a Fassino, che gli ha indicato il capo dell´opposizione («Non è stato Berlusconi a dire che voleva il duello con Romano?»). Poi ha chiesto a Rutelli e ha ricevuto la stessa risposta. Allora, volendo andare sul sicuro, ha telefonato a Bertinotti, il quale naturalmente si è precipitato. La maratona settimanale non è finita.
Domani Berlusconi sarà da Anna La Rosa, ad Alice, e venerdì pomeriggio su Raiuno a Conferenza stampa. Non è escluso che nel frattempo s´inventi altre partecipazioni a sorpresa, come ha fatto in radio da Fiorello e da Biscardi.
Potrebbe spuntare dalla De Filippi come da Giurato a Uno Mattina o alle spalle di papa Ratznger durante l´omelia; le incursioni mediatiche del premier hanno ormai la cadenza ossessiva ma imprevedibile di un Gabriele Paolini, il sedicente «profeta del condom».
Non perdiamo tempo a riferire i discorsi, gli attacchi, le battute più o meno volontarie. Il repertorio dell´ultimo Berlusconi ha la freschezza di un fossile del Cretaceo. Più di che cosa dice, preoccupa «quanto» lo dice.
L´Italia sta sperimentando la campagna elettorale più scorretta della storia recente delle democrazie. Berlusconi aveva minacciato «andrò in tutte le trasmissioni» ed è il genere di promessa, forse l´unica, che è capace di mantenere. È dappertutto, a ogni ora, ogni giorno, ben deciso a usare il suo personale potere televisivo, che consiste anche nella facoltà di scegliersi i giornalisti, si fa per dire, gli ospiti e gli avversari di turno. È vero che con Diego Della Valle gli è andata molto male. Ma si è trattato di un imprevisto, nessuno poteva aspettarsi tanta sincerità da un vecchio amico, né Berlusconi né il povero Vespa, che certo troverà il modo di sdebitarsi con gli interessi. Anzi, ha già cominciato.



Giallo sul video di Quattrocchi
La Boniver: "Ne ho visto un altro"
Il sottosegretario dopo la trasmissione del filmato dell'esecuzione dell'ostaggio italiano in Iraq: "Quello del 2004 era diverso"
Carlo Bonini su
la Repubblica

ROMA - Non c'è pace sugli ultimi istanti di vita di Fabrizio Quattrocchi. Per più di un anno e mezzo, la segretezza delle immagini girate da uno dei boia della body guard ha protetto e fatto fiorire nel nostro Paese il falso che accreditava la presenza tra gli assassini di "un italiano" che non c'era. Ora, il sottosegretario agli Esteri Margherita Boniver affaccia con formula dubitativa l'ipotesi che le immagini trasmesse lunedì sera nel nostro Paese siano diverse da quelle che lei stessa ebbe modo di vedere in "forma privata" su un monitor nell'ufficio del direttore della televisione araba Al Jazeera nel maggio del 2004, durante una visita in Qatar.

Dice la Boniver: "Nella sequenza che vidi si sentiva solo la voce del povero Quattrocchi e non c'era nessuna voce in arabo. Ho una buona memoria fotografica. Ho visto il filmato due volte e non mi ricordo la presenza delle ombre. La sostanza è indubbiamente la stessa, ma non mi spiego il perché di questa differenza".

Ce n'è abbastanza per eccitare gli animi. Ma non per trovare una sola conferma all'ipotesi che esistano più video dell'esecuzione di Fabrizio Quattrocchi.



Allevamenti come polveriere
viaggio nella trincea padana
Qui tra capannoni e paludi nel 1878 è stata scoperta l'aviaria ma con l'era dei recinti lager il pericolo ha cambiato scala. Il veterinario: dall'autunno la gente non mangia il pollo prima ancora che arrivasse la malattia, è assurdo.
Paolo Rumiz su
la Repubblica

SEMBRANO generali attorno alla mappa dello sbarco in Normandia. Dicono: bloccare qui, circoscrivere là, congelare la movimentazione a Sud, costruire un cordone sanitario a Nordovest. All'unità di progetto per la sanità animale del Veneto i tecnici perfezionano la "Quick Response", la concertazione operativa veloce per un possibile sbarco di virus aviari H5N1 dopo l'allarme in Turchia. Sulla carta della pianura gli allevamenti si addensano a isole, e tra un'isola e l'altra c'è una fascia di rispetto simile alle piste antincendio delle foreste. Se s'infiamma un'isola, sai che brucerà tutta, ma anche che il fuoco non passerà oltre.

La Padania erge le sue difese nel cuore dell'inverno; trasuda tanfo di mangimi, ammoniaca, maiali. Una macchina agroalimentare impressionante, ad alti standard europei di qualità e biosicurezza, ma anche a livelli di addensamento cinesi. La gente è preoccupata, c'è un'economia intera che può andare in tilt.

"Se tornano a crollare le vendite - ti dicono - pagherà la parte debole della popolazione, che smetterà di comprare le uniche proteine a portata di portafoglio". E le multinazionali potranno portarsi via i capannoni a prezzo stracciato.

È in Padania che nel 1878 è stata scoperta l'influenza aviaria. Da allora l'hanno chiamata, in tutto il mondo, Peste Lombarda. Da sempre il pollame crepa nelle aie padane per via dei migratori in transito. Ma da quando negli anni Settanta è arrivata l'era degli allevamenti-lager, il pericolo ha cambiato scala. Vedi Isorella, in provincia di Brescia. Ha una densità tale di galline che negli ultimi anni i virus hanno fatto "bang" per due volte esattamente lì, e ora si fa di tutto per non riprodurre quel modello. Polveriere animali sotto bombardamento aereo.

Qualche anno fa, dopo la prima epidemia, Giovanni Vincenzi - capo dell'unità di progetto per la sanità animale in Veneto - ha deciso di delocalizzare gli allevamenti per mettere in sicurezza il territorio. Ci ha messo del tempo. Aveva tutti contro: le clientele dei politici, la lobby della Coldiretti, l'ignoranza del mondo contadino. Alla fine, per lo stress, s'è dovuto rifare le coronarie. Oggi tutti lo benedicono, l'Unione europea lo copia, la Regione Veneto lo esibisce come l'uomo della provvidenza. Ma c'è una cosa contro la quale né lui né i suoi uomini possono far nulla. Il panico. Montato dalle dicerie, amplificato dalle tv, cavalcato dalle multinazionali produttrici di vaccino.

Padova

Treviso

Rovigo


Vicenza

Monti Berici

Verona



Mac passa a Intel: il nuovo corso della Apple
sommari de
l'Unità

Alla fine, l'ha fatto: il Macintosh è passato ai processori Intel. Con sei mesi di anticipo sulla scadenza prevista, l'amministratore delegato della Apple, Steve Jobs, ha presentato martedì a San Francisco i nuovi computer dotati di processori Intel al posto dei PowerPc di Motorola e Ibm. Una mossa quasi obbligata, poiché i vecchi processori non erano più in grado di competere sul mercato. «Per anni Intel è stato prigioniero dentro un Pc, adesso è libero dentro un Mac di fare cose splendide» recita lo spot prodotto per l'occasione.


  11 gennaio 2006