prima pagina pagina precedente



sulla stampa
a cura di P.C. - 16 febbraio 2005


Un appello di Giuliana dalla prigione
"Ritirate le truppe"
su
l'Unità

Piange un po', porta le mani giunte alla bocca. "Questo popolo non vuole occupanti, questo popolo non deve più soffrire così, migliaia di persone sono in prigione, la gente muore ovunque...Pierre aiutami fai vedere i bambini colpiti con le cluster bomb (le micidiali bombe a grappolo ndr)...non devono più venire occidentali, anche gli italiani qui sono visti solo come invasori". Sono questi i passaggi nodali di ciò che dice Giuliana Sgrena nel video che i suoi sequestratori hanno diffuso tramite l'Associated Press Television e che è stato trasmesso attorno a mezzogiorno. Il messaggio è accorato e chiaro. "Aiutatemi a chiedere il ritiro delle truppe" dall'Iraq, chiede a più riprese, mentre si avverte una voce di fondo forse femminile. È sola nel video. Sembra provata "smagrita ma lucida", è il commento del suo compagno Pierre Scolari. Indossa una casacca verde e parla con le mani giunte. Sullo sfondo si vede un lenzuolo bianco e una scritta rossa in arabo, "Mujaheddin senza confini", una sigla finora sconosciuta.
"Chiedo al governo italiano, al popolo italiano contrario all'occupazione, chiedo a mio marito, vi prego, aiutatemi - dice la Sgrena, parlando ora in italiano ora in francese - Dovete fare tutto quello che potete per mettere fine all'occupazione. Conto su di voi, potete aiutarmi". "Ritiratevi dall'Iraq, perché nessuno deve più venire in Iraq... per favore, fate qualcosa per me", ha detto Sgrena nel video, piangendo. "Pierre, aiutami tu, sei stato con me in tutte le battaglie, ti prego aiutami... aiutami a salvarmi... Chiedo alla mia famiglia di aiutarmi... Questo popolo non deve più soffrire... Questo popolo non vuole occupazione, non vuole truppe, non vuole stranieri".
Ansia e tanta commozione a casa di Giuliana Sgrena. Nella villetta di Masera, in Val d'Ossola, dove la famiglia della giornalista risiede, ci sono il papà, la mamma, il fratello Ivan e la cognata: tutti insieme stanno guardando il video consegnato dai rapitori ritrasmesso prima di pranzo dal Tg 3 in cui la giornalista appare in lacrime, e sono comprensibilmente molto colpiti dalle immagini che scorrono, tanto che nessuno ha voglia di commentare. "È viva e questa è una buona notizia - commenta a caldo il fratello Ivan ripreso in diretta o quasi dalle telecamere del Tg 3 - ma questo video era proprio quello che non ci aspettavamo, che speravamo non arrivasse mai perchè non credo che ritireranno le truppe e noi abbiamo le mani legate". "Bisogna capire chi sono questi rapitori - aggiunge - ora chiameremo la Farnesina per sapere se hanno qualche particolare in più...".
Il compagno di Giuliana, Pierre Scolari si rivolge direttamente al governo, alle forze politiche e al Parlamento, impegnato in queste ore proprio a decidere il rifinanziamento della missione militare in Iraq. "Chiedo di ritirare le truppe ma non per Giuliana - dice orgoglioso - lo chiedo per il popolo iracheno. Kofi Annan lo ha detto chiaramente - aggiunge - in questa situazione l'Onu non può andare (cioè sostituirsi alle truppe della coalizione ad esempio con caschi blundr) bisogna prima cambiare le condizioni...".
"Giuliana è viva e mi sembra anche che stia abbastanza bene - continua Scolari -, per come si può stare in quelle condizioni. Non era legata, non aveva personaggi armati intorno. Quindi diciamo che questa è la buona notizia".
Sabato a Roma è organizzata una manifestazione nazionale per chiedere la liberazione di Giuliana Sgrena, della collega di LibérationFlorence Aubenas e dell'operatore Hussein Hanoun Al Saadi. Partirà alle 14 da piazza Esedra e si concluderà al Colosseo.


Attentato in Libano, Bush accusa la Siria
Ennio Caretto sul
Corriere della Sera

WASHINGTON — L'omicidio dell'ex premier libanese Hariri ha aperto una grave crisi tra gli Stati Uniti e la Siria. Dando implicitamente a Damasco la responsabilità dell'assassinio, l'amministrazione Bush ha richiamato Margaret Scobey, il suo ambasciatore, " per consultazioni urgenti " . E dopo avere seccamente invitato i siriani a ritirare le loro truppe dal Libano ha minacciato nuove e imprecisate misure in aggiunta alle sanzioni dello scorso maggio. Con la Francia, gli Usa si sono inoltre rivolti al Consiglio di sicurezza dell'Onu che ha approvato all'unanimità una " dura condanna dell'atto terroristico " , ha richiesto a Beirut di " consegnare alla giustizia i colpevoli " e ha incaricato il segretario Kofi Annan di svolgere un'inchiesta internazionale e preparare un rapporto. A Bruxelles, il commissario agli Esteri Javier Solana ha auspicato che vengano accertate le responsabilità dell' attentato: " Ma per ora non vedo la ragione — ha detto — per cui i rapporti dell'Ue con la Siria debbano cambiare " .
La prima ad accusare velatamente la Siria della strage è stata la Casa Bianca. Il suo portavoce Scott McClellan ha ammesso che non esistono prove a carico di Damasco, ma ha sostenuto che " l'attentato sottolinea l'importanza che il Libano possa determinare liberamente il proprio futuro " , e ha rinfacciato alla Siria di averne leso la sovranità con la pre senza delle truppe, " un elemento destabilizzante " . Il portavoce ha ricordato che la mozione 1559 del Consiglio di sicurezza dell'Onu, promossa dagli Usa e dalla Francia, le impone di ritirarle al più presto. Se non lo facesse, ha concluso, gli Stati Uniti dovrebbero prendere altre misure.
Subito dopo il segretario di Stato Condoleezza Rice ha richiamato Margaret Scobey, che aveva già consegnato al governo iracheno una violenta nota di protesta esprimendo " la profonda preoccupazione e indignazione dell'America " .
Il portavoce della Rice, Richard Boucher, ha sollevato a sua volta la questione delle truppe siriane in Libano, " là rimaste in violazione dei dettami dell'Onu " . Ma è andato oltre, denunciando " la presenza e l'attività di forti gruppi terroristici ed esponenti del regime iraniano in Siria, del loro passaggio sul territorio siriano, e dell'uso dello stesso da parte degli insorti iracheni " . E all' Onu a New York, un anonimo funzionario americano ha rimproverato a Damasco " di avere permesso una nuova destabilizzazione del Libano o per negligenza o per disegno " .
Al di là dell'assassinio di Hariri, sono così emersi gli altri motivi dello scontro tra gli Usa e la Siria: dall' inizio della guerra dell'Iraq, la Superpotenza accusa Damasco di non fare a sufficienza contro l'insurrezione e il terrorismo.
Il dibattito al Consiglio di sicurezza è stato preceduto dalla rivelazione che l'emissario dell' Onu in Medio oriente, Terje Roed Larsen, aveva preavvertito Kofi Annan di uno o più imminenti attentati, sembra però senza precisare dove né contro chi. Il segretario dell'Onu ha quindi denunciato " il brutale omicidio " di Hariri, impegnandosi a farvi luce e ad accertare " come influisca sugli scenari nell' area " . Per l'America, è forse un terzo fronte che si apre nella regione più calda del mondo, dopo Iraq e Iran.


Prodi attacca il Cavaliere
"Ormai c´è la corsa al ritiro"
Marco Marozzi su
la Repubblica

PARIGI - Cominciano a parlare insieme, Silvio Berlusconi e Romano Prodi. Distanti mille chilometri, in assoluta incomunicabilità. Il leader dell´Ulivo nemmeno sa che il suo avversario sta prendendo la parola al Senato. "Lo apprendo ora" dice a chi lo informa mentre in un albergo parigino, in contemporanea, sta partendo con una conferenza stampa. Il presidente del Consiglio, gli dicono, esalta l´orgoglio per la partecipazione italiana in Iraq. Lui quasi interrompe: "Difficile sostenere questo quando c´è una corsa al ritiro in altri paesi, come abbiamo visto in questi giorni. Ed è scoppiato il dibattito sul ritiro anche negli Stati Uniti".
Fine. Prodi non vuol sapere altro, non dichiara altro. Per tutta la giornata, scansa ogni sollecitazione. Nel disinteresse esibito c´è il senso di quel che il Professore ritiene abbia fatto il governo italiano: "nulla, nulla di nuovo". Quindi, "nessun motivo perché il centrosinistra cambi posizione". Inutile perdere tempo. Meglio, molto meglio vedere quel che è accaduto fra le mura di casa, analizzare. Magari regolare i conti. E qui la giornata è segnata dalla votazione sull´Iraq nella Federazione ulivista. Prodi all´inizio ha avuto uno scatto.
Preoccupazione, anche rabbia, appena la notizia è piombata sul suo tour politico parigino, fra una colazione con l´alleato europeo Francois Bayrou e una cena con premiazione alla Camera di Commercio. A far da mina, all´ora di pranzo, l´atteggiamento di Francesco Rutelli. Poi, fra telefonate a Roma, decantare di sentimenti, montare di ragionamenti politici, la scelta: salutare con enfasi quel che era accaduto, ridurre a quasi irrilevanza la dissidenza.
Ed eccolo, il Prodi rappacificato benedire il voto come "l´inizio della vita dell´Ulivo", che da progetto politico - gli suggerisce il suo consigliere-portavoce, Ricardo Franco Levi - "è diventato soggetto politico". Fra le pieghe degli inni alla "democrazia", arriva anche la frecciata a Rutelli & C. Alla minoranza che sosteneva l´astensione sulla missione italiana"Non è una corrente, ma un ramo dell´Ulivo". Pausa. "Anzi un rametto".
"Se i voti contrari - insiste - fossero stati meno di così, sarebbe stato un voto bulgaro. Come si diceva in altri tempi". E il dissenso viene ancora più minimizzato nelle dichiarazioni serali al Tg-Rai. "Sono proprio contento. - commenta a fine giornata, andandosene a letto -. La Federazione ha cominciato il suo esercizio. Ha superato la prova più dura. Sono certo che andremo avanti".
Con Rutelli l´atteggiamento è volutamente sornione. Sorpreso del suo voto? "Un po´", risponde. Per poi in realtà via via spiegare, sempre con un gran sorriso, che il pronunciamento del leader della Margherita, come quello di Franco Marini, "non è giunto inatteso". "E´ un´evoluzione naturale delle loro posizioni. Ci siamo sentiti fino a ieri sera". Tirar delle somme finali: "Quindi nessuna sorpresa".
Inno alla "grande maggioranza" e insieme alla "traversalità del dissenso. "Venti della Margherita e 12 dei Ds. E´ il primo vero test della Federazione. Ora si va tutti compatti al voto finale". Molta più democrazia che nel Polo, gli suggeriscono. "Ci vuol poco, non è mica un grande sforzo. - dice in bolognese, reggiano, italiano - E´ importante che ci sia una dialettica. Oggi è stata messa a dura prova da un tema delicato come l´Iraq. Su argomenti meno difficili sarà più facile". "Molto meglio sbagliare in democrazia che nella segretezza o nell´autoritarismo. - insiste nei paragoni - Chi vuole speculare su singole dichiarazioni o fatti folcloristici lo può fare, ma anche questa è democrazia".
La bonomia prodiana ha sempre più gli artigli. "Aspetto dal governo un fatto nuovo". I tagli alle tasse di Berlusconi? "Mi auguro solo che la seconda tranche non sia come la prima". Piuttosto è "impressionante" che il capo del governo abbia proposto riduzioni per "24 mila miliardi di lire". "Ragiona ancora in lire, neanche accetta che in Italia ci sia l´euro". L´Italia e l´Europa è il leit motiv. "Con la politica attuale siamo il 25. mo Paese sui 25 dell´Unione".



Falsa partenza
Paolo Franchi sul
Corriere della Sera

Infuocata, caotica, tumultuosa. Si sprecano gli aggettivi, per descrivere l'assemblea dei parlamentari della Federazione dei riformisti che si è conclusa confermando a maggioranza ( larga) il no al rifinanziamento della missione militare italiana in Iraq. Volendo, certo, si potrebbe parlare anche di un ipotetico bicchiere mezzo pieno. In fondo, si dice, per la prima volta la cosiddetta Fed, dopo le " cessioni di sovranità " in suo favore decretate da Ds, Margherita, Sdi e repubblicani europei sulla politica estera e le questioni istituzionali, era chiamata a pronunciarsi, e sulla più scottante delle questioni. E lo ha fatto discutendo animatamente e alla fine votando in libertà, ma senza che queste divisioni siano destinate a riprodursi in aula.
Forse in questi ultimi anni in Italia ce ne siamo dimenticati un po' tutti, ma così funzionano gli organismi democratici, in specie se plurali. Qualcuno, saputo che un paio di cronisti birichini, profittando della confusione, aveva partecipato per celia al voto finale, ha formulato persino un pensierino a mezza strada tra passato e presente. Così capitava, un tempo, anche in certi Consigli nazionali della Dc: e del fatto che la Dc fosse, con tutti i suoi difetti, un grande partito democratico, così democratico da tollerare senza fatica anche una certa dose di democraticissimo disordine, sono ormai in pochi a dubitare.

Il guaio è che tanta prudenza tattica frutti non ne ha dati, anzi: l'Unione resta unita, ma si sono divisi i riformisti. Romano Prodi assicura di non aver avuto alcun particolare sentore, nelle riunioni dei giorni scorsi, di un dissenso radicale di Francesco Rutelli. E si mostra sorpreso che questo dissenso il coordinatore della Margherita lo abbia manifestato solo nell'assemblea di ieri, proponendosi senza troppi infingimenti come punto di riferimento di quanti, nel suo partito come sotto la Quercia, un'astensione, se non proprio un voto favorevole al governo, la considerano ormai un atto più che dovuto. Vada per le assicurazioni e per la sorpresa; e ammettiamo pure che quelli che hanno seguito Rutelli e Franco Marini siano solo " un rametto " dell'Ulivo, secondo l'ironico commento del Candidato. È davvero difficile, però, pensare che in tutto il centrosinistra siano solo quei 32 parlamentari a chiedersi se sia stato saggio, per i riformisti, rinunciare ad esprimere il loro autonomo punto di vista; e lasciare campo aperto a chi sostiene che, dopo tante cessioni di sovranità in proprio favore, la Fed agisce come se fosse in stato di sovranità limitata nei confronti di Fausto Bertinotti. Non sarà una tragedia. Ma una partenza peggio che mediocre, sì.


Una doppia occasione mancata
Lucia Annunziata su
La Stampa

Il voto di oggi al Senato sul rifinanziamento della missione italiana è certamente un'occasione mancata. Ma solo per la sinistra? O anche per il governo?
Vorrei intanto sgombrare il campo delle opinioni, dal momento che in materie così delicate è bene essere chiari: personalmente, come ho scritto su questo giornale, sono tra coloro che credono che il centrosinistra avrebbe dovuto stavolta andare persino oltre l'astensione e votare il rifinanziamento. Tuttavia, le critiche che si possono fare alla opposizione in queste ore, non oscurano i tatticismi e le contraddizioni dello stesso governo.

Quel governo che ha chiesto con calore e urgenza al centrosinistra di ripensare alla sua posizione: ma cosa ha davvero fatto per ottenerne il consenso?
E' evidente infatti che al centro di questo dibattito è la assunzione che le elezioni in Iraq abbiano cambiato la situazione in quel Paese, e dunque la missione stessa dei soldati italiani. Alla sinistra viene di conseguenza chiesto oggi di adeguare il proprio punto di vista: ma questo vale egualmente per il governo.

Il passaggio da una presenza militare mirata a gestire la sicurezza, a una presenza militare finalizzata a rafforzare un processo istituzionale appena avviato, è un cambiamento anche per chi le truppe le ha volute; implica infatti una ridefinizione dell'impiego sul terreno dei soldati, ma anche delle strategie diplomatiche dentro e intorno all'Iraq. Se è vero che il centrosinistra deve oggi tener conto di questo, a maggior ragione dovrebbe tenerne conto il governo. In altre parole, allargare le basi del consenso della nostra politica estera non è una graziosa concessione all'opposizione: è una necessità per i nostri governanti innanzitutto.

Ne hanno bisogno perché se la situazione in Iraq migliora o precipita, in entrambi i casi la missione potrebbe allungarsi. Ne hanno bisogno perché non possono riallinearsi con una Europa che comincia a rivedere la propria posizione, senza includere le forze che in Italia hanno rappresentato l'opposizione europea alla guerra.
Ne hanno infine bisogno perché non possono sembrare disallineati rispetto agli stessi Stati Uniti.

E' stata proprio Washington infatti ad affrontare per prima il riallargamento delle proprie alleanze, aprendo la strada alla riconciliazione con gli europei, immediatamente dopo (e grazie a) il voto in Iraq. A pochi sfugge oggi così l'ironia di una situazione in cui la Rice va nella gabbia dei leoni di "sciences po" di Parigi e il premier Berlusconi si limita ad esortare l'opposizione dai banchi del governo. E la differenza non è solo questione di stile.

Le aperture del ministro degli Esteri, gli inviti del vicepremier Follini sono stati episodi illuminati e simpatici, ma ai fini istituzionali hanno rappresentato solo delle dichiarazioni a mezzo stampa. La costruzione di un voto bipartisan su temi così laceranti richiede invece passaggi seri, l'apertura di una trattativa con la finalizzazione di arrivare a una piattaforma comune. In assenza di un percorso del genere, l'invito a votare non è stato nulla di serio: è stato solo un altro episodio di guerra mediatica preelettorale. Ma forse era tutto quello a cui doveva servire.


Iraq, sofferto no dell'Ulivo
Concita De Gregorio su
la Repubblica

Tentazioni. Ma perché dobbiamo dire no alla missione in Iraq? chiede Rutelli all´assemblea del centrosinistra. Ecco, ma perché non trovate il coraggio di votare con noi? domanda Berlusconi a Rutelli nell´aula del Senato. A Rutelli e Marini, per la precisione, perché è stata - ieri - la giornata del gran rifiuto di Marini a Prodi. Prove di aggiustamento al centro.
È il primo giorno in cui il presidente del Consiglio evita di rivolgersi all´opposizione chiamandola comunista con spregio. Berlusconi, insolitamente moderato, fa appello ai riformisti. I riformisti, insolitamente scapigliati, agitano la sinistra in un´assemblea da collettivo studentesco.
Una fantastica assemblea, con ex capi di governo ex ministri ex segretari di partito affastellati in una saletta minuscola, seduti composti a prender nota del caos, ad alzare la mano. Il momento più bello è stato quando Francesco Rutelli li ha chiamati "ragazzi". Non hanno battuto ciglio signori in età come Lamberto Dini e Antonio Maccanico, Nicola Mancino e Ciriaco De Mita: ragazzi. Ormai alle riunioni del centrosinistra "compagni" lo dice solo Prodi, e qui stamattina sarebbe stato inopportuno.
"Colleghi" troppo formale. "Amici" impreciso. "Allora ragazzi, che cosa stiamo votando? E soprattutto, non abbiamo già votato?", chiede Rutelli. Ragazzi, ecco. Poi ci sarebbe il merito della domanda: abbiamo già votato o no, e se sì: cosa? "L´ultima volta che ho visto una cosa del genere è stato ai collettivi nel ?68", dice appoggiato allo stipite di una porta Guido Calvi, ds. Sulla porta perché dentro non c´è posto. Senatori e deputati seduti per terra sui gradini, appoggiati sui braccioli delle poltrone, addossati alle spalle del vicino. Gruppi di Camera e Senato della Federazione qui riuniti per decidere come votare sul rifinanziamento alla missione in Iraq. In verità sembrava si fosse già deciso, alla riunione della settimana scorsa con Prodi: di votare no, era parso di capire, ma siamo in democrazia e si ridecide.

Si vota, dunque. L´ordine del giorno di Morando sparisce. Rutelli chiede di votare sul mandato ai capigruppo. Protesta Crucianelli, correntone ds: "Così si fa solo confusione". Applausi. Media Fassino: mandato ai capigruppo a valutare, in aula, la necessità di un ordine del giorno, sentito quel che dirà il governo: "Perchè il governo parlerà, no?". Ok allora, alla conta. Alza la mano anche qualche giornalista. Marini vota no al documento della maggioranza. Rutelli li vota tutti i due: quello per il no e quello per l´astensione. Poi si vota (forse si rivota) la proposta di Boselli. Rutelli: "Ma questo non l´avevamo già votato?". Bocciata, comunque. I meno allenati faticano parecchio. Dini: "Non credo proprio che ci sia chi ci ha capito qualcosa...". Castagnetti, uscendo: "Non so davvero che cosa abbiamo deciso". Un grande risultato politico, è comunque contento Prodi da Parigi: "I contrari non sono una corrente, ma un rametto dell´Ulivo". E poi: "Se i dissensi fossero stati meno di così avreste detto che era un voto bulgaro".


La crescita italiana si ferma all' 1,1%
Mario Sensini sul
Corriere della Sera

ROMA — Le cinque giornate della speranza. Il rispetto del Trattato di Maastricht per il 2004 è appeso lì, a quei cinque giorni lavorati in più l'anno scorso rispetto al 2003.
Senza conteggiarli, come dicono i dati Istat diffusi ieri, il prodotto interno lordo del 2004 è cresciuto solo dell' 1,1%, troppo poco per evitare al rapporto deficit/ Pil tarato dal governo sul 2,9% di sfondare il fatidico 3%. Per fortuna, però, per Maastricht vale il dato grezzo, non destagionalizzato. Quindi quei cinque giorni in più vanno contati, e sembra che valgano davvero molto. Tanto che alla fine, il ministro dell'Economia e il presidente dell'Istat ne sono convinti, il dato effettivo della crescita del pil 2004 dovrebbe essere l' 1,4%. Sufficiente per stare lontano dalle procedure d'infrazione.
Al di là degli effetti contabili, che saranno chiari solo il primo marzo con la diffusione dei dati definitivi Istat, resta il fatto che l'economia italiana cresce poco, troppo poco. Meno della media europea, anche se la Germania non sta meglio di noi. E lo confermano i dati della produzione industriale del 2004 diffusi sempre ieri dall'Istat: meno 0,4% annuo destagionalizzato, più 0,7% considerando i soliti cinque giorni in più, che ne fanno il miglior dato dal 2000 a questa parte. Solo che qui non ci sono parametri numerici da rispettare, e quello che conta resta la tendenza di fondo.
Che rimane brutta, con settori che una volta erano di punta, come l'auto, in crisi nera: meno 16,2% la produzione del 2004, con una punta del meno 22% a dicembre. Quanto al Pil, mentre l'industria arretra e i servizi galleggiano, l'unico settore in crescita è ancora una volta quello agricolo. Senza contare che i tagli alla spesa pubblica del 2004 avranno, comunque, un effetto depressivo sulla crescita.
Anche per questo, il ministro dell'Economia, ieri, non ha nascosto la sua delusione. " Il dato sul Pil, che è stato trainato dal cattivo andamento della produzione industriale, mi ha sorpreso negativamente. Sicuramente, non è una buona notizia " ha ammesso Siniscalco, traendone lo spunto per un nuovo appello: " Significa che tutte le parti dell'economia di questo Paese, a cominciare dal governo, devono fare quanto possono e concentrarsi quanto più possibile sul tema della crescita " .



Il centrosinistra boccia Formigoni
Andrea Montanari su
la Repubblica

L´autodifesa di Roberto Formigoni, che ieri in consiglio regionale ha respinto il suo presunto coinvolgimento nell´inchiesta Oil for food, per l´assegnazione a suo nome di 24 milioni di petrolio iracheno e rivendicato "l´assoluta trasparenza" del metodo scelto dalla Regione per segnalare le aziende lombarde all´Iraq all´epoca di Saddam Hussein, non ha convinto l´opposizione di centrosinistra. A cominciare dal candidato dell´Unione per le Regionali Riccardo Sarfatti, che non ha voluto mancare al confronto che solo ieri il governatore della Lombardia ha accettato in aula, dopo un anno di pressanti richieste dell´opposizione. Seduto nei banchi degli ospiti, ha seguito in rigoroso silenzio buona parte dell´arringa difensiva del presidente della Regione e anche la replica finale. Ha preso appunti, ma alla fine è sbottato: "In questi dieci anni di governo è chiaro che si è fatto un forte clientelismo. Ora è necessario cambiare. Innanzitutto scoprendo la verità". Certo Sarfatti preferisce rinviare ogni giudizio alle conclusioni del lavoro della magistratura, ma non risparmia critiche al suo avversario. "Il suo non rispondere alle interpellanze dà un´aria torbida a tutta la vicenda. Vorrei sapere quali risultati hanno portato veramente alle nostre aziende le relazioni internazionali della Lombardia. Quello che ci ha detto Formigoni ci ha solo insospettito. Ha parlato di complotti, prima della Cia, poi di Montezemolo. Ora sostiene che è tutto trasparente". Schierato con il governatore, invece, tutto il centrodestra, Lega compresa. Anche alla fine Formigoni è stato applaudito solo dai consiglieri del suo partito, Forza Italia. Non dagli uomini di An, della Lega o dell´Udc. E anche il capogruppo dei Radicali Alessandro Litta Modigliani non gli ha risparmiato critiche: "Formigoni ha commesso un grave errore, quando ha incontrato il numero due del regime iracheno Tarek Aziz alla vigilia della guerra. Anche se solo noi lo abbiamo detto dall´inizio". Con Formigoni, invece, il capogruppo di Forza Italia Giulio Boscagli: "In un paese normale non si dedicherebbero intere pagine di giornali a Oil for food e poche righe ai fatti che coinvolgono l´Impregilo o la Conad". La Lega con Davide Boni ha comunque offerto al governatore la sua solidarietà. Parole alle quali ha replicato con una battuta il segretario regionale della Margherita Battista Bonfanti: "Questo non è un paese normale, perché è il paese dove c´è Berlusconi".
Nel centrosinistra, è stata durissima la reazione del segretario lombardo dei Ds Luciano Pizzetti, intervenuto a nome della lista unitaria. "Sono troppe le ambiguità e le reticenze di Formigoni. Il Consiglio non è un´aula di tribunale, ma è una sede dove è ancora più importante dare risposte". Mirko Lombardi di Rifondazione comunista ha posto l´accento sul "metodo oscuro con cui la Regione ha scelto le aziende per l´operazione Oil for food". Mentre il verde Carlo Monguzzi ha accusato il governatore di non avere risposto. "Perché prima ha detto di non conoscere la Cogep e poi ha scritto a Tarek Aziz sponsorizzandola?" Severo anche Elio Luraghi dello Sdi: "Formigoni in questi anni avrebbe fatto meglio a fare meno propaganda e a produrre più risultati concreti". Mentre Paolo Danuvola della Margherita, pur apprezzando il fatto che il governatore abbia accettato di andare in aula, ha aggiunto: "Purtroppo ha preferito fare solo propaganda e non dare le risposte che attendevano i lombardi". Poi un messaggio che è sembrato rivolto anche ai suoi: "Più che Oil for food preferiremmo Oil is food, perché dall´albero dell´Ulivo si possa ricavare un olio essenziale, un alimento vitale per il nostro Paese".


« Nomadi di Lecco, erano solo minacce »
Il procuratore per i minori ridimensiona l'accusa: tutti i dubbi sul tentativo di sequestro della bambina.Il pm: la madre si era spaventata, cavalcati vecchi pregiudizi
Giuseppe Guastella sul
Corriere della Sera

Nessun tentativo di sequestro, al più una minaccia: la procura per i minorenni di Milano interpreta in modo nuovo il caso delle tre nomadi arrestate a Lecco perché accusate di aver tentato di rapire una bambina di sette mesi strappandola alla mamma. Esaminate le carte e le dichiarazioni della stessa madre della piccola, i pm milanesi ridimensionano le accuse verso la zingara accusata di aver materialmente tentato il sequestro: è una bambina rom di appena 12 anni.
« Il suo comportamento non ha passato neppure il limite delle minacce. E lì è rimasto » , dichiara il procuratore Giovanni Ingrasć. Ma se la giustizia per la zingarella non andrà avanti, perché a 12 anni non è nemmeno imputabile, per lo stesso fatto le sue due « complici » , difese da un avvocato d'ufficio, hanno patteggiato otto mesi e dieci giorni di carcere davanti a un giudice di Lecco con l'accusa di tentata sottrazione di minore non consenziente.
« La madre ha tutto il nostro rispetto perché era spaventata e ha vissuto come un pericolo l'atteggiamento minaccioso delle tre nomadi » , dichiara Ingrascì che critica le reazioni alla sentenza di Lecco e alle scarcerazioni. La Lega aveva chiesto l'intervento del capo dello Stato e il presidente della Camera Casini aveva detto che « episodi come questo generano grande sconcerto nei cittadini » . « Alcuni magistrati stanno perdendo il contatto con la realtà » , era stato il commento del ministro Castelli. « C'è stata una speculazione politica e un'aggressione alla magistratura » , aggiunge Ingrascì che definisce la decisione del giudice di Lecco « una valutazione diversa » .
Secondo il racconto della donna, la mattina del 4 febbraio, mentre spinge il passeggino con la bambina lungo un vialetto a poche decine di metri dalla chiesa di San Nicolò, una nomade ( 32 anni) le si mette alle spalle, fissa la figlia e grida in italiano « prendi bimbo, prendi bimbo » . Le altre due rom ( 22 e 12 anni) le bloccano la strada. La più piccola « protendeva le braccia in avanti per afferrare mia figlia dal passeggino » , ma in una mano « aveva un contenitore per raccogliere i soldi » , racconterà la signora alla polizia.
La mamma p r e n d e i n braccio la figlia, dà un calcio alla nomade di 22 anni e fugge mentre una delle zingare dice: « Prendi vestiti » . Non sparisce nulla, neppure la borsa con dentro del denaro lasciata appesa al passeggino.
Meno di un'ora dopo, su segnalazione di un'altra zingara, le tre rom, vengono arrestate lì vicino. Invece di nascondersi, sono in coda per una minestra alla mensa della Caritas. Tra loro c'è la madre della zingarella. In braccio ha il figlio di 6 mesi. «Il contesto generale è incompatibile con un sequestro. Non c'è nulla di peggio che cavalcare istinti naturali o i pregiudizi nei confronti dei diversi» , commenta il pm.


   16 febbraio 2005