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Varata la Finanziaria per il 2003: 20 miliardi di euro
8 di tagli, 8 di entrate attese dal concordato fiscale e 4 dalle cartolarizzazioni
Sommario sul
Corriere della Sera

ROMA - Approvato dopo una maratona notturna il disegno di legge Finanziaria per il 2003. Il testo della Finanziaria è stato approvato da tutti i ministri.
MANOVRA DA 20 MILIARDI DI EURO - L'entità complessiva della manovra è di 20 miliardi di euro di cui 8 miliardi di tagli agli incrementi di spesa, 8 miliardi attesi dal concordato fiscale e 4 miliardi dalle cartolarizzazioni (vendita di beni del patrimonio dello Stato e degli enti pubblici).
Confermato il previsto taglio delle tasse per i redditi inferiori ai 25.000 euro, mentre non sarebbero previste misure per il riancio dei consumi.
"Tutto secondo quello che si poteva fare e che avevamo annunciato: la Finanziaria non contiene tagli di spesa rispetto allo scorso anno". Lo ha affermato il premier Silvio Berlusconi conversando con i giornalisti mentre lasciava Palazzo Chigi. "Le spese sono almeno quelle dell'anno precedente. Non si può quindi parlare di tagli ma, al limite, di un minore incremento delle spese rispetto al passato", ha aggiunto confermando che la manovra è di 20 miliardi di euro.
AL PREMIER LA PRESIDENZA DEL FONDO DI SVILUPPO - Risolto il problema della presidenza del Comitato di indirizzo per il Fondo Multiplo, presidenza richiesta dal ministro per le Attività produttive Antonio Marzano e che invece andrà direttamente a Berlusconi.
Il premier ha anticipato solo che il nodo è stato sciolto "con una norma che prevede la flessibilità tra i vari fondi e, quindi, la possibilità che un fondo che non vede utilmente spesi i soldi di cui dispone, li trasferisca in altri fondi dove queste risorse possono essere impiegate con buoni risultati".


Finanziaria - Berlusconi: tasse ridotte e nessun taglio di spesa
Sommario de
La Stampa

ROMA. Il Consiglio dei ministri, dopo una maratona durata oltre sei ore (11 se si considerano anche il Cipe e l'appendice post riunione), ha dato il via libera all'unanimità alla Finanziaria per il 2003. Ma non è stata proprio una passeggiata per il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi far quadrare i conti e frenare le richieste dei vari ministri. Grazie ad una paziente opera di mediazione cominciata nella serata di ieri, durante diversi incontri bilaterali con i leader e ministri della maggioranza, il premier ha messo a posto i vari tasselli non senza momenti di tensione come quando, durante il Consiglio dei ministri, iniziato ormai a notte fonda, Letizia Moratti ha criticato le misure contenute nell'articolo 12 della Finanziaria sulla scuola; o ancora quando il ministro delle attività produttive Antonio Marzano ha, secondo quanto riferito da alcuni partecipanti alla riunione, vivacemente protestato, minacciando di abbandonare la seduta, per come si stava gestendo la questione dei fondi per il mezzogiorno: un argomento, ha poi spiegato direttamente il presidente del Consiglio, che è stato risolto con una norma che prevede una sorta flessibilità tra i vari fondi. Ed il passaggio, come hanno riferito alcuni ministri all'uscita di Palazzo Chigi, della presidenza del Comitato ad hoc direttamente al premier.
Ma è sul contenimento delle spese che il presidente ha dovuto lavorare parecchio, riuscendo anche ad accontentare in parte alcune richieste, sempre secondo quanto riferito da alcuni ministri, potendo contare anche su un fondo nella sua piena disponibilità di 300 milioni di euro. "Tutti i ministri cercavano, ovviamente, di portare avanti le necessità dei propri ministeri - ha spiegato Berlusconi parlando con i giornalisti stamane - per poter realizzare i loro programmi. Ed è chiaro il tentativo da parte di ciascuno di avere quanto più possibile di fondi". Comunque sia, tutto è stato sistemato, secondo il presidente, nel migliore dei modi, senza effettuare dei tagli di spesa, ma solo delle riduzioni dei suoi incrementi rispetto allo scorso anno, e garantendo l'allentamento della pressione fiscale per le fasce di reddito più deboli. Così si è dunque concluso il Consiglio dei ministri, praticamente all'alba, mentre il premier, il suo vice Gianfranco Fini, i ministri Giulio Tremonti e Rocco Buttiglione, il viceministro per l'economia Baldassarri ed il sottosegretario Vegas rimanevano nel Palazzo per un'altra ora abbondante.


"Non c'è rigore né sviluppo, la Finanziaria affossa il paese"
Massimo Giannini su
la Repubblica

Tutti dicono: "Sta lì, ma il capo vero continua ad essere Cofferati". Lui ci ride sopra, ripensando a tutti questi anni passati insieme "al compagno Sergio". Alle battaglie vinte e a quelle perse. Ma alla fine Guglielmo Epifani, in questa sua prima intervista da leader, non dà l'impressione di uno che si è fatto eleggere segreterio generale della Cgil per prendere ordini. Rispetto al Cinese, il Filosofo mostra qualche differenza. La sostanza è altrettanto ferma. I toni, forse, più pacati.
Epifani, la sua sarà una Cgil diversa?
"La mia Cgil sarà una grande forza serena. Una forza aperta e costruttiva, in cui la radicalità dei principi servirà a preservare e a rafforzare la nostra vocazione riformista. La mia Cgil, come è stata quella di Sergio e di tutti i leader che ci hanno preceduto, continuerà ad essere una grande forza capace di esprimere un riformismo serio, rigoroso e riconoscibile".
Intanto però il suo primo atto formale da segretario generale è stato quello di confermare lo sciopero generale del 18 ottobre. Una scelta forse non proprio "riformista", nel senso più ortodosso del termine.
"Si sbaglia. Il nostro non vuole essere uno sciopero conflittuale, settario, estremista. Ma avrà un profilo riformatore molto marcato. Voglio che sia chiaro che il nostro non è uno solo sciopero contro l'attacco all'articolo 18, ma è 'uno sciopero per l'Italia'. Il nostro è uno sciopero che esprime un netto dissenso rispetto al disegno corporativo e populista di questo governo, ma vuole lanciare anche un segnale di grande fiducia verso il Paese. E' uno sciopero al quale corrisponde la nostra idea generale della società italiana. Siamo in campo con le nostre proposte, per una crescita economica improntata alla qualità ".
Intanto il governo Berlusconi vara una Legge Finanziaria senza lacrime e sangue per i lavoratori.
"Questa Finanziaria non va. E' approssimativa, e costruita in uno stato d'emergenza che nasce dal fatto che per troppo tempo il governo non ha voluto guardare in faccia la realtà, come dimostrano il tracollo delle entrate tributarie e l'ulteriore flessione della crescita. Questa Finanziaria non dà risultati, non sostiene la domanda. Non ce n'è traccia di politiche per lo sviluppo. Il Patto per l'Italia, modesto com'è, poteva avere un minimo di significato in una fase di espansione. Oggi siamo in una fase opposta del ciclo. Questa Finanziaria, quindi, avrebbe dovuto predisporre misure efficaci nel breve termine: investimenti in formazione, salute e sanità, misure di sgravio sul modello di quelle per le ristrutturazioni edilizie, trasferite alla tutela ambientale e alla bonifica del territorio. Invece non c'è nulla di tutto questo. Come non c'è nulla per il Sud: al contrario si smantellano i pochi strumenti che hanno funzionato, il credito d'imposta, i patti territoriali, i contratti d'area, la legge 488. L'idea stessa del Fondo unico è un clamoroso ritorno al passato".
Almeno è rigorosa, no? Non basta una manovra di 20 miliardi di euro? Voleva più tasse, il solito "vizietto" di certa sinistra rigorosa e quasi penitenziale?
"No, purtroppo non è neanche rigorosa. Questa formula magica dell'8-4-8, cioè 8 miliardi di tagli alla spesa, 4 miliardi di cartolarizzazioni e 8 miliardi di concordato fiscale, davvero non mi pare credibile. Qui si nota proprio una classica invenzione tremontiana. Queste cifre sul condono non stanno né in cielo né in terra: qui non c'è solo un problema morale, cioè l'ennesimo premio agli evasori, ma c'è anche un problema di gettito, che mi pare assolutamente aleatorio. Ma il problema vero è un altro: oltre a essere inefficace, questa Finanziaria produce danni, perché rompe la coesione sociale. Contiene due tratti tipici di questa maggioranza. Primo: un ritorno alla centralizzazione delle scelte da parte di un governo che aveva promesso la più spinta delle riforme, la devolution, e che invece ora penalizza duramente l'autonomia degli enti locali, prefigurando un assetto che ci riporta a prima delle leggi di Bassanini. Secondo: manca una visione d'insieme, e quindi la Finanziaria opera per divisioni successive. Sulle pensioni al minimo, sui contratti. Persino sul fisco: nella prima fase il governo ha premiato le grandi ricchezze, eliminando le imposte di successione e con uno scudo fiscale quasi gratuito. Oggi prova a recuperare in basso, favorendo le categorie di reddito fino a 50 milioni. Ma così, di nuovo, taglia fuori dai benefici tutto il ceto medio. Insomma, c'è in questa Finanziaria una evidente tendenza alla corporativizzazione delle scelte".
Berlusconi dice invece che aiuterà i più poveri.
"Il modo migliore per farlo era quello di controllare l'inflazione, che è la più odiosa delle tasse. E invece su questo versante non ha fatto niente".
Ma almeno non taglia la spesa sociale.
"La mia impressione è che l'appuntamento sia solo rimandato nel tempo. Senza considerare che restano in campo sia la delega previdenziale, sia la sicura prospettiva dei tagli ai servizi sociali da parte delle regioni".



Previti, scoppia il caso Consulta
Redazione de
la Repubblica

Non si sa perché l'onorevole Cesare Previti abbia deciso di buttare lì quei due nomi, mentre i pm del processo Imi-Sir e Lodo Mondadori a Milano lo incalzavano. "Scelsi io Vaccarella e Mezzanotte come avvocati", ha scandito.

Ma Romano Vaccarella e Carlo Mezzanotte sono due dei giudici della Corte costituzionale chiamati a pronunciarsi tra meno di un mese, il 22 di ottobre, sul "legittimo sospetto" invocato proprio da Previti per il processo milanese. Basta una citazione così diretta ed esplicita a far scoppiare il "caso Consulta", con l'Ulivo che parla di "messa in mora" dei due componenti della Corte e la Casa delle Libertà che annuncia barricate e rilancia: "Allora dovrebbero astenersi tutti coloro che sono stati nominati dall'ex capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro". La polemica covava sotto la cenere da quando nell'aprile scorso, dopo un lungo braccio di ferro, il centrodestra bruciò la nomina di Filippo Mancuso, suo candidato alla Corte. E fu subito Mancuso a accusare il "meccanismo perverso" che aveva portato alla scelta dell'"uomo di Previti, il professor Vaccarella", ricostruendo in un memoriale "legami e obbedienze tra l'avvocato Previti e Berlusconi". Sempre Mancuso ieri ammoniva: "Deve essere la Consulta stessa a determinare questi giudici all'astensione, anche se i due potrebbero non ritenerlo necessario. Lo dissi, e la citazione di Previti lo conferma, che la conduzione per mano di Vaccarella alla Corte era un fatto e ha determinato da parte di Berlusconi la necessità di non disobbedire".

Tranciante il giudizio di Anna Finocchiaro, responsabile giustizia dei Ds: "La vanteria dell'onorevole Previti su Vaccarella e Mezzanotte (che peraltro è alla Consulta da 7 anni), non rende un buon servizio a loro stessi né all'istituto della Corte. Del resto, Previti scrive le leggi nel suo studio e la maggioranza serve a mettere il bollo. Tornando al "caso Consulta", non esistendo per il giudice costituzionale l'obbligo dell'astensione, è prassi che senza clamori quel giudice che ritenga di essere troppo prossimo alla questione su cui si decide non si presenti all'udienza. Finora questo sistema ha garantito l'autorevolezza di tutte le decisioni della Corte".



Tettamanzi: Milano torni capitale morale
"Questa città può e deve dare di più, al suo interno e fuori"
Redazione del
Corriere della Sera

MILANO - E' il giorno dell'ingresso solenne in città del cardinale Dionigi Tettamanzi, centoquarantatreesimo arcivescovo di Milano. Partito dal suo paese, Renate Brianza, alle 15.20, come tradizione, ha raggiunto per prima la Basilica di Sant'Eustorgio. Alle 16 ha incontrato le autorità civili in piazza della Scala e da lì è andato a piedi verso il Duomo.
Alle 17 il cardinale Carlo Maria Martini, ora arcivescovo emerito, gli ha consegnato nella cattedrale il pastorale che fu di San Carlo: il primo passaggio di consegne fra due vescovi nella storia di Milano, decine di migliaia di persone vi hanno assistito dal maxischermo sistemato in piazza. Ed è proprio alla città che Tettamanzi si è rivolto per la prima volta, affermando che la Milano religiosa deve rinnovare la vitalità della fede, una vitalità che la caratterizzava e
che ora è fortemente minacciata dalla "secolarizzazione". La Milano della società, dell'impresa e del lavoro, della cultura e della tecnologia, deve essere campo di partecipazione personale e collettiva, perchè le sue risorse siano "valorizzate e sviluppate" nel senso indicato dalla parola del Vangelo: "che non si sacrifichi mai il vero bene dell'uomo".
"Milano - ha detto Tettamanzi - può e deve fare di più, può e deve dare di più: al suo interno e fuori, in Europa e nel mondo. Anche in questo ambito, Milano ha una vocazione da onorare".

MISSIONE RELIGIOSA - I temi forti che Tettamanzi ha toccato nell'omelia sono stati in parte gli stessi su cui il Cardinale si era soffermato, anticipandoli, negli interventi che avevano preceduto il suo ingresso nella cattedrale. Temi come la perdita di spiritualità nella società moderna, la crisi delle vocazioni, il dovere cristiano della missione religiosa (un nuovo "slancio missionario") e al tempo stesso della presenza attiva nella vita sociale. "Spirito di intrapresa al servizio dell'uomo e della società", lo ha definito Tettamanzi, sottolineando che in questo bisogna riservare un'attenzione particolare al mondo dei poveri, ricordando che "i diritti dei deboli non sono affatto diritti deboli, ma sono del tutto eguali ai diritti dei forti".


Il Sunday Times: "L'attacco all'Iraq potrebbe iniziare il 28 novembre"
Toni Fontana su
l'Unità

Secondo il 'Sunday Times', che ogni domenica propone ai lettori britannici le sue rivelazioni (questa volta provengono da fonti anonime del Petagono) Bush ha già stabilito il giorno dell'inizio delle ostilità: il 28 novembre, giorno del Ringraziamento, quando gran parte degli americani siederà a tavola davanti ad un piatto con il tacchino e la torta di zucca (per ricordare i padri pellegrini che iniziarono la colonizzazione). Bush sceglierà la giornata patriottica per ordinare ai bombardieri l'attacco? Certamente i venti di guerra assomigliano sempre più ad un tornado. Anche domenica è stata bombardata Bassora, capitale del sud Iraq a maggioranza sciita, centro strategico ai confini con Iran e Kuwait, passaggio obbligato per conquistare il controllo del paese. Da Londra Tony Blair punta nuovamente il dito contro Saddam rinnovando le accuse sull'arsenale nascosto e facendo intendere che i margini di manovra per gli ispettori sono davvero ristretti. Ma non del tutto chiusi.
La giornata di oggi e quella di domani si annunciano decisive per capire se l'Onu è ancora in grado di tenere aperti spazi negoziali. Mentre infatti al Palazzo di Vetro gli inviati di Stati Uniti e Gran Bretagna tentano (per ora senza successo) di convincere russi e francesi ad accettare la risoluzione-ultimatum che concede solo una settimana all'Iraq per accettare senza condizioni l'avvio dei controlli, cominciano oggi a Vienna i colloqui tra le due agenzie dell'Onu incaricate di indagare sul riarmo iracheno e gli emissari di Saddam Hussein. Proprio il fallimento dei colloqui di Vienna tra Kofi Annan e i delegati iracheni hanno innescato la nuova crisi e offerto a Bush l'occasione per accusare l'Iraq e preparare la guerra. Per due giorni il capo degli ispettori dell'Unmovic, Hans Blix e Mohamed El Baradei, dirigente dell'Agenzia atomica dell'Onu, negozieranno la ripresa dei controlli con Amir Al Sadi, uno dei più ascoltati consiglieri di Saddam Hussein. Unmovic,che è stata creata nel 1999 (sostituisce Unscom che l'Iraq cacciò nel 1998) deve verificare se Baghdad possieda armi chimiche e batteriologiche e missili adatti per il trasporto. L'Aiea dovrà verificare la fondatezza delle accuse secondo le quali Saddam sta accelerando il programma per dotarsi dei ordigni nucleari.
I colloqui di Vienna sono dunque importantissimi; Blix, al termine degli incontri, riferirà al Palazzo di vetro e, nelle due settimane successive, probabilmente alla metà di ottobre, potrebbero riprendere le ispezioni. Gli ispettori non hanno bisogno di una nuova risoluzione per ricominciare il lavoro interrotto nel 1998, ed anzi, se il Consiglio di sicurezza approvasse un ultimatum così come è stato proposto dagli americani, è chiaro fin d'ora che ciò provocherebbe un nuovo irrigidimento iracheno. La partita sta dunque diventando richiosissima, ma, per ora, gli iracheni, aprendo le porte alle ispezioni, sono ancora in grado di evitare o perlomeno rinviare l'intervento militare.
Le parole pronunciare domenica da Blair non lasciano dubbi sui propositi anglo-americani: "Saddam ed il regime di Baghdad - ha detto il premier britannico - hanno solo una scelta, o accettano di disarmare loro stessi, privandosi degli armamenti di sterminio oppure l'azione seguirà". Blair usa toni bellicosi e indica un obiettivo: il disarmo dell'Iraq senza sciogliere definitivamente il dubbio su "quale sia la strada migliore per farlo".
È tuttavia evidente che sia a Washington che a Londra prevale la convinzione che la guerra sarà lo sbocco della crisi.



L´intellighenzia negli Usa contro la dottrina Bush
corrispondente da NEW YORK de
La Stampa

GLI scaffali delle librerie d'America riservano a George Bush più insidie dei banchi del Congresso. Alcune delle più influenti riviste di cultura e geopolitica, da "Foreign Affairs" a "Harper's", a "Dissent", hanno scelto l'inizio della campagna elettorale per il rinnovo parziale del Congresso per scendere assieme in campo contro la dottrina della difesa preventiva della Casa Bianca, mettendo sul banco degli imputati il presidente George Bush, paragonandolo a chi in passato commise banali errori che ebbero devastanti conseguenze: da Alcibiade che nel 415 a.C. portò alla disfatta l'invincibile Atene per difendere la piccola colonia siciliana di Segesta al barone Nathan de Rothschild che, nonostante le infinite ricchezze, morì oltre 150 anni fa per una piccola ma sconosciuta infezione. L'offensiva contro la dottrina Bush, riassunta nel recente documento sulla Sicurezza Nazionale, va oltre la questione-Iraq e mira al cuore del pensiero politico dell'Amministrazione: il diritto dell'America a intervenire unilateralmente contro potenziali minacce provenienti dal resto del mondo. "Per combattere il terrorismo e proteggere gli interessi e gli ideali americani, l'unica soluzione pratica non è agire unilateralmente come si propone Bush - scrive Michael Hirsh su "Foreign Affairs" - ma rafforzare la comunità internazionale che gli Stati Uniti hanno aiutato a creare". Hirsh accetta la scelta di Bush di paragonare la minaccia del fondamentalismo islamico a quelle giunte in passato dalla Germania nazista e dall'Unione Sovietica ma avverte che "quelle sfide furono vinte non solo con le armi ma grazie al fatto che le nostre idee vennero condivise" da altri popoli e Stati, dando vita a grandi alleanze. L'accusa di "Dissent", la rivista di Mitchell Cohen e Michael Waltzer, tradizionale espressione degli ambienti liberal, è che la scelta di agire unilateralmente altro non è che "l'altra faccia dell'isolazionismo" della destra repubblicana. Arrivato alla Casa Bianca con un team favorevole a ritirare le truppe dai Balcani e dal Sinai, Bush è stato obbligato dall'attacco terroristico subìto l'11 settembre ad aumentare l'impegno americano nel mondo, ma il metodo scelto è stato l'unilateralismo, opposto al multilateralismo che ha sempre accomunato le scelte delle Amministrazioni Usa sin dal 1945.



Israele si ritira da Ramallah - Arafat libero dopo 10 giorni
Redazione de
la Repubblica

Come annunciato dall'inviato Onu, oggi pomeriggio Israele ha completato il ritiro da Ramallah. Proprio nel giorno del trionfo di Yasser Arafat, uscito già in mattinata dal suo ufficio alla Muqata dopo una prigionia durata dieci giorni: un'apparizione di successo quella del leader, portato in spalla dalle sue guardie del corpo. Ad accoglierlo c'era una folla di palestinesi, esplosa in un grido di giubilo.

Ovviamente, la liberazione di Arafat si è potuta realizzare solo dopo che i tank dell'esercito israeliano si sono allontanati di qualche metro dalla residenza del presidente palestinese; per poi ritirarsi completamente. Poco dopo, è arrivaro il commento soddisfatto della Casa Bianca: "Il presidente accoglie con favore questo sviluppo - ha dichiarato il portavoce Gordon Johndroe - entrambe le parti in causa devono prendersi le loro responsabilità allo scopo di promuovere la pace, la stabilità e le riforme all'interno dell'Autorità palestinese.

Una partita iniziata già ieri, quando il presidente George W. Bush ha scritto al premier israeliano Ariel Sharon, chiedendo di porre fine all'assedio al quartier generale del leader Anp. Un appello, quello della Casa Bianca, giunto pochi giorni dopo il monito delle Nazioni Unite, che a loro volta avevano sollecitato l'abbandono della Muqata. Un assedio che stava creando non pochi problemi all'amministrazione Bush, che - secondo quanto riportato ieri dal Washington Post - giudicava la morsa attorno ad Arafat come un ostacolo alla creazione di una coalizione internazionale contro l'Iraq.

Secondo la radio militare israeliana, la decisione di Sharon di ritirarsi sarebbe dovuta anche alle velate minacce di dimissioni del ministro degli Esteri israeliano Shimon Peres, che non ha fatto mistero delle proprie critiche all'operazione, risoltasi a suo dire solo nel rafforzamento della popolarità del presidente palestinese.

Nei Territori, la violenza intanto non si arresta: nella Striscia di Gaza, almeno sette palestinesi sono rimasti feriti stamane in un raid di elicotteri israeliani a Khan Yunis, mentre in Cisgiordania un miliziano palestinese è rimasto ucciso nella misteriosa esplosione della sua auto vicino a Tulkarem, dove un colono ebreo è inoltre rimasto lievemente ferito in un agguato.


   30 settembre 2002