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La Germania è rosso-verde
Schroeder resta al governo
Redazione de
la Repubblica

BERLINO - A Berlino è passata l'una di notte. La grande altalena finisce. "Un nuovo governo di coalizione", annunciano Gerard Schroeder e Joscha Fischer. La Spd e i suoi preziosi alleati Verdi governeranno la Germania per altri quattro anni. Con una decina di seggi di vantaggio. E' questo il verdetto delle elezioni più combattute della storia tedesca.
"Abbiamo tempi difficili davanti a noi, ma insieme ce la faremo", ha detto Schroeder quando ormai i giochi erano fatti. E di certo quelle appena trascorse sono state ore difficili per tutti: per gli aspiranti cancellieri ma anche per gli istituti demoscopici tedeschi, costretti per ore a restare sul filo dell'incertezza.
Se gli exit pool e le primissime proiezioni fossero stati confermate, infatti, ora la Germania avrebbe un governo di coalizione tra la Cdu-Csu di Edmund Stoiber e i liberali della Pdf. Per tutta la prima parte della serata la tv pubblica Ard, pure se di un soffio, ha dato il centrodestra in vantaggio, sia in termini numerici che per i seggi al Bundestag. A quel punto, la prima dichiarazione di Stoiber ("Abbiamo vinto"), riferita prudentemente solo alla indubbia affermazione elettorale dell'unione Cdu-Csu, lasciava presagire anche una vittoria "politica" dei moderati.

Con il passare delle ore, lentamente, le diverse proiezioni hanno virato tutte a vantaggio del cancelliere in carica, fino alla certezza di una vittoria dovuta in gran parte allo straordinario risultato dei verdi, che sono cresciuti oltre le più ottimistiche previsioni.
I dati ufficiali (anche se ancora provvisori) disegnano comunque un paese spaccato in due. Spd e Cdu-Csu hanno preso la stessa percentuale di voti (il 38,5%), ma la Spd ha comunque conquistato qualche migliaio di voti in più dei democratici cristiani. Per i socialdemocratici si tratta di un calo di 2,4 punti rispetto alle elezioni del 1998, mentre la Cdu-Csu di Stoiber avanza di oltre tre punti. Il calo del partito del cancelliere è stato però compensato dal successo riportato dai Verdi, che hanno colto il miglior risultato della loro storia: l' 8,6% (+1,9%).

Le trattative per la formazione del nuovo governo cominceranno già da oggi. Nel prossimo Bundestag la Spd vanterà 251 parlamentari, i Verdi 55. I due alleati insieme possono contare su una maggioranza di 306 seggi, contro i 295 delle opposizioni.

"Non dureranno a lungo", commenta Edmund Stoiber, gelato dall'altalena notturna dei risultati.


Lo scatto di Fischer
Paolo Valentino sul
Corriere della Sera

Un sogno a occhi aperti, il governo rosso-verde ancora possibile soltanto grazie ai Grünen, nessuna maggioranza conservatrice. Ma non è ancora così. Lo scenario di una parità sul filo del rasoio prende corpo a poco a poco. Gerhard Schröder e la sua Spd sembrano indietro nella gara principale. La Cdu-Csu a guida bavarese appare nuovamente il partito più forte. E quello che accoglie Fischer, il vincitore della serata, diventa l'applauso della speranza. Hanno vinto la loro scommessa, i Verdi. Sono rimasti il terzo partito, umiliando i liberali. Hanno agilmente superato la barra, ritenuta utopistica, dell'8 per cento. Ma non sono ancora certi di poter compensare, con la loro forza, il calo dell'alleato maggiore. La scommessa l'ha vinta soprattutto lui, Joschka Fischer, l'ex ribelle di strada, l'uomo che, uno alla volta, ha infranto tutti i tabù dell'iconografia ecologista e pacifista, il realista che li ha trascinati al governo, il ministro degli Esteri che li ha portati in guerra, in nome del diritto alla vita. E che adesso si concede il lusso di ringraziarli per tutto quello che lui, soltanto lui, ha saputo imporre ai Grünen, trasformandoli da gioioso ensemble di scapigliati a pacchetto di mischia, disciplinato e unito dietro il capitano: "Abbiamo dimostrato che non esiste contraddizione fra professionalità e creatività, fra le ambizioni dei Verdi e il pragmatismo per stare al governo". Ci sono molte ragioni dietro il balzo in avanti dei Grünen, il primo dopo venti elezioni venti, regionali e locali, perse una dietro l'altra. Ci sono le nuove ansie ambientaliste, tornate a turbare i tedeschi dopo la crisi della mucca pazza e i mutamenti erratici delle condizioni climatiche, di cui è anche figlia la catastrofe della piena dell'Elba. C'è il riconoscimento per l'agenda che, pur fra molti compromessi, hanno saputo imporre al governo rosso-verde: dalla decisione di chiudere le centrali nucleari entro i prossimi vent'anni, al record europeo, fatto guadagnare alla Germania, nella riduzione delle emissioni tossiche, passando per il nuovo diritto di cittadinanza e la legge sull'immigrazione. Ma per quanto lungo possa essere l'elenco, il conto, alla fine, non tornerebbe senza di lui, senza Joschka Fischer, l'uomo politico più amato dai tedeschi, il maratoneta che, mescolando la corsa e la vita, il jogging e la politica, si è fatto 17 mila chilometri su e giù per i sedici Länder…


Ucciso nell'attentato, il suo rene a bimba palestinese
Redazione del
Corriere della Sera

Una bambina palestinese di 7 anni, Yasmin Abu Ramila di Gerusalemme est, vivrà grazie al rene donato da un ragazzo ebreo scozzese, Jonathan Jessner (nella foto), 17 anni, morto giovedì scorso nell'attentato su un autobus a Tel Aviv. Assieme a lui sono rimasti uccisi anche il kamikaze, militante di Hamas, e altri cinque israeliani. "Non abbiamo parole per ringraziare la famiglia di Jonathan - hanno detto, dopo il trapianto, i parenti della bambina -. Partecipiamo al loro lutto". Jessner era uno studente di un collegio rabbinico, giunto da Glasgow in Israele in visita. "Era un altruista" hanno detto di lui al quotidiano Maariv i genitori, che hanno fatto a tempo a raggiungere Tel Aviv prima che il figlio morisse. "Per questo - hanno spiegato - abbiano acconsentito al trapianto".


Bush a Israele: "Fermate l'assedio ad Arafat"
Redazione del
Corriere della Sera

GERUSALEMME - L'ordine è arrivato al tramonto: fermate le ruspe. E gli israeliani, piegandosi alle pressioni americane e inquieti per i disordini nei territori, hanno bloccato l'inesorabile distruzione della Mukata, la residenza di Yasser Arafat. Tra il raìs e i soldati c'è solo una parete sottile. Un velo che potrà essere squarciato in qualsiasi momento. "Sono arrivati a pochi centimetri, poi hanno smesso", hanno confermato dall'interno della palazzina.
Decisivo l'intervento della Casa Bianca. Dopo aver assistito passivamente per tre giorni ai colpi di maglio dei bulldozer, gli Stati Uniti hanno invitato l'alleato a riflettere: "La demolizione è controproducente. Non aiuta a fermare il terrore né favorisce le riforme dei palestinesi". Un riferimento alle indiscrezioni secondo cui venerdì il negoziatore Abu Mazen sarebbe stato nominato premier. Un cambio a lungo invocato da Washington. E infatti funzionari Usa facevano notare che l'assalto al palazzo aveva di nuovo riportato il focus su Arafat, mentre gli americani preferiscono considerarlo un personaggio superato.
Alle questioni locali si sono aggiunte quelle regionali. Bush, impegnato a strappare un sì alla guerra contro l'Iraq, teme ripercussioni negative nei rapporti con il mondo arabo, destatosi dal suo torpore. E Washington non ha certo gradito l'annuncio di Israele che risponderà in caso di un attacco iracheno. Membri influenti del Congresso hanno avvertito che un'azione unilaterale americana a Bagdad potrebbe trasformarsi in un conflitto arabo-israeliano. Insomma, un imbroglio diplomatico di cui il presidente non ha bisogno in questo momento.
La carta dell'esilio per Arafat resta comunque sul tavolo. Sharon è pronto a usarla, al momento propizio. Pur insistendo che l'obiettivo dell'assedio è la consegna dei ricercati barricati con il leader, i dirigenti israeliani parlano apertamente della cacciata dell'avversario. E ammettono quello che tutti sapevano: vogliono spingerlo ad andarsene. "Se Arafat vuole partire è libero di farlo - ha affermato cinico il vice ministro Weizman Shiri -. Gli daremo un passaggio, ma con un biglietto di sola andata. Tutto avverrà in modo dignitoso. E troveremo per lui un posto adatto". Dove? A marzo si era parlato con insistenza dell'Egitto. La radio si è sbilanciata: entro 48 ore non sarà più a Ramallah.

Da sabato notte, migliaia di palestinesi sono scesi nelle strade sfidando il coprifuoco e i corazzati. Cinque di loro, compreso un ragazzino, sono stati uccisi, molti altri feriti. Un sussulto di rivolta popolare provocato dall'assedio che ha ricompattato dietro il simbolo Arafat una popolazione depressa e oppressa.



Territori, sciopero generale a sostegno di Arafat
Redazione de
l'Unità

Dopo le manifestazioni represse nel sangue, di domenica 22 settembre, saracinesche abbassate in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est. Massiccia adesione allo sciopero generale proclamato nei Territori a sostegno del presidente palestinese Yasser Arafat, sempre assediato a Ramallah (Cisgiordania) dai carri armati israeliani nel suo quartier generale quasi interamente distrutto. Fonti palestinesi hanno aggiunto che, allo sciopero, hanno aderito anche gran parte dei commercianti di Gerusalemme est, dove moltissimi negozi sono rimasti chiusi come nelle altre città della Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
Inoltre a sostegno della protesta, nelle scuole palestinesi le lezioni termineranno in anticipo, alle 12:00 locali. Lo sciopero generale è stato indetto dal Parlamento palestinese, in seguito agli scontri durante le manifestazioni in sostegno di Arafat che si erano succedute in numerose città della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, e sfociate in scontri con i soldati israeliani in cui cinque dimostranti sono stati uccisi e una trentina sono rimasti feriti.
Intanto a Ramallah resta per il momento sospesa la demolizione di quanto resta del palazzo presidenziale di Yasser Arafat, il Muqata. Tra emissari della stessa Anp e dell'Esercito israeliano sono stati intrapresi negoziati concernenti la lista delle persone asserragliate all'interno dell'edificio insieme all'anziano leader palestinese.
A seguire dovrebbe esserci una vera e propria riunione con la partecipazione di rappresentanti di ambedue le parti: per l'Anp, hanno precisato le fonti, si tratterà di "personalità di governo"; per Israele di funzionari dell'amministrazione civile che affianca il comando militare competente per la Cisgiordania. Stando ad alcune fonti militari, l'elenco preparato da Arafat, dovrebbe comprendere circa duecento nominativi. Ben diciannove sono invece i ricercati dalle forze di sicurezza israeliane, tra essi ce ne sarebbero anche un'ulteriore trentina che "ci interessa interrogare".


Fassino alla Festa de l'Unità: "Via Tremonti e riformismo radicale per tornare a vincere"
Cesare Buquicchio su
l'Unità

Il "licenziamento" di Tremonti, come condizione per riprendere il confronto con il governo. L'appoggio allo sciopero della Cgil del 18 ottobre, ma con lo sguardo rivolto oltre le divisioni sindacali (e oltre i dubbi sollevati da Rutelli). La necessità per l'Ulivo di fare un "salto di qualità" e trovare oltre a 'saggi' e cabine di regia', "forme democratiche con cui i cittadini possano scegliere candidati e leader". E, infine, la battaglia contro la "solitudine: la povertà dei paesi ricchi".
Il primo discorso da segretario di Piero Fassino ad una Festa Nazionale de l'Unità occupa trentasei pagine. Trentasei cartelle senza mai nominare Berlusconi. Ma citando, del presidente del Consiglio, tutte le bugie e i disastri: dall'attacco ai diritti dei lavoratori alla scuola azienda pensata dalla Moratti, dalla sanità falcidiata dai tagli, al Mezzogiorno ignorato da "Finanziarie che sterilizzano molti degli incentivi al lavoro e agli investimenti al Sud".
"L'esito di questa politica è sotto gli occhi di tutti - prosegue Fassino - l'Italia ha il più basso tasso di crescita degli ultimi dieci anni; ristagnano produzione e consumi; flettono le esportazioni in misura superiore agli altri paesi concorrenti; tornano a salire il deficit dello Stato, l'indebitamento pubblico e l'inflazione; milioni di famiglie guardano con inquietudine a misure governative che – dalla scuola al lavoro, dalla sanità alle politiche per gli anziani –accrescono i rischi di precarietà".
Il discorso prosegue, dedicando al ministro dell'Economia, lui sì, citato per nome e cognome, una decina di durissimi paragrafi che lo identificano come il principale responsabile della situazione e si concludono con l'esortazione al governo a "mandare a casa Tremonti". Prezzo politico, insieme ad un 'mea culpa' che "riconosca che la strada dello scontro sociale e della divisione del sindacato non ha prodotto risultati" per rispondere al recente appello del premier a "darsi una mano".
Ma non solo. "Cambiate la legge Cirami; accettate le proposte che da mesi avanziamo sul conflitto di interesse - continua Fassino elencando le condizioni per tornare al confronto - ponete fine al monopolio dell'informazione; rinunciate a portare in Parlamento quella modifica dell'articolo 18 che è il simbolo della divisione". E, soprattutto, insiste il segretario dei Ds, "chiamare le forze sociali, tutte, a discutere e concertare le misure necessarie per la ripresa; si colga l'occasione della Finanziaria per cambiare politica economica. E se Tremonti è un ostacolo - chiede Fassino al Polo - mandatelo a casa".

Prosegue, Fassino, rivolgendosi ai "movimenti", dai girotondi in poi. Riprendendo, per conto dei partiti, parte del ruolo che in quella piazza San Giovanni del 14 settembre, sembrava smarrito. Perché "se una così grande moltitudine di persone si è ritrovata lì, è proprio perché questo anno non è passato invano e l'opposizione per molti e diversi percorsi si è messa in movimento, come tanti torrenti che confluiscono in un unico grande fiume".

In conclusione, un passaggio decisamente sorprendente. Sorprendente per i temi consueti del dibattito politico e per il contesto in cui l'affronta Fassino: l'Arena Ponte Alto gremita da oltre cinquantamila persone. Il segretario si dedica alla solitudine: la vera "povertà dei paesi ricchi".
"Perché - dice Fassino - qui sì, c'è un chiaro discrimine tra destra e sinistra.
La destra muove dall'idea che la società sia fatta di individui soli, ciascuno in lotta contro tutti per la propria affermazione. Una società in cui ciascuno deve far leva solo sulle proprie forze e lo Stato viene ridotto ad un ruolo minimo perché gran parte delle prestazioni e dei servizi è affidato alla legge della domanda e dell'offerta". "Gli anziani di oggi rischiano di vivere una terza età più lunga in condizioni di solitudine assai più angosciante di un tempo - prosegue il leader della Quercia - oggi ogni famiglia dispone di una quantità molto più grande di opportunità e di beni, eppure è assai più sola nell'affrontare le sfide della vita quotidiana; i giovani di oggi possono accedere ad una quantità di sapere e di conoscenze infinitamente superiore a quelle possedute dalle generazioni precedenti, ma sono assai meno sicuri di trovare un lavoro e certezze per la loro vita. Oggi le donne hanno affermato un loro ruolo centrale nella società, cambiandola, e tuttavia sono le prime ad essere esposte alle mille solitudini dei tempi moderni".


"Lo sciopero generale è inevitabile"
Intervista a Pierluigi Castagnetti
Redazione de
l'Unità

ROMA Secondo Pierluigi Castagnetti, la richiesta di aiuto del premier è "strumentale e insincera". Spiega: siamo disposti a dare una mano (non alla maggioranza, ma al Paese) solo a determinate condizioni. A Cgil, Cisl, Uil, dice: se decidete di fare lo sciopero generale fatelo insieme.
Berlusconi ammette la crisi e chiede all'opposizione di lavorare insieme. Lei cosa risponde?
"Finalmente si è accorto che l'opposizione non faceva del catastrofismo ma semplicemente cercava di richiamare il governo al senso di responsabilità. Purtroppo oggi tutto è più difficile perché gli errori che si sono voluti compiere hanno aggravato la situazione. Se ci avessero ascoltato quando dicevamo loro che nella finanziaria avevano inserito delle previsioni di entrate assolutamente virtuali al solo scopo di poter disporre di risorse da spendere, quando richiamavamo il governo al senso di responsabilità rispetto a provvedimenti legislativi privi di copertura, oggi non ci troveremmo in questa situazione. E' vero che c'è una difficoltà delle economie europee ma da noi la situazione è più grave anche perché abbiamo alle spalle un anno di gestione finanziaria assolutamente irresponsabile".
Improvvisamente si sono accorti di questa difficoltà e chiedono aiuto all'opposizione...
"Solo due mesi fa abbiamo contestato i numeri del Dpef. Loro continuavano a prevedere una crescita dell'1,3% e a meno di due mesi di distanza hanno riconosciuto che la crescita sarà dello 0,6%. Lo stesso Tremonti è venuto alla Camera a parlare di un tasso di inflazione del 2,4%, e dopo 24 ore abbiamo saputo che il tasso di inflazione era del 2,6%. Non padroneggiano la situazione e non sono in grado di fornire neppure i dati. In ogni caso, se è sincero l'appello del capo del governo, noi gli chiediamo di venire subito in Parlamento a dire la verità sui conti. Il Paese ha bisogno di conoscere come stanno i conti dello Stato. Dopo aver prodotto questo disastro devono indicare una strategia per uscire da questa situazione. Che non sia una strategia di giornata. Ad agosto il premier disse che la priorità del governo era la legge Cirami, oggi chiede aiuto perché gli è sfuggito il controllo sui conti pubblici. Siano conseguenti, ritirino la Cirami, dissequestrino il Parlamento da una discussione tanto assurda quanto insensata...".
Lei è convinto che al punto in cui sono arrivati possano davvero fare marcia indietro sulla Cirami?
"Se sono coerenti con l'appello al senso di responsabilità del capo del governo dovrebbero farlo. Se non lo fanno è evidente che Berlusconi è prigioniero dei suoi problemi che vengono sempre prima di quelli del Paese. Noi siamo anche disposti a dare una mano. Non alla maggioranza che si è rivelata in modo imprevedibile tanto incompetente, ma al Paese che non merita di pagare il prezzo di tanta incompetenza. Siamo anche mossi dalla legittima preoccupazione, di ricevere nel 2006 la guida di un paese disastrato".

Mentre tende la mano Berlusconi continua ad accusare il centrosinistra di inseguire gli estremismi più accesi. Non le sembra una mossa strumentale per spaccare l'opposizione?
"Non è solo una mossa strumentale. Rivela anche l'insincerità della richiesta di collaborazione visto che continua a scaricare sulla gestione del centro sinistra la responsabilità dei problemi. La verità è che gli abbiamo lasciato un Paese tra i più affidabili in Europa, con una economia sana, e in 16 mesi tutto questo è stato cancellato".
Se questa è la situazione, non le sembra contraddittoria la richiesta che Rutelli ha avanzato alla Cgil di revocare lo sciopero generale? Rutelli riconosce alla Cgil il merito di aver denunciato per prima che le politiche economiche del governo erano costruzioni di sabbia, poi l'accusa di rigidità nel confermare lo sciopero generale...
"Sono convinto che Rutelli rispetti fino in fondo l'autonomia sindacale e non abbia intenzione di suggerire alcunché. Credo che abbia voluto rilevare la novità della situazione, la consapevolezza nuova in tanti soggetti (compresa la Confindustria) che pure hanno sottoscritto il Patto per l'Italia. Piuttosto che confermare una iniziativa unilaterale, assunta in un clima diverso, ha voluto dire Rutelli, forse occorrerebbe che le parti sociali si mettessero di fronte a un tavolo per capire se sono possibili iniziative unitarie".
Mi pare che il suo approccio sia un po' diverso da quello di Rutelli. Non sarebbe stato auspicabile rivolgersi a Cisl e Uil per dire loro: il Patto per l'Italia non esiste più, non ci sono più le premesse, prendete atto che siete state ingannate e fatevi promotrici insieme alla Cgil dello sciopero unitario?
"Credo che questo fosse il senso delle parole di Rutelli. Purtroppo c'è sempre la preoccupazione di questo dialogo interrotto fra i sindacati. Certo, a questo punto anche le parti sociali che hanno sottoscritto il Patto sono costrette a prendere atto che la situazione è cambiata rispetto a luglio. Se in questa situazione nuova ognuno rinuncia alle rispettive unilateralità, è possibile ricostruire il filo di un'azione unitaria, responsabile verso il Paese. Purtroppo siamo in una situazione drammatica: da una parte non possiamo rinunciare a nulla delle nostre responsabilità di opposizione, dall'altra non possiamo neppure sottovalutare i guai ai quali può andare incontro il Paese".
Lei conferma dunque la necessità di uno sciopero generale?
"Credo che sarà inevitabile lo sciopero generale, ma sarebbe auspicabile che non fosse quello pensato qualche mese fa: Cisl e Uil dovrebbero parteciparvi da coprotagoniste. Oggi sono cambiate le condizioni e occorre una piattaforma nuova".


Clandestini: 14 morti sulla spiaggia di Ragusa
Fabio Albanese su
La Stampa

RAGUSA. E' accaduto di nuovo e di nuovo è stata una strage. Quattordici i morti finora accertati ma potrebbero essere di più. Ad una settimana dalla tragedia di Porto Empedocle, ancora una volta un viaggio di immigrati clandestini è finito con annegati e feriti proprio quando la costa della Sicilia era a poche centinaia di metri dal vecchio barcone su cui avevano compiuto la traversata del Mediterraneo.
Lo scenario è ancora una spiaggia di bagnanti, quella di Scoglitti, la spiaggia di sabbia fine della gente di Vittoria e di Comiso. Dista un centinaio di chilometri da quella dell'Agrigentino dove, nella notte tra sabato e domenica dell'altra settimana, hanno perso la vita 37 persone.
L'allarme alle 13 di ieri, quando da un barcone, fermo in mare a poche centinaia di metri dalla riva, si sono tuffate decine di persone: "Li hanno costretti a lanciarsi in mare come sacchi di spazzatura", ha raccontato un testimone. Il mare era agitato, forza 3-4 dicono dalla Capitaneria di Porto, soffiava un forte vento di scirocco. I clandestini hanno tentato la traversata a nuoto, in molti sono riusciti nella faticosa impresa, altri non ce l'hanno fatta.

Ieri, nonostante il maltempo, è stata una giornata di sbarchi su tutta la costa sud della Sicilia. In 52, la maggior parte iracheni, a nuoto hanno raggiunto una spiaggia di Licata. Cinquanta erano su un barcone, forse lo stesso che aveva trasportato gli altri, che tentava di attraversare l'imboccatura del porto di Licata. Un altro natante avrebbe scaricato decine di clandestini nella zona di Palma di Montechiaro; ne sono stati bloccati sette.
Una vera e propria emergenza, come emerge dai dati diffusi dal Viminale secondo cui in Sicilia, nei primo otto mesi dell'anno, sono sbarcati 11.115 clandestini. Erano 2.564 nel 2001, appena 1.724 nel 2000. Intanto prendono vigore anche le polemiche. Dall'Arci sottolinenano che "questa nuova tragedia è frutto della politica proibizionista del governo". Ma il ministro dell'Interno Beppe Pisanu avverte: "Le sole risorse del nostro Paese non bastano. Il problema è europeo e tutta l'Europa deve farsene carico".


"Paghiamo il troppo ottimismo dei mesi scorsi"
Intervista al Presidente di Federchimica
Redazione de
La Stampa

MILANO IL decreto fiscale? E´ ancora così fresco di stampa che risulta difficile valutarne compiutamente l´impatto sulle imprese. Io non ci sono ancora riuscito per quanto attiene alla mia". Quella di Giorgio Squinzi, presidente della Federchimica, non è una diplomazia di comodo. Il titolare della Mapei, leader mondiale degli adesivi per edilizia (39 impianti di cui 33 all´estero e ormai 1800 miliardi di vecchie lire di fatturato), quando si è formato un giudizio, non ha peli sulla lingua: per nessuno. Sul decreto fiscale che ha ferito la suscettibilità della Confindustria, Squinzi sospende il giudizio in attesa di completare l´indispensabile approfondimento, ma non rinuncia a valutare la situazione che si è venuta a creare in questi mesi, non senza qualche sconcerto nelle imprese. "Certo, da un lato va preso atto che la situazione economica si è degradata oltre le ogni ragionevole aspettativa. D´altro lato, però, anche il governo ha le sue colpe".
Cosa rimproverate al governo?
"Al governo rimproveriamo di aver gettato il cuore oltre l´ostacolo, di essersi illuso sui tempi e l´entità della ripresa e, soprattutto, di aver alimentato aspettative troppo ottimistiche anche quando ormai era chiaro a tutti che l´economia sarebbe rimasta pressoché al palo".
Avreste apprezzato una posizione più prudente, è così?
"Non c´è dubbio. Sarebbe stato opportuno, soprattutto, evitare lo stillicidio delle correzioni percentuali delle previsioni di sviluppo del Pil, quando anche una media azienda come la mia - che non dispone di grandi uffici studi - aveva corretto drasticamente al ribasso (portandole da +17 a +11%) rispetto a quelle del 2001, le sue stime di crescita nel 2002: sottolineando inoltre che si sarebbe trattato di crescita interna, perché la domanda estera era in caduta libera visti i chiari di luna dell´economia mondiale".

Ma c´è ancora in Italia voglia di competere?
"In Italia c´è tanta imprenditorialità diffusa che aspetta solo le condizioni migliori per riprendere ad investire".
Com´è allora che il bilancio della Tremonti bis non pare presentarsi eccezionale se è vero che molti imprenditori non si sono fatti tentare e non hanno messo mano agli investimenti?
"Il problema della Tremonti bis, forse, è stato quello di accavallarsi con la Visco che offriva vantaggi non inferiori. La mia azienda, che ha sempre investito, ha preferito la Visco: la Tremonti bis privilegia, invece, soprattutto chi - non investendo da tempo - torna ad investire".
Come vede lo scenario di medio periodo?
"Constato che nessuno è ancora riuscito a sostituirsi agli Usa nel ruolo di locomotiva dell´economia mondiale: se non riprende in modo spinto l´economia americana, dunque, continueremo a soffrire in Europa".
L´Europa non ha chance nemmeno per il futuro?
"L´Unione Europea ha una chance nell´allargamento: solo inglobando le economie dei Paesi dell´Est, che indurranno anche una rilocalizzazione degli impianti industriali, il Pil europeo riuscirà a crescere a tassi accettabili".


   23 settembre 2002