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Fassino: "In piazza la nostra gente l'alleanza si è rialzata"
Barbara Jerkov su
la Repubblica

La manifestazione dei girotondi il giorno dopo. Qual è il suo bilancio politico, onorevole Fassino?
"E' stata una bellissima manifestazione, che dice di quante risorse umane, di quanta passione il centrosinistra possa avvalersi. Era una piazza che fotografa quella che è oggi la situazione del centrosinistra: donne e uomini che venivano da tutt'Italia, con le loro bandiere di partito, di sindacato, di movimento, dimostrando che è del tutto astratta qualsiasi contrapposizione fra partiti e movimenti. Da quella piazza è venuta una grande domanda di unità, prima di tutto. Il fatto che ci fossero coloro che hanno suscitato movimenti di società civile, i dirigenti dei partiti, una così grande moltitudine di cittadini mi pare rappresentasse bene questa tensione unitaria".
Tensione unitaria e voglia di riscossa?
"E' la dimostrazione di come il centrosinistra non sia a un anno fa. Un anno fa il centrodestra aveva il vento nelle vele, il centrosinistra era piegato dalla sconfitta. Oggi è il centrodestra ad essere in affanno evidente. La sua politica economica è un fallimento, la sua arroganza su giustizia e informazione suscita preoccupazione. Il centrosinistra è uscito dal cono d'ombra della sconfitta e si è rimesso in movimento. Per tante strade. Con l'iniziativa sindacale e con la grande manifestazione della Cgil. Attraverso i girotondi e la società civile. Attraverso i partiti, perché i Ds e le altre forze del centrosinistra in questi mesi hanno riorganizzato le loro fila. Si è rimesso in movimento come Ulivo: in quella stessa piazza, il 2 marzo, abbiamo fatto una manifestazione grande, imponente, che è stata il primo vero segnale di riscossa".
Nel frattempo ci sono state anche le elezioni amministrative, che hanno segnato un'inversione di tendenza.
"Soprattutto, direi. Non si spiegherebbe quella carica e anche quella grande fiducia che veniva dalla piazza di sabato, senza pensare che alle spalle c'è un primo successo elettorale significativo. Abbiamo vinto non solo dove già eravamo forti, ma abbiamo conquistato roccaforti di Berlusconi, spostando elettorato".
Lei dice che per questa riscossa è merito di contributi diversi.
"Come tanti torrenti che affluiscono verso un unico fiume".
Ecco, come organizzare adesso questi affluenti perché la loro forza non si disperda di nuovo?
"Personalmente, ho tratto ulteriore conferma di quanto avevo scritto in un articolo che proprio Repubblica ha pubblicato qualche settimana fa. Cioè la necessità che il centrosinistra sia capace di un salto di qualità in tre direzioni: primo, dobbiamo darci un programma che renda evidente sempre di più la nostra proposta alternativa a quella delle destre, così da dare credibilità all'ambizione di essere un'alternativa di governo. Secondo: abbiamo bisogno di dare all'Ulivo un gruppo dirigente che associ tutte le le risorse di cui il centrosinistra dispone. Terzo: abbiamo bisogno di un salto di qualità nel rapporto con la società italiana, sia un rapporto nuovo con i movimenti, e sia con quella tantissima parte di società che non ha ancora fatto una scelta ma è sempre più inquieta di fronte alla politica della destra. Per vincere e tornare a essere maggioranza abbiamo bisogno sia di confermare la fiducia di chi già si è affidato a noi, ma anche - proprio come avvenuto qualche mese fa in tante città - di penetrare nel campo dell'avversario e di conquistare una parte dei consensi che un anno fa andarono a Berlusconi".
In concreto, ritiene che a questo punto nella cabina di regia dell'Ulivo debbano entrare Moretti e gli altri leader dei movimenti?
"Un conto è il centrosinistra come coalizione politica, altro conto è il sistema di rapporti e di relazioni che il centrosinistra ha con la società e con i movimenti. Non sono la stessa cosa. Proprio perché partiti e movimenti non coincidono e non devono coincidere. Io ho parlato di una cabina di regia volendo dire che oltre a Rutelli e ai segretari dei partiti, devono prendervi parte le personalità politiche più significative. Certamente, ad esempio, un uomo come Cofferati e le nostre personalità politiche che sono stati capi di governo. Questo gruppo dirigente dovrà essere capace di interloquire con le tante articolazioni della società italiana e dunque anche con i movimenti e i loro leader".
A piazza San Giovanni gli ultimi due premier del centrosinistra, D'Alema e Amato, sia pur offrendo motivazioni diverse, non c'erano. Come valuta questa assenza?
"Trovo sbagliato imbastire su questo una polemica. L'unità del centrosinistra si costruisce a partire dal rispetto del pensiero di ciascuno. Io mi confronto con Moretti, con Flores d'Arcais, con Pardi, senza pretendere che loro la pensino esattamente come me. E viceversa. La forza dell'Ulivo non sta nell'omologarsi tutti a un medesimo pensiero, ma nel mettere insieme uomini e donne che venendo da storie diverse ed essendo espressione di culture diverse, si uniscono intorno ad un progetto".
Alla fine, fra tutte queste storie e culture diverse, non c'è il rischio che il solo progetto comune sia buttar giù Berlusconi?
"Per questo io dico che ci vuole un programma. Buttar giù Berlusconi è l'obiettivo di tutti. Il modo per farlo è costruire le condizioni non solo perché l'opposizione sia in grado di interdire la destra quando fa scelte sbagliate, ma sia capace di avere una sua proposta che parli ad una maggioranza di italiani, conquistando anche quella parte di elettorato del centrodestra che di fronte alla politica concreta di Berlusconi è sempre più inquieta".
Il quotidiano spagnolo El Paìs si chiede, raccontando la manifestazione di Roma, "E' nata una nuova leadership della sinistra italiana?". Come si è trovato a partecipare per la prima volta sotto e non sopra il palco?
"Mi sono trovato assolutamente a mio agio perché in quella manifestazione c'era la mia gente. Ho passato tre ore a stringere mani, firmare tessere, salutare compagni. Mi sono trovato circondato da un calore, da un affetto che confermano assolutamente come la contrapposizione fra partiti e movimenti non esista. Naturalmente, avvertivo anche la grande domanda che ci veniva e la responsabilità enorme che abbiamo di deluderla. Quando Moretti dice che non ci sono deleghe in bianco, dice una cosa giusta. Anche perché in democrazia le deleghe non sono mai in bianco, i gruppi dirigenti sono sempre sottoposti a verifica".
Adesso che succede, segretario? Gli ottocentomila di piazza San Giovanni da cosa capiranno che la loro richiesta di unità e di risposte concrete è stata raccolta?
"Chi ha la responsabilità politica di dirigere l'Ulivo deve dare un segnale forte e fare subito le scelte necessarie. Allora: costituiamo subito il "laboratorio progettuale" per scrivere il programma del centrosinistra. Costituiamo subito il gruppo dirigente del nuovo Ulivo. Terzo: un piano serrato di iniziative concrete di mobilitazione. Penso alla battaglia sulla legge Cirami, sulla Finanziaria, al tema dell'informazione, su cui abbiamo il dovere di avanzare una proposta che sia in sintonia con il messaggio di Ciampi; penso all'impegno per scongiurare una nuova guerra".


Rutelli: "Contro la Finanziaria un milione in piazza"
Francesco Iannuzzi su
La Stampa

Il giorno dopo il girotondo che ha portato in piazza 800 mila persone Francesco Rutelli è andato ad Orvieto per chiudere la festa della Margherita. Nel suo intervento ha ricordato che aveva deciso di partecipare alla manifestazione di Piazza San Giovanni "come uno dei molti" e che era disposto a sedersi anche "all´ultimo banco di una classe per ascoltare, condividere e capire come rispondere meglio alle esigenze dei cittadini". E proprio questi sentimenti di "umiltà politica" l´hanno spinto a criticare quanti nel centrosinistra avevano preso le distanze dai girotondi. Amato infatti le aveva definite "iniziative sciocche" e il presidente del Ds Massimo D´Alema, nel giorno della festa di piazza San Giovanni, aveva preferito visitare il museo Cervi a Bologna perché "nella sua storia la sinistra ha saputo sempre tenere un rapporto con l´insieme degli italiani non accettando l´idea un po´ snobistica del "siamo pochi ma buoni"". Questi giudizi non devono essere piaciuti a Rutelli che ha sostenuto che "non potrebbe esserci errore più grave che mostrare disprezzo e distanza verso i sentimenti genuini che c´erano in quelle persone in piazza sabato". Puntuale è arrivata la replica di D´Alema che ha voluto smorzare i toni della polemica: "Il vero grande problema in questo momento non è la dialettica tra partiti e movimenti ma l'Ulivo, quello cioè di rilanciare una coalizione e una proposta di governo alternativa a quella della destra. È qui che c'è un ritardo". D´Alema spiega la sua ricetta: "Vorrei che ci fosse un vertice dell'Ulivo, un gruppo dirigente che formasse una squadra e costruisse un progetto politico. Se questa cosa avvenisse io darei il mio voto perchè Cofferati ne facesse parte. Poi spero che qualcuno voti anche per me - ha concluso - perchè penso di poter far parte anche io della squadra. Sono pienamente disponibile, con le mie idee, a costruire questa operazione unitaria nella consapevolezza che se sono in campo 4 o 5 progetti personali siamo destinati alla sconfitta, ma se in campo ce ne è uno collettivo la prossima volta vinciamo" Dopo il botta e risposta a distanza Rutelli ha spostato la sua attenzione sul governo e sulle future iniziative dell´opposizione anche per riportare nell´alveo parlamentare la protesta. "L´Italia paga il pegno - ha detto Rutelli - di un governo indecente e il centrosinistra porterà in piazza un milione di persone durante la discussione sulla Finanziaria su temi come sanità, scuola, economia". Tra gli applausi ha poi attaccato quelle che definisce "le leggi del triangolo della vergogna: Cirami-Frattini- Gasparri. La prima, osserva con ironia, "non è una legge ad personam, perché le persone a cui è rivolta sono due. E che sia un´operazione mirata lo dice lo stesso Previti". A proposito della seconda, quella sul conflitto di interessi, Rutelli si dice convinto che "non cambierà nulla" a differenza di quanto accaduto in America al sindaco di New York Bloomberg. E a proposito della terza, la legge sull´emittenza radiotelevisiva, il leader della Margherita dice che dimostra come "l´appello di Ciampi per assicurare il pluralismo nell´informazione sia stato ignorato". Sulla legge Gasparri, che non prevede più che Rete 4 andrà su satellite, ha voluto dedicare una battuta anche ad Emilio Fede: "Quando guardo Fede e lo penso sul satellite credo che si troverebbe benissimo". Rutelli ha usato parole dure anche alla legge Fini-Bossi e "agli ex guerrieri padani oggi in livrea davanti alla porta di Berlusconi". "I cittadini - ha detto Rutelli - pensavano che la criminalità sarebbe sparita con Bossi al governo, ma l´unico posto dove è sparita sono i telegiornali". Nel mirino del leader della Margherita è entrata poi la riforma della Sanità del ministro Sirchia. "Combatteremo l´insensata idea delle mutue che ci porta dritti al sistema americano e che lascia scoperte 30 milioni di persone, soprattutto anziani"



Elan citoyen anti-Berlusconi à Rome
Eric Jozsef su
Liberation

La place Saint-Jean-de-Latran a affiché complet. Animée de bout en bout par le cinéaste Nanni Moretti, la "fête de protestation" contre Silvio Berlusconi a en effet réuni samedi plusieurs centaines de milliers de personnes sur cette place, haut lieu de rassemblement du peuple de gauche transalpin. Pendant plus de cinq heures, elle a été submergée de manifestants venus soutenir l'initiative des représentants de la société civile contre les projets de lois gouvernementaux sur la justice ou l'audiovisuel. Des électeurs du centre gauche pour la plupart mais aussi de l'extrême gauche, des catholiques modérés et quelques conservateurs indignés par la concentration des pouvoirs et la politique du "Cavaliere".
Ligne de mire. Derrière le slogan : "La Constitution est égale pour tous", Nanni Moretti, devenu une sorte de porte-parole des girotondi ("rondes citoyennes"), a vigoureusement attaqué le chef du gouvernement : "Berlusconi n'est pas contre la démocratie. Il est étranger à la démocratie. C'est quelque chose qu'il ne connaît pas, qu'il ne comprend pas et qui, dans tous les cas, lui fait perdre trop de temps." Soulignant que la protestation s'adressait également aux électeurs du centre droit ("nous ne sommes pas des extrémistes, nous sommes des modérés : nous aimons la Constitution"), Moretti a poussé l'offensive : "Dans son contrat avec les Italiens, Berlusconi n'avait pas parlé du rapatriement des capitaux placés illégalement à l'étranger, de la dépénalisation du faux bilan." Egalement en ligne de mire des manifestants : le projet de loi sur le "soupçon légitime", approuvé quelques heures plus tôt par la Commission justice de la Chambre des députés, et qui pourrait permettre à Berlusconi de bloquer son procès pour corruption de magistrats en cours à Milan. Entre deux concerts, divers orateurs ont dénoncé la démobilisation contre la Mafia, la nouvelle loi sur l'immigration ou encore le soutien du gouvernement à la politique étrangère de Bush.
Mise en garde. Comme prévu, aucun homme politique n'a été autorisé à prendre la parole, obligeant les nombreux responsables des différents partis de l'opposition ainsi que le leader du syndicat CGIL, Sergio Cofferati, ovationné par les manifestants, à déambuler parmi la foule ou sous la scène aux côtés des nombreux artistes et intellectuels présents. Après avoir dénoncé la politique de la droite, Moretti a d'ailleurs mis aussi en garde les dirigeants de la gauche, coupables, selon lui, de s'être livrés à des "caprices" et autres "querelles de personnes". Le cinéaste, fort de la mobilisation, a averti : "La délégation aux partis ne sera pas toujours un chèque en blanc." "A partir d'aujourd'hui, la marche pour la revanche redémarre", s'est tout de même félicité Piero Fassino, le secrétaire des démocrates de gauche, malgré les perplexités de son collègue de parti et ancien chef de gouvernement Massimo D'Alema, absent du rendez-vous de San Giovanni, qui a lâché : "C'est bien de manifester mais il faut aussi penser et avoir un projet.".


Un italiano su due contro la guerra "in ogni caso"
Renato Mannheimer sul
Corriere della Sera

Che la maggioranza degli italiani fosse contraria alla guerra era forse scontato. La predisposizione prevalente dei nostri concittadini si caratterizza, ormai da tempo - a torto o a ragione - con l'ostilità a qualunque iniziativa bellica. E' stato così anche in situazioni assai più drammatiche: ad esempio - seppure con minore intensità rispetto a oggi - in occasione dell'attacco in Afghanistan in risposta alla strage dell'11 settembre. Tuttavia, diversamente dallo scorso anno, quando pressoché tutti seguivano con grande partecipazione l'evolversi degli avvenimenti, quasi metà (40%) degli italiani dichiara oggi di essersi interessata poco o per nulla alle vicende che nelle ultime settimane hanno contrapposto così fortemente gli Stati Uniti all'Iraq di Saddam Hussein. E' un dato consueto per gli avvenimenti di politica estera, che solitamente appassionano assai poco il grande pubblico.
Può dunque sorprendere che, malgrado questa relativa scarsa attenzione alla vicenda, ben il 70% degli italiani dichiari di avere comunque una posizione ben definita, favorevole o, molto più spesso, contraria all'attacco all'Iraq, indipendentemente o quasi dalla evoluzione degli avvenimenti, come ad esempio dalla presentazione di nuove prove della costruzione di armi di distruzione di massa da parte di Saddam e/o dalla sua accettazione o meno degli ispettori Onu. Solo il 17% dichiara di essersi formato un'opinione nelle ultime settimane, in relazione alla documentazione già presentata dagli Usa o alla risposta negativa data sin qui dal leader iracheno alle richieste di ispezione Onu. E una percentuale ancora inferiore, il 13%, afferma di essere ancora indecisa sulla posizione da prendere e di attendere gli ulteriori sviluppi della questione.
Come si è detto, la grande maggioranza di chi dichiara di avere da tempo le "idee chiare" si esprime decisamente contro l'ipotesi di intervento armato. Tra costoro sono relativamente più numerosi i residenti nel Nordest, le donne e, specialmente, gli appartenenti alle età estreme, vale a dire i giovanissimi e, in misura ancora maggiore, i più anziani.
Ci si può dunque chiedere come fanno oltre sette cittadini su dieci a esprimere un'opinione precisa se, al tempo stesso, quasi la metà di essi non si è documentata sulla questione.
I principali fattori esplicativi di questo fenomeno sono due. C'è in primo luogo, come si è accennato, una tendenza "di fondo" degli italiani, comunque ostile a interventi di guerra. Sulla quale agisce, senza tuttavia divenire prevalente, anche l'orientamento politico preesistente. La maggioranza di chi si "sente" di centrosinistra o di centro è infatti decisamente sfavorevole all'intervento in Iraq. L'opposto accade tra chi si colloca nel centrodestra o nella destra: ma anche tra costoro quasi il 40% si dichiara comunque contrario o indeciso sull'opportunità dell'iniziativa bellica. Risulta infine avversa all'iniziativa contro Saddam anche la maggioranza dei molti che non hanno (o non dichiarano) una posizione politica precisa. Insomma, l'opinione politica preesistente assume ancora una volta una funzione "orientativa", specie nei casi, come questo, in cui si è poco interessati o si è comunque seguita poco una vicenda. Ma ad essa si lega (o, sovente, si sovrappone) l'inclinazione prevalente nell'elettorato, sfavorevole "in ogni caso" all'intervento armato.
Forse è stato anche questo atteggiamento dell'opinione pubblica a suggerire che il nostro apporto all'intervento in Afghanistan si limitasse ad un supporto umanitario e logistico, senza comprendere azioni di guerra vere e proprie. E, forse, il permanere di questo orientamento potrebbe finire col portare il governo ad adottare nuovamente, più o meno volentieri, la stessa scelta nel caso di una partecipazione italiana all'ipotetico conflitto contro Saddam.


Sicilia, 14 morti nella barca dei disperati
Marzio Tristano su
l'Unità

L'inferno di acqua nera si è spalancato a duecento metri dall'Europa, quando la luce del faro di capo Rossello illuminava la salvezza, là, sulla costa siciliana, davanti la spiaggia di Montallegro, paradiso di sabbia non ancora abbandonato dai bagnanti di fine estate: ma la carretta del mare lunga appena dieci metri e carica di oltre cento disperati in cerca di un futuro migliore non c'è mai arrivata, un nubifragio improvviso l'ha capovolta, scaricando tra i flutti neri del canale di Sicilia uomini, donne e bambini. In quaranta si sono abbarbicati sulla Rocca Gucciarda, uno scoglio affiorante in mezzo al mare, ma nove di essi non ce l'hanno fatta: sono scivolati stremati in acqua, in gran parte ragazzi e ragazze di 18-20 anni.
Sono morti sicuramente in quattordici, forse quindici, nove uomini e cinque donne, e tra queste una ragazzina, ne hanno recuperati vivi 92, un'altra decina di immigrati sono riusciti probabilmente a fuggire a piedi dopo avere raggiunto la costa, approdando sulla spiaggia davanti il ristorante la Playa, sotto gli occhi incuriositi di decine di avventori che a mezzanotte e mezza stavano consumando gli ultimi scampoli di una cena.
È finita in tragedia, l'ennesima, una giornata record per l'immigrazione clandestina nel canale di Sicilia: la carretta del mare è affondata alla fine di un vero e proprio assalto alle coste siciliane, dove sabato scorso sono sbarcati oltre 250 clandestini tra Lampedusa, Pantelleria e il litorale trapanese in cinque diversi approdi.

Sono tutti liberiani, tranne lo scafista, arrestato insieme ad un altro immigrato: entrtambi avrebbero fornito notizie utili per risalire ai "commercianti di carne umana". Hanno raccontato di essere partiti su un mercantile da un porto del centro Africa, dopo avere pagato al racket la quota rituale del viaggio della speranza. In mezzo al canale di Sicilia, a sud di Lampedusa, sono stati trasferiti sul barcone di dieci metri, stipati come sardine mentre la prua correva veloce sulle onde ferme di un mare insolitamente calmo, carezzato dalla brezza di fine estate. Accanto a loro altre due barche, con centinaia di clandestini, hanno confermato che quella di sabato era un'operazione in grande stile, che aveva fruttato al racket migliaia di dollari.
Ma se le altre due imbarcazioni hanno raggiunto Lampedusa nel pomeriggio, la terza ha sbagliato rotta, puntando dritto sulla costa siciliana. Dopo oltre cento miglia percorse in mare aperto le luci di Porto Empedocle hanno rincuorato i clandestini intorno a mezzanotte, lo scafista ha deciso di fermarsi a duecento metri dalla costa in attesa del momento favorevole per lo sbarco, la notte era limpida, il mare tranquillo. Improvvisamente è venuto giù l'inferno, un fortunale che ha scaricato sulla costa pioggia e grandine investendo in pieno il barcone. Tra gli immigrati assiepati all'inpiedi nell'imbarcazione è esploso il panico, raffiche di vento e pioggia hanno investito i passeggeri, un movimento incauto ha fatto ribaltare la barca, e il carico umano è finito in acqua tra panico, urla, e invocazioni di aiuto. Una metà circa è rimasta appesa ai legni della barca, altri quaranta si sono abbarbicati su uno scoglio affiorante, parte terminale di una secca dove il fondale non è più profondo di sei metri, una decina ha iniziato a nuotare verso la riva, lontana solo duecento metri. Hanno atteso lì l'arrivo dei soccorsi, ma qualcuno, stremato, ha mollato la presa ed è finito in mare.
Le fotoelettriche delle motovedette della Finanza e dell'elicottero del Sar dell'aeronautica militare di Trapani hanno illuminato alle tre di notte un tappeto di cadaveri: due erano intrappolati nel barcone, altri due galleggiavano poco lontano, nove giacevano attorno lo scoglio, sotto gli occhi terrorizzati di quaranta uomini, donne e ragazzini ancora appesi alla roccia. Elicotteri e motovedette hanno pattugliato la zona per tutta la giornata, i racconti dei superstiti, come spesso capita, descrivevano scenari apocalittici, con 150-160 persone a bordo e, quindi, un numero impressionante di dispersi. L'ulteriore allarme si è ridimensionato a metà giornata, la contabilità dei morti si è fermata a 14, dispersi vengono ritenuti ormai solo quelli che hanno raggiunto la costa a nuoto, riuscendo a fare perdere le proprie tracce sulla terraferma. Fermate per il buio intorno alle 20 di ieri sera, le ricerche riprendono stamane all'alba.


Il tasso di sfiducia
Giuseppe Berta su
La Stampa

La disputa sul tasso italiano d'inflazione, che ha riacceso il confronto politico e sindacale di quest'ultima estate, appare retrospettivamente una di quelle controversie che non sono destinate a risolversi. I calcoli dell'Istat, le precisazioni tecniche e le proposte di modificare la composizione del paniere utile a valutare le variazioni dei prezzi al consumo non sono riusciti a piegare il giudizio che numerosi italiani hanno ritenuto di essersi formati per proprio conto, attraverso la loro percezione ed esperienza.
Ha avuto certamente ragione chi ha invitato a soffermarsi sulla dinamica dei prezzi che caratterizza alcuni beni e che non risulta influenzata né dall'introduzione dell'euro né dalla contingenza estiva. Ma, d'estate, l'opinione dei consumatori tende a essere plasmata soprattutto dal valore dei servizi di cui si usufruisce per le vacanze e non c'è dubbio che molti italiani si siano rafforzati nella convinzione di aver dovuto subire dei rincari.
In particolare, nell'enfatizzare il rischio dell'inflazione, ha pesato la sensazione di aver comunque dovuto scontare un comportamento, da parte di non pochi operatori ed erogatori di servizi, che ha puntato, per così dire, alla massimizzazione delle utilità a breve. In altre parole, coloro che hanno potuto hanno cercato, facendo leva sul cambio della moneta, di avvantaggiarsi elevando prezzi e tariffe, là dove è meno stringente il vincolo della concorrenza.
Essi hanno mostrato in questo modo di voler speculare sulla rendita di posizione di cui godevano almeno in via temporanea, creando i presupposti di quella che è stata chiamata la "bolla inflazionistica". Non ha tuttavia molto senso biasimare quest'attitudine speculativa in astratto senza tentare di comprenderne i motivi. E, a ben guardare, la determinazione a massimizzare il proprio utile immediato, senza considerare le conseguenze che questo atteggiamento potrà portare in un arco di tempo più lungo, tradisce un buon margine di sfiducia e di insicurezza.
È come se una parte di italiani, preoccupata da un ambiente economico di cui avverte la precarietà e sentendosi minacciata dal futuro, avesse cercato di capitalizzare quanto più gli riusciva, per accumulare un fondo difensivo del quale potersi avvalere domani. Osservata in controluce, anche la discussione sull'inflazione rivela uno dei mali e delle criticità di cui soffre maggiormente la società italiana, che non dispone di un'immagine del futuro cui potersi affidare con qualche fiducia.
Prevale il profilo di un Paese invecchiato nella sua struttura sociale e che si sente assediato da questioni (dalle pensioni alle politiche del lavoro e delle migrazioni) che non giungono mai a un approdo ben definito. Nell'assenza di un progetto collettivo nel quale ritrovarsi, quindi, finiscono spesso con l'emergere comportamenti opportunistici o all'insegna di un individualismo strumentale.
Questo disagio rappresenta, in fondo, il segno più evidente della difficoltà della politica, che non ha saputo fin qui tracciare un credibile percorso di sviluppo e di convivenza civile, in cui possano combinarsi gli interessi dei singoli con quello collettivo.


La Svezia si riaffida ai socialdemocratici
Francesco Battistini sul
Corriere della Sera

STOCCOLMA - Schröder può respirare. Se davvero questo elettorato svedese può anticipare che cosa sarà di Berlino fra una settimana, la sentenza è scritta: il vento del Nord non è solo quello delle destre. E la Svezia, storico castello della socialdemocrazia, è diversa dalla Norvegia, dall'Olanda, dalla Danimarca, perfino dall'Irlanda e dal Portogallo conquistati mesi fa dai conservatori. Al governo più o meno da settant'anni, il centrosinistra rimane dov'è. E il walhalla , il paradiso del potere scandinavo può attendere fino al 2006 i moderati, che stavolta ci speravano proprio. Le cifre dei primi exit poll sembrano indiscutibili: 53,2% alla coalizione socialdemokraterna del premier Göran Persson, 43,2% al blocco del centrodestra. Una forbice ben più larga di quanto prevedessero i sondaggi. "Un successo fantastico", ha commentato ieri il leader socialdemocratico.

I RECORD SVEDESI - Morire socialdemocratici, è dunque la scelta della Svezia. Che trova qualche buona ragione nelle cifre d'una nazione fra le meno corrotte del pianeta, seconda solo all'Australia nelle classifiche di Transparency International, e che ha la più bassa percentuale al mondo di poveri, non fa una guerra dai tempi del Congresso di Vienna, detiene il record mondiale (43%) di donne in Parlamento, campa con un'aspettativa media di vita fra le più alte della Terra. I deputati qui guadagnano 5 mila euro (lordi) al mese e viaggiano solo in tram. I ministri prendono 9 mila euro al mese (contro i 13 mila dell'Italia), e in più versano la metà in tasse, non hanno abitazione di servizio, né indennità e usano l'auto blu solo in casi eccezionali. Alla larga dalla Nato nonostante il sostegno alle missioni nei Balcani e in Afghanistan, il governo Persson è riuscito a traghettare gli svedesi lontano dalla crisi degli anni 90: la disoccupazione resta al 4%, un dato quasi fisiologico in un Paese dove un abitante su cinque è immigrato, l'inflazione è al 2,2. E una grande opera, il ponte di Oresund che dal 2000 porta le auto in Danimarca e ha fatto decollare la Medicon Valley, la vallata della medicina d'aziende biotech, quel ponte è stato la celebrazione d'una rinascita economica. I giganti delle telecomunicazioni (Ericsson) e dei motori (Volvo, Saab) non hanno fatto mancare il sostegno al centrosinistra, cinque giorni fa, quando la Confindustria scandinava s'è pronunciata contro il centrodestra.
IL FLOP DEI MODERATI - Senza fantasia, sull'altro fronte, i moderati non hanno saputo cavalcare un certo malumore, come seppe fare Carl Bildt nel '91, né ravvivare il refrain "non è più la Svezia d'una volta": un sistema sanitario che era considerato il migliore al mondo e in trent'anni, classifica Oms, è precipitato nel rapporto spesa-qualità dietro il Portogallo, la Grecia, la Spagna e (scandalo!) perfino l'Italia; stipendi bloccati da tre anni; un sistema fiscale asfissiante, con 5 mila euro d'imposta all'anno sugli appartamenti in periferia e tasse dal 51% in su. L'immigrazione, specialmente: quando il leader liberale Lars Leijnborg ha chiesto un test obbligatorio di svedese per tutti gli stranieri, in un mese è passato dal 4 al 13,3%. La Svezia multirazziale e tollerantissima, dov'è possibile trovare capilista in chador come la studentessa Zahra Al-Mosawi, candidata dei verdi per le comunali di Stoccolma, dall'11 settembre sta cambiando pelle. Uno choc è stata la scoperta d'una cellula di Al-Qaeda e addirittura d'una sede di Al-Barakat, il braccio finanziario di Bin Laden. Per non dire del caso di Kerim Chatty, svedese d'origine tunisina che il 29 agosto è stato scoperto armato su un volo Stoccolma-Londra, pare pronto a un attacco kamikaze sull'ambasciata americana. "Arriva di tutto, servono più controlli", ha tentato di dire Leijnborg, unico sorridente nel centrodestra e aspirante leader al posto del bolso Lundgren. Il "leone" Leijnborg è amico di Rutelli, è favorevole all'immigrazione e sta ben attento a non farsi confondere con Bossi, tantomeno con Le Pen.
NESSUN SEGGIO AI NAZISKIN - L'unica consolazione per i moderati, è d'essere riusciti a tenere fuori le teste rasate. Che inchiodate al 2%, col loro Fronte nazionalsocialista, ieri si sono sbizzarrite nel sud di Karlskrona in un carosello di ronde per "impedire la frode elettorale". Hanno portato un servizio d'ordine di naziskin tedeschi, si sono scontrate con la polizia, hanno minacciato centinaia d'extracomunitari ("lasciate la città, è meglio"). Una novità anche questa, per gli svedesi. A sistemare i giovanotti, hanno provveduto gli elettori. E il gelido commento d'un liberale che ieri sera stava in tivù per commentare i risultati: "Abbiamo bisogno di più voti, non di più cretini".


Delirio Ferrari, Monza in rosso
Cristiano Chiavegato su
La Stampa

L'interrogativo rimarrà ai posteri, forse alle memorie del presidente Luca Montezemolo o di Jean Todt. La Ferrari ha lasciato vincere Rubens Barrichello, per garantirgli il secondo posto in classifica nel Mondiale? Il direttore della squadra corse di Maranello lascia pochi dubbi: "Quello era il nostro principale obiettivo". In ogni caso il brasiliano ha disputato una delle sue gare più belle, sempre all'attacco, con un sorpasso da manuale su Montoya al 5° giro e una serie di passaggi fulminei che gli hanno consentito anche di stabilire il miglior tempo sul giro, record a Monza. A Schumi un altro primato, quello dei punti conquistati in un singolo campionato. Lo scorso anno ne aveva accumulati 123, ieri è arrivato a quota 128. E avrà ancora la possibilità di allungare nelle due corse che restano da disputare. Ross Brawn, tornato sul ponte di comando ai box dopo la breve assenza di venerdì per un leggero infortunio alla schiena, ha attuato una doppia tattica che ha tramortito i rivali. Barrichello con una strategia di due pit-stop per essere molto veloce in avvio, Schumi con una sola sosta. Anche la Williams ci aveva pensato, caricando meno benzina nel serbatoio della monoposto di Montoya e più carburante in quella di Ralf. Tutto inutile, visti i fatti. E soprattutto vista la maggiore velocità delle F2002. Ogni cosa calcolata al millimetro. I tecnici ferraristi hanno anche preparato una messa a punto particolare: meno carico aerodinamico per poter effettuare i sorpassi. Insomma una sfida vinta a tavolino e in pista. Si era detto, dopo lo straordinario risultato nel Gran Premio del Belgio, che la Ferrari avrebbe dato ancora spettacolo per il proprio pubblico. E la gente, venuta a Monza, ha assistito a una corsa a senso unico, alle settima "doppietta" di questo campionato, con le rosse in passerella. Un compito facilitato dall'affanno in cui sono piombate Williams e McLaren. Il supermotore presentato dalla Bmw in qualificazione è servito soltanto ad aumentare la suspense, ma alla fine, quando si è trattato di fare i conti, il team è rimasto a bocca asciutta. Fra l'altro Ralf Schumacher e Juan Pablo Montoya, separati in casa, si sono disturbati a vicenda. Non parliamo poi di Raikkonen e Coulthard, costretti a inseguire senza mai avere una sola chance di inserirsi nella lotta per il podio. Alla fine la crisi delle due squadre di vertice ha aperto la strada ai comprimari. Ha premiato la Jaguar (in netto progresso, tanto da far ritrovare il sorriso a Niki Lauda, n. 1 del team anglo-americano) e a Eddie Irvine. L'irlandese, quasi 37 anni, ha conquistato il terzo posto con una prova determinata, come già lo scorso anno a Montecarlo. Un discorso a parte merita anche Jarno Trulli, quarto, dopo essere partito dall'ultima posizione, perché il motore della sua Renault ha fatto i capricci nel giro di schieramento. L'abruzzese non si è perso di coraggio ed ha guidato come sa fare, il volante fra i denti, conquistando i suoi primi punti a Monza dove era sempre stato sfortunato. Per la squadra francese di Briatore una bella boccata d'ossigeno, visto che anche Button stavolta ha tagliato il traguardo, 5°. E premio di consolazione per un altro veterano, Olivier Panis, sesto con la Bar, largamente davanti al più titolato compagno di squadra Villeneuve. La Ferrari che domina, che vince troppo, che forse comincia a dare fastidio al boss Ecclestone, si è vista sigillare il motore "evoluzione" usato sabato sulla vettura di Schumi in qualificazione. Verrà esaminato oggi dai tecnici Fia a Maranello. Ma - dicono i tecnici del Cavallino - si tratta di un'operazione di routine che si attua almeno una volta alla stagione, per tutte le squadre. E si pensa al futuro: da domani prove al Mugello con Badoer e Burti. Giovedì e venerdì ci sarà anche Schumacher. Lavoro per le prossime due gare, ma c'è da scommettere che sulle F2002 ci sarà già qualcosa di speciale per il 2003.


   16 settembre 2002