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Roma, piazza San Giovanni
14 settembre 2002

14 settembre  foto AP

Uno speciale di
la Repubblica


La piazza più grande dice 'no' alla svendita della democrazia
Redazione on line de
l'Unità

Piazza San Giovanni è un tripudio di colori. Il rosso troneggia, ma ci sono tantissime bandiere, di movimenti politici, associazioni sindacali, di opposizione civile. Ad aprire la giornata è il regista Nanni Moretti. Sale sul palco, un'ovazione esplode dalla piazza. «Berlusconi? Non è contro la democrazia, è estraneo alla democrazia, perché non la conosce e non la capisce e la considera una cosa che gli fa perdere un sacco di tempo».
Inizia così l'attacco alla maggioranza di governo, alla legge Cirami, a un centro-destra succube degli interessi dei padroni. Compreso Fini di cui Moretti dice: «L'avevo soppravvalutato moralmente, e l'ho sottovalutato politicamente». «Vorrei chiedere a Fini – ha detto il regista - a cosa è servita tutta una vita spesa per la politica per poi diventare, non il numero uno, ma uno dei tanti signorsì di Berlusconi?».
Non va tanto per il sottile Moretti, ma gli applausi che sottolineano il suo intervento sanciscono il fatto che la piazza è con lui. E anche quella parte di piazza formata da elettori del centro-destra «pentiti». «Ci sono almeno due motivi per i quali diamo fastidio al governo», ha continuato il regista. «Il primo perché abbiamo dato fiato, coraggio ed energia alla sinistra e al centrosinistra, e il secondo perché siamo riusciti a parlare con una parte dell'elettorato del centro-destra, a quegli elettori meno pigri che pensano che i principi fondamentali della democrazia riguardino tutti».

Come ha sottolineato Rita Borsellino, sorella del magistrato ucciso nella strage di Via D'Amelio. «Temo il silenzio dei giusti» ha detto ringraziando la piazza, testimone della volontà di battersi contro chi oltraggia la giustizia e contro la mafia, e attenta a ricordare la lotta di Falcone e del fratello contro cosa nostra.
Le note musicali degli artisti presenti, Avion Travel, Luca Barbarossa, Roberto Vecchioni, accompagnano gli interventi dei rappresentanti delle organizzazioni presenti. Come quello di Emergency, fondato dal chirurgo Gino Strada, che porta l'attenzione e il sostegno della piazza sul tema della guerra. La gente è con lui e glielo dimostra salutandolo con un'ovazione. «Più di 30 guerre insanguinano il pianeta – ha detto Strada - ed è dimostrato che il 90 per cento dei morti sono civili, e di questi il 30 per cento bambini». L'articolo 11 della Costituzione ripudia la guerra ma nonostante tutto «il nostro governo ci sta conducendo per la terza volta in pochi anni, al massacro». Ma tutti noi possiamo opporci.
Strada lascia spazio ad altri interventi, come quello di Veltri che legge una pungente invettiva di Paolo Sylos Labini contro il governo di Berusconi. Furio Colombo invece è l'unico a ricordare le parole che l'ex presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, ha rivolto ai manifestanti: «Se potessi esserci - aveva detto l'ex presidente - sarei lì per dire grazie, grazie, grazie».

La manifestazione intanto è quasi arrivata al termine, mentre gli interventi rimasti accompagnano il popolo dei girotondini verso la fine di una giornata, destinata ad entrare nella storia dell'opposizione civile.


"Berlusconi impari da noi che cosa è la democrazia"
Il discorso di Nanni Moretti a piazza San Giovanni
su
la Repubblica

ROMA - "Berlusconi non è contro la democrazia, lui è estraneo alla democrazia e potrebbe impararla almeno in parte da noi della sinistra". Nanni Moretti conclude il suo discorso (25 minuti) in piazza San Giovanni con un attacco diretto al presidente del Consiglio: "E se domani, quest'uomo che ogni giorno offende metà degli italiani, dovesse diventare presidente della Repubblica, se Berlusconi andasse al Quirinale e io mi rendessi conto di non aver fatto nulla per impedirlo, quel giorno mi vergognerei di me stesso". Finisce di parlare con la sua maglietta rossa da solo sul grande palco sommerso dall'applauso della piazza. Un linguaggio diverso dal solito dei politici, ma un discorso tutto incentrato sulla politica, con qualche concessione alle battute, ma indubbiamente efficace.

Parte dai "girotondini" che hanno riempito piazza San Giovanni: "Noi cittadini possiamo fare politica, farlo con piacere, ma soprattutto uniti: perché noi oggi, qui, siamo tutti uniti. Siamo moderati - ha detto -, non passivi. Semplicemente abbiamo scelto di non abituarci al peggio, a vivere nell'assuefazione". Poi la difesa della Costituzione: "Ci piace la Costituzione e siamo rimasti perplessi quando l'abbiamo vista calpestare e siamo andati in piazza per difenderla. Non ci siamo rassegnati".

Moretti si è rivolto più volte agi elettori di centrodestra sia quando ha ricordato che questo movimento è riuscito a parlare con loro sia quando ha detto: "Hanno votato Berlusconi inseguendo un sogno e si sono svegliati in un incubo". Poi, quasi collegandosi a un cartello che diceva "Fini, di' qualcosa di destra", ha attaccato direttamente il presidente di An e vicepremier: "Nella mia ingenuità io pensavo che Fini avrebbe detto una cosa autonoma da Berlusconi... Almeno lui, pensavo, il senso dello Stato ce l'ha. Non avevo capito niente. Fini ha solo sfruttato Berlusconi: io l'avevo sottovalutato politicamente perché l'avevo sopravvalutato umanamente".

E' il punto in cui esce di più il Moretti attore. La battuta su Berlusconi è detta col tono tipico di certi film del regista romano: "Berlusconi ha definito 'disdicevole' questa manifestazione. Disdicevole? Ma come parla... ma come parla. E poi ride... e più è insicuro e più ride".

Poi, dopo aver ricordato i temi della manifestazione (giustizia, scuola, sanità) e aver fatto autocritica "per il colpevole silenzio sulla legge Fini-Bossi", la parte forse più attesa del discorso: quella rivolta ai leader del centrosinistra. "Discutiamo - ha detto Moretti - discutete di cose concrete: di politica, di guerra e di pace, di referendum, dei diritti dei lavoratori, ma non perdete più tempo a fare i capricci e in personalismi inutili". I girotondini, ha detto Moretti "continueranno a delegare ai partiti, ma la nostra delega non sarà sempre in bianco".

"E la prossima volta - sono le ultime parole prima della chiusa su Berlusconi al Quirinale - che la sinistra avrà un'occasione, occasione che capita una volta in un secolo, ricordatevi di fare una legge sul conflitto d'interessi, una legge antitrust, una legge sulla scuola, dei provvedimenti sulle cose che interessano davvero i cittadini".


La festa della democrazia
Eugenio Scalari su
la Repubblica

NEI giorni precedenti sul "girotondo" di ieri si è detto e si è scritto: "Molto dipenderà dal numero delle presenze, dall'intensità della rabbia e anche dell'allegria unite insieme. Il resto, il senso e gli obiettivi della manifestazione, sono chiari e c'è ben poco da aggiungere". Così ha detto Nanni Moretti e così, più o meno, hanno ripetuto i commentatori che si sono espressi sui giornali e gli esponenti dei partiti. Bene. Ieri il numero delle presenze è stato imponente, ne aspettavano 100mila, ne sono arrivati, dicono gli organizzatori, otto volte di più. Non s'era mai vista una moltitudine di queste dimensioni per una manifestazione autoconvocata, senza neppure l'ombra d'una organizzazione e di una struttura alle sue spalle. E c'era anche molta rabbia e molta allegria. Domenica scorsa avevo parlato di sberleffo rievocando la pernacchia del grande Eduardo. Ieri la pernacchia, anzi il pernacchio, ha echeggiato come un tuono nelle lunghe ore di piazza San Giovanni, all'indirizzo di Berlusconi, di Previti, degli "avvocaticchi", degli incompetenti lacchè che affollano i banchi della maggioranza e le poltrone del governo. Ma non è vero che il resto è già tutto chiaro. Sul resto anzi c'è molto da dire: sul senso, sugli obiettivi e sugli effetti di questa inaspettata e sconvolgente giornata politica.

Perché ecco la prima osservazione da fare sul 14 settembre: non è stato, come qualcuno vaticinava, il giorno dell'antipolitica ma, al contrario, il giorno in cui la politica è tornata con prepotenza e passione a dire la sua. Si dice: la politica si fa in Parlamento. Certo, ma non soltanto. Si è fatta politica nelle piazze, si fa con i sondaggi, si recita ogni giorno in televisione e sui giornali, circola col passaparola, vivifica associazioni, circoli, sindacati. Soltanto chi si astiene e si ritira dalla lizza, chi si compiace della propria indifferenza e del proprio rifiuto, passa nel campo dell'antipolitica. Perciò il primo significato della giornata di ieri è quello di un vigoroso ritorno in campo di moltissimi che per le ragioni più varie si erano tirati indietro. Ebbene, non è questa una data di festa della democrazia? Va detto che un fenomeno in qualche modo analogo anche se colorato d'opposte motivazioni si verificò otto anni fa e si ripeté nel maggio del 2001 con l'arrivo in campo di Berlusconi e l'invenzione di Forza Italia.

I piccoli imprenditori, i padroncini, i titolari delle partite Iva, si erano stancati di consegnare il voto e un passivo consenso alla Dc, serbatoio tradizionale per quarant'anni del ceto medio italiano; decisero di rappresentarsi da soli e delegarono quello che sembrava essere uno di loro. Infatti lo era nei difetti (molti) e nelle virtù (poche). Ma poi, per governare, ci vuole una squadra preparata, affiatata, pervasa da una cultura di legalità e di senso dello Stato. Questi requisiti non c'erano e il Paese è stato consegnato ad un'armata Brancaleone. Il senso del 14 settembre è analogo nelle forme ma opposto nella sostanza: ritorna a far politica chi l'aveva nel sangue e se ne era allontanato per delusione e sconforto. Con quali effetti sull'andamento della vita pubblica? Questo mi sembra il punto da chiarire.

Erano partiti dalla legge Cirami, quella sul "legittimo sospetto", fatta - dichiaratamente - su misura per bloccare i processi che vedono imputati tra gli altri Berlusconi e Previti per corruzione di magistrati. In realtà era chiaro fin dall'inizio che quella legge sciagurata, imposta nelle modalità e nel calendario dai bulldozer della maggioranza, era soltanto un esempio, il più recente e il più svergognato, dell'intenzione di piegare le istituzioni alla tutela di interessi privati dei detentori del potere. Di quell'intenzione, anzi di quella determinatissima volontà, si sono avute numerosissime prove in questi primi quindici mesi di governo Berlusconi. Risparmio l'elenco che tutti gli italiani conoscono ormai a memoria. Ma oggi la novità, e debbo dire una novità sconvolgente è che una moltitudine enorme di persone sono venute in piazza San Giovanni da tutta Italia per elevare una civilissima protesta in difesa delle istituzioni contro la prepotenza di pochissimi.

Ci sono buone ragioni per supporre che con quella piazza consentissero anche molti elettori del centrodestra. Chi riteneva che il tema della legalità, dell'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, fosse riservato a ristretti gruppi intellettuali, dimostrava di non aver capito nulla dei sentimenti che si agitano nel profondo della coscienza pubblica di milioni di cittadini.

Da questa posizione iniziale alla difesa del sistema dei diritti dei cittadini e dei lavoratori il passo è breve ed è stato infatti rapidamente compiuto perché l'immenso girotondo di ieri era manifestamente simpatetico con le battaglie condotte in questi mesi dalla Cgil. Ma non solo con quelle. Esiste in democrazia un diritto alla verità e alla trasparenza che, specie nella politica economica del governo, è stato sistematicamente violato producendo conseguenze nefaste sull'economia e sulla finanza del Paese. Anche questo secondo motivo era ben presente nei discorsi e negli umori di piazza San Giovanni; si tratta di una tonalità aggiuntiva di grande peso politico.

Infine, terzo aspetto che ha connotato la manifestazione, l'ostilità contro la guerra, l'affermazione di un pacifismo che si appoggia alla martellante campagna del Papa, alla mite ma non arresa resistenza del segretario dell'Onu contro il "pressing" di Bush e all'intransigente "no" di Schroeder e della socialdemocrazia tedesca. Qui, su una questione così capitale, il discorso si fa necessariamente molto complesso: mette in gioco questioni morali, la condanna del terrorismo che è ormai uno dei mali più gravi del secolo, il rapporto delicatissimo tra Occidente e Islam e, all'interno dell'Occidente, tra America ed Europa. Una piazza, per appassionata matura e numerosa che sia, non può darsi carico di un tema di questa natura e complessità. Ma può, anche su di esso, esprimere un sentimento e l'ha chiaramente manifestato facendo proprio l'appello di Abbado e quello di Gino Strada.

Sull'Ulivo gli effetti saranno notevoli perché se i delusi hanno deciso di tornare e di scendere in campo, lo fanno anche per decidere le scelte e i volti della politica. Credo che i dirigenti dei partiti dell'opposizione ne siano, a questo punto, pienamente consapevoli. Se ignorassero questo dato nuovo sarebbero ciechi e sordi. L'auspicio è che percepiscano invece con grande attenzione ciò che sta cambiando intorno a loro.


Moderati da barricata
Gian Antonio Stella sul
Corriere della Sera

ROMA - «Tutto potevo immaginare nella vita, meno che vedere Niccolai in eurovisione», disse un giorno Manlio Scopigno, «filosofo» del calcio ironizzando affettuosamente sul suo ruvido stopper al debutto in nazionale. E tutto poteva immaginare Federico Orlando meno che un giorno lui, vecchio liberale anticomunista e braccio destro di Montanelli, sarebbe stato osannato dai «rossi» in un delirio di bandiere rosse nella più «rossa» delle piazze «rosse»: San Giovanni. Figuratevi, lassù, come dev'essersi divertito il vecchio Indro, a vedere l'uomo che era stato il suo condirettore al Giornale e alla Voce chiamare l'applauso sventolando in maniche di camicia l'ultimo numero del quotidiano con quel titolone borrelliano: «Difendetevi, difendetevi, difendetevi!» E urlare contro i «trombettieri del regime». E spronare la folla a ribellarsi all'appello che viene dal governo: «Siate educati: imbavagliatevi». C'era perfino uno striscione nella moltitudine di bandiere, tra i poster del Che Guevara e gli applausi a Vittorio Agnoletto e i cartelli con scritto «Hasta la rogatoria siempre». Diceva: «Montanelli vive!».
E proprio lì, in quello spiritato impasto tra i generosi battimani a Orlando e Agnoletto, sta probabilmente il senso della grande manifestazione dei «girotondini». Che forse non hanno ancora le idee chiare sul «dove» andare e da «chi» farsi guidare e «come» poi governare in caso di rivincita. Ma su un punto giurano di averle già oggi chiarissime: «Berlusconi sta stravolgendo tutte le regole mettendo a rischio alcuni principi sacri». Nanni Moretti riassume così: «Molti lo hanno votato inseguendo un sogno e si sono ritrovati in un incubo».
«Silvio: dì qualcosa di legale!», gli fa eco un cartello portato da un ragazzo di Ravenna, facendo il verso alla famosa invettiva morettiana contro D'Alema. «Bella ggente! Me piasce quanno c'è la ggente che se riunisce, dibbatte, s'infiamma!», strascica il regista Pasquale Squitieri. Ma non era di destra? «Sì, certo, so' stato pure senatore. Ma mi piace la ggente quando si muove, se ci crede». «Ah bellooo!», gridano ad Aldo Busi. Si gira come la Wandissima: «Dovresti vedermi nudo».
Striscioni, cartelli, lenzuola di ogni genere. Uno strilla: «Pecoroni una volta, minchioni mai più!». Un altro sentenzia: «Succede ogni estate: i ladri agiscono». Un terzo accusa il «Governo Black Blocca» colpevole di mettersi di traverso a ogni processo. Un quarto ride della legge sul legittimo sospetto: «Legge Cirami: se la conosci la Pr-eviti». Molti portano la mascherina disneyana della «Banda Bassotti». Un signore tracagnotto gira con una maglietta che da lontano pare proprio quella inventata dal leader azzurro che sulla prime, con quella bandiera di traverso, fece dire a Vittorio Sgarbi che pareva «il logo di un olio per motori».
C'è scritto «Forza Mafia». Politicamente scorretto? Spallucce.
E' o non è una guerra in difesa della legalità e della «Costituzione uguale per tutti»? Allora avanti: sotto questo sole sfolgorante, c'è spazio per tutti. Per i moderati e gli irruenti, i sobri e gli infuocati. Per Giuliano Giuliani che chiede «almeno un dibattimento sui fatti di Genova» e invoca la giustizia perché «ci sono troppi Carli nel mondo!») e Gino Strada il quale dice che certo, ci mancherebbe, «l'11 settembre fu un atto di terrorismo ma lo furono pure il bombardamento dell'Afghanistan e l'embargo contro l'Iraq: per tanta gente è l'11 settembre tutti i giorni».
E poi per Rita Borsellino, la sorella del giudice (di destra) assassinato dalla mafia: «Grazie per avere rotto il silenzio. C'era troppo silenzio. Silenzio offensivo. Con troppa gente che omaggiava i morti per oltraggiare i vivi». Per Furio Colombo, che preso dall'entusiasmo si avvita in un ispirato e torrenziale sermone contro «questo capo di governo che regala orologi con diamanti come Bokassa». Per Pancho Pardi, il professore che per primo contestò la litigiosità e la remissività dell'Ulivo e ora intima ai deputati: «Non trattate sulle riforme istituzionali!». E chiude con la poesia di un suo amico dove la commozione per la gente in «piazza» fa rima con Berlusconi che «la democrazia l'ammazza».
E via con gli applausi al solo sentire i nomi di quelli che sono mischiati tra la folla: Sergio Cofferati (diluvio), Rosi Bindi (pioggia), Antonio Di Pietro (pioggerella), Dario Fo (acquazzone), Corrado Guzzanti (scroscio), Roberto Zaccaria (gocce)... Domanda ricorrente: «Ma quanti siamo?». Boh... «Una cosa è certa», risponde Paolo Flores d'Arcais sventolando una cassetta: «Questa è la registrazione della manifestazione del Polo nel 1998 in questa stessa piazza. Berlusconi disse allora che erano un milione. Viste le immagini siamo almeno il doppio». Risate.
«O siamo due milioni o Berlusconi, di cui conosciamo la sincerità, mentiva anche allora». In ogni caso, «la più grande manifestazione spontanea mai fatta in Europa!».



La scossa di San Giovanni investe anche il nodo Iraq
Stefano Folli sul
Corriere della Sera

La folla imponente di piazza San Giovanni ha creato il fatto nuovo che la sinistra depressa andava cercando da tempo. Il 14 settembre sarà ricordato come una data simbolica. C'erano stati, è vero, i cortei sull'articolo 18 guidati da Sergio Cofferati. Ma stavolta era diverso, nelle intenzioni degli organizzatori. Il «movimento» voleva dimostrare che non soltanto la Cgil è capace di mobilitare il popolo. Voleva convincere che esiste una società civile in grado di scendere in piazza nel segno di un'indignazione morale. Quindi non solo la difesa sindacale del posto di lavoro (appunto l'articolo 18), ma anche la «difesa della legalità» e della Costituzione. Speranza sottintesa: si tratta di temi suscettibili di scomporre il blocco sociale che ha permesso la vittoria di Berlusconi il 13 maggio 2001. Argomenti idonei a colpire la sensibilità del ceto medio. «Qui siamo tutti moderati, io stesso sono un moderato» ha ripetuto Nanni Moretti: «Con noi ci sono tanti elettori delusi di Forza Italia».
Quanto questo sia vero, al di là di qualche adesione episodica, andrà verificato.
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Ma ancora una volta i fatti sono chiari: in piazza i leader politici del centrosinistra erano pallide ombre e il sorriso sardonico di Moretti, quando qualcuno gli ha chiesto di D'Alema rimasto in Emilia Romagna, valeva più di un editoriale. In ogni caso da oggi «non ci saranno deleghe in bianco»: l'Ulivo e soprattutto i Ds sono avvertiti. La frattura tra i partiti e una certa fascia d'opinione tende ad approfondirsi, nel rifiuto dei «professionisti» della politica. Non sorprende che la vecchia coscienza di Vittorio Foa avverta la necessità di un appello all'unità.
L'unico personaggio che ha celebrato un autentico trionfo personale è stato Sergio Cofferati. Con ciò confermando che esiste un nesso logico, peraltro ovvio, tra la piazza del sindacato intransigente e la piazza della «legalità repubblicana».

Ieri, mentre Berlusconi a Camp David allineava l'Italia alle scelte americane sulla questione irachena, a Roma prevaleva una tesi opposta. Il no alla guerra risuonava nella grande piazza. E Gino Strada, il fondatore di Emergency, affermava che «Saddam Hussein non è peggiore di Bush». Se questa è la linea, l'opposizione avrà qualche difficoltà a sostenerla in Parlamento.


Sinistra e antipolitica
Federico Geremicca su
La Stampa

QUANDO sul nascere del 1994, accompagnato da truccatrici e kit per candidati, cieli azzurri e bandiere tricolori, Silvio Berlusconi fece il suo ingresso nel disastrato agone della politica di allora, da sinistra, dal centro e perfino da destra si sollevarono ironie e sorrisi di sufficienza.
Per alcuni osservatori e per non pochi leader politici, il berlusconismo nascente si candidava ad essere, fatte le ovvie differenze, null'altro che l'ennesima espressione di un fenomeno ricorrente: e cioè, il riapparire di quell'«antipolitica» che - dal Giannini dell'Uomo qualunque fino al Segni dei referendum ed al Di Pietro di Mani pulite - ha ciclicamente segnato, e non sempre con conseguenze irrilevanti, equilibri e processi politici in Italia.
Analoghe ironie e sorrisi perfino più accentuati hanno accompagnato la nascita e l'ingresso in campo anche del cosiddetto movimento dei girotondi, col suo corredo di registi e pacifisti, attori, attrici, sacerdoti e professori.
Attentissimo all'impatto mediatico di ogni propria iniziativa, irrituale nel linguaggio e nel messaggio assai semplificato, il movimento dei girotondi ricorda per molti aspetti quell'impetuoso riorganizzarsi di energie e ceti mortificati che fece da propellente prima alla vittoria e poi alla rivincita di Silvio Berlusconi.
Secondo molti, insomma, ci sono segni a sufficienza per catalogare anche questo movimento come una delle tante riapparizioni dell'«antipolitica», che torna in campo contro una politica in crisi di legittimazione.
E del resto, l'atto fondativo di questo composito movimento fu proprio la critica feroce che Nanni Moretti mosse in piazza Navona ai leader del centrosinistra: con questi dirigenti, accusò, non vinceremo mai più. Delle ironie e dei sorrisi che accompagnano oggi i girotondi sarà dunque meglio, per prudenza, riparlare tra qualche tempo.

Le immagini dei segretari dell'Ulivo spinti a fingere disinvoltura in una piazza non sempre amica, l'assenza di Massimo D'Alema (quasi equiparato a Berlusconi come esempio di cattiva politica) e perfino lo smarrimento dei militanti dei partiti tradizionali erano lì a testimoniare, ieri, come il girotondismo rappresenti, al momento, un problema più per l'Ulivo che per il centrodestra.
E' vero che dal ritorno delle piazze piene il centrosinistra potrà trarre forse linfa per future vittorie. Ma non sarà un lavoro facile. E non si tratterà, soprattutto, di un percorso indolore.
«Ci siamo un po' svegliati - ha avvertito ieri Nanni Moretti - e la delega ai partiti non sarà sempre in bianco». Il tempo della delega dipenderà da quanto l'Ulivo sarà in grado di cambiare. E da quante teste rotoleranno.
L'ultimatum, insomma, è lanciato. Tocca ai leader del centrosinistra valutare se accettare condizioni e tempi fissati dai girotondi di Moretti.


   15 settembre 2002