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L'Onu prepara l'ultimatum all'Iraq
Arturo Zampaglione su
la Repubblica

NEW YORK - Uomo-simbolo delle Nazioni Unite, premio Nobel per la pace e difensore d'ufficio dei trattati internazionali, Kofi Annan non si è fatto prendere di contropiede, ieri, dalla duplice sfida sull'Iraq lanciata da George W. Bush. Poco prima che il presidente americano invitasse l'Onu a imporre la sua volontà su Saddam Hussein ("per non diventare irrilevante") e che minacciasse un'azione unilaterale in caso di insuccesso diplomatico, Annan aveva ricordato che solo il Consiglio di sicurezza ha il diritto di approvare una offensiva militare.
"Quando gli Stati decidono che bisogna usare la forza per risolvere le minacce alla pace e alla sicurezza - ha spiegato il Segretario generale dell'Onu di fronte ai 190 membri dell'assemblea generale, ricchi e poveri, grandi e piccoli, dagli Stati Uniti alla Svizzera (che è l'ultima arrivata) - non esiste alternativa al processo di legittimazione offerto dalle Nazioni Uniti. Anche i paesi più potenti devono lavorare con altri, nel quadro degli organismi multilaterali".
Annan non voleva certo difendere l'Iraq: ha usato parole durissime nei confronti di Bagdad, accusata di snobbare le ispezioni dell'Onu e disobbedire sistematicamente alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza. Ma ha anche dato voce, dalla tribuna marmorea del Palazzo di vetro, a due opinioni molto diffuse, la prima in Europa, la seconda nel mondo arabo: ogni iniziativa di guerra contro Bagdad deve essere sancita dalle Nazioni Unite; la crisi irachena è solo seconda, in ordine di priorità, rispetto a quella tra israeliani e palestinesi.
Bush si è fatto convincere dell'esigenza di un coinvolgimento all'Onu prima di scatenare gli aerei, i missili e i soldati del generale Tommy Franks. Secondo la strategia messa a punto dalla Casa Bianca, il discorso del presidente di ieri ha posto le premesse "ideologiche" per una serie di iniziative diplomatiche. E il Segretario di Stato Colin Powell, ieri, ha avviato subito colloqui con altri membri del Consiglio di sicurezza.
La speranza di Washington? Che il Consiglio approvi entro due o tre settimane una risoluzione-ultimatum, imponendo a Bagdad il ritorno degli ispettori dell'Onu e ponendo le basi giuridiche - magari anche in modo ambiguo - per un intervento militare in caso di inadempienza irachena. Ma oltre alla Gran Bretagna, non sarà facile per gli Stati Uniti ottenere carta bianca da parte degli altri membri del Consiglio con diritto di veto (Francia, Russia, Cina), specie se Bush insisterà sulla necessità di estromettere Saddam Hussein.
L'osso più duro sarà quello russo. Finora Mosca si è detta contraria a un attacco contro l'Iraq, ma è stata anche molto severa nei confronti delle inadempienze di Saddam Hussein. Riuscirà Bush a convincere il suo "amico" Vladimir Putin? Che cosa gli dovrà dare in cambio? E che farà la Casa Bianca se il Cremlino dovesse rispondere che non ci sta? "Nel passato - ricorda l'ex-ambasciatore americano all'Onu Richard Holbrooke - la posizione di Mosca non è sempre stata la stessa".
Nel 1991, in occasione della prima guerra del Golfo, Mosca votò assieme agli Stati Uniti. Ai tempi del Kosovo chiarì subito la sua opposizione, ma non contrastò l'azione della Nato contro Slobodan Milosevic. L'Iraq ha reagito con aggressività al discorso di ieri di Bush. "Una lunga serie di bugie per nascondere l'assenza di ogni prova contro di noi", l'ha definito l'ambasciatore di Bagdad al Palazzo di vetro, Mohammed Aldouri.
In Europa, invece, i commenti sono stati più cauti, anche perché Bush ha annunciato il ritorno degli Stati Uniti all'Unesco, l'organizzazione culturale delle Nazioni Unite. A livello di politica interna americana, la duplice sfida di Bush all'Iraq è stata applaudita dal Parlamento. Ma i democratici, che controllano il Senato, hanno fatto capire di non aver fretta di "benedire" la guerra anti-Bagdad della Casa Bianca repubblicana. L'impressione è che non vogliano la discussione e il voto sull'Iraq prima di novembre, cioè prima delle elezioni per il rinnovo di tutta la Camera e di un terzo del Senato.


Leggi razziali, Fini chiede perdono come italiano
Marco Galluzzo sul
Corriere della Sera

ROMA - Ha smesso di chiedere scusa a nome del partito, dei post-fascisti, dell'eredità missina che ancora alberga fra alcuni militanti di An: "Sono nato nel 1952, si tratta di responsabilità nazionali, non individuali". Questa volta parla da vicepremier e chiede "perdono" a nome degli italiani, quegli italiani che "hanno una responsabilità per quanto accaduto dopo il 1938, dopo che le leggi razziali furono approvate. Una responsabilità storica, quella di riconoscere i dolori causati e di chiedere perdono". E lui per primo, in occasione di una visita che sembra ormai imminente, si dice pronto a farlo anche in terra d'Israele. Risponde così Gianfranco Fini, in una lunga intervista che sarà pubblicata oggi, al quotidiano israeliano Ha'aretz . Risponde dicendo che è pronto fare ammenda come italiano prima ancora che come leader della destra italiana, seguendo l'esempio della Germania per i crimini nazisti e del presidente francese Chirac per i crimini della Repubblica di Vichy. Risponde, non nasconde il giornalista Adar Primor, "come se l'intervista fosse una specie di esame" e augurandosi "che l'articolo fugherà finalmente i dubbi su questi temi".
Dubbi che però, almeno per la diplomazia israeliana, sembrano ormai essersi dissolti: "Fini ha già ricevuto un invito a visitare il nostro Paese - dichiara un alto funzionario del governo di Tel Aviv - ma non è ancora stata fissata una data". Altra nota contenuta nella lunga intervista, fonte del ministero degli Esteri israeliano: "A parte convertirsi e divenire ebreo ortodosso, non si vede quale altro passo debba fare Fini per avvicinarsi a noi". Suggello finale da parte del ministro Shimon Peres: "Fini ha già fatto molti passi avanti, e se venisse qui in ogni caso rappresenterebbe non il partito, ma il governo italiano, nostro grande amico".
E' forse il punto più alto del disgelo progressivo fra il leader di An e la comunità israelitica. Otto anni fa Fini affermava che gli ebrei avevano "il diritto morale" di dubitare dei post-missini, e dunque anche di lui. Oggi, dopo una serie di avvicinamenti, contatti, persino sintonie - diventate esplicite in occasione dell' Israel Day (applausi incassati da esponenti e militanti di An) - il dialogo a distanza è una realtà e alcune affinità politiche appaiono consolidate. L'intervista è forse il passo più importante in questa direzione.
Fini dichiara che nel suo partito non c'è spazio per gli antisemiti, "posso assicurare che non ce sono". Ammette che "nella periferia forse ci sono alcuni nostalgici, soprattutto fra gli anziani, ma la nostalgia non ha alcuno peso sulla politica del partito", che "tutti i deputati di An sono stati sempre presenti nell'aula parlamentare in occasione di commemorazioni che riguardano la Shoa e gli ebrei, e se qualche membro si fosse opposto sarebbe stato espulso il giorno dopo". Mentre sulla nuova ondata di antisemitismo che ha scosso l'Europa negli ultimi mesi si dice certo "che in Italia non esiste un pericolo come quello che è dilagato in Francia. A mio parere il vero pericolo viene da coloro che sostengono che Israele e il sionismo sono pericolosi per la pace, che conducono una politica volta a distruggere i diritti umani dei palestinesi. Oggi il vero antisemitismo, quello più pericoloso, è quello che si nasconde sotto le vesti dell'antisionismo".
Si ritorna sull'eredità di Mussolini. Al contrario di dieci anni fa Fini non lo definisce più "una grande statista", rintraccia in De Gaulle "il migliore modello" di leader che incarna i valori di una destra liberale e democratica. In quanto al Duce, "ha messo la democrazia fra parentesi, appartiene alla storia e la Storia ha già emesso la sua sentenza, chiunque crede nella democrazia lo vede ora sotto una luce negativa". Modelli italiani? "Non c'è ragione di ricercarne".
Il quotidiano israeliano chiede se il sostegno dichiarato da Fini ad Israele sia legato al fatto che lo Stato ebraico è guidato da un governo di destra: "Il nostro sostegno - risponde Fini - è per lo Stato e per il popolo di Israele. Sono convinto che oggi la sicurezza di Israele sia la sicurezza dell'Occidente e di tutti i popoli democratici. C'è chi si scorda, anche in Italia, che Israele è l'unica democrazia del Medio Oriente".
A due facce la reazione delle comunità ebraiche italiane. Il presidente Amos Luzzatto dichiara che "il percorso di Fini è abbastanza positivo, ma non lo stesso si può dire del suo partito. E poi Fini non è uno storico, è un politico. E da un politico io mi aspetto atti politici, invece le sue parole mi sembrano oscillare fra un atteggiamento accademico e un giudizio storico. Io avevo chiesto altro". "Apprezziamo totalmente. E il primo passo per il superamento delle diffidenze tra il suo partito e il mondo ebraico. Ora è però giunto il momento di verificare se queste dichiarazioni sono condivise dal partito", dichiara Paolo Foà, presidente del "Benè Berith" di Milano, la più antica e grande organizzazione umanitaria ebraica nel mondo.
Critiche invece dal centrosinistra: la Margherita parla di "pentitismo politico opportunistico", i Ds ricordano a Fini che "ci furono tanti italiani che si opposero al fascismo e pagarono prezzi altissimi".


"Apprezzo, adesso il partito lo segua"
Luzzatto: giuste scuse, ma non tutti gli italiani furono fascisti
Aldo Cazzullo su
La Stampa

Amos Luzzatto, lei è il presidente delle comunità ebraiche italiane. Avrà apprezzato il passo di Gianfranco Fini.
"Apprezzo che Fini abbia ridotto ulteriormente la sua valutazione di Mussolini. Apprezzo che abbia riconosciuto che il fascismo calpestò la democrazia. Apprezzo che si sia detto pronto a chiedere perdono “come italiano”. Purché non lo faccia a nome degli italiani".
Perché? Non è il vicepresidente del Consiglio?
"Perché non furono gli italiani a perseguitare gli ebrei. Furono alcuni italiani. Altri si batterono in nostra difesa. Non tutti gli italiani sono stati fascisti. Ci furono coloro che sottoscrissero la Carta di Verona, che definiva gli ebrei nemici. E ci furono i partigiani. Fini chieda scusa a nome dei persecutori, non a nome di tutti. Altrimenti rischia di urtare, come dire, alcune suscettibilità".
Che cos'altro non apprezza?
"Il silenzio di Alleanza nazionale. Rivedo i miei appunti, le mie carte, e trovo: Fini ha detto, Fini ha dichiarato. E il suo partito, che fa? Tace, e a volte nei fatti lo contraddice. Io invece attendo che la direzione di An, non solo il presidente, chieda perdono. E da Fini, che è un politico, non attendo disquisizioni storiche, ma atti politici".
Quali?
"Ad esempio che si pronunci per l'ammissione della Turchia nell'Unione europea. Torno ora da Berlino, dove ho letto un articolo su “Die Zeit” contrario a questa prospettiva. Certo, la Turchia ha molte colpe. Ma non vorrei che lo stesso argomento usato oggi per tenerla lontana dall'Europa venisse riproposto domani per Israele".
Tutto qui?
"No. Mi attendo atteggiamenti politici educativi. Il recupero della cultura ebraica per farla diventare accettabile, accettata, normale. Il governo dovrebbe sollecitare la scuola, i media, l'università a fare di più".
Nell'intervista a "Haaretz" Fini esclude che in Italia ci sia un clima antisemita.
"Sbaglia. Certo non c'è un antisemitismo legislativo, giuridico, come nel '38. Ma c'è un antisemitismo culturale. C'è una cultura xenofoba e teologica ostile alle minoranze non cattoliche e non cristiane. Ci sono stereotipi e pregiudizi a cui occorre porre rimedio".
A dire il vero l'accusa di antisemitismo è stata rivolta negli ultimi mesi alla sinistra, ad esempio a Rifondazione e ai no global.
"I no global hanno detto cose inaccettabili su Israele. Ma la divisione che è stata fatta tra antisemitismo di destra e di sinistra è superficiale. Alla destra contesto la tendenza a equiparare il più possibile le sofferenze degli ebrei alle tante sofferenze della seconda guerra mondiale. L'“equiparismo”, oltre che un brutto termine, è storicamente e moralmente inaccettabile".
A destra c'è anche chi, come donna Assunta Almirante, rimprovera a Fini che "poteva farne a meno".
"E io che le dicevo? La cultura diffusa nel partito di Fini non è quella delle sue dichiarazioni".
Ora il viaggio del vicepremier in Israele è più vicino?
"Non lo so, e non sta a me pronunciarmi. Posso dirle questo: prescindo dall'analisi delle intenzioni. Non faccio psicologia politica".
Baget Bozzo sostiene che il governo Berlusconi è il più filoisraeliano della storia d'Italia.
"Baget Bozzo attraversa una fase in cui tende a dare giudizi drastici, indiscutibili, assoluti. Io ho dichiarato di condividere molti punti della politica estera italiana. Ma sono anche convinto che l'Italia possa e debba fare di più".
Che cosa può e deve fare l'Italia per Israele?
"Favorire la distensione con i palestinesi. In questo momento essere filoisraeliani significa agire per avvicinare Israele alla pace. Lavorare per la sua sicurezza, per dare agli israeliani una nuova vita senza terrorismo, senza inferno. Il problema è lo stesso, sul versante ebraico come su quello arabo: il riconoscimento reciproco".
Rimprovera qualcosa alla politica del governo italiano?
"Mi è difficile dare un giudizio globale. In Medio Oriente non è ancora radicata l'idea che Israele abbia il diritto di esistere. E nella società italiana è ancora radicata la diffidenza verso gli ebrei".
Si riferisce alla questione dei risarcimenti agli ebrei perseguitati da Salò?
"Questa è una vicenda emblematica dell'antisemitismo non più giuridico ma culturale. Nessuno nega formalmente i nostri diritti; ma ci troviamo di fronte a persone prevenute, a pregiudizi diffusi sul mercantilismo degli ebrei che vogliono sempre denaro, a una sottile ostilità fatta di rinvii, ostacoli, formalismi. Ci attendiamo risposte anche a questo".


E ora il legittimo sospetto rischia di spaccare il Csm
Redazione de
la Repubblica

ROMA - Il disegno di legge sul legittimo sospetto rischia di spaccare anche il Csm, l'organo di autogoverno dei giudici. Qualche giorno fa, in occasione dell'approdo del disegno di legge Cirami alle commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera, i sedici "togati" del Consiglio superiore della magistratura avevano chiesto che il Csm potesse esprimere un suo parere sul provvedimento. Il testo già approvato alla Camera introduce il legittimo sospetto sull'imparzialità del giudice tra le cause di trasferimento ad altra sede di un processo. La proposta, che è stata accolta proprio oggi dal Comitato di presidenza del Csm (composto dal vice presidente Rognoni, dal presidente della Cassazione Marvulli e il Pg Favara) è stata quindi trasmessa alla commissione presieduta dal togato di Unicost Wladimiro De Nunzio.
Una decisione che non è piaciuta ai laici del Polo, che considerano illegittima l'iniziativa e che hanno confermato l'intenzione di far mancare il numero legale quando la discussione arriverà al plenum del Csm. "Se la pratica arriverà in plenum, senza essere accompagnata dalla richiesta di un parere formulata dal ministro della Giustizia, così come prevede la legge, non parteciperemo alla discussione", ha annunciato il consigliere della Casa delle libertà, Nicola Buccico. L'unico interlocutore valido, sostengono i polisti, è il ministro della Giustizia. Al contrario si tratterebbe di una illegittima interferenza nell'attività del Parlamento.
Una tesi che, affermano i laici del Polo, si basa sulla normativa che regola la materia. E a sostegno della loro tesi citano l'articolo 10 della legge istitutiva del Csm e l'articolo 14 del regolamento dell'organo di autogoverno. "La normativa è chiara - spiega Giorgio Spangher, il laico di centrodestra che fa parte della commissione Riforma - interlocutore del Csm è solo il ministro. I poteri di iniziativa del Consiglio hanno ambito circoscritto e quello consultivo si esercita a richiesta. Dunque dare un parere su una legge non richiesto dal ministro della Giustizia significa interferire nell'attività del Parlamento".
E anche aver limitato la pronuncia del Csm alle ricadute che il disegno di legge Cirami avrà sull'organizzazione giudiziaria e sull'esercizio della giurisdizione non cambia molto i termini della questione. "L'interferenza con l'attività del Parlamento resta - attacca Spangher - visto che non si può parlare di effetti senza prendere in considerazione le premesse normative da cui derivano".


Pronti per il "girotondo": cantanti, attori, la diretta di La7 e 200mila 'no' alla Cirami
Redazione de
l'Unità

Saranno più di 200mila i manifestanti che sfileranno in piazza San Giovanni a Roma il 14 settembre, secondo le stime degli organizzatori. Pullman, treni speciali, oltreché macchine private, si stanno preparando per condurre i "girotondini" a Roma. Tutti insieme per gridare no alla legge Cirami "sposta processi", alla giustizia fatta su misura per il premier e i suoi e a un centro-destra che ha mostrato tutti i suoi limiti durante questo anno di governo.
Anche Monica Bellucci, l'attrice protagonista dell'ultimo film di Gabriele Muccino, ancora in lavorazione, avrebbe partecipato volentieri al girotondo: "Ho un impegno e non sarò a Roma - ha detto la Bellucci - ma sarei andata volentieri al girotondo se fossi rimasta qui". Numerosi saranno comunque le personalità dello spettacolo presenti a San Giovanni. Roberto Vecchioni, Luca Barbarossa, Fiorela Mannoia, Francesco De Gregori, Daniele Silvestri, Jovanotti, e gli Avion Travel solo per citarne alcuni del mondo musicale, che si esibiranno sul palco di piazza San Giovanni.
"Saremo più di 200 mila persone, ma non so quanti esattamente". Così la previsione fatta dal direttore di Micromega, Paolo Flores d'Arcais. Il docente lo ha annunciato a margine di un incontro con gli studenti dell'università La Sapienza, al quale hanno partecipato anche i giornalisti Michele Santoro, Curzio Maltese e il docente di filosofia Edoardo Ferrario. E il protagonista dell'incontro è stato proprio Michele Santoro, vittima, insieme a Enzo Biagi, del 'diktat bulgaro' del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi che ne ha reclamato l'oscuramento dalla Rai. I giornalisti della redazione di Sciuscià hanno deciso di realizzare volontariamente un reportage dalla manifestazione, che sarà diffuso da alcune emittenti locali.
"Giro Giro Tondo" è invece il titolo dello speciale news che l'emittente La7 dedicherà al meeting dei "girotondini" in onda dalle 14.30. Una no stop di quattro ore in diretta per raccontare l'evento con le voci, le immagini, i suoni e le opinioni critiche. Diretta che realizza la richiesta degli organizzatori, dopo il secco diniego ricevuto dal Cda della Rai.


Attacco a Baldassarre, "Il foglio" dà due pagine a Zanda
Sommario del
Corriere della Sera

ROMA - Palcoscenico inedito per l'ultimo atto del braccio di ferro tra il presidente della Rai, Antonio Baldassarre, e il consigliere Luigi Zanda (area Margherita): Il foglio di Giuliano Ferrara che ieri ha dedicato due intere pagine a un duro intervento di Zanda contro Baldassarre. Le accuse: inesattezze sul bilancio lasciato dalla gestione Zaccaria, un Consiglio mai messo nelle condizioni di votare i palinsesti autunnali, assenza di collegialità, eccetera. Oggi apparirà la risposta dello stesso Baldassarre e del direttore generale Agostino Saccà che ribattono punto per punto, ricostruendo la politica dei tagli e ribadendo con orgoglio il primato degli ascolti della Rai su Mediaset.
Ma ciò che ha stupito gli addetti ai lavori è stato, appunto, il palcoscenico. Perché Il foglio concede tanto spazio per un attacco a un vertice Rai che rispecchia l'attuale maggioranza? Ride Ferrara: "È vero, è stato Berlusconi a ordinarmi di alimentare la confusione nella Rai per favorire Mediaset... La verità è che qualsiasi giornale pubblicherebbe un'esclusiva così interessante. Un amico mi ha avvisato verso l'ora di chiusura e abbiamo deciso di pubblicarlo. Tutto qui".
Qualcuno ricorda certi sferzanti giudizi di Ferrara su Baldassarre nella rubrica delle lettere ("parla troppo"). Ma altri arrivano a diverse conclusioni. Dice Paolo Gentiloni, responsabile dell'informazione per la Margherita: "Nella scelta vedo il divertimento di un vero intenditore dell'informazione come Ferrara. Ma anche un certo isolamento politico nel centrodestra di Baldassarre". Insiste Giuseppe Giulietti, Ds: "Nei settori più aperti del centrodestra è ormai palpabile il fastidio verso il ticket Baldassarre-Saccà che applica una gestione bulgara al servizio pubblico e rischia di provocare disastri nel lungo periodo...".


D´Amato: da rivedere conti e misure della Finanziaria
Roberto Ippolito su
la Stampa

Presidente, deluso dal ministro dell´economia Giulio Tremonti? Il leader degli industriali Antonio D´Amato comincia a rispondere ricordando il quadro economico "molto complesso". Poi fa presente che la legge finanziaria per il 2003, da varare entro settembre, "deve essere la finanziaria della svolta". Quindi avverte che bisogna "rifare conti e misure". Insomma le cose non vanno bene.Si può pertanto parlare di delusione della Confindustria? Dalla riunione della giunta e dalla successiva conferenza stampa del presidente trapelano sia l´insoddisfazione per le più recenti scelte del governo di centrodestra guidato da Silvio Berlusconi sia una forte pressione per ottenere un deciso cambiamento di rotta e arrivare al taglio delle tasse all´insegna del binomio "rigore e sviluppo". La richiesta è precisa: l´Italia, come le aziende, deve "aggiornare il budget" ovvero rivedere le cifre del bilancio e adottare la strategia conseguente. Agli imprenditori che si riuniscono nel palazzone dell´Eur, risponde subito da Bruxelles il vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini. "Bisogna tenere conto dell preoccupazioni espresse da Confindustria - dice - ma per molti aspetti sono eccessive". Giugno non è stato un buon per le grandi imprese, il fatturato industriale è crollato su base annua del 7,7% rispetto al -2,1% di maggio, con un modesto +0,3 mensile; gli ordini sempre su base annua sono scesi del 4,8% con un -11,4 per il solo settore auto. Al governo si chiede di reagire con più determinazione. Con la riunione della giunta i malumori nei suoi confronti diventano ufficiali. Tanto da far ipotizzare una presa di distanza. Ma D´Amato puntualizza: "Come non c´è mai stato idillio, non c´è oggi uno strappo". E anche per Berlusconi vale la regola di misurare "il governo su cosa dice e soprattutto cosa fa". E ora, a più di un anno dal suo insediamento, naturalmente "quello che fa conta molto di più" dei propositi. Insomma viene chiesta una finanziaria "diversa". Ma diversa in cosa? Innanzitutto per il "rigore morale" che la deve animare e quindi per la consapevolezza di non aver completato il risanamento. Poi perché, sostiene D´Amato, bisogna "accentuare le liberalizzazioni, rilanciare le privatizzazioni, intervenire seriamente sulla spesa corrente, rilanciare le infrastrutture, attuare il Patto per l´Italia, investire nella scuola e nella ricerca". Pertanto, una miscela di risanamento e investimenti. E quando si parla di tagli alla spesa l´attenzione va alla previdenza, con il rammarico perché giace dimenticato in parlamento il disegno di legge delega frutto dell´intesa di un anno fa con le parti sociali: "Quello è sicuramente un punto di partenza. Nel frattempo la gente va in pensione". Quello delle pensioni è "un tema forte" da affrontare "con serietà e onestà". Il disappunto degli imprenditori è provocato in particolare da quella che D´Amato definisce una "scivolata incredibile": il blocco, ieri sospeso con un provvedimento tampone, deciso da Tremonti alla concessione del credito d´imposta, l´agevolazione diretta a stimolare l´occupazione nel Sud. Il presidente della Confindustria nota che "non si può pensare da un lato di proporre condoni e dall´altro lato di togliere i diritti e la certezza del diritto a chi ha avviato investimenti sulla base di impegni precisi dell´ordinamento". La conclusione è amara: "Il Sud di queste cose ne ha viste troppe. Se vogliamo attrarre investimenti il primo requisito è dire cosa si fa e poi farlo". Non mancano nemmeno le preoccupazioni sull´effettiva realizzazione del taglio delle tasse e sulle eventuali modalità. Gli imprenditori temono "interventi parziali e la "confusione". Fra l´altro, secondo D´Amato, il dibattito estivo sul fisco rivelerebbe la scarsa comprensione delle esigenze delle aziende: "Se il dibattito deve ridursi alla sinistra che dice che le imprese evadono le tasse e alla destra che dice che ne vengono pagate troppo poche, allora siamo fuori linea". La Confindustria invita a tener conto delle imprese che hanno basato i programmi sulle clausole della "dit", una tassa in via abolizione. Ai sindacati viene ricordato l´"imponente" e senza precedenti riduzione fiscale (5,5 miliardi di euro) da attuare per effetto del Patto per l´Italia. E vengono perciò sollecitati comportamenti "responsabili" per il rinnovo dei contratti, in sintonia con "la politica dei redditi" concepita nel luglio 1993 e dal tasso di inflazione programmata. Il suo livello per il 2003, pari all´1,4%, è però giudicato troppo basso dalla Cgil, dalla Cisl e dalla Uil; ma D´Amato osserva che "l´inflazione programmata è decisa dal governo" ed è sempre minore a quella tendenziale (e comunque è poi previsto il recupero dell´eventuale scarto tra obiettivo e dato effettivo). Più in generale per il sistema contrattuale (articolato in due livelli, nazionale e aziendale) viene considerata "ineludibile" la revisione. Ma D´Amato rileva che la riflessione nel sindacato non è chiusa ed è "inopportuno entrare ora nel merito". La questione, perciò, non influenza il rinnovo in corso di diciotto contratti.


Sciopero della spesa per 20 milioni di italiani
Gian Carlo Fossi su
la Stampa

Il 40% dei consumatori, circa 20 milioni, ha aderito ieri in tutta Italia allo "sciopero della spesa" proclamato dall´Intesa dei Consumatori, che comprende le associazioni del settore Adoc, Adusbef, Codacons e Federconsumatori. "E´ un grande successo - sottolinea l´Intesa - se si considera che è la prima volta che si realizza un´azione di protesta del genere contro l´ingiustificata impennata dei prezzi al consumo soprattutto nel campo dei generi alimentari". Al Sud si riscontrano le punte più alte di astensione con 50% a Catania, 48% a Bari e 45% a Napoli (caduta delle vendite fino all´80% negli esercizi non alimentari) contro il 38% a Roma, il 32% a Torino, il 30% a Bologna, il 25% a Firenze. A Milano si ha la punta più bassa con il 22%, anche a causa di una estesa disinformazione. "E´ un giorno come tanti altri - commentano in un grosso negozio in piazza San Babila - anzi abbiamo venduto qualcosa in più. Ci sono ancora parecchi turisti ben disposti all´acquisto". Anche nei bar milanesi nessuna sorpresa: "Forse abbiamo preparato qualche caffè in meno, ma nel complesso non penso che questo sciopero abbia registrato molte adesioni". C´è, però, nella metropoli lombarda pure qualche irriducibile consumatore protestatario: "Certo, ho aderito e spero proprio che questo tipo di iniziative possano sensibilizzare l´amministrazione e i commercianti su un problema che sta diventando esplosivo. E´ una questione di principio, tutto è aumentato in maniera eccessiva: prima, per esempio, il ticket per il parcheggio in centro è passato da un giorno all´altro da 6 a 9 euro. Ma che sono diventati matti?". A Roma, dove peraltro la partecipazione allo "sciopero della spesa" è stata sostenuta, nella grande distribuzione si è constatato un fenomeno particolare. "C´è solo - dicono al gruppo Gs - il 5%/6% di gente in meno, però è la propensione alla spesa che sta costantemente diminuendo, tutti i giorni, insieme al potere d´acquisto delle famiglie". Su questo sciopero il ministro delle politiche Agricole Gianni Alemanno ha detto: "Lo sciopero della spesa promosso da alcune associazioni di consumatori è una iniziativa molto forte che rischia di squilibrare il mercato perché non dà segnali di fiducia. Il problema dei prezzi va controllato con la realizzazione di Osservatori in cui abbiano il giusto spazio le associazioni dei consumatori".
Tra i vip che invece hanno aderito c´è il "sì" da Lino Banfi con una punta di ironia: "Ho detto a mia moglie di non fare nessuna spesa, anche perché io inizio la dieta... Ma lo avrei fatto lo stesso". Invece, una sconfortante ammissione da un paese della Calabria, Nardodipace, che da tanti anni detiene il primato del più povero d´Italia: "Per noi - dicono gli abitanti - lo sciopero della spesa non è una forma di protesta, ma un´esigenza quotidiana. Ormai da dieci anni siamo costretti a rinunciare agli acquisti ogni giorno". Comunque, in linea generale, il segno del successo viene confermato anche da 82 mila telefonate di sostegno ricevute in tutte le sedi delle 4 associazioni, da 30 mila messaggi via e-mail, da 335 mila messaggi sms raccolti e da migliaia di fax. Ed è giudicata "efficace e utile" una manifestazione di protesta attuata in mattinata a Piazza Montecitorio dall´Intesa insieme a Cgil, Confsal, Uil-pensionati, Ulivo, Rifondazione comunista e Verdi. A questo punto, afferma Elio Lannutti presidente dell´Adusbef, il governo deve ascoltare anche la voce dei consumatori, "mentre "finora è stato solo arrogante". Incalza il presidente della Federconsumatori Rosario Trefiletti: "L´iniziativa testimonia la volontà dei cittadini di dire basta a questi aumenti. Adesso bisogna fare accordi che portino vantaggi concreti alle famiglie, passando dalla denuncia a una fase di risposte.



   13 settembre 2002