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Ciampi: ricordare per difendere la civiltà
Marco Galluzzo sul
Corriere della Sera

ROMA - "La guerra al terrorismo omicida può rendere necessario l'uso della forza. E' stato così in passato, può esserlo in futuro. Negarlo è stupido". E' questo il passaggio principale del discorso di Gianfranco Fini, pronunciato ieri mattina a Palazzo Chigi, nel corso della cerimonia di commemorazione delle vittime dell'attentato dell'11 settembre a New York. Una cerimonia sobria, bandiere listate a lutto, picchetto d'onore passato in rassegna dal vicepremier e dall'ambasciatore americano Mel Sembler, un passo indietro il ministro per gli italiani nel mondo Mirko Tremaglia e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. Fini ha rimarcato la legittimità dell'opzione militare, senza mai citare l'Iraq, "ma con altrettanta convinzione" ha elencato gli insegnamenti che si possono trarre dalla tragedia di un anno fa: "La cooperazione internazionale, la concreta solidarietà verso i popoli, la tolleranza religiosa. Valori in cui non bisogna mai smettere di credere, indispensabili per non consegnare ai nostri figli un mondo di caos e terrore, essenziali per onorare appieno i caduti dell'11 settembre, per essere sicuri che, anche se la lotta al terrorismo continua, il loro sacrificio non è stato inutile".
Valori che possono consentire di guardare al futuro con ottimismo: "Oggi - ha aggiunto il vicepremier - l'emozione è ancora forte e il dolore non è svanito. Il pericolo terrorista non è stato azzerato. Eppure dobbiamo avere fiducia, la cooperazione internazionale contro il terrorismo si è rafforzata".
Ancora momenti di raccoglimento e commemorazione, ieri pomeriggio, nel cortile di Palazzo Giustiniani, per l'inaugurazione della mostra del Senato dedicata all'11 settembre. Il Presidente della Repubblica ha ricordato la sua giornata di un anno fa: "Mi ritirai nel mio appartamento e vidi mia moglie sconvolta davanti alla tv, era già stata colpita la prima torre e con sgomento e orrore vidi l'aereo colpire la seconda torre e trafiggerla da parte a parte, poi il crollo". Affiancato dall'ambasciatore americano Sembler e dal presidente del Senato, Marcello Pera, Carlo Azeglio Ciampi ha aggiunto: "Dalla mia coscienza non si cancelleranno mai quelle terribili immagini, né potrò mai rivedere Manhattan senza rimirare con gli occhi della memoria le due Torri gemelle. Ricordare l'11 settembre è la riaffermazione di un impegno preso a difesa della civiltà".
Chiaro il riferimento all'Iraq nel discorso di Marcello Pera: "Un anno fa, dicendoci tutti americani, prendemmo degli impegni. Per rispettarli dobbiamo prendere anche altre misure contro il terrorismo e contro quei paesi che tollerano o alimentano e favoriscono terrorismo e illegalità internazionale. Chi viola le leggi della pace internazionale deve pagarne le conseguenze. Credo che dobbiamo agire, dobbiamo evitare una divisione fra Europe e Stati Uniti". Parole di amicizia incondizionata verso il popolo americano che ritornano nel pensiero di Pier Ferdinando Casini: "Possiamo avere, anche sull'Iraq, punti di vista diversi, ma a nome di tutto il Parlamento italiano - ha detto ieri a New York il Presidente della Camera - sento di poter dire che non è in discussione l'amicizia del popolo italiano con quello americano".


L'Ulivo ai girotondi "E' l'ora dell'unità"
Redazione de
la Repubblica

ROMA - Per i "cento movimenti" del 14 settembre è il momento del massimo sforzo organizzativo e ideativo. Per il centrosinistra è il momento di saldare oltre ogni possibile polemica l'opposizione parlamentare e quella sociale: "C'è unità - ha detto Francesco Rutelli parlando della battaglia sulla legge Cirami - tra quelli che fanno i girotondi e quelli che vengono in Parlamento a dire la loro sul filo di convinzioni solide, giuridiche e costituzionali. Le discussioni che possono esserci tra di noi - ha aggiunto - sono piccolissima cosa rispetto a quelle nel centrodestra per la legge sull'immigrazione".
Archiviata senza distrazioni polemiche la mancata diretta Rai dell'evento, che per il capogruppo ds in commissione vigilanza Antonello Falomi è motivata da "volontà censorie del governo", i comitati organizzatori sparsi nel paese sono concentrati sulla messa a punto degli aspetti logistici: treni speciali, pullman, parcheggi, spazi per i disabili. Un aiuto arriva anche dai partiti: due computer e due telefoni sono a disposizione dei girotondini nella sede dei Democratici di Arturo Parisi a piazza Santi Apostoli.
La piazza si annuncia creativa e colorata: si vedranno nastri, coccarde, cappellini, t-shirts - e relativi slogan - in grande quantità e varietà. Le "girandole" milanesi distribuiranno appunto girandole formato mignon e formato maxi, grandi fino a 2 metri. Con una provocazione sicura foriera di polemica, "Democrazia offesa" ha invitato i manifestanti a lasciare una banana davanti all'ingresso del Parlamento prima di andare a piazza San Giovanni, per sottolineare la natura "dittatoriale" dei provvedimenti sulla giustizia.
Ma oltre il folclore, i movimenti riflettono sugli obiettivi della manifestazione. "Opposizione civile", associazione coordinata dall'economista Paolo Sylos Labini, ricorda che lo scopo della giornata del 14 non è "ribaltare la maggioranza di governo", ma "la difesa della democrazia liberale" e la capacità di parlare "a quanti hanno votato Berlusconi, ma sono preoccupati per le ferite inferte allo stato di diritto".
Intanto aumenta il numero di intellettuali e artisti a supporto: il disegnatore Altan, il narratore turco di origine curda Yashar Kemal, il compositore francese Pierre Boulez, i colleghi ungheresi Gyorgy Kurtag e Gyorgy Ligeti e lo scrittore Claudio Magris si sono aggiunti alle 19 personalità del mondo della cultura e dello spetattcolo - tra cui il maestro Claudio Abbado e i registi Marco Bellocchio, Roberto Benigni, Ermanno Olmi - che hanno già firmato l'appello alla mobilitazione di piazza per la giornata del 14 settembre. Un invito rivolto a "tutti coloro i quali credono nella democrazia, indipendentemente da una posizione di destra e di sinistra, e che non possono accettare quanto sta accadendo senza denunciarlo".


In Piazza Liberi e Moderati
Paolo Flores d'Arcais su
l'Unità

Berlusconi ritiene che la manifestazione di sabato prossimo a piazza S.Giovanni sia "disdicevole e assolutamente infondata". Sarà anche per questo che in ogni città e fin nel più piccolo paese la mobilitazione cresce - come direbbero i matematici - secondo ritmi esponenziali. Ormai è evidente che saremo almeno duecentomila, e se nei due giorni che restano la passione civile e la capacità di auto-organizzazione continueranno così (tanto per dare a Berlusconi la risposta che merita) il numero dei partecipanti diventerà incalcolabile.
Il Consiglio di amministrazione della Rai, tanto per fare da servizio pubblico, ha stabilito che la diretta della manifestazione è inopportuna perché la commissione di Vigilanza non ha ancora dettato norme precise in proposito. È più che giusto così: del resto si è trattato solo di un gesto di equità, poiché la diretta è stata rifiutata anche alla cerimonia dell'ampolla con acqua del Po officiata dal senatore Bossi. Finirà che questo atto così equanime spingerà altre migliaia di cittadini, magari incerti fino all'ultimo, a venire a Roma a piazza S.Giovanni di persona, per informarsi e per informare poi a loro volta, visto che questo della comunicazione diretta e orale da persona a persona rischia di diventare la forma prossima futura di informazione contro la disinformazione totalitaria del peronismo televisivo del Cavaliere.
Molti sono i giornalisti che continuano a telefonare chiedendo commenti alle "notizie" sui contrasti interni ai movimenti, sui conflitti tra movimenti e partiti, sulle polemiche tra i leader, sulle polemiche fra chiunque, purchè polemiche siano. Purtroppo (per chi guarda con malcelata antipatia a questa manifestazione) sono "notizie" inesistenti. Ma queste domande su non-notizie continuano, sempre più pressanti. Ieri ha superato tutti un giornalista dell' "Avvenire", quotidiano dei vescovi. Non riusciva a capacitarsi che il clima fosse idilliaco, e quando gli ho fatto notare che la notizia dell'adesione di un monaco di Camaldoli mi sembrava assai più interessante (per il lettore "tout court" e per il suo lettore cattolico) di polemiche "politicose" peraltro inesistenti, si è quasi offeso. Spero tuttavia che la notizia sul monaco di Camaldoli, e sui tanti altri religiosi che parteciperanno alla manifestazione, l'abbia data comunque.

Sarà probabilmente "storica" la mobilitazione di sabato, perché in tutta Europa, da anni, si parla di crisi della rappresentanza, di disaffezione verso la politica. E si finge di non sapere che solo forme nuove di partecipazione e di esercizio della sovranità popolare, assolutamente inedite per contenuti e modalità organizzative, potranno invertire la tendenza attuale alla "eclisse" delle democrazie. Sabato diventerà palese il contributo grandissimo che alla soluzione di tale annosa crisi viene oggi dall'Italia, da ciascuno di voi che sarà in piazza S.Giovanni.


Cirami, appello al Polo "Fermatevi o spaccate il paese"
D'Alema spera, Rutelli attacca: il dialogo è impossibile
Silvio Buzzanca su
la Repubblica

ROMA - Massimo D'Alema chiede alla Cdl di bloccare l'iter della Cirami, di non provocare "uno strappo, una ferita difficile da ricucire non solo nel campo della politica, ma nella coscienza del paese". Francesco Rutelli invoca chiarezza, vuole conoscere le intenzioni della maggioranza. Ma se l'agenda sulla giustizia è questa, dice il leader dell'Ulivo, "non ci sono le condizioni per un confronto di merito sulla giustizia italiana".
Ecco il sunto di un altro giorno di dibattito sul legittimo sospetto, un giorno segnato dall'intervento di due big del centrosinistra che hanno cercato di fare breccia nella compattezza della maggioranza. Con scarsi risultati, a dire il vero. La Cdl preferisce mettere l'accento sulla presunta diversità di toni fra un D'Alema dialogante e un Rutelli "girotondista". E alla fine la relatrice forzista Isabella Bertolini dice che l'Ulivo non vuole dialogare e che al centrodestra "non resta che modificare il testo da solo". Usando magari le indicazioni venute ieri dall'audizione dei penalisti italiani, favorevoli alla Cirami e dall'Anm, decisamente contraria Dunque la maggioranza discute se e come modificare il testo arrivato dal Senato.
Un testo demolito sul piano della costituzionalità da decine di interventi dell'opposizione e soprattutto non gradito al Quirinale. Ecco allora spuntare ipotesi varie. Per esempio, definire meglio le ipotesi di rimessione o escludere dalla possibilità di invocare il legittimo sospetto i processi di mafia o i maxi processi dove la richiesta presentata a catena bloccherebbe i procedimenti. Insomma la Cdl cerca una via di uscita dal vicolo cieco in cui si è cacciata: dover approvare la legge senza scontentare Ciampi.
Un intento che sarebbe facilitato se le modifiche fossero concordate con l'opposizione, magari ragionando sulle proposte presentata da Giuseppe Fanfani, Margherita. "E' un tentativo destinato all'insuccesso", commenta scettico D'Alema poco dopo aver pronunciato il suo intervento. Il presidente dei Ds ha parlato in piedi, quasi a voler dare più peso alle sue argomentazioni. Ha iniziato esprimendo il senso di vergogna che provava per essere costretto a discutere della legge Cirami, un provvedimento che giudica fondamentalmente inutile. Ha ripetuto più volte che il paese ha bisogno di riforme della giustizia, quelle riforme che ha cercato di fare quando era presidente della Bicamerale.
Un progetto mandato all'aria da chi oggi si proclama riformista e garantista. Ma questa legge, ha detto D'Alema non solo non serve, è dannosa e noi faremo di tutto per cambiarla. Perché avete promesso città sicure, avremo meno sicurezza. Il gioco vale la candela?, ha chiesto D'Alema. Vale la pena sfasciare il paese?, Non vale la pena, ha detto. E il Parlamento è prigioniero, impegnato a fare "una riforma inutile, tagliata su alcune singole difese processuali". Il leader dei ds ha fatto anche un accenno all'opposizione sociale a questo provvedimento e all'abuso del maggioritario, ricordando che non si è sempre maggioranza.
Accenti duri che non si discostano molto , nonostante la ricerca della Cdl, da quelli di Rutelli. Il leader dell'Ulivo ha ricordato infatti che nel centrosinistra "c'è unità tra quelli che fanno i girotondi e quelli che vengono in Parlamento a dire la loro sul filo di convinzioni solide, giuridiche e costituzionali". E ricordate, ha aggiunto Rutelli, prima del 2006 ci saranno diversi appuntamenti elettorali dove si potrà verificare il reale consenso del paese verso il governo.
"C'è una decisa sfaldatura tra quello che si fa in Parlamento e quelli che sono i veri bisogni, le vere aspettative dei cittadini", ha spiegato Rutelli. Al centrodestra, ha aggiunto, manca una vera e propria cultura della legalità e si è visto in questo anno di governo. Il leader dell'Ulivo ha attaccato poi frontalmente Gaetano Pecorella e il suo doppio ruolo di avvocato e presidente della commissione Giustizia. "La mancanza di questa separazione tra vicende personali e questioni istituzionali - ha detto - è tra le cose più gravi della nostra attuale democrazia".


Confindustria al governo: "Subito le riforme"
Crescita 2002 allo 0,6%
Roberto Ippolito su
La Stampa

ROMA. Finisce di parlare il ministro dell'economia Giulio Tremonti. La platea resta tiepida. Poco prima invece un esponente dell'opposizione di centrosinistra, il responsabile economico dei ds Pierluigi Bersani, era stato applaudito per i suoi richiami a scelte severe. Ora, al seminario della Confindustria dedicato alle previsioni economiche, tocca al numero uno degli imprenditori Antonio D'Amato tirare le conclusioni. E D'Amato avverte che, di fronte alle difficoltà dell'economia in un pesante contesto internazionale e ai conti pubblici che non tornano, "occorre una svolta molto forte per le riforme affinché l'economia torni a crescere e affinché si torni a investire per una maggiore competitività". E soprattutto occorre più "tensione morale".
Affiorano così i malumori della Confindustria nei confronti del governo guidato da Silvio Berlusconi. Malumori piuttosto forti. E che nascono dalle sue stime appena diffuse (prodotto interno lordo in aumento di un modesto 0,6% nel 2002 con la speranza del 2,2 nel 2003, deficit pubblico all'1,8% in rapporto al pil quest'anno e quindi molto distante dall'obiettivo dello 0,8 considerato estremamente ambizioso) e anche dalla strategia di politica economica che appare insufficiente.
D'Amato non trascura i riconoscimenti al governo in carica ("Nel primo anno ha fatto delle cose importanti, come il patto per l'Italia"). Nè risparmia critiche a chi lo ha preceduto (con la legge finanziaria del governo Amato "si è data l'illusione che il Paese fosse uscito dal tunnel"). Ma è chiaro che la Confindustria si aspetta di più dal governo in carica, ora che - come dice il capo economista Giampaolo Galli - a un anno dai tragici attentati dell'11 settembre la ripresa "si sta dimostrando più lenta e incerta".
E da Tremonti non sono arrivate indicazioni idonee a soddisfare le esigenze poste dalle imprese. D'Amato lamenta che l'Italia intera "sembra aver perduto la consapevolezza della necessità di risanare i conti pubblici", mentre preoccupa l'inflazione (al 2,4% nel 2002 secondo il Centro studi). E la politica di rigore necessaria "è stata abbandonata da molto tempo". La Confindustria invita a coniugare rigore e sviluppo. E chiede al governo di fare "un'operazione verità". Ovvero: "Se c'è bisogno di una finanziaria di rigore e sviluppo è necessario chiarirsi quanto rigore e quale sviluppo".
Per il momento, però, la Confindustria vede ferme le privatizzazioni e le liberalizzazioni, boccia il blocco delle tariffe energetiche giudicato inutile per spingerle al ribasso, teme l'aumento delle tasse per le imprese. D'Amato annuncia il no al condono ormai vicino al varo: "Noi siamo quelli che le tasse le pagano e anche caramente e i condoni non è che li apprezziamo particolarmente. Ciò detto possono essere strumenti per far fronte a momenti ed esigenze difficili di cassa".
Poi gli imprenditori manifestano "forti preoccupazioni", come D'Amato scrive in una lettera a Berlusconi, per lo stop ai "crediti d'imposta a favore dei nuovi occupati e dei nuovi investimenti nel Mezzogiorno" e quindi per il "venir meno delle 'certezze'" alla base dei piani di investimento. Inoltre vengono lamentati "sensibili ritardi" per gli investimenti finanziati con i fondi strutturali europei.
Con la lettera, resa nota in serata dopo la riunione del direttivo della Confindustria, viene chiesta l'"urgente" convocazione del "tavolo di verifica dell'attuazione degli impegni assunti" con il Patto per l'Italia che ha posto "una forte enfasi sulle azioni" per l'occupazione nel Mezzogiorno. Il blocco dei crediti d'imposta, che era previsto fino a tutto il 2003, secondo Galli potrebbe avere conseguenze "assai negative" sull'occupazione che sta avendo "aumenti notevolissimi" (in discesa, però, del 3,9% su base annua a giugno nelle grandi imprese secondo l'Istat).
Sono quindi molti i fattori che allarmano la Confindustria in un paese come l'Italia caratterizzato dall'alto debito pubblico.
D'Amato lo sottolinea e insiste sui rischi di inflazione: è perciò necessario, dice, "avere comportamenti responsabili e ricordarsi dell'importanza della politica dei redditi". E bisogna "imporre" un maggiore controllo alle spese correnti; per D'Amato la previdenza resta un problema. "Abbiamo bisogno di ridare fiducia ai consumatori e agli operatori economici, di riprendere a correre e di dare all'economia italiana la capacità di competere di più" afferma D'Amato. Il governo deve improntare la sua azione al rigore: "Nel secondo anno di legislatura occorre un salto di qualità. Bisogna rendersi conto che il risanamento finanziario dell'Italia "non è stato completato" e che la strada "è ancora lunga e dura". C'è "bisogno di molto lavoro, di molti sforzi, di molti sacrifici".


Industria: crolla il fatturato, giù gli ordinativi
Redazione de
La Stampa

ROMA. Nel giugno scorso l'indice del fatturato dell'industria ha registrato una flessione del 7,7%, rispetto allo stesso mese del 2001. Nello stesso periodo gli ordinativi hanno segnato un calo tendenziale del 4,8%. Lo ha reso noto oggi l'Istat. La forte diminuzione dell'indice del fatturato dell'industria, precisa l'Istat, deriva sia dalla diminuzione riscontrata sul mercato interno (-7%) sia da quella rilevata sul mercato estero (-9,1%). Inoltre gli ordinativi provenienti dal mercato interno sono diminuiti del 6%, quelli provenienti dal mercato estero sono calati del 2,9%. Per quanto riguarda gli andamenti congiunturali, aggiunge l'Istat, si rileva che nel mese di giugno 2002 gli indici generali destagionalizzati del fatturato e degli ordinativi sono risultati pari a 120,3 e 116,1 presentando rispettivamente aumenti dello 0,3% e dell'1,4% rispetto al mese di maggio 2002.
Confrontando i dati relativi al primo semestre del 2002 con quelli dello stesso periodo dell'anno precedente il fatturato dell'industria risulta diminuito del 3,5% in conseguenza di cali della stessa entità sia sul mercato interno che su quello estero. Nello stesso periodo si registra una diminuzione tendenziale degli ordinativi dello 0,1%, risultato di una diminuzione dell'1,4% di quelli provenienti dal mercato interno e di un aumento dell'1,7% di quelli provenienti dall'estero. Per quanto riguarda i vari settori economici nel mese di giugno 2002 l'indice del fatturato è diminuito del 2% per i beni di consumo, dell'11,7% per i beni di investimento e del 9,3% per i beni intermedi, rispetto allo stesso mese del 2001. Gli indici destagionalizzati del fatturato per destinazione economica mostrano una variazione nulla per i beni di consumo, una diminuzione dello 0,2% per i beni di investimento ed un incremento dello 0,7% per i beni intermedi. In giugno nel confronto con lo stesso mese del 2001, l'indice del fatturato presenta diminuzioni in tutti i settori tranne che in quello delle industrie alimentari, delle bevande e del tabacco (+2,6%); tra le diminuzioni più marcate, prosegue l'Istat, si segnalano quelle delle raffinerie di petrolio (-14,1%), della produzione di apparecchi elettrici e di precisione (-12,9%), della produzione di macchine e apparecchi meccanici (-12,1%) e della produzione di mezzi di trasporto (-10,6%). L'indice degli ordinativi è risultato in aumento nella produzione di fibre sintetiche e artificiali (+13,9%), nelle industrie tessili e dell'abbigliamento (+3%), nella produzione della carta e dei prodotti di carta (+2,7%) e nella produzione di macchine e apparecchi meccanici (+1,8%). Le maggiori diminuzioni tendenziali si sono verificate infine nella produzione di apparecchi elettrici e di precisione (-8,2%) e nelle industrie delle pelli e delle calzature (-11,8%).


La guerra e le incognite
Alberto Ronchey sul
Corriere della Sera

La superpotenza Usa, oggi più che ieri, possiede imponenti mezzi d'informazione geopolitica e d'analisi strategica. Ma nel passato, per oltre vent'anni, non è apparsa infallibile sulle cose mediorientali, anzi ha subito spesso imprevisti e infortuni. Con Carter, ha patito nel corso d'un anno intero la cattura di tutto il suo corpo diplomatico a Teheran per opera dei khomeinisti e il disastro del fallito raid nel deserto iraniano di Tabas, mentre a riprendersi gli ostaggi non serviva la maestosa flotta schierata nel Golfo. Con Reagan, secondo la discutibile massima "il nemico del mio nemico è mio amico", ha profuso forniture d'armi all'Iraq di Saddam in guerra con l'Iran per il dominio sullo Shatt-el-Arab. Così l'operazione Desert Storm, lanciata poi da Bush padre per punire Saddam dopo l'invasione del Kuwait, ha incontrato i primi ostacoli proprio nei campi di mine Bouncing Betty o Toe Poppers, made in Usa . Ora, da quattro anni, Saddam Hussein ha respinto con variabili pretesti le ispezioni dell'Onu su impianti biochimici e atomici, utilizzabili per produrre armi di sterminio. Negli ultimi elusivi negoziati, con Kofi Annan, "ha cambiato le carte in tavola più spesso che i bunker dove dorme la notte". Bush figlio, da tempo, giudica necessario debellare il regime di Bagdad come avamposto d'un temerario nazionalismo atomico e insieme retrovia del neoterrorismo. Secondo il despota, se le accuse fossero suffragate da prove non avrebbe senso chiedergli la ripresa delle ispezioni. Ma secondo gli accusatori, lo stesso rifiuto di controlli senza vincoli e "a prova di frode" sarebbe una confessione che possiede o intende procurarsi le armi proibite. In ogni caso, un sistema rigoroso di controlli appare incompatibile con quel regime.
Almeno finora, Saddam sembra persuaso che le intimidazioni della superpotenza siano troppo ripetute o poco utili per isolarlo. In Arabia Saudita, il principe Abdullah dichiara che in caso di guerra questa volta non verranno concesse basi agli Stati Uniti. L'egiziano Mubarak avverte che invadere oggi l'Iraq avrebbe la conseguenza di "sconvolgere tutto il mondo arabo". Un coro di no viene poi da Mosca, Pechino, Delhi, mentre i turchi si tirano indietro. Preso atto dello scenario internazionale, Parigi e Berlino consigliano a Washington una paziente misura di riflessione. Si può scendere in guerra senza un voto del Consiglio di sicurezza dell'Onu, senza una vasta coalizione, senza prove inoppugnabili e circostanziate d'un pericolo davvero imminente?
Da Washington, il vicepresidente Cheney risponde: "Per colpire Saddam, così dicono, bisogna essere certi che abbia l'atomica, ma domani diranno che non possiamo colpirlo perché ha l'atomica". L'argomento è drammatico, eppure si moltiplicano dubbi e interrogativi. Oggi non è in questione solo una tempesta nel deserto simile a quella del '91, ma la prospettiva della guerra urbana fino ai meandri di Bassora e Bagdad. Si può combattere da una casbah all'altra? Dal Pentagono qualcuno risponde che l'esercito iracheno, in massima parte, cederà sotto il primo urto. Dunque Blitzkrieg , ossia "guerra lampo"? E anche in quel caso, quanto potrà costare in vite umane la conquista di Bagdad con i suoi cinque milioni d'abitanti? Quanto potrebbe durare l'occupazione dell'Iraq, mentre ancora insidiosa rimane quella dell'Afghanistan? E fino a quando sarebbe possibile frenare i moti per l'indipendenza del Kurdistan, un evento che farebbe saltare almeno quattro frontiere? Secondo i portavoce di Bush, ogni rischio è previsto e misurato, anche se avanzano interrogativi persino Kissinger, Eagleburger, Baker, Scowcroft. Nessuna prognosi fausta o infausta, beninteso, è mai sicura in materia di guerra e pace. Ma comunque poi vadano le cose per Saddam, che aspetta trincerato nel suo labirinto levantino, di sicuro si discute d'una guerra lampo troppo annunciata.


   12 settembre 2002