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Buongiorno America
Enzo Biagi sul
Corriere della Sera

il crollo


Ogni città del mondo può essere anche rappresentata da un simbolo o da un nome: una lupa, una caravella, un fiore. New York la chiamavano "la grande mela". Già nella Bibbia era il frutto proibito. Ora è anche il ricordo di un altro peccato: quello dell'orgoglio e della violenza. Adesso gli americani hanno due date da ricordare: il 1492, la scoperta della loro terra, e l'11 settembre 2001, quando si sono accorti che non esistono isole felici e il terrore è il padrone del mondo.
Il capo dei pompieri della città mi ha fatto da guida a vedere le scavatrici al lavoro dove sorgevano le torri: una immensa voragine, che ha segnato il destino, la fine della storia di 2.823 persone, e nel conto entrano anche i 19 pirati suicidi.
Quando uno pensava a New York era come se nella mente scorressero tante cartoline illustrate: prima, naturalmente, la statua della Libertà, con in mano una fiaccola, poi gli irriverenti disegnatori satirici l'hanno sostituita con una bottiglia di whisky, o con una siringa, a seconda dei mali degli States .
Adesso, quando Liza Minnelli canta "New York, New York" uno pensa alla Quinta Strada, ai magazzini Macy's, a Broadway, e c'è un nuovo nome, un altro itinerario da percorrere: il posto si chiama "Ground Zero". E una data da segnare nel calendario: 11 settembre 2001.
C'è un bellissimo dramma di Thornton Wilder: "Piccola città".
Ricostruisce tante storie e tante vite. E poi ha raccontato l'avventura di una diligenza che precipitava da un ponte: chi erano i viaggiatori? C'è al Ground Zero una mostra: che brutta parola, una memoria, tante fotografie, anche tipo tessera, che hanno portato i parenti delle vittime.
Ho notato qualche nome: si chiamava Harry Fernandez, faceva il pasticciere, era arrivato dall'Ecuador per cercare fortuna. Non l'ha trovata. E poi due nomi delle mie parti, Mary e James, trentini, dei vecchi italo-americani. Loro erano sull'aereo, chi sa, un anniversario, una vacanza progettata da chi sa quanto, volevano finalmente andare in California, ma si sono fermati per sempre a New York.
Ha scritto John Steinbeck, Nobel per la letteratura: "Talvolta abbiamo sbagliato, imbroccato il sentiero errato, abbiamo fatto una pausa per rinnovarci, riempirci il ventre e leccarci le ferite; ma non siamo mai scivolati all'indietro, mai".
Buon giorno, America. E ancora grazie. Sei venuta due volte a darci una mano: dopo il 1915, a mio padre, dopo il 1940 a me. Siamo liberi anche di scrivere Amerika: con quella kappa dispregiativa. La gratitudine, e la memoria, per qualcuno sono pesi insopportabili. Grazie.


L'America un anno dopo: una giornata di celebrazioni
Redazione de
La Repubblica

NEW YORK - E' iniziata a notte fonda la lunga giornata di celebrazioni per il primo anniversario dell'11 settembre. All'una del mattino (ora di New York) la grande mela si è svegliata al suono delle cornamuse e dei tamburi che hanno dato il via a cinque cortei. Cinque serpentoni partiti dai distretti della città: Manhattan, Bronx, Queens, Brooklyn e Staten Island. Tutti con la stessa destinazione: Ground Zero.
L'arrivo al cratere dove un tempo sorgevano le torri è previsto intorno alle 7:30 ora locale (le 13:30 in Italia). E sono molti i newyorkesi che hanno deciso di partecipare alla lunga veglia che sta attraversando la città. I cortei marceranno per 128 chilometri in un dedalo di strade che toccheranno tutte le anime di New York: dal quartiere nero del Bronx, ai palazzi e i musei della Fifth avenue, dalle strade "artistiche" del Greenwich Village, ai grattaceli in vetro di Manhattan. Davanti a tutti camminano gli eroi di quel giorno: poliziotti e vigili del fuoco, a ricordare gli oltre 400 colleghi che hanno perso la vita nel tentativo di salvare le migliaia di persone rimaste intrappolate nelle torri.
L'avvio della cerimonia ufficiale è previsto alle 8:46 del mattino (14:46 da noi), nel preciso istante in cui, un anno fa, il primo aereo si è schiantato contro la torre nord del grande centro finanziario. L'America si fermerà e verrà osservato un minuto di silenzio. Poi sarà la volta dell'ex sindaco Rudolph Giuliani che, con l'aiuto del governatore di New York, George Pataki, e di altri politici, leggerà i nomi delle 2.801 vittime accertate dell'attentato. In tutta la città le chiese faranno risuonare le campane.
Il presidente George Bush arriverà nel pomeriggio. Parlerà ai newyorkesi intorno alle 16:30, ma prima visiterà gli altri luoghi della tragedia. Alle 9:37 sarà al Pentagono ricostruito in tempo record, poi alle 10:06 volerà in Pennsylvania per rendere omaggio ai passeggeri del quarto volo dirottato. Alle nove di sera finalmente Bush parlerà all'America in un discorso televisivo molto atteso. Farà il punto della situazione, chiamerà a raccolta tutti i suoi concittadini nel momento del ricordo e del dolore, poi, probabilmente, parlerà anche del futuro. Un futuro che sempre più certamente riguarderà un attacco all'Iraq di Saddam Hussein.
La giornata di New York in onore delle vittime avrà altri appuntamenti di rilievo. Alle 19:00 (le 1:00 di domani in Italia) l'attuale sindaco di New York, Michael Bloomberg, accoglierà capi di Stato e di governo di tutto il mondo a Battery Park, ci sarà anche Silvio Berlusconi, per accendere una fiamma eterna dedicata alle vittime. La lunga maratona della memoria si concluderà con concerti e veglie a lume di candela nei principali parchi dei cinque distretti newyorchesi.


Un anno è troppo poco
Marcello Sorgi su
La Stampa

È inutile negare o cercare di nasconderlo: il primo anniversario dell'attacco alle Torri gemelle di New York cade in un clima strano, irreale, perfino strafottente, che invano la grande macchina mediatica e politica della commemorazione cerca di trasformare.
E' come se all'improvviso il bilancio di un anno trascorso tra due guerre - quella finita, se davvero è finita, in Afghanistan, e quella che deve cominciare in Iraq - ci sembrasse insoddisfacente; come se la forte mobilitazione ideale, solidale e militare, che si strinse attorno agli Usa e all'Occidente, feriti dal terrorismo islamico, tendesse ad affievolirsi; come se l'ondata di coraggio che seguì all'orrore della strage cedesse alla stanchezza, forse anche alla paura.
E certo se la misura delle nostre convinzioni non dipende solo dai principi, ma anche dai risultati di quest'anno di guerra, un certo ripiegamento è possibile, seppure non comprensibile. Tarata sul Kossovo e sul "dovere dell'ingerenza", che portò alla consegna e oggi al processo internazionale contro Milosevic per le sue tremende responsabilità, l'invasione dell'Afghanistan ha avuto effetti importanti, ma più modesti.
Si è riusciti a liberare il paese dall'oppressione del regime integralista dei talebani, non a sottrarlo alla guerra tribale che ancora lo tormenta. E si è mancata la cattura del ricercato numero uno, Bin Laden, che oggi, dal suo rifugio segreto (dal quale probabilmente non s'è mai allontanato), può consentirsi di irridere alla grande alleanza che gli ha dato la caccia, e continuare sfacciatamente a rivendicare l'attentato di un anno fa.
Provvisorio per definizione, il nuovo governo insediato dall'Onu a Kabul si sta rivelando più debole del previsto. Nella regione appena liberata, gli attentati continuano; gran parte dei talebani hanno riparato non si sa dove. Né si sa molto di più di Al Qaeda, la rete di Bin Laden: dai prigionieri rinchiusi a Guantanamo, in un regime carcerario durissimo, s'è cavato ben poco. In Occidente, l'analisi del fenomeno terrorista non è certo al livello di "intelligence zero", come all'indomani dell'11 settembre; i sospetti (che rimasero inascoltati) su strane frequentazioni di arabi in scuole di volo americane da cui poi sarebbero partiti per gli attentati, oggi certo troverebbero più attenzione.
Qualche passo avanti s'è fatto: non molti. Né accenna a raffreddarsi il grande focolaio terroristico dei kamikaze palestinesi, la cui recrudescenza quotidiana, oltre a seminare altri morti innocenti, rischia di seppellire Arafat, innesca e moltiplica le reazioni israeliane e sfugge ormai a ogni azione di contenimento, impedendo qualsiasi tentativo di ripresa di approccio politico-diplomatico al conflitto in Medio Oriente.
In un quadro così cupo, reso ancor più incerto dalla crisi economica mondiale, spicca l'isolamento degli Stati Uniti. Un isolamento anche colpevole, dal momento che l'amministrazione Usa non ha dato l'impressione di curarsi troppo del lento sgretolamento della coalizione mondiale che sostenne l'intervento in Afghanistan.
E tuttavia, la sola solidarietà dichiarata di Blair, quella condizionata di Chirac e Berlusconi, accanto a quelle negate, a cominciare da Schroeder, per ragioni particolari, locali o elettorali, non fanno neanche l'ombra della grande e fortissima reazione, del soprassalto di dignità dell'Occidente che furono la risposta all'attacco islamico dell'11 settembre.
Prevalgono la mediocrità, i dubbi, i distinguo; le analisi dietrologiche sulle effettive convenienze e capacità di Bush junior, di dimostrare la pericolosità dell'Iraq e poi di saperlo attaccare e liberare. Si affacciano paragoni tra Bush padre e figlio, tra il giovane e inesperto George W. e il saggio e incanutito Colin Powell. Si susseguono gli inviti alla riflessione.
E tutto, purtroppo anche il ricordo sbiadito dell'orrore di un anno fa, sembra spingere a un ripensamento. Come se la minaccia di un nuovo attacco non fosse stata già ribadita. Come se fosse possibile una tregua. Come se appunto un anno - quest'anno! - e non un decennio, o tutto il tempo che ci vorrà, potesse essere davvero il tempo di un bilancio sulla lotta al terrorismo.


Economia e conti pubblici
Il debito sale ancora, l'economia italiana rallenta
Stefania Tamburello sul
Corriere della Sera

ROMA - Ha toccato la cifra record di 1.386,6 miliardi di euro il debito delle amministrazioni pubbliche nel mese di giugno. In vecchie lire, la cifra fa ancora più effetto perché si tratta di oltre due milioni 684 mila miliardi. I dati della Banca d'Italia mostrano che rispetto a maggio il debito è aumentato di 812 milioni di euro, mentre la variazione nei confronti del giugno 2001 è stata di 44,2 miliardi di euro, con un incremento del 3,29%. Quello sul debito non è però l'unico dato che segnala le difficoltà della finanza pubblica. L'Istat ha confermato ieri il rallentamento della crescita economica: nel secondo trimestre di quest'anno il Pil (prodotto interno lordo) è aumentato solo dello 0,2% che corrisponde (nel primo trimestre la variazione era stata nulla) allo sviluppo acquisito da gennaio a giugno. Se nella seconda metà dell'anno non ci saranno segnali di ripresa più consistenti, lo 0,2% potrebbe risultare il tasso di crescita dell'intero 2002 che si raffronterebbe con la stima di aumento del Pil pari all'1,3% indicata dal governo nel Dpef. Una previsione che potrebbe essere rivista con la messa a punto della relazione previsionale e programmatica che sarà presentata con la Finanziaria. Nel fornire i dati, l'Istat ricorda che lo 0,2% di crescita italiana si raffronta, in termini congiunturali, con lo 0,6% di Regno Unito, lo 0,5% di Giappone e Francia e lo 0,3% di Germania e Stati Uniti. In termini tendenziali, invece, il Pil è cresciuto del 2,1% negli Stati Uniti, dell'1,2% nel Regno Unito, dell'1,0% in Francia, dello 0,1% in Germania ed è diminuito dello 0,9% in Giappone.
Le stime del governo sono "del tutto inattendibili" e le politiche che mette in atto sono "fallimentari", ha commentato il segretario generale della Cgil, Sergio Cofferati che accusa l'esecutivo di "miopia". L'economia "va male" e il governo "non riesce ad affrontare la situazione con realismo: sparge ottimismo ma spinge verso la rottura sociale". Cofferati ha denunciato "il mancato rinnovo del contratto del pubblico impiego" e ha avvertito che "le tensioni salariali aumenteranno". E ciò, ha concluso, perché attraverso il tetto di inflazione programmata dell'1,4% "governo e Confindustria si apprestano a comprimere i salari ben al di sotto dell'inflazione reale". Secondo il ministro della Funzione pubblica Franco Frattini, il governo e il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti lavoreranno per "rallentare l'aumento esponenziale della spesa delle pubbliche amministrazioni" anche se il debito "deriva per massima parte dalle spese correnti, quindi dagli stipendi che non si possono certo tagliare". La Banca d'Italia ha fornito anche il dato sulle entrate tributarie dei primi sette mesi del 2002. Il gettito complessivo è stato pari a 172 miliardi 452 milioni di euro, contro i 175 miliardi 377 milioni del corrispondente periodo dello scorso anno con una diminuzione dell'1,67%. E' bene ricordare però che la Banca d'Italia calcola le entrate in maniera diversa dal ministero dell'Economia perché le registra quando vengono contabilizzate in bilancio. Cosa che non avviene più contestualmente agli effettivi versamenti.


Billè: in piazza anche i commercianti
"L´economia va male, servono subito rimedi per rilanciare i consumi"
Gian Carlo Fossi su
La Stampa

Anche i commercianti, e non solo i consumatori, scenderanno presto in piazza contro l´andamento assolutamente negativo della situazione economica e "la mancanza di misure adeguate e tempestive per il rilancio dei consumi e dello sviluppo". E´ un Sergio Billè presidente della Confcommercio, molto preoccupato, che lancia un secco aut-aut al governo e annuncia che domani, nello stesso giorno dello sciopero dei consumatori (nessun acquisto, niente caffè, cappuccino e cornetto al bar, niente pranzi e cene più o meno a lume di candela), il consiglio nazionale della confederazione valuterà gli ultimi sviluppi dello scenario economico e deciderà come far sentire la voce di oltre due milioni di operatori del commercio e del turismo, eventualmente anche con il ricorso alla piazza. Billè attacca: "Parlare di calmieri, panieri o altro e prendersela con i soli commercianti mentre la situazione sta letteralmente precipitando significa vedere la pagliuzza e non la trave. La situazione del mercato sta davvero toccando il fondo ed è ormai ad un passo dalla recessione; sembra avere imboccato un pericoloso scivolo che potrebbe portare entro la fine dell´anno ad una vera e propria stagnazione".
Billè denuncia senza mezzi termini quattro fattori di "allarme a luci rosse": una crescita del Pil che, secondo le previsioni, nel 2002 non supererà lo 0,7%, quindi 10 miliardi di euro in meno rispetto allo scorso anno, il dato più negativo dal 1993; un persistente calo dei consumi delle famiglie, a cui si aggiunge una preoccupante flessione della spesa turistica; una caduta consistente degli investimenti (-3,3% con punte del -6,1% per quanto riguarda le macchine e le attrezzature, "il che dimostra come il settore abbia incamerato gli incentivi della Tremonti-bis, ma non abbia fatto nulla per aumentare la capacità produttiva"); la crescita dell´1,9% della spesa corrente nella pubblica amministrazione, "a conferma che non si è riusciti ad arginare i costi improduttivi". Quali i possibili rimedi? L´unico modo per far ripartire l´economia, secondo Billè, è quello di adottare misure di carattere fiscale che permettano a famiglie e imprese, tutte e due in questa fase sulla stessa barca, di guardare al futuro con maggiore fiducia e rendere meno complicata una situazione economica che si sta avvitando sempre più. "La Finanziaria - insiste - deve assolutamente prevedere validi interventi fiscali. Fra l´altro sarebbe utile prevedere una detassazione per gli investimenti in comunicazione delle piccole e medie imprese. Ma, in linea più generale, il ministro Tremonti dovrà inventarsi qualcosa di assolutamente nuovo". E, qui, indica in un accordo tra governo, commercianti, consumatori, ma anche produttori e agricoltori la strada per uscire dal tunnel, definendo "esiziale" il rischio di un aumento dei prezzi a fronte di una stagnazione economica ancora più accentuata: "L´unico patrimonio per ogni commerciante è il consumatore e questo lo sa ciascun buon operatore del settore. I furbi ci sono ma sono pochi, e la vera ricetta per combattere la bolla speculativa è far ripartire l´economia nazionale con un incremento dei consumi interni". A questo punto, secondo la Confcommercio, anche la completa realizzazione del Patto per l´Italia, che invece arranca faticosamente per varie difficoltà, potrebbe non essere più sufficiente per un rilancio significativo del sistema.


Giustizia, Fassino all'attacco "Di cosa ha paura Berlusconi?"
"la maggioranza pensa solo a forzare i tempi"
Redazione de
la Repubblica

ROMA - "Se Berlusconi è innocente, non si capisce perché ha paura del giudizio". Sono parole forti quelle che Piero Fassino ha usato nella discussione in commissione sulla legge Cirami.

"Non capisco il suo terrore - dice il leader della Quercia - perché se ci si reputa innocenti non ha senso avere paura di essere condannati". Fassino dice di augurarsi, da cittadino italiano, che il presidente del Consiglio sia innocente, e ricorda che "anche a Milano ci sono giudici in grado di riconoscere, come è già avvenuto, la sua non colpevolezza". "Ma - aggiunge - un presidente del Consiglio consapevole delle sue funzioni non agirebbe per stravolgere una legge con lo scopo di eludere un giudizio".
Di nuovo il conflitto di interessi, dunque, al centro della polemica politica, anche se il segretario dei diesse non manca di accusare il Polo di "dire una cosa e farne un'altra", e dunque di aver mentito quando, alla vigilia della discussione sul legittimo sospetto, si era detta disponibile a cambiare il testo: "Diteci in che cosa siete disposti a cambiare - dice Fassino - e noi siamo pronti a discutere".
L'intervento del leader della Quercia nelle commissioni Giustizia e Affari Costituzionali è giunto alla fine di un altra giornata campale. Prima le proteste dell'opposizione, anche clamorose, con Pierlugi Mantini della Margherita che annuncia lo sciopero della fame e Roberto Giachetti, sempre della Margherita, che si imbavaglia la momento di intervenire.
Poi il nuovo calendario dei lavori, che comunque non soddisfa affatto il centrosinistra: domani le audizioni, sabato il voto, entro lunedì gli emendamenti. Una accelerazione che secondo l'Ulivo rappresenta "un vero e proprio schiaffo al regolamento".
A questo punto la prospettiva sembra l'approdo in aula, la prossima setitmana, dello stesso testo licenziato dal Senato, sul quale si scatenerà la battaglia tra gli schieramenti. Resta in campo l'ipotesi di una mediazione, sotto le ali di Ciampi e Casini, che possa produrre un accordo sugli emendamenti, ma in questo momento lo scenario più probabile sembra essere quello di un muro contro muro: cioè ostruzionismo del centrosinistra e fino a ottobre battaglia dura sui tempi.
L'ipotesi alternativa prevede invece un voto entro settembre, in tempi rapidi, sulla base di modifiche condivise alla legge Cirami.
Domani, intanto, è previsto l'intervento del presidente ds Massimo D'Alema, e l'audizione dell'associazione nazionale dei Magistrati, che ha già espresso molte critiche al provvedimento in esame alla Camera.


Garagnani (Fi): "Legge per eliminare da scuola i testi 'marxisti'"
Redazione de
l'Unità

"Cancellare i 'manuali faziosi' dalle scuole? Dove non arriva il ministro Moratti c'è l'onorevole Garagnani...". Così il deputato Verde della commissione Cultura, Mauro Bulgarelli, commenta l'iniziativa dell'esponente di Forza Italia che ha presentato una proposta di legge contro i cosiddetti "manuali faziosi" che "infestano" i programmi scolastici. "Memori di precedenti azioni da parte di Garagnani, che aveva istituito un telefono verde cui denunciare i professori critici verso il governo, o 'troppo di sinistra' suggeriamo alla sua forte creatività - spiega Bulgarelli - di attivare una nuova linea telefonica affinché i cittadini possano denunciare i titoli dei libri faziosi o...non allineati al modello di cultura che vuole il centrodestra".
Il capogruppo di Forza Italia in commissione Cultura alla Camera, Fabio Garagnani, non nuovo a queste iniziative, ha infatti presentato la sua proposta di legge per risolvere il “problema” dei testi di storia faziosi o comunque con letture storiche troppo marxiste. La proposta di legge segue di due anni la polemica suscitata dell'attuale presidente della Regione Lazio, Storace (An), sulla 'scorrettezza' degli attuali libri di testo. "Nelle scuole di ogni ordine e grado - ha spiegato - l'insegnamento della storia, in particolare quella contemporanea, deve svolgersi attraverso l'utilizzo di testi di assoluto rigore scientifico che tengano conto in modo obiettivo di tutte le correnti culturali e di pensiero, per un confronto democratico e liberale che assicuri un corretto apprendimento del passato con particolare riferimento a quello più recente".
"Il libro di testo, infatti – per Garagnani - rappresenta il principale punto di incontro tra le competenze del docente e le aspettative dello studente, il canale preferenziale attraverso il quale si attiva la comunicazione didattica, lo strumento col quale i ragazzi formano la propria coscienza critica. Dunque un manuale di storia non può essere scelto ignorando quei criteri di trasparenza e laicità che lo rendono viatico prezioso per una cultura davvero completa del ragazzo".


SCIENZA Esplode la protesta dei ricercatori italiani
Sommario de
il Manifesto

Scienziati e ricercatori contro il "decreto fantasma" con cui il ministro Moratti vuole stravolgere la ricerca in Italia. In un'affollata assemblea nei locali del Cnr ieri esponenti di tutte le forze civili hanno chiesto un maggiore coinvolgimento nelle scelte politiche del governo denunciando un'impostazione aziendalista nella riorganizzazione degli enti. Dopo le continue smentite della Moratti, che negava l'esistenza del provvedimento, ieri gli organizzatori della protesta lo hanno distribuito, tanto che da viale Trastevere sono arrivate le prime, imbarazzate, ammissioni: "Il decreto non è ancora definitivo, entro fine anno lo sottoporremo alla comunità scientifica". Oltre all'esclusione dalle decisioni del ministro, professori e ricercatori denunciano la sottomissione degli istituti a un diretto controllo governativo. Un testo "incredibile" tanto che il presidente del Cnr, Lucio Bianco, dice di "non ritenere possibile che il ministro Moratti lo possa condividere", poiché, aggiunge, "sembrerebbe una bozza fatta da chi aspira a fare il direttore di dipartimento". Il decreto prevede la nomina ministeriale del presidente del Consiglio nazionale e quindi a cascata, indirettamente, degli altri organi. "Una scelta che esclude qualsiasi selezione dettata da competenze - contesta Gianna Cioni, tra le organizzatrici della protesta - che crea una commistione di ruoli, dove il controllore sarà pure colui che dirige e programma le attività".


   11 settembre 2002