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"Con i girotondi lancio la sfida agli analfabeti della democrazia"
Anne Le Nir su
la Repubblica

ROMA - Da qualche mese, lei che in pubblico è così riservato, è diventato l'emblema più carismatico dei girotondini, questo gruppo di cittadini che si sono riuniti in un movimento per difendere la democrazia in Italia. Come spiega questo suo cambiamento?
"Se un anno fa qualcuno mi avesse detto: 'Scenderai nelle piazze per protestare contro il governo Berlusconi!', gli avrei risposto: 'Ma per chi mi prendi?' Il 2 febbraio mi trovavo a Piazza Navona, ad un meeting dell'opposizione. Non avevo deciso di farmi avanti. Ma quando ho sentito parlare dei non professionisti della politica e ho visto che hanno entusiasmato la folla perché la autorizzavano a criticare anche la sinistra, quando ho sentito parlare Piero Fassino e Francesco Rutelli che non facevano altro che esprimere parole di autosoddisfazione... la mia reazione è stata immediata. Mi sono fatto avanti. La situazione nella quale ci troviamo è troppo grave. L'esecutivo al potere, che dispone di una vastissima maggioranza di deputati e di senatori, non fa più una politica di centro destra e neppure di destra. Ha soltanto aperture esclusivamente a favore degli interessi personali, giudiziari e finanziari del capo del governo, Silvio Berlusconi, e di un piccolo gruppo di suoi amici. Abbiamo a che fare con una destra che non governa, comanda. Una destra che sta per fare a pezzi i principi fondamentali della democrazia. Io credo che un paese in cui un solo uomo controlla i sei canali della televisione nazionale - tre appartengono direttamente a Silvio Berlusconi, e tre allo Stato -vive una situazione assolutamente assurda sul piano democratico. Questa stessa follia, questa anomalia la si riscontra in molti altri settori. Soprattutto in quello della giustizia e dell'immigrazione, un tema quest'ultimo sul qualche anche la Chiesa ha dovuto alzare i toni per esprimere il suo disaccordo sulle misure previste dalla nuova legge Bossi-Fini. Non ho mai utilizzato finora la parola 'regime', ma ritengo che siamo governati da analfabeti della democrazia".
Sabato prossimo lei ha organizzato una grande manifestazione in Piazza del Popolo a Roma, poi spostata a Piazza San Giovanni, preparata e finanziata dai movimenti della società civile. Intende denunciare i partiti della sinistra alla stregua di incompetenti?
"C'è stata una prima fase, simbolizzata dal meeting del 2 febbraio, durante la quale i sindacati e una parte dell'opinione pubblica hanno iniziato a risvegliarsi, mentre i leader dei partiti di sinistra erano ancora in uno stato di torpore dopo la sconfitta alle legislative del maggio 2001. Oggi l'atmosfera è diversa e stiamo entrando nella seconda fase. Gli elettori fanno sentire la loro voce sempre più spesso, cominciano a riallacciare i loro legami con i partiti del centro sinistra che, dal canto loro, hanno ripreso fiducia e sono più attenti ai bisogni dell'elettorato, ai suoi problemi e alle sue impressioni. Si sono liberate delle energie. La manifestazione in piazza San Giovanni, dove ci attendiamo oltre centomila partecipanti, si svolgerà nel medesimo spirito della precedente, il 31 luglio, quando i rappresentanti dei partiti dell'opposizione si sono ritrovati davanti al Senato per protestare contro l'adozione della legge Cirami sul legittimo sospetto, che consentirebbe a Silvio Berlusconi di ricusare i giudici e di liberarsi allo stesso tempo dei suoi problemi con la giustizia. Vogliamo sentirci uniti in una medesima battaglia, ciascuno con le proprie idee, ciascuno ben cosciente di quale sia il suo settore di intervento. I parlamentari del centrosinistra si battono in Parlamento. Noi, noi non ci vogliamo mettere in contrapposizione con i partiti, siamo la loro rampa di lancio, vogliamo aiutarli a combattere. Vogliamo infondere loro la forza, nuove energie".
Da un punto di vista personale, che cosa le porta questa esperienza?
"Per me è un dovere e un piacere. Non mi sono mai impegnato con altrettanta intensità nel corso degli ultimi trenta anni. Nei miei film non ho mai fatto altro che prendere in giro la sinistra. L'esperienza politica mi arricchisce, mi tocca profondamente sul piano umano, ho incontrato persone straordinarie. Non si tratta di un'esperienza eterna, ma mi sento responsabile. Se non mi fossi sentito coinvolto, tra uno o dieci anni mi sarei vergognato di me stesso".


In onda su La7, negata la diretta Rai
Redazione de
il Manifesto

"In relazione alle richieste avanzate con lettere ufficiali per la ripresa in diretta delle manifestazioni organizzate dal movimento dei girotondi e dalla Lega nord, si fa presente che il direttore del Tg3 Antonio Di Bella aveva già comunicato alla direzione generale, di intesa con il direttore di Raitre Paolo Ruffini, di aver organizzato due speciali di `Primo piano' sulle due iniziative, in onda sabato e domenica sera. Il Tg3 ha anche predisposto finestre informative in diretta nella edizioni del notiziario. La decisione del direttore del Tg3 è stata condivisa dal direttore generale". Con questa breve nota il dg della Rai Agostino Saccà si è tolto la noia della diretta chiesta ieri per la manifestazione di sabato da Nanni Moretti e Paolo Flores D'Arcais. Una scelta salomonica che fa leva sulla richiesta di diretta avanzata dalla Lega per il raduno di domenica a Venezia per negare la diretta a piazza San Giovanni. La manifestazione sarà seguita in diretta da La7.


Cirami, venerdì si vota e l'Ulivo insorge
Redazione de
la Repubblica

ROMA - Venerdì il primo voto. E l'opposizione attacca: "Un gravissimo strappo al regolamento". Entra nel vivo la battaglia sul disegno di legge Cirami che introduce la remissione del processo in caso di legittimo sospetto.
La decisione dei presidenti delle commissioni Giustizia e Affari Costituzionali, vale a dire far concludere venerdì sera la discussione generale e quindi votare subito il testo base, ha provocato una durissima reazione da parte dei deputati dell'Ulivo. Tanto che i capigruppo del centrosinistra hanno preannunciato l'intenzione di contattare immediatamente il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, "per metterlo a conoscenza dei fatti".
Il calendario deciso oggi prevede 40 ore di dibattito in cui si dovranno concentrare i 268 iscritti a parlare. Una soglia che i deputati dell'opposizione considerano "illegittima e contraria al regolamento". Nel frattempo, mercoledì, dovrebbero svolgersi le audizioni, mentre entro le ore 20 di sabato sera dovranno essere presentati gli emendamenti al testo base.
Tappe forzate, dunque, decise al termine di una riunione degli uffici di presidenza che si è protratta per due ore con momenti molto accesi. Alla fine, vista l'impossibilità di trovare un accordo con il centrosinistra, i presidenti delle commissioni, entrambi del centrodestra, hanno deciso d'autorità. "E comunque l'opposizione - ha detto il presidente della commissione Affari Costituzionali, Donato Bruno - avrebbe protestato contro qualsiasi tipo di soluzione".
Ma l'Ulivo insiste nel dire che si tratta di una forzatura delle regole, anzi "un forcing più che sospetto e scandaloso", secondo le parole di Pierluigi Mantini della Margherita. Secco e severissimo il giudizio di Francesco Rutelli ("Il dialogo del Polo è solo l'arroganza"), mentre addirittura feroce è il commento dell'ex ministro della Giustrizia Filippo Mancuso, ex di Forza Italia ora nel gruppo misto, che adesso "si attende direttamente l'insediamento di Previti alla presidenza della commissione Giustizia".
"Il Polo dimostra un' arroganza brutale e senza precedenti - dice il segretario dei diesse Piero Fassino - e ormai siamo di fronte a un centrodestra dalla lingua biforcuta". L'accusa che il leader della Quercia fa alla maggioranza è quella di mentire agli italiani, "facendo credere delle cose e poi, nei comportamenti, non tenendo conto di nulla".
Che la giornata fosse destinata a chiudersi con aspre polemiche era già chiaro da molte ore. La decisione dei presidenti di commissione era attesa, e nel pomeriggio era stata respinta la proposta del capogruppo dei Ds Luciano Violante di sospendere i lavori parlamentari in attesa della sentenza della Corte Costituzionale.
Quindi è arrivata la decisione di concedere alla discussione generale solo i prossimi quattro giorni, per giungere al voto entro venerdì sera. "Proprio alla vigilia della manifestazione dei girotondi - segnala il verde Paolo Cento - un vero e proprio schiaffo alla manifestazione del 14 settembre".


Amato: una nuova sintesi fra partiti e movimenti
Pasquale Cascella su
l'Unità

MODENA “Volete scommettere? Questa proposta non sarà mai accolta”, dice Giuliano Amato. Senza rinunciare a sollecitare chi non ne più delle beghe interne all'Ulivo. Non si alzano mani, ma molti le battono a segnalare di condividere lo sfogo dell'ultimo premier del centrosinistra: “Io non ne posso più, e mi mordo le mani a veder litigi che ci possono far perdere una occasione storica per riprendere l'iniziativa”.

Non poteva che scuotere le acque il sasso lanciato da Amato il giorno stesso della prima riunione del coordinamento dell'alleanza dopo le ferie estive. Ha suonato la sveglia, l'ex presidente del Consiglio, con una intervista in cui ha proposto di riorganizzare la coalizione sulla base del modello federale dell'Unione europea, ovvero con una commissione formata dalle migliori personalità scelte anche al di fuori dei partiti e un consiglio dei segretari delle forze politiche. E il rumore lo ha inseguito fino all'appuntamento di Modena, guarda caso nella stessa giornata.
Al popolo della festa nazionale de l'Unità, Amato spiega le passioni e le ragioni che lo hanno indotto a rivestire, per una volta, i panni del dottor Sottile. Già, sembra proprio roba da ingegneria della politica, quella formula che tiene tutto e non sacrifica niente dell'Ulivo. Forse per il timore che un chiarimento più di fondo, una innovazione più marcata faccia perdere tempo prezioso di fronte a un governo e di una maggioranza che cominciano a scontare “lo scarto tra l'eccesso di promesse elettorali e i risultati concreti”. Amato invoca l'esaurimento della lunga luna di miele del premier per avvertire che c'è bisogno di un “centrosinistra che si veda”, nel momento in cui quella parte degli elettori che aveva creduto allo spot “lasciateci fare e sarete più ricchi” comincia ad accorgersi che lasciandoli fare “si arricchiscono solo e ancora loro”. Ma, volgendo lo sguardo, possono trovare solo “dissidi e differenze”, con “i verdi che vogliono essere più verdi dei rossi”, la “Margherita che vuole fare il Margheritone”, con “quella rosa e quella quercia che si confondono”, anziché “l'Ulivo come tale, come alternativa alla destra”?
Amato per primo conosce limiti e difetti della sua proposta. Tant'è che si preoccupa di sgombrare subito il campo dall'equivoco più grande: “Nessuno può mettermi contro i partiti”. Sa anche che la riproduzione del doppio vertice europeo non sarà perfetta, che probabilmente rischia di riprodurre le incongruenze a cui ora a Bruxelles proprio quel Romano Prodi che ha tenuto a battesimo l'Ulivo cerca di porre rimedio, che magari fomenta anche sospetti di autocandidature. Ma quel che più gli preme – e lo dice apertamente al popolo diessino – è che non si perda l'occasione per mettere in campo un'alternativa alla crisi che “entra nella carne degli italiani”. Per questo insiste nel chiamare a raccolta tutte le forze disponibili: quelle della politica che già si riconoscono nell'Ulivo e le altre che possono allargarlo; e quelle della società che diffidano delle capacità dell'alleanza di darsi nuove forme di rappresentanza ma che rischiano di fermarsi sulla soglia della protesta in proprio. Parla, il vice presidente della Convenzione per le riforme europee, di un “sistema binario” che superi la confusione del momento. Che, tiene ad avvertire, è tanto dei “girotondi” quanto dei partiti: “Vedete, nell'Ulivo si ottiene subito l'assenso di tutti sulla convocazione di una manifestazione ma ognuno ha qualcosa da ridire su come ristrutturare la coalizione. Ma al governo non ci torniamo organizzando solo manifestazioni. Dobbiamo andare in piazza ma dopo non possiamo fermarci a rimirare le belle bandiere: dobbiamo essere in grado di organizzare una proposta”. Anche se dovesse esprimere solo il minimo comune denominatore, come avviene attualmente in Europa. Amato richiama “un esempio che fanno sempre i collaboratori di Prodi”: “Se c'è un eccesso di pesca che mette a repentaglio il futuro della fauna, nel Consiglio europeo ciascun paese si preoccuperebbe anzitutto di aumentare la quota che gli spetta, mentre la Commissione si preoccuperebbe prima di adottare una politica che regoli il massimo di pescato e poi di come redistribuirla con gli Stati”.
Fatica Lucia Annunciata a strappare ad Amato qualche nome per quel “presidium”: Cofferati, Scalfaro, Sylos Labini? “Non sono contro nessuno. Vorrei che fossimo tutti compatti nella capacità di combattere il centrodestra”. Anzi, l'uomo che ha conosciuto le tante divisioni e l'eclissi del proprio partito, quello socialista, coglie l'occasione per dire che “non c'è ragione per cui uno che apprezza D'Alema deve avercela con Cofferati e viceversa”.
La discussione spazia, dallo scontro sull'articolo 18 (“La Cgil aveva ragione ma poteva fare di più per far capire che il suo no è al ritorno al modello della concorrenza al ribasso tra flessibilità e competitività) all'ipotesi che Berlusconi debba dimettersi se condannato (“Noi dobbiamo preoccuparci di batterlo politicamente”). Fino alla questione che allarma il mondo, in queste ore: la guerra. “Non può essere la fortuna di nessuno”, avverte Amato preoccupato che, diversamente dall'attacco all'Iraq di Bush padre, il figlio non si preoccupi di avere nemmeno il mandato dell'Onu: “Sarebbe la forza contro la legalità internazionale”.


Bossi, avvertimento a Berlusconi "Stop ai centristi o salta il governo"
Redazione de
La Stampa

Ministro Bossi, per il suo collega di governo Giovanardi 250 mila clandestini che già lavorano e non hanno commesso reati sono da regolarizzare anche contro il suo consenso. Andrà così?
"Assolutamente no, e il signor Giovanardi se lo tolga pure dalla testa".
Altrimenti?
"Se la tirano per le lunghe qui succede che il governo va a catafascio".
Addirittura?
"Io non lo voglio ancora pensare. Il signor Giovanardi e i suoi amici avrebbero bisogno delle sinistre".
Giovanardi e chi altro?
"I soliti. La banda dei vescovoni, dei framassoni e degli ex credenti o finti credenti".
Proprio non le piacciono.
"Rappresentano un mondo uguale a quello del caporalato. Vuoi assumere in nero? Chiami la parrocchia e ti mandano l'extracomunitario. Quella gente lì ha fatto i miliardi sulla pelle di quelli là".
E lei, come ha detto l'altra notte a Treviso, vorrebbe la Guardia di Finanza nelle canoniche.
"Per controllare che fine hanno fatto i soldi che si prendono. Vanno ai poveracci o restano attaccati a qualche tonaca?".
Secondo lei?
"Non finiscono tutti ai poveracci".
Non è la prima volta che si scontra con Giovanardi.
"Spero sia l'ultima, sennò vuol proprio dire che finisce male".
Per il governo?
"Per Berlusconi, soprattutto. E' lui che ci rimette la faccia. Se il signor Giovanardi insiste è un problema del presidente del Consiglio, ammesso che non lo sia già".
Di già? Lo sarebbe già?
"Nel governo, oggi, c'è chi rimpiange d'aver fatto entrare certa gente".
Ma ci sono.
"Si votasse domani via!, non valgono un voto, dispersi in cabina elettorale".
Quell'uscita di Giovanardi sui 250 mila clandestini da regolarizzare l'ha toccata parecchio, a quanto sembra.
"Bossi non è tranquillo".
Parla come un capo indiano.
"Come uno che rispetta i patti e se la prende con chi li vuole stracciare".
Sempre Giovanardi con annessi "vescovoni"?
"Chi è entrato nella Casa delle Libertà ha firmato un patto. Un patto che bandisce la parola sanatoria. E' vietata, chiaro?".
Giovanardi non l'ha usata.
"Ma è una sanatoria lo stesso, è il solito tentativo di quel mondo lì che ormai è un mondo finito".
Da quando?
"Da quando la Lega è al governo e deve dar conto a chi l'ha votata sotto il simbolo della Casa delle Libertà".
Hanno votato anche Giovanardi e gli ex democristiani, se è per questo.
"Hanno votato per un programma che esclude sanatorie per i clandestini. Non scherziamo su questo argomento. Qui si rischia tutti".
Cosa?
"Ma se passasse una sanatoria le gente ci metterebbe sui forconi, ci ammazzerebbero".
I suoi attacchi ai "vescovoni" e l'invito alla Guardia di Finanza del suo amico e collega Tremonti, si son presi i fischi del mondo cattolico.
"Davvero? Sarà quel mondo lì, quelli del caporalato e dell'obolo che resta in tasca".
Fischi che continueranno, a questo punto.
"Va bene, ma a me interessa cosa pensa e cosa vuole il popolo, il cittadino del Nord o non del Nord. Vogliamo dare la casa ai clandestini risanati o ai nostri pensionati con la minima?".
Si metta d'accordo con Giovanardi. Ricorda quando ha perso la scommessa proprio con lui, e non voleva pagare la cena "perché quello poi si frega pure le posate e danno la colpa a me?".
"Appunto, bella gente... Ma perché li abbiamo fatti entrare nel governo?".


"L´accoglienza e´ la sua vocazione"
Giovanardi: sbaglia chi critica la Chiesa
Redazione de
La Stampa

Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi prende le distanze dalle critiche di Umberto Bossi al mondo cattolico sull'immigrazione, sottolineando che la Chiesa "non può tradire la sua vocazione", anche se poi spetta allo stato fissare le regole da far rispettare. "Ci mancherebbe altro - afferma Giovanardi - che la Chiesa e il volontariato cattolico non continuassero a perseguire la loro insostituibile opera di carità e di accoglienza nei confronti di chi ha immediato bisogno di aiuto e solidarietà, se ciò non avvenisse, la Chiesa tradirebbe la sua vocazione". "Viceversa - aggiunge il ministro dell´Udc - spetta allo Stato stabilire regole e farle rispettare, con equilibrio e saggezza". "Sbaglia pertanto - conclude Giovanardi - chi critica con toni accesi la Chiesa, così come sbaglia - aggiunge il responsabile dei Rapporti con il Parlamento - qualche voce stonata del mondo cattolico, che ha parlato di disobbedienza civile o di sabotaggio davanti alla nuova legge sull'immigrazione votata da un parlamento sovrano".


Certezze cercasi
Salvatore Padula su
Il Sole 24 Ore

Si è certamente scomodato qualche Azzeccagarbugli di prim'ordine per redigere l'atto di morte del credito d'imposta sulle assunzioni. E come tutti gli Azzeccagarbugli non si è accontentato di scegliere la modalità più semplice, ma ne ha preferita una più contorta, cinica. Quasi diabolica, a rileggerla ora. L'effetto è sotto gli occhi di tutti. Il credito d'imposta per i datori di lavoro che aumentano l'occupazione è - almeno per il 2002 - morto e sepolto, insieme a un suo parente stretto, il credito di imposta per gli investimenti al Sud e nelle aree depresse del Centro-Nord. Da luglio nessun imprenditore può più utilizzare il bonus per l'occupazione. E ciò non solo nel caso di nuove assunzioni. Il blocco, infatti, è retroattivo. Una vera e propria sciagura per quegli imprenditori che, partiti ad agosto con la certezza di poter contare su uno sconto mensile di 413,17 euro (619,75 nelle aree del Sud) per ogni dipendente in più, hanno all'improvviso scoperto di averne perso il diritto. Anche se le dichiarazioni del ministro Tremonti fanno ben sperare per una soluzione che aggiri l'impasse.



Piomba su Venezia un finale avvelenato
Simonetta Robiony su
La Stampa

Coda invelenita per la serata finale della Mostra andata peggio se è possibile di quella dell´inaugurazione perché costellata di incidenti grandi e piccoli. L´incidente più grosso. È quello capitato a Dario Fo, uno dei pochi italiani ad aver preso un Nobel. Ospite con la moglie Franca Rame e la sua "voce" Beppe Fiorello per la presentazione del cartone "Johan Padan", s´è visto ignorato da Gigi Marzullo, presentatore della cerimonia per conto della Rai, che ha dichiarato chiusa la Mostra prima di fare il suo nome, provocando l´uscita di quei pochi invitati che sarebbero rimasti a vedere il film. Da qui l´idea geniale di Fo di alzarsi e andare a invitare la gente in strada perchè un film si fa per mostrarlo in una sala piena. Geniaccio dell´improvvisazione, Fo s´è molto divertito. S´è divertito anche Fiorello che l´ha seguito in tutto e per tutto. Si sono divertiti meno quelli della Rai che comunque su Raisat nulla hanno detto né mostrato dell´arringa di Fo al popolo. Imputato dell´errore Gigi Marzullo e chi ha deciso di metterlo a condurre una serata di cinema. de Hadeln dice che l´annuncio di Fo era in scaletta. Marzullo sostiene che doveva farlo solo a Mostra chiusa. Il direttore di Raiuno Del Noce, vantando il 21% di ascolti per la Mostra andata in onda a notte sulla sua rete, spiega che doveva farlo de Hadeln. Chissà. Un incidente di media grandezza ha coinvolto Gaia De Laurentiis. Annunciata da giorni come partner di Gigi Marzullo nella serata conclusiva, non s´è fatta vedere sul palco della Sala Grande. Un malore improvviso? Una lite con il collega? Il mistero lo chiarisce il direttore de Hadeln. "Le prove non funzionavano e Gaia De Laurentiis voleva un copione preciso. Ho perso la pazienza". Dice Gaia De Laurentiis: "Se l´è presa con me come fossi la Rai in persona insultandomi in pubblico". Risultato? D´accordo con la direzione Rai, Gaia De Laurentiis se n´è andata. Per il futuro, comunque, de Hadeln si augura una cerimonia secca curata dalla Biennale che la Rai, se vuole, può mandare in onda. E basta. "Per quel che interessa la Mostra alla tv pubblica è sufficiente. Ci hanno messo dopo mezzanotte". Il direttore Del Noce si addolora. "Sono Stupefatto. Indagherò. Queste sono polemiche da portineria". Un incidente piccolissimo ma molto visibile è stata la scelta di far assumere alla meravigliosa attrice Gong-Li, presidente della giuria, il ruolo di presentatrice a fianco a Marzullo. Gong-Li parla solo il cinese: non un nome nè un titolo è stato detto in maniera comprensibile. Solo una cosa aveva imparato a pronunciare: il nome di Marzullo, Gigi. Non è sufficiente. De Hadeln si discolpa. Il primo direttore straniero della Mostra lo svizzero de Hadeln fa un consuntivo a braccia, parlando a ruota libera. Scandalo per il Leone a "Magdalene" di Mullan? "Lo scandalo sarebbe stato non prenderlo in concorso. Ho visitato in Spagna un museo dell´inquisizione, sono stato cresciuto in un collegio cattolico dove ci obbligavano a fare il bagno in mutande, la chiesa cattolica ha sbagliato spesso e sta riconoscendo i suoi errori. Magari il Papa, un giorno, chiederà perdono per quel che hanno fatto in Irlanda le suore Maddalene". Ma addirittura premiarlo. "Le giuria ha fatto il suo lavoro senza pressioni di alcun genere. Credo nella libertà di pensiero". Non è solo il Vaticano ad aver alzato la voce contro "Magdalene", anche Valerio Riva ha detto che di questo Leone si dovrà discutere nel Consiglio della Biennale? "Riva cerca visibilità e non si rende conto che più si fa rumore intorno a questo film più gente andrà a vederlo. Non gli piaccio come direttore? Un altro anno lo può far lui". Possibile che nella prima mostra di centro destra dell´era Berlusconi si debbano vedere un film antiamericano come quello dell´11 settembre? "Se n´è lamentato con me l´ex ambasciatore Gardner, ma io sono un uomo indipedente: chi mi ha chiamato spero sapesse che non mi faccio condizionare dalla politica". Resterà alla Mostra? "Ho parlato con il Ministro Urbani. Mi ha dato appuntamento a Roma tra un mese".
La parola alla giurata. Francesca Neri unica italiana della giuria che dà il Leone, racconta che per Mullan c´è stata unanimità. La stessa che per Julianne Moore protagonista di "Far from heaven" e per il coreano "Oasis" piaciuto a tutti. Il resto dei premi è stato assegnato con votazione, ma in tre minuti, senza litigi. Stefano Accorsi che con "Un viaggio chiamato amore" di Placido, campione d´incassi al botteghino nell´ultimo fine settimana, ha strappato la Coppa Volpi al bravissimo Jean Rochefort di "L´homme du train" perchè è un talento in ascesa: "Una giuria deve premiare anche le potenzialità, non solo riconoscere valori assodati". Nessun giurato ha mai preso in considerazione i film di Kitano o di Sam Mendes, graditi dai critici. Tutti sono rimasti stupiti che alla cena all´Excelsior della Biennale la Rai, e solo la Rai, non fosse presente. Avevano prenotato da Cipriani, volevano far festa a Stefano Accorsi. Peccato. La cena era fastosa e da Dario Fo a Daniele Vicari gli altri c´erano.


"Bagdad si pieghi alle ispezioni dell'Onu"
Berlusconi: l'Italia si schiera con gli Usa
Maurizio Caprara sul
Corriere della Sera

PORTO ROTONDO - Senza cercare scontri con gli Stati Uniti, una rotta del tutto estranea alla sua natura, Silvio Berlusconi preme affinché George W. Bush faccia il possibile per non attaccare l'Iraq. "Tutti siamo per il "no" alla guerra. Siamo per una pace nella giustizia. Certe volte, per arrivare alla pace o per mantenerla occorre un'azione armata. Speriamo che questo non sia il caso", ha detto ieri il presidente del Consiglio ricevendo i giornalisti davanti al suo terrazzo sul mare di Porto Rotondo. Da villa "La Certosa" erano appena usciti lo spagnolo José Maria Aznar, il francese Jean Pierre Raffarin e gli altri primi ministri ospitati per il vertice del Partito popolare europeo. Mentre per la Casa Bianca l'alleato più obbediente resta Tony Blair a Londra, Berlusconi, in vista dell'incontro con Bush che avrà in settimana, ha scelto di posizionarsi come il più amico degli americani tra i capi di governo dell'Ue che li invitano a non ricorrere a una condotta isolata. E che lo fa rimanendo interamente dentro il perimetro della famiglia europea.
Berlusconi ha lanciato anche un segnale che, nelle intenzioni, dovrebbe risultare per l'Iraq una luce in fondo al tunnel, un incentivo a un ammorbidimento: se Bagdad accettasse senza condizioni le ispezioni dell'Onu sui suoi arsenali, e dimostrasse di non preparare armi di distruzioni di massa, in cambio si potrebbe rivedere l'embargo nei suoi confronti. Testualmente, il presidente del Consiglio ha affermato: "Se l'Iraq, dopo un periodo nel quale ha disatteso ciò che le Nazioni unite avevano deliberato, ritornasse dentro il diritto internazionale e consentisse a tutti di verificare che non ci sono pericoli in costruzione al suo interno, e nella volontà del suo governo, ci sarebbe anche un cambiamento per quanto riguarda le sanzioni".
La situazione sembra forse ancora fluida per pronunce del tutto prive di ambivalenze. Alla Farnesina è maturata la convinzione che a differenza di quanto accadde prima della guerra del Golfo, quando era stato invaso il Kuwait, e prima di quella del Kosovo, quando Milosevic aveva compiuto stragi tali da rendere facile l'invocazione del diritto all'"ingerenza umanitaria", oggi non sia semplice far risultare legittimo un intervento contro l'Iraq. Perciò bisogna tener conto di un aspetto che Berlusconi non ha reso esplicito: dietro le quinte, la diplomazia italiana vorrebbe che gli Stati Uniti riportassero il contenzioso con Bagadad nell'ambito del paragrafo 34 della risoluzione 687 dell'Onu. E' un documento che affida al Consiglio di sicurezza la competenza di verificare se l'Iraq è inadempiente verso i doveri imposti dal cessate il fuoco. Ne potrebbe derivare un ultimatum: Bagdad avrebbe l'opportunità di venire a più miti consigli, qualora non lo facesse l'azione armata sarebbe più giustificabile agli occhi degli arabi moderati.
In pubblico, Berlusconi ha bilanciato il suo spiraglio con messe in guardia a Saddam Hussein: "Ci sono molte probabilità che esistano armi di distruzioni di massa chimiche e biologiche, in questo caso si dovranno prendere dei provvedimenti. Molte volte la prudenza consiste nell'essere cauti, ma anche nel non essere troppo cauti". In sostanza l'attacco, purché "nel quadro dell'Onu", non va escluso a priori. Oltre a sottolineare che la storia "non può farci vedere che accanto agli Stati Uniti", Berlusconi ha formulato come sua interpretazione quella che è una preghiera: "Non credo che abbiano l'intenzione di agire in modo isolato, perché non porterebbe a situazioni positive per loro stessi, per l'Onu, l'Europa". Poi, un appello all'unità: "Non vogliamo assolutamente una divaricazione tra Stati Uniti ed Europa".
E l'annuncio che dopo l'incontro con Bush riferirà al Parlamento, facendo votare sulla richiesta di nuovi militari italiani per sostituire unità americane in Afghanistan.



L'Ulivo si compatta sull'Iraq "No a interventi unilaterali"
Gianna Fregonara sul
Corriere della Sera

ROMA - Almeno in politica estera l'Ulivo trova un leader: Gerhard Schröder. E' infatti sulla linea scelta dal cancelliere tedesco - no a interventi militari unilaterali contro Saddam - che si attesta il centrosinistra. Ieri il vertice dell'Ulivo ha approvato un documento unitario che esprime la posizione della coalizione sulla questione Iraq: "L'Ulivo - si legge - è contrario a qualsiasi azione unilaterale di intervento militare in Iraq". Tre sono le condizioni, secondo il centrosinistra, per "una efficace lotta al terrorismo internazionale": una vasta e solidale coalizione mondiale nel quadro dell'Onu, una iniziativa dell'Unione europea sostenuta da tutti i Paesi membri, l'intesa con i Paesi arabi moderati. Su questa linea, tutti d'accordo. E' la prima volta che il centrosinistra non si spacca sulla guerra. Quando si trattò di sostenere l'azione antiterrorismo in Afghanistan Verdi e Pdci si dissociarono e l'Ulivo non riuscì a trovare la sintesi. Oggi invece i leader della coalizione chiedono che il governo chiarisca immediatamente in Parlamento la sua posizione riguardo alle minacce di guerra. "Berlusconi - insiste Rutelli - venga in aula prima di partire per gli Stati Uniti, venga a dirci che cosa andrà a dire all'Onu e a Bush". Piero Fassino chiede "che si faccia ogni pressione politica possibile per ottenere le ispezioni in Iraq".
Questa volta, tra mille cautele, i leader dell'Ulivo hanno deciso di agire per tempo, evitando di farsi trovare impreparati e incalzando il governo. Li hanno aiutati la posizione del Cancelliere tedesco, la richiesta di Romano Prodi di cercare una posizione comune dei Paesi europei, i dubbi dell'opinione pubblica.
Quanto durerà la linea unitaria è difficile dirlo e nella coalizione regna la cautela. Nella versione iniziale del documento, preparato da Vannino Chiti, coordinatore della segreteria diessina, e da Dario Franceschini, coordinatore della Margherita, un eccesso di precauzione aveva consigliato di non inserire riferimenti all'11 settembre. Sono stati Rutelli e Boselli ad aggiungere che l'Ulivo "riconferma la solidarietà agli Stati Uniti e ribadisce l'assoluta priorità della lotta al terrorismo internazionale".
Ma nessuno si nasconde che le difficoltà potranno cominciare se e quando l'Onu dovesse decidere azioni dissuasive o attacchi nei confronti di Saddam. Perché per ora l'Ulivo chiede che "sia l'Onu a indicare a tutte le nazioni gli strumenti e le modalità con cui ottenere l'efficacia delle ispezioni in Iraq e l'attuazione delle risoluzioni approvate dal Consiglio di sicurezza". "Ma noi restiamo contrari alla guerra anche se a proclamarla è l'Onu", mette le mani avanti il leader dei verdi Alfonso Pecoraro Scanio: "E comunque l'Ulivo dovrà riunirsi di nuovo per valutare". All'estremo opposto c'è il leader dello Sdi Enrico Boselli che invece insiste molto per evitare cedimenti pacifisti. Una linea sostanzialmente condivisa da Rutelli che infatti insiste sul fatto che "il no dell'Ulivo è soltanto ad azioni unilaterali di guerra", ben diverso è il caso che a decidere sia l'Onu e che venga consultata l'Unione Europea.
Per ora l'opposizione sceglie di far pressione sul governo: "E' uno scandalo, secondo la tradizione almeno il ministro degli Esteri veniva in commissione a informare il Parlamento prima di spendere la posizione italiana in sede internazionale su un tema come la guerra", spiega Dario Franceschini. Ormai i tempi non ci sono più, visto che Berlusconi è in partenza oggi per New York. Per il capogruppo della Margherita Pierluigi Castagnetti "Berlusconi conferma la scarsa autonomia del governo italiano in politica estera e, insieme, la minima considerazione che ha per il Parlamento".


   10 settembre 2002