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"Politica europea ambigua, siamo poco credibili"
Amara analisi di Padoa-Schioppa (Bce)
Giancarlo Radice sul
Corriere della Sera

CERNOBBIO (Como) - "La politica europea dell'Italia è ambigua e incomprensibile" dice Tommaso Padoa-Schioppa, esponente italiano nel board della Banca centrale europea. "Il governo intende rispettare i patti che ha contratto con l'Europa - gli replica il ministro dell'Economia Giulio Tremonti -. In Europa ci siamo e siamo rispettati".
E' un confronto a distanza quello andato in scena ieri alla sessione finale, a porte chiuse, del workshop Ambrosetti di Villa d'Este. Uno scambio dai toni pacati, ma dai contenuti taglienti. Padoa-Schioppa non ha concesso sconti, in quella che è apparsa un'amara analisi della situazione. "L'Italia è stata un Paese non solo fondatore, ma determinante nelle scelte decisive che l'Unione ha compiuto dal 1950 al 1998 - ha scandito -. Chi vive in Europa sa che questo ruolo è apprezzato e, in questo momento, rimpianto. Perché è difficile oggi capire qual è la posizione europea dell'Italia". Padoa-Schioppa vede che da Roma si costruiscono "in modo strisciante" tesi basate su proposizioni che "non sono vere". "Non è vero - sottolinea il banchiere centrale - che l'Europa sia un'invenzione della sinistra: l'Europa è di De Gasperi, di Martino, di La Malfa. La sinistra l'ha riscoperta, ma aveva votato contro i Trattati di Roma e contro l'ingresso dell'Italia nello Sme. E non è vero che l'Europa è tecnocratica: l'Unione è eminentemente una costruzione politica". Parlando come "un osservatore esterno", Padoa-Schioppa ha dovuto ammettere che "non è ancora chiaro come l'Italia si stia collocando e quale linea il governo stia prendendo". E proprio come un "osservatore privilegiato" ha elencato i mali italiani "da correggere". Mali di vecchia data, non imputabili solo a questo governo: dalla finanza pubblica "ancora malata", alla poca credibilità del Paese in Europa. E un altro "male da correggere" è la carenza di mercato. "L'Italia sta ancora a metà strada fra Margaret Thatcher e Jean Baptiste Colbert - ha ammonito, andando a citare il "ministro delle Finanze" di Luigi XIV -. Purtroppo, per essere la Thatcher manca il coraggio di fare scelte impopolari e andare fino in fondo. Per essere Colbert manca uno Stato che funzioni". Un esempio viene dalla questione dei prezzi in aumento, che dimostra come il problema sia "di competitività", dovuto proprio al fatto di "non essere abbastanza Thatcher", mentre "alcuni segni", come il blocco delle tariffe, "farebbero pensare che si stia andando verso Colbert". Ma un Colbert, appunto, in uno Stato "che non funziona". E questo, secondo Padoa-Schioppa è "certamente il male italiano più antico", che "l'Europa e la globalizzazione rendono molto più acuto".
"E' positivo che Padoa-Schioppa abbia sottolineato che la costruzione europea non è di sinistra, ma appartiene a tutti" ha commentato poco dopo il ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri, il quale non ritiene che ci fosse alcun "intento polemico" nelle parole del banchiere. "Non ho sentito critiche", gli ha fatto eco il ministro della Difesa, Antonio Martino. E in serata lo stesso Padoa-Schioppa si è detto "lieto che i membri del governo, presenti mentre parlavo, abbiano compreso che il mio discorso era privo di ogni accento polemico".
Anche Tremonti, non ancora in sala durante l'intervento di Padoa-Schioppa, ha scelto i toni dell'analisi e della proposizione. "Vogliamo rispettare sia il Patto con l'Europa sia il Patto con l'Italia", ha osservato. Al termine di un anno scandito dalle conseguenze dell'11 settembre e dal rallentamento del ciclo economico, il ministro ha difeso il "realismo" seguito dal governo nel presentare le stime per il 2002. Ed ha aggiunto che altri Paesi europei, "leggendari per stabilità e forza", sono alle prese con "criticità superiori alle nostre".
Proprio la frenata dell'economia mondiale ha aperto per l'Europa, come è emerso all'Ecofin di Copenhagen, una "fase più riflessiva", anche per quanto riguarda l'interpretazione del Patto di stabilità. Tremonti individua tre scenari possibili: il primo consiste in una navigazione a vista. "Si va avanti caso per caso nell'analisi dei prossimi programmi di stabilità, alla ricerca di elementi consentiti e coerenti con l'attuale patto" ha spiegato. Il secondo è rappresentato da un'anticipo dei grandi orientamenti di politica economica, i cosiddetti Gope, che vengono preparati dalla Commissione Ue ogni primavera, con le linee guida che ogni governo nazionale dovrebbe rispettare nei criteri di bilancio. Il terzo è, tout court , la revisione del Patto. Quale delle tre ipotesi sceglie Tremonti? "Considero migliore la seconda, ma più probabile la prima" ha ammesso. E la terza? "Non la considero nemmeno".
E sempre in merito alle prospettive europee, Tremonti ha voluto anche ribadire la priorità verso il sistema "comunitario", senza però "sacrificare le identità nazionali", e verso un allargamento ad altri paesi che non è più un "dovere morale" seguito alla caduta del Muro ma un'esigenza di ampliamento del mercato, tantopiù utile a Paesi come l'Italia in cui l'andamento demografico non consente grandi margini d'incremento dei consumi.
Perfettamente allineato con l'analisi di Padoa-Schioppa s'era espresso poco prima il commissario europeo alla Concorrenza, Mario Monti: dalla dicotomia Thatcher-Colbert fino all'Europa che "non è costruzione della sinistra, ma della migliore tradizione liberal democratica". Monti ha poi sottolineato il "fitto dialogo" con Roma, pur ammettendo che "da un governo liberista ci si aspettava di più".


Mercante in Fiera
Sommario de
il Manifesto

Berlusconi vende ottimismo alla Fiera del levante. "I conti sono a posto. La sinistra è catastrofista e i giornali esagerano". La finanziaria? "Sarà "ortodossa". Il premier giura che rispetterà tutti i patti: quello per l'Italia, quello europeo di stabilità e pure quello con gli italiani firmato a Porta a Porta Ma il Cavaliere, tra una barzelletta e uno sketch, deve confermare il mega condono fiscale. Anche se "servirà a dare certezza nei rapporti con il fisco". Per Confindustria e il governatore Fazio va bene così: governo promosso. Ma per opposizione e Cgil non c'è niente da ridere.


"Ecco il progetto per il Nuovo Ulivo"
Massimo Giannini su
la Repubblica

ROMA - "Un modello europeo, un modello federale per il Nuovo Ulivo". Un "presidium delle migliori personalità politiche e non politiche del centrosinistra, scelte anche al di fuori delle segreterie di partito, presieduto da una delle più alte personalità dell'alleanza, sul modello della Commissione europea guidata Romano Prodi". Un "presidium" che "filtra ed elabora le proposte programmatiche, facendo da raccordo tra le istanze dei movimenti e della società civile e i partiti", e poi le sottopone al "Consiglio dei partiti" della coalizione, nel quale sono presenti tutti i segretari, così come la Commissione di Bruxelles fa con il Consiglio europeo. Ecco la grande proposta di rilancio del centrosinistra di Giuliano Amato, vicepresidente della Convenzione europea.
Come nasce questa sua proposta?
"Nasce da una constatazione: dopo una lunga fase in cui ha dovuto assistere alla luna di miele tra il Paese e la nuova maggioranza, il centrosinistra non può non accorgersi che in Italia, e non solo in Italia, il clima è profondamente cambiato. Non c'è solo lo scarto che si è creato tra l'eccesso di promesse fatte in campagna elettorale e i risultati concreti raggiunti dal centrodestra. C'è qualcosa di più profondo, c'è la perdita di credibilità del leit-motiv che ha consentito al Polo di vincere le elezioni".
E qual è stato questo leit-motiv?
"Il messaggio della nuova maggioranza è stato questo: è finito il tempo dei governi che guidano la società verso un obiettivo preciso, l'Europa, la moneta unica, e la innervano di regole che ne consentono il raggiungimento. Oggi è il tempo di lasciar fare a ciascuno. In particolare a noi, che siamo operatori dell'economia. E allora, lasciate che gli operatori dell'economia siano liberi, e ne trarranno beneficio tutti. Lasciate fare a chi ha già prodotto tanta ricchezza, e vedrete che diventerete tutti ricchi".
La sinistra era il simbolo dei sacrifici, la destra dello sviluppo.
"Diciamo che il centrosinistra aveva gestito la Quaresima, e il centrodestra ha vinto le elezioni assicurando che sarebbe arrivata la Pasqua. Ora questo schema è saltato, Le Borse mondiali e l'impazzimento dei mercati finanziari hanno portato la gente a una conclusione spaventosamente chiara: li abbiamo lasciati fare, e abbiamo perso un sacco di soldi. Oggi la questione non è più se lo Stato serva a regolare la società e l'economia, ma se l'economia basti a se stessa per diffondere la ricchezza. Al tracollo delle Borse si è poi sommato l'aumento dei prezzi".
Ed è colpa del governo anche quella, o non piuttosto dei commercianti, o dei grossisti?
"Anch'io sono convinto che più c'è concorrenza e più i prezzi calano. Ma è innegabile che in estate ci sia stato un accumulo di extra-profitti in settori nei quali la concorrenza c'è già, e si fa fatica ad immaginarne come potrebbe essercene di più. Un esempio per tutti, i ristoranti. E allora gli italiani hanno pensato: rifiutiamo il dirigismo, ma almeno teneteci un occhio sopra. Ebbene, quell'occhio non c'è stato. Di qui la seconda constatazione: li abbiamo lasciati fare, e si sono arricchiti solo quelli che hanno potuto".
Dove porta questo suo ragionamento?
"Vede, per noi del centrosinistra quello che è accaduto è solo una conferma: il mercato è un impasto di scelte individuali e di regole che fanno da sponda. Se manca questa sponda, c'è l'arricchimento di chi se lo può permettere, ma non c'è arricchimento collettivo. Ora tutto questo sta rientrando dolorosamente nella carne degli italiani. Sono tanti quelli che hanno perso soldi in Borsa. Tra i cittadini-elettori si è diffusa la percezione che il messaggio, a cui avevano creduto prima del 13 maggio 2001, li mette nei guai. Se n'è reso conto persino il governo, che ora cambia tattica al punto da meritarsi la critica di dirigismo nelle tariffe pubbliche".

Oggi qual è il vero dibattito, allora?
"Oggi c'è da progettare il futuro, cercando punti nuovi di raccordo tra le strutture rappresentative della società e i centri vitali della sua auto-rappresentazione. L'esempio è il '68: allora donne e studenti vennero fatti scendere in piazza con gli operai e i pensionati, per lottare contro il capitalismo. Ci volle tempo per capire che la vera lotta di quella stagione in realtà non fu contro il capitalismo, ma contro le gerarchie della società pre-moderna di quegli anni. Oggi in ballo c'è molto di più: c'è addirittura la forma futura della democrazia. Per questo, insisto, è ridicola questa battaglia tra chi è "contro i partiti" e chi è "contro i movimenti". Sono conati rivolti verso il futuro, che tuttavia si auto-rappresentano con lo sguardo ripiegato sul passato. Ed è qui che si annida il pericolo vero".
Quale pericolo?
"Se questo dilemma della rappresentanza non si risolve con soluzioni proiettate al futuro, tra partiti sempre più deboli e movimenti che girano solo sulla propria pista, la società cade sempre di più nelle mani del potere economico e mediatico. Ed è così che la democrazia entra in sofferenza davvero".

Ma allora perché ha detto "i girotondi non cambiano la storia"?
"Perché chi fa i girotondi deve capire che stiamo cercando forme nuove di democrazia rappresentativa. Ma che queste manifestazioni servano a esprimere istanze e aspettative e siano un impulso forte per le vischiosità dei gruppi dirigenti, santiddio, questo sì!".
Un "Ulivo che si veda", dice lei. E' qui che nasce la sua proposta di "modello europeo"?
"Sì. Da tempo mi domando: gli elementi essenziali dell'architettura istituzionale europea non possono valere anche per l'Ulivo? In fondo, in entrambi i casi dobbiamo costruire una federazione. Lì la federazione deve esprimere direttamente il mandato dell'elettorato europeo, qui deve esprimere quello dell'elettorato ulivista. Lì fa i conti con la sovranità dei singoli stati membri, qui con quella dei singoli partiti".
Quindi quale sarebbe la formula?
"Mettere al vertice dell'alleanza un gruppo dirigente espressivo dell'interesse unitario di tutto l'Ulivo, come è la Commissione presieduta da Prodi. Dentro, immagino le personalità più diverse, che non vengano dai partiti. Questo organismo dirigente dovrebbe tenere i rapporti con le rappresentanze politiche e quelle della società civile, e dovrebbe elaborare indirizzi e proposte. Prima di diventare operative, queste dovrebbero essere vagliate e approvate dal Consiglio dei partiti: esattamente come fa la Commissione di Bruxelles con il Consiglio europeo".



L´Ulivo alla campagna d´autunno Prima mossa: ritorna Di Pietro
Amedeo La Mattina su
La Stampa

Nessuna guerra all´Iraq, l´Ulivo non voterà in Parlamento una decisione che implichi un´azione militare, il governo italiano deve prendere le distanze dall´ammistrazione americana. Oggi dal vertice dell´Ulivo verrà fuori questa presa di posizione e la richiesta a Berlusconi di venire alla Camera nei prossimi giorni per riferire le sue intenzioni, prima di partire per gli Stati Uniti dove parlerà alle Nazioni Unite e incontrerà il presidente Bush. L´opposizione vuole stringere in un angolo il premier anche sui temi internazionali, preoccupata da un imminente attacco in Iraq. Ma non è solo questo il tema che verrà affrontato stamane da quello che sarà con molta probabilità l´ultimo vertice dell´Ulivo senza Antonio Di Pietro. Sembrano infatti mature le condizioni per sanare la rottura che si verificò quando l´ex pm di Mani pulite decise di non votare la fiducia al governo Amato. Ora le cose sono cambiate e i capi dell´opposizione vogliono mettere una pietra sopra al passato. Per lanciare la campagna d´autunno contro il governo e prepararsi alle prossime sfide elettorali (già le amministrative e le regionali del 2003 e 2004), l´Ulivo ha bisogno di recuperare tutti i pezzi perduti per strada in questi anni e di saldare una nuova allenza con Rifondazione comunista. La decisione di "riammettere" Di Pietro al tavolo dell´Ulivo è un fatto scontato per i Ds, Verdi, Pdci e Udeur, ma alla riunione di oggi incontrerà la resistenza di Rutelli (uno degli auturi, insieme ad Parisi, dell´espulsione dell´ex magistrato dall´Asinello) e di Boselli. Ma sono altre le questioni politiche che l´opposizione dovrà affrontare da subito. A partire dalla necessità di sfruttare al massimo quelle che il centrosinistra considera le "grandi difficoltà" in cui si trova la Casa delle libertà sui conti pubblici. "La maggioranza degli italiani - c´è scritto in un documento preparato come base di discussione - non ha più fiducia in Berlusconi. In solo anno il centrodestra ha sperperato il suo patrimonio di fiducia incassato alle elezioni del maggio 2001". Per il momento sarebbero state messe da parte (almeno nelle intenzioni di tutti) le questioni che finora hanno lacerato i rapporti a sinistra. Non si parlerà di leadership, Rutelli per il momento svolgerà il ruolo di coordinatore dell´Ulivo, è stato rimandato alle prossime riunioni il problema della "cabina di regia" posta recentemente da Fassino, e non si affronterà il tema dello "speaker unico" in Parlamento. Anche la Convenzione programmatica dell´Ulivo, annunciata per l´autunno, sta slittando alla prossima primavera. Anche qui, visto che si parlerà di contenuti e le divisioni tra i cosiddetti "riformisti" e "massimalisti" sono difficilmente colmabili, meglio rimandare il più possibile. Insomma, lo sforzo sarà quello di non litigare, quantomeno in questo passaggio politico che consente all´opposizione di portare l´affondo alla coalizione di governo. Ecco, dunque , la questione Iraq con l´annuncio che questa volta non ci sarà un voto bipartisan su eventuali azioni militari. Ecco l´irrigidimento sulla legge Cirami. "La maggioranza è disposta a modificarla? Bene - dice il capogruppo della Margherita Castagnetti -, ci sono una serie di nostre proposte già depositate. Ne scelgano una e ci facciano sapere al più presto. La prima mossa spetta a loro. Basta con le interviste sui giornali, ora si parla solo nelle commissioni parlamentari". Nell´Ulivo c´è però chi teme "pasticci e inciuci". "Ma alla Festa di Rinascita a Torino - afferma Rizzo del Pdci - lo stesso Violante ha pubblicamente garantito che nulla sarà fatto dietreo le quinte". Poi c´è il capitolo della Finanziaria. Il giudizio sarà fortemente negativo e la battaglia parlamentare si annuncia al calor bianco. A ottobre (questa l´altra decisione che verrà presa oggi) ci sarà un incontro di tutti i leader dell´opposizione, Bertinotti compreso. "Intanto - ripete Fassino - ci devono spiegare dove prendono i soldi per fare una manovra come quella annunciata dal "creativo" Tremonti". Altro terreno minato è la riforma del sistema radiotelevisivo. L´Ulivo metterà in risalto la contraddizione tra il messaggio del capo dello Stato alle Camere in cui parlava di pluralismo e i contenuti del ddl Gasparri. Al vertice ci sarà chi proporrà di rivolgere un appello a Ciampi e chi, come il leader dei Verdi Pecoraro Scanio, vuole chiamare in causa Casini e Pera. Infine, la manifestazione del 14 settembre. Oggi l´Ulivo aderirà ufficialmente all´iniziativa dei girotondini.


Benigni e Abbado in piazza San Giovanni
Sommario del
Corriere della Sera

Si allunga la lista. Il 14 settembre, a Roma, in piazza San Giovanni ci saranno anche Roberto Benigni (nella foto) , Marco Bellocchio e Claudio Abbado. I due registi e il direttore d'orchestra hanno firmato, con altri intellettuali come Carlo e Inge Feltrinelli, Gillo Pontecorvo, Ermanno Olmi, un documento di adesione al girotondo per la legalità: "Pensiamo che questa protesta coinvolga tutti coloro che credono nella democrazia". E gli organizzatori lanciano un appello: "Cento euro di contributo per le spese, aumentate con le adesioni".


Il Leone d'oro alle suore cattive di Peter Mullan
Redazione de
La Stampa

VENEZIA. La prima Mostra del Cinema gestita dal centrodestra sceglie a sorpresa un film duro e provocatorio nei confronti della Chiesa Cattolica.
Il Leone d'Oro va infatti a "The Magdalene Sisters" dello scozzese Peter Mullan, dopo accese discussioni in giuria e nonostante le polemiche seguite alla proiezione, che aveva però riscosso grande successo di critica e pubblico.
Una "provocazione rabbiosa e rancorosa" l'aveva infatti definito l'"Osservatore Romano". Il film è ambientato negli Anni Sessanta in Irlanda in un istituto gestito rigidamente dalle suore, dove venivano ospitate ragazze in vario modo ritenute "peccatrici". Un Leone tutt'altro che tranquillo, insomma, anche sul palco, dove si sono sprecati papere, errori di traduzione, malintesi.
All'ultimo momento la bionda conduttrice Gaia De Laurentiis ha dato forfait e a condurre la serata (in differita ieri su Raiuno, dopo le semifinali di Miss Italia) si è ritrovato solo soletto Gigi Marzullo, visibilmente impacciato, che ha a questo punto precettato la bella Gong Li, presidente della Giuria, per fargli da spalla.
La scelta di "Magdalene" ha già provocato polemiche a botta calda e altre ne seguiranno nei prossimi giorni. Il consigliere di amministrazione della Biennale Valerio Riva, annuncia battaglia: "Non voglio censurare nessuno, né il giudizio della giuria, ma ci sono cose che mi mettono grande sospetto: prima le polemiche sul film sull'11 settembre, e poi il Leone d'Oro a un regista che sostiene la tesi che i cattolici sono peggio dei talebani.
I conti non mi tornano". "Siamo in una società democratica dove ognuno può esprimere il proprio parere - gli replica serafico il direttore della Mostra, Moritz De Handeln -. Io per fortuna non sono in giuria, comunque il parere di Riva non è condiviso dal pubblico, come dimostrano i risultati del film in questi giorni nei cinema".
Protesta anche Andrea Piersanti, presidente del cattolico Ente dello spettacolo: "La giuria evidentemente si è fatta influenzare dai giornali più che valutare il contenuto e la bellezza del film. Si tratta di un segnale strano da parte della prima mostra gestita dal centro-destra che premia un film sfacciatamente anti-clericale". Mentre secondo il Cardinale Ersilio Tonini il vero problema è un altro: "È un film a tesi o racconta cose vere? Non si può pensare solo al valore estetico e trascurare la verità storica.
Questo film invece mi sembra abbia il sapore del pamphlet". E per Gianni Baget Bozzo "chi ha premiato quel film lo ha fatto solo per il suo contenuto anticattolico. C'è oggi un forte sentimento anti-cristano anche forse perché il cristianesimo è l'unica religione da un profilo forte capace di reggere gli attacchi". Da parte sua, il ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri sostiene: "La giuria è autonoma e sovrana, non può essere soggetta a vincoli nelle sue scelte".
Forse è un tentativo di far quadrare i conti il premio come miglior regista Lee Chang-Dong per il suo "Oasis" già scelto come miglior film dalla Signis, la giuria ecumenica, che riunisce cattolici e protestanti. L'opera racconta l'amore tra un ex detenuto e una disabile: il film si porta a casa anche il premio Marcello Mastroianni per la miglior attrice emergente alla protagonista Moon So-ri, che a lungo è stata addirittura in predicato per la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile, poi andata a Julianne Moore, bravissima nei panni della casalinga Anni Cinquanta nel film "Far from Heaven" di Todd Haynes.
L'Italia guadagna la Coppa Volpi con Stefano Accorsi come miglior attore per l'interpretazione del poeta Dino Campana in "Un viaggio chiamato amore" di Michele Placido, sulla tormentata relazione con Sibilla Aleramo. Un ruolo "pericoloso", lo ha definito lui, "stimolante", ma anche di quelli in cui un attore "deve buttarsi senza essere prudente anche a rischio di apparire ridicolo".
L'attore, che ha dedicato il suo premio a Campana, è stato letteralmente assalito dalle fanciulle al suo arrivo a Lido. Trentun anni, scoperto da uno spot di un gelato, Accorsi è ormai diventato il simbolo della generazione dei trentenni. Un altro premio italiano è andato a "Due amici" di Spiro Scimone e Francesco Sframeli, premio Luigi de Laurentiis per la migliore opera prima ex aequo con "Roger Dodger" di Dylan Kidd.
Il gran premio della Giuria l'ha ottenuto Andrej Konchalovskij per "Dom Durakov - La maison de fous", commovente racconto ispirato ad un fatto realmente accaduto nel '95, presentato in concorso al Festival di Venezia. Il film racconta le vicende degli "ospiti" di un manicomio al confine tra Russia e Cecenia che vengono abbandonati quando scoppia il conflitto tra i due paesi. Incurante delle polemiche per il suo Leone, il regista Peter Mullan si è presentato alla cerimonia di chiusura sorridente, con il kilt scozzese, accompagnato dalla delegazione del film e dal produttore Andrea Occhipinti.
La serata ha avuto, appunto, un altro momento di emozione inaspettata per il forfait di Gaia De Laurentiis: la bionda attrice dopo un duro litigio appena prima dell'inizio se ne è andata. In platea i ministri Giuliano Urbani e Maurizio Gasparri, il presidente della Rai Antonio Baldassarre e il direttore di Raiuno Fabrizio Del Noce, il ministro della cultura francese Jean Jacques Blackstone e quello tedesco Julian Nida-Rumelin.
Molti posti vuoti in sala, assente anche il presidente della Regione Giancarlo Galan. Semplice la scenografia, che si è affidata soprattutto ai clip dei film premiati. La serata si è chiusa all'Excelsior, che già aveva ospitato la cena inaugurale, con la cena ufficiale nella cornice della Taverna sul mare.
Per la serata, con buffet in piedi, sono arrivati anche una trentina di ballerini dell'Accademia di Danza creata con la Biennale da Carolyn Carlson, chiamati a fare gli animatori della serata. Con loro anche un complesso di musica latino-americana.


Powell: "Minacce gravissime, bisogna colpire per primi"
James Dao su
la Repubblica

WASHINGTON - Segretario di Stato Colin Powell, lei sta difendendo la politica del presidente Bush incentrata sull'"azione preventiva" contro i paesi che costituiscano una minaccia per gli Stati Uniti. Ritiene verosimile di dover ricorrere a questo tipo di azione contro l'Iraq?
"In politica estera e nella prassi militare, la prevenzione è sempre stata uno degli strumenti disponibili. E ciò è anche più vero oggi, a causa della gravità delle minacce che i terroristi rappresentano. Un presidente o un leader hanno sempre la possibilità di optare per la prevenzione. E' ovvio che dobbiamo ricorrervi prestando la massima attenzione e pienamente consapevoli dei doveri che abbiamo in qualità di membri responsabili della comunità internazionale".
C'è chi sostiene che lei sia stato oggetto di critiche da parte dei suoi colleghi "falchi" quando ha incoraggiato il presidente a raccogliere il sostegno internazionale per la campagna contro il terrorismo?
"Non mi sono mai sentito isolato dall'amministrazione: i miei colleghi mi appoggiano e ovviamente mi appoggia anche il presidente. Le divergenze in alcuni casi erano reali, in altri appena percepibili, in altre ancora del tutto ingigantite".
In che cosa l'11 settembre ha profondamente cambiato la natura della diplomazia americana?
"Le mie esperienze di governo sono state all'apice di due avvenimenti fondamentali: la fine della Guerra Fredda e l'inizio della guerra al terrorismo. Oggi c'è la necessità di rompere i vecchi schemi di conflitto tra superpotenze, in cui ogni cosa si misurava come su una scacchiera, con i rossi, il Comunismo, da una parte, contro i blu, la democrazia, dall'altra. Gli attacchi terroristici hanno fatto a pezzi i preconcetti della Guerra Fredda sulle relazioni americane con la Cina e la Russia, aprendo la porta alla cooperazione tra nemici con capacità nucleari contro un comune nemico: i terroristi senza stato, che stanno facendo di tutto per entrare in possesso di armi biologiche e nucleari. Siamo di fronte a qualcosa di totalmente nuovo rispetto agli schemi della Guerra Fredda: qui c'è un nemico che ci ha colpiti tutti. C'era il modo concreto di allearsi tutti insieme per poterlo affrontare".
Lei ritiene che l'esistenza di un nemico comune abbia reso più facilmente accettabile per il presidente russo Vladimir Putin il ritiro degli Stati Uniti dal Trattato ABM del 1972, e abbia inoltre consentito a Washington di ricucire le relazioni con Pechino, diventate difficili dopo che lo scorso anno un caccia cinese si era scontrato con un aereo americano al largo della Cina?
"All'epoca tutti pensarono che l'incidente avrebbe guastato per sempre le relazioni con Pechino, ma nell'arco di 10 giorni avevamo già trovato una soluzione al problema. La ragione è che per quanto l'incidente sia stato molto grave, entrambe le parti, Pechino e Washington, si sono rese conto che l'incidente non doveva allontanarli dall'importante rapporto che si era instaurato tra loro".
Il mondo diplomatico ritiene che i rapporti in seno all'alleanza transatlantica si stiano deteriorando nel peggiore dei modi perché l'amministrazione Bush si oppone alla Corte Penale Internazionale e ad altri trattati che stanno molto a cuore all'Europa.
"Simili tensioni non sono nuove e non mettono a repentaglio l'alleanza degli Stati Uniti con l'Europa. Non riesco a ricordare un periodo, persino nei quindici anni di mia attività al governo o precedentemente, in cui non ci siano state tensioni tra Stati Uniti e Europa. Del resto basta guardare anche nel contesto europeo: si trovano significative divergenze anche tra le varie nazioni europee. Ma non per questo si accusa la Francia, per esempio, qualora non fosse d'accordo con gli altri paesi su una determinata questione. Le critiche mosse all'amministrazione Bush per la sua politica estera si basano sull'erronea supposizione che Washington non abbia piacere ad agire in seno ad una coalizione. Spesso si salta alle conclusioni, e si ritiene che non ci interessiamo ai nostri amici e agli alleati, solo perché c'è un disaccordo. Ma ovviamente non è così".
A Johannesburg, molti ministri degli Esteri si sono lamentati della brevità della sua visita. Perché così poco tempo?
"Le preoccupazioni per il terrorismo non hanno indotto il Dipartimento di Stato a perdere di vista altre scottanti questioni, come i diritti umani, la lotta all'Aids e il commercio internazionale".
Che cosa risponde alle accuse rivolte all'America di comportarsi con prepotenza in tutto il mondo?
"Non è nostra usanza o tradizione andare in cerca di conflitti, passare ad azioni preventive al solo scopo di conquistare il territorio di altri popoli, o di imporre la nostra volontà a qualcuno. Ma fa parte della nostra storia e della nostra tradizione difendere i nostri interessi".


Iraq, l'appello di Prodi: "L'Europa resti unita"
Marco Marozzi su
la Repubblica

BRUXELLES - La guerra alle porte, l'accordo Bush-Blair fanno scattare molti, tesissimi allarmi. Da Bruxelles a Mosca, da Atene alla stessa Londra. "L'Europa si deve unire in questo momento in cui in tutti cresce la preoccupazione". Il suo invito Romano Prodi lo lancia verso le capitali, i capi di governo, la gente comune.
La voce del presidente della Commissione europea si unisce a quelle di Schroeder e Chirac che già si sono schierati per una "posizione europea" con un "no" all'asse Washington-Londra. E una dura critica a Blair arriva ora dal ministro degli Esteri belga. "Se è impossibile per l'Unione europea avere una voce unica, unita per dire no a Bush - attacca il liberale Louis Michel - è perché Tony Blair dà un indiscusso, unilaterale appoggio all'azione militare Usa". "Un intervento armato impedirebbe il dialogo fra palestinesi ed israeliani e farebbe crescere il terrorismo" denuncia Kostas Simitis, premier socialista greco. Le prove per giustificare la guerra, commenta, sono "labili". "La Grecia - fa sapere - è contraria ad ogni intervento se esso non avrà l'approvazione dell'Onu".
"Aprire ora un fronte iracheno renderebbe più difficile la soluzione di altri problemi" rilancia Javier Solana, rappresentante per la politica estera e di sicurezza della Ue, ex segretario Nato. Un attacco contro Bagdad - prevede - potrebbe implicare "la necessità di una presenza militare per decenni e uno scenario molto complesso". Solana ricorda che Saddam "non ha tenuto fede a nove risoluzioni e 24 raccomandazioni del Consiglio di sicurezza", ma insiste anche lui: "Noi europei crediamo che si debba seguire la strada delle Nazioni Unite. Kofi Annan dispone di un certo margine di negoziazione, anche se non infinito. Bisogna approfittarne".
Prodi avvisa: "Attenzione che non si frantumi quell'unione di volontà diverse che ha costituito la grande alleanza contro il terrorismo dopo l'11 settembre". "L'Europa - ripete - è sempre più preoccupata che proprio a un anno dalla tragedia si rompa quella coalizione che non ha precedenti e nata superando grandi difficoltà". Questo il presidente andrà a dire l'11 settembre agli studenti europei, americani, arabi che incontrerà nelle scuole di Bruxelles e poi all'Europarlamento.
L'allarme diventa un pesante avvertimento nelle parole di Igor Ivanov, ministro degli Esteri russo. Dopo i "seri dubbi" espressi da Putin, ora Mosca avvisa: "Se con il pretesto di combattere il terrore si cerca di interferire con gli affari interni di uno stato sovrano, non solo si aggrava la situazione nelle regioni coinvolte, ma si infligge un danno irreparabile alla coalizione internazionale antiterroristica". "Dall'11 settembre - ricorda senza mezzi termini Ivanov - è chiaro a tutti che il terrorismo e altre sfide del XXI secolo come il crimine organizzato, il traffico di droga e la proliferazione di armi di sterminio hanno carattere transnazionale. Per questo nessuna nazione, per quanto potente, può risolverli da sola".
Intanto il ritorno a Londra di Blair non è stato roseo. Secondo un sondaggio metà degli elettori laburisti non ha più fiducia in lui, mentre due importanti sindacati dei trasporti si sono dichiarati contrari ad un eventuale attacco a Bagdad senza l'appoggio dell'Onu. E perfino la regina - secondo indiscrezioni di stampa - sarebbe "chiaramente preoccupata" per questa possibilità. Il premier si è presentato a rapporto da Elisabetta subito dopo l'arrivo da Washington.


   9 settembre 2002