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Legittimo sospetto, è svolta
Il Polo: "Cambiamo la Cirami"
Claudia Fusani su
La Repubblica

La maggioranza dichiara "modificabile" il disegno di legge sul legittimo sospetto. Dopo oltre un mese di barricate, il muro si è improvvisamente sciolto e proprio poche ore dell'inizio della discussione generale, oggi pomeriggio, alla Camera nelle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia. La svolta è stata imposta dall'altolà che il presidente della Repubblica Ciampi ha lanciato a Berlusconi, nell'incontro dell'altro ieri al Quirinale. Le perplessità del Colle riguardano la costituzionalità di un punto della Cirami, il terzo comma dell'articolo 1 della legge, che impone la sospensione immediata del processo qualora sia stato anche solo sollevato il dubbio sull'imparzialità del giudice. Il punto, fra l'altro, che ha guadagnato alla legge il nomignolo di legge-fotografia perché impedirebbe, almeno per il momento, una eventuale condanna di Previti nel processo Imi-Sir.

Poche ore dopo i suoi avvocati-onorevoli Nicolò Ghedini e Gaetano Pecorella che hanno sollevato la questione nei processi di Milano, hanno cominciato a dire che "in fondo, sì, la Cirami è modificabile". Un ruolo, nella svolta, potrebbero averlo avuto anche i mal di pancia di An e dei centristi dell'Udc all'interno della maggioranza, e le scelte del presidente della Camera Pierferdinando Casini che si dice sia stato spesso in contatto con il Colle durante l'estate.

Modificabile, dunque. In tre punti "suggeriti" dal presidente della Commissione Giustizia Gaetano Pecorella (Fi): "La formulazione del legittimo sospetto che qualcuno ritiene essere non abbastanza precisa; la utilizzabilità degli atti anche se il processo è spostato; la non-sospensione immediata del processo se è sollevato il legittimo sospetto e l'individuazione di una via intermedia, contro le tattiche dilatorie, che potrebbe essere un immediato giudizio di ammissibilità della Cassazione. In questo frattempo il processo va avanti.
Anche il "falco" Nicolò Ghedini si mette i panni della colomba. Nel pomeriggio, dopo un incontro con Anna Finocchiaro responsabile giustizia dei Ds, dice di essere "disponibile alle modifiche e al confronto". A una condizione: "Purchè l'Ulivo non voglia utilizzare la discussione generale come una kermesse mediatica contro il centrodestra accusandolo di avere scheletri negli armadi".

Insomma, un passo per ciascuno, per venirsi incontro. Ghedini va ancora oltre con le proposte: "Potremmo anche aspettare la sentenza della Corte Costituzionale che dovrebbe pronunciarsi il 23 ottobre". L'auspico, non dichiarato, è che anche il Tribunale di Milano rinvii la decisione, in attesa della pronuncia della Consulta. Il tutto per evitare, insomma, quel conflitto istituzionale fra la legge Cirami che blocca i processi e le sentenze della Corte Costituzionale, ben tre, che nel 1996 hanno detto che questo non é possibile.

L'avvocato-onorevole-difensore di Berlusconi è protagonista di un'altra polemica a distanza, questa volta con il suo compagno di partito, il viceministro dell'Economia Gianfranco Miccichè. Ghedini infatti è contrario "al doppio binario", un diverso trattamento per mafia e terrorismo da introdurre nelle nuove norme in discussione sulla giustizia. "Qualcuno parla a vanvera" gli risponde Miccichè da Cefalù, "che ne sa Ghedini di mafia? Il doppio binario è indispensabile".

L'Ulivo si prepara comunque alla battaglia. Massimo D'Alema ospite alla festa dell'Udeur dice: "La Cirami così com'è non va, cambiatela, questo è il banco di prova della volontà della maggioranza di svelenire il clima". Marco Follini, presidente del Ccd, è più che possibilista: "C'è un mese di tempo...". Tutti i parlamentari dell'opposizione interverranno alla discussione generale e senza rinunciare a neppure uno dei venti minuti possibili. Sfileranno i big, a cominciare da Luciano Violante. Oggi la parola tocca a Gianfranco Anedda (An) e Isabella Bertolini (Fi) per le relazioni introduttive. Lunedì il legittimo sospetto avrà chiaro il suo "destino".


D'Alema, altolà ai girotondi
"Guai a delegittimare i partiti"
Roberto Russo su
La Repubblica l

TELESE - Girotondo, no grazie. Massimo D'Alema sceglie la festa di Mastella per la rentrèe dopo le vacanze, e dal palco di Telese conferma: con Nanni Moretti, il 14 settembre, non scenderò in piazza. Fassino va? Violante pure? Del tutto "legittimo", ma il presidente della Quercia a piazza del Popolo continua a preferire Reggio Emilia, meglio il popolo dell'Unità che quello che si tiene per mano a Roma. Detto in due parole: loro sono la protesta, noi - ds, centrosinistra, partiti - siamo la politica. I movimenti? Cosa giusta, utile, positiva, che "rispetto profondamente", ma insomma non è proprio "con l'asprezza dei toni che si prepara la rivincita a Berlusconi". Aspro è invece il botta e risposta a distanza che ingaggia con il leader della Cgil Sergio Cofferati sul terreno del referendum sul lavoro: un referendum "prematuro" che potrebbe spaccare l'Ulivo, afferma l'ex premier. "Non capisco e non condivido - è la risposta di Cofferati - se le modifiche all'articolo 18 così come sono scritte diventano legge per me questo basta e avanza per promuovere il referendum, poi tutti possono fare quello che vogliono, onorevole D'Alema compreso".

E poi i girotondi. Basta con la "polemica stantia" fra società civile contrapposta ai partiti, al vertice dei girotondisti "ci sono militanti politici che conosco da trent'anni, semmai è una sinistra radicale...". Il presidente ds fornisce un'altra ricetta, la sua esigenza fondamentale è diversa: rilanciare l'Ulivo che "abbiamo lasciato in sonno", recuperare il "ritardo" che c'è stato, e che ha quindi innescato la spinta della piazza. Ma, allora, quell'altro appello alla piazza, lanciato dal segretario Fassino per il 5 ottobre? Eh no, lì il presidente della Quercia sarà in prima fila, ma è un'altra storia. C'è una bella differenza con l'appuntamento di piazza Navona. Sarà una "grande manifestazione dell'Ulivo con proposte alternative sul complesso dei problemi, e non su una sola legge. Sulla scuola, la sanità, lo sviluppo". Solo sulla data, pare di capire, il capo del Botteghino non è molto convinto. La preoccupazione, peraltro comune ad altri leader del centrosinistra, è che possa coincidere con il rush finale in Parlamento sulla Cirami.

Più chiaro di così. Sul palcoscenico della festa del Campanile irrompe dunque il D'Alema che giudica devastante "delegittimare i partiti di sinistra, così perdiamo per 50 anni". Tiene banco alla kermesse dell'Udeur, che sorprendentemente l'applaude, fa la fila per gli autografi, sotto la sapiente regia di Mastella che flirta con il presidente della Quercia: "Se viene sconfitto il riformismo di D'Alema, nell'Ulivo non ci sto più. Non mi faccio mettere al muro dal tribunale speciale di Flores D'Arcais. Il '68 è finito. Parisi sbaglia".

Fischi invece per l'ex Marco Follini, che ai tempi della comune Vela qui a Telese era uno dei padroni di casa, e per il coordinatore di Forza Italia, Antonione. Il leader del Ccd rilancia una convenzione per le riforme, D'Alema la boccia, "generosa e ingenua utopia, ma con la Cirami avete avvelenato il clima politico". Va tolta di mezzo, prima di parlare di qualunque sanatoria, e la Casa della libertà non pensi di "farsi scudo" del Quirinale.

Se proprio non è un addio, dopo la "frustata" di Telese la strada dei girotondi e quella di D'Alema sembrano proprio destinate a non incrociarsi. Anche perché ci sono ferite che bruciano ancora, le accuse che tornano per l'inciucio in Bicamerale. "L'ho pagata sulla mia pelle. Non ho mai capito perché tentare un accordo sulle grandi riforme debba essere un tradimento" .


Porte aperte ai movimenti
Vittorio Emiliani su
l'Unità

La polemica fra movimenti e partiti, fra girotondi sì e girotondi no rischia soltanto di risultare stucchevole, oltre che stravecchia, e di stancare (ancor prima di averle impegnate) quelle forze, quelle energie, giovanili soprattutto, che alla politica della sinistra sono indispensabili come il pane. Meno male che Nanni Moretti ha sparso salutare ironia su quanti, nel movimento, stavano assumendo il ruolo di chi già "detta la linea" all'intero Paese.
Al suo grido di piazza Navona tutta la sinistra deve molto, ma non meno gli deve per questa gestione della manifestazione del 14 settembre, pervasa di intelligenza e di acume autoironico.
È stato chiaro - o doveva esser chiaro - fin dall'inizio che la manifestazione di Piazza del Popolo scaturiva dai movimenti e che gli esponenti dei partiti dovevano aderirvi a titolo personale, senza cercare di farla in qualche modo propria. Allo stesso modo, per converso, dal versante movimentista doveva essere non meno chiaro che essa si poneva come pungolo forte, di sollecitazione critica nei confronti dei partiti e però non in alternativa agli stessi. Anche un bambino capisce che la contrapposizione fra governo Berlusconi e movimenti vari servirebbe unicamente a stendere al capo del governo un formidabile tappeto rosso. Non c'era bisogno che lo ricordasse un uomo navigato come l'ex presidente del Consiglio Massimo D'Alema. Nella realtà, per fortuna, quella contrapposizione secca non esiste o riguarda soltanto qualche frangia. Almeno spero.
D'altro canto, i movimenti hanno avuto un ruolo decisamente importante nel risveglio del popolo della sinistra dopo mesi e mesi di opposizione come tramortita e disanimata, vuoi da un insuccesso elettorale in parte favorito da contrasti interni inqualificabili, vuoi dalla determinatissima applicazione berlusconiana nel fare piazza pulita delle norme e delle regole che rendevano problematica la posizione giudiziaria (anzitutto) del premier. C'è stato, c'è un ritorno alla politica, pure da parte dei giovani. E le ultime elezioni amministrative, anche in zone assai critiche (come il Piemonte), hanno confermato il riaccendersi di quell'interesse sino a ieri spento, e anche il primo recupero di un astensionismo di sinistra sin lì avvitato nella propria rabbia. Ma c'è stato, in quelle città, anche un lavoro magari oscuro e però diffuso svolto dai partiti dell'Ulivo, del centrosinistra, che sarebbe profondamente sbagliato ignorare o sminuire. Un lavoro al quale la rinascita dell'"Unità" ha offerto voce e calore, con un clima che regge e che si respira nelle feste dell'"Unità" in giro per l'Italia, con dibattiti di nuovo affollati.
Non so quale corso né quale durata potrà avere l'onda dei movimenti che dovrà confrontarsi, probabilmente con un discorso più generale di linea e di programma (sempre restando nell'ambito del movimento). Certo, sentire da qualcuno che non ci si può adagiare nell'alveo del socialismo europeo mi suscita una certa malinconia: torniamo forse alla "specificità", alla diversità del "caso" italiano di lontana e disastrosa memoria? Ad una concezione che ci isolò nei fatti dalla cultura politica più avanzata e, alla fine, sperimentale, anche sul piano del governo?
D'altro canto però penso ai più giovani, più in generale a tutti quelli che vorrebbero impegnarsi, o reimpegnarsi: dove e a chi si rivolgono, a quale "sportello"? Il partito delle sezioni è defunto, estinto quasi ovunque, comunque ha spento le luci. Ma non è nato un partito nuovo, il partito dei circoli, dei club federati fra loro. In Italia se ne parla da anni e anni, ma è un dibattito che non è approdato, in pratica, a nulla, e che ha fatto emergere nel vuoto una personalizzazione esasperata della politica, che non poteva che favorire chi, come Berlusconi, aveva i mezzi finanziari e la determinazione politica per creare un partito-azienda in cui non si discute, non si elabora, non si fanno congressi e nemmeno verifiche.
Per questo credo che tornare a discutere, anche di idee, anche di programmi, ripeto, sarà, anzi è già fondamentale. Evitando rigorosamente l'illusione della "spallata" di massa, del "senza di noi non si governa" (che profuma tanto di vecchio consociativismo), ma con la volontà invece di costruire nel solco del socialismo, o dei socialismi europei, fecondamente diversi fra loro, una politica che non sia soltanto interna alle istituzioni. Una politica in grado di darsi, per la prima volta, il fascino dell'alternativa in una società prevalentemente di ceti medi, così profondamente cambiata, dove il berlusconiano "ciascuno è padrone a casa sua" sta spazzando via l'idea, la nozione stessa di interesse generale, facendo dilagare una visione individualista, di clan, di gruppo, di corporazione fra le più esasperate e mediocri. Con la nozione di interesse generale si liquefà pure quel senso dello Stato, quel comune sentire civile che con fatica, in mezzo secolo, si era riusciti a coagulare, a costruire. È giusto che la sinistra si riappropri del discorso della libertà, anzi delle libertà, in questa visione alta e sovranazionale.
I rapporti dei partiti della sinistra coi movimenti non sono stati mai facili, quelli dell'ex Pci in specie, così fortemente strutturato e organizzato com'era. Non lo sono stati nel '68, né nel '69, col "pansidacalismo" (questa era l'accusa), e neppure con l'ecologismo degli anni 70 al quale si contrapponeva ancora il mito dell'industrialismo ad ogni costo, del gigantismo, della crescita senza limiti (che spesso si riduceva all'asfalto & cemento, più una bella costellazione di raffinerie, già raffinavamo petrolio per mezza Europa). Anche allora si contestava ai movimenti di essere composti da borghesi, troppo radicali spesso, arrivando così a difendere lo stesso abusivismo edilizio considerato fenomeno "sociale" quando era già speculativo e inquinato dai vari racket. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Vediamo di evitare quelle chiusure ostili, quelle contrapposizioni che hanno sempre spianato la strada alla destra peggiore (ma come questa, al governo, non ne avevamo mai veduta una, dopo il 1945). I movimenti devono crescere evitando di farsi tutte le (note) malattie infantili. I partiti del centrosinistra devono modernizzarsi rapidamente offrendo al Paese un modello federativo, un modo di fare politica nuovo, un programma davvero alternativo, nelle idee di fondo anzitutto.


Radiodue, invitato e poi escluso Furio Colombo.
Il direttore Valzania: non era la trasmissione adatta
Paolo Conti sul
Corriere della Sera

Fu o non fu vera censura? Una volta tanto al centro delle polemiche politiche legate alla Rai non c'è la tv ma la radio. Ed ecco i fatti. Ieri pomeriggio Furio Colombo, direttore dell' Unità , ha ricevuto la disdetta a un invito ricevuto il 28 agosto: partecipare oggi, venerdì, a una puntata di 3131 su Radiodue condotta da Pierlugi Diaco. Colombo si sarebbe confrontato con Emilio Fede e lo scrittore Giordano Bruno Guerri. Ma Sergio Valzania, direttore dei programmi di Radiorai, ha annullato la puntata. Ecco la versione di Diaco: "Ogni settimana invio al mio direttore la scaletta delle varie puntate ma questa è la prima volta che è severo con un mio ospite. Pur condividendo il suo giudizio su Colombo, che sul suo giornale per tutta l'estate ha pubblicato articoli ingenerosi su Radiodue e Radiotre , non condivido la scelta".
Inevitabili le reazioni politiche, tutte di area Ulivo. Per Fabrizio Morri, responsabile dell'informazione dei Ds, si tratta di "censura inaccettabile". Per il suo collega di partito Antonello Falomi la decisione è "gravissima, il servizio pubblico viene meno al suo ruolo di garante del pluralismo". Il consigliere di amministrazione Rai, Carmine Donzelli, mette le mani avanti: "La notizia è incredibile, se fosse vera si tratterebbe di censura pura. Valzania non può interpretare la sua autonomia in questo modo".
Valzania offre la sua versione dei fatti: "Le cose stanno diversamente. Furio Colombo, in un fondo apparso l'11 agosto sull' Unità , ha posto in maniera, a mio avviso molto corretta, un problema. Cioè che il suo giornale non verrebbe mai invitato alle trasmissioni radiofoniche di "questa Rai". Per un singolare paradosso, negli stessi giorni hanno posto un problema analogo sia La Padania che Il Giornale ".
E cosa c'entra tutto questo con la trasmissione di oggi? "C'entra. Perché molto sinceramente non penso che Diaco possa essere l'interlocutore più adatto per sciogliere complessi nodi del genere. Infatti il conduttore di 3131 non aveva parlato con nessuno di questa sua iniziativa... Ho l'impressione, insomma, che si sia sbilanciato un po' troppo e ora vada in giro a cercare di attribuire a qualcuno le colpe delle sue leggerezze. Penso invece che il compito di affrontare una questione così delicata spetti direttamente al direttore, cioè a me stesso. E naturalmente, anzi ovviamente, lo farò".
In quanto alle accuse di partigianeria politica? "Rispondo ricordando che nei nostri palinsesti appaiono i Vaime, i Dose e Presta, i Serra e che molte trasmissioni di Radiotre , tradizionalmente attente a certe tematiche care alla sinistra come per esempio l' Hollywood party che va in onda in questi giorni da Venezia".
E Colombo? L' Unità di oggi pubblicherà un commento dal titolo ben poco aggressivo: Una curiosa decisione . Commenta il direttore dell' Unità : "Io constato la sequenza degli avvenimenti. Prima c'è stato, ben due settimane fa, un invito a una trasmissione. Poi c'è stata un'improvvisa disdetta. E questo fa notizia. Poi ho registrato dichiarazioni assai ferme di meraviglia e di condanna per come sono andate le cose. E naturalmente le ho apprezzate molto".
Però poi ci sono state le parole di Valzania... "Io sono prontissimo ad ogni chiarimento e a qualsiasi spiegazione perché i confronti costruttivi sono sempre i benvenuti. Non sarò io certo a respingere le ragioni altrui, a dire che ormai è troppo tardi, per carità. Se le intenzioni di Valzania erano altre, perché non ascoltarle"?
L'unica strada possibile è, a questo punto, un faccia a faccia Colombo-Valzania (in diretta radio? chissà). Per oggi tutto è annullato. La puntata di 3131 cambierà voci e sfondi. Niente più giornali, niente più politica ma storia della tv e canzoni napoletane grazie a Renzo Arbore.


Berlusconi: il Pil crescerà dell'1%.
Tremonti: automaticamente rinviate alle Camere le leggi senza copertura
G. Sar. sul
Corriere della Sera

Finanziaria "intorno" ai 20 miliardi di euro. Concordato fiscale inserito subito nel testo da presentare al Parlamento. E ancora: crescita del pil intorno all'1% a fine anno. Da Madrid il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi fissa alcuni punti fermi della politica economica del governo. A Roma, intanto, il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti annuncia che, con il varo del decreto legge "blocca spese", "per la prima volta nella storia della Repubblica italiana si applicherà con efficacia l'articolo 81 della Costituzione". D'ora in poi, spiega il ministro, ogni nuova legge dovrà avere un'adeguata copertura finanziaria, in caso contrario sarà rispedita in Parlamento. Non saranno toccate, comunque, le uscite per stipendi, pensioni e sanità. La giornata di ieri, quindi, sembra aver chiarito la cornice nella quale saranno inserite le misure concrete della manovra. Il premier ha riconosciuto che "l'economia cresce meno del previsto, e l'aumento del pil sarà di poco superiore all'1%". Ma "nonostante la situazione difficile", dice Berlusconi, "manterremo tutte le promesse". Il primo passo sarà la Finanziaria, che, ha confermato Berlusconi, ammonterà a circa 20 miliardi di euro. Quanto serve per "rispettare non solo il Patto per l'Italia, ma anche il Patto di stabilità europeo". Tuttavia, lo stesso Berlusconi è pronto ad avviare la discussione sui vincoli europei: "Io ne parlerò lunedì in Sardegna con sei miei colleghi del Partito popolare europeo". Uno dei cardini della Finanziaria sarà il concordato fiscale per adesione, uno strumento per consentire la chiusura del contenzioso tra erario e contribuenti. "Tremonti mi ha annunciato - ha concluso il premier - che nella Finanziaria intende presentare un concordato e, quindi, questa sarà la manovra che il governo presenterà nella Finanziaria. Se poi la maggioranza riterrà di trasformare il provvedimento che Tremonti sta mettendo a punto in un condono, sarà la maggioranza che lo farà".
Nei prossimi giorni l'attenzione si sposterà sulle scelte del ministro dell'Economia. Per Tremonti le basi della Finanziaria sono state gettate proprio con il decreto di ieri. "Non si tratta di un provvedimento legato a ragioni di emergenza. E' un intervento strutturale fondamentale, in vista della prossima Finanziaria". Il ministro ha sottolineato che il testo "è stato a lungo studiato e meditato, partendo dalla lettera del presidente della Repubblica Ciampi inviata nel maggio del 2001 al Parlamento". Tremonti ha più volte accennato all'avallo di "autorevoli istituzioni". Il riferimento è allo stesso Ciampi e al governatore di Bankitalia Antonio Fazio.
Tremonti ha insistito molto sul cambiamento di fondo nel sistema dei controlli introdotto dal decreto: "E' un provvedimento qualificante dell'azione di questo governo, è il primo passo per una vera Costituzione economica dello Stato". "D'ora in avanti - ha continuato - se una nuova dinamica di spesa diverge dalla nota tecnica, si rifarà la nota e si presenterà in Parlamento alla ricerca di una nuova copertura". E il viceministro Mario Baldassarri ha aggiunto: "Negli ultimi trent'anni c'è stata l'abitudine di indicare solo una parte della copertura, rimandando agli anni successivi il reperimento di altre risorse, che spesso non si trovavano. Ora questo meccanismo non funzionerà più".
Tremonti non si è pronunciato sui possibili effetti a breve del decreto sull'esplosione del fabbisogno pubblico (più 60% nei primi otto mesi del 2002). "I suoi effetti li vedremo quando sarà a regime", si è limitato a osservare. Più netto il perimetro di azione delle nuove norme: "Il decreto non interessa temi quali gli stipendi, le pensioni, la sanità e altre spese fisse obbligatorie". Ma di questo non è affatto convinto il segretario della Cgil, Sergio Cofferati: "Il decreto taglia-spese non sarà affatto indolore. Anzi provocherà pesanti contraccolpi sui provvedimenti che non sono automaticamente coperti da leggi di spesa del Parlamento, come le pensioni e gli incentivi per l'occupazione". E' "un atto grave - ha poi aggiunto il leader della Cgil - non so dire se abbia i caratteri della costituzionalità". Cofferati, quindi, tira le somme delle misure in arrivo (dai contratti all'articolo 18) e annuncia "nuove iniziative di lotta, oltre allo sciopero generale già proclamato". Anche i leader dell'opposizione attaccano il decreto. Per Piero Fassino, segretario dei Ds, "il decreto è un pannicello caldo, privo di qualsiasi efficacia reale e dimostra che siamo allo sbando, con il governo che non sa come impostare la Finanziaria". Massimo D'Alema, presidente dei Ds, accusa il centrodestra di "aver portato il marasma nei conti pubblici". L'ex ministro del Tesoro, il diessino Vincenzo Visco, considera il decreto come "il certificato del fallimento di Tremonti, poiché è il frutto dell'andamento terrificante di conti". Per Francesco Rutelli, leader dell'Ulivo, "i buoi sono già scappati dalla stalla. I conti non tornano e tutte le previsioni del governo sono sballate".


Epifani: "Governo inattendibile". Pezzotta: "Il condono? Un regalo ai furbi"
Redazione de
l'Unità

"Per la prima volta da anni è a rischio anche l'occupazione. E mi sembra che il governo non si renda conto della realtà. L'economia va a marcia indietro e il Patto per l'Italia presentato con tanta enfasi è inutile e ha avuto solo l'effetto di ridurre i diritti dei lavoratori e di dividere i sindacati". Ad affermarlo è Guglielmo Epifani, futuro segretario generale della Cgil (prenderà il posto di Cofferati alla fine di settembre).
Ma li misure studiate dalla coalizione di maggioranza per far fronte al drammatico buco nel deficit preoccupano anche la Cisl. Da Cernobbio, dove partecipa al workshop dello Studio Ambrosetti, il segretario generale della confederazione cattolica, Savino Pezzotta, dice: "Non siamo mai stati d'accordo con i condoni. Non sono mai una cosa equa e virtuosa".
Il "condono" - o concordato fiscale, come lo chiamano gli esponenti del governo - non piace al sindacato, dunque. Così come non piace il blocco delle tariffe. Ecco di nuovo Guglielmo Epifani: "Il blocco delle tariffe si dimostrerà inutile e il decreto blocca-spese solleva più di un problema per le prerogative del Parlamento".


Condono di nozze
Sommario de
Il Manifesto

A Roma lo nega, a Madrid lo dice. Il condono fiscale nella Finanziaria ci sarà, solo che si chiamerà "concordato". Lo ha annunciato il presidente del consiglio Berlusconi, portando la notizia al banchetto di nozze tra i rampolli spagnoli della destra europea Aznar-Agag Dall'Escorial vengono anche altri importanti annunci italiani: la manovra per il 2003 sarà di 20 miliardi, il capo del governo "non è preoccupato dalla piazza". Mentre a palazzo Chigi Tremonti prende i pieni poteri per bloccare le spese che non gradisce


Un appello del Vaticano su Gerusalemme
Il cardinale Etchegaray: la Città Santa appartiene a tutti, nessuno può rivendicarla
su
La Stampa


LA Santa Sede lancia un appello a israeliani e palestinesi perché non dimentichino il carattere universale di Gerusalemme: "Nessuno può rivendicarla esclusivamente per sè", dichiara alla "Stampa" il Cardinale Roger Etchegaray, consigliere di Giovanni Paolo II e profondo conoscitore della situazione in Medio Oriente, dove la scorsa primavera ha mediato al culmine della crisi dell'assedio alla basilica di Betlemme. Ai margini del Convegno di Palermo su "religioni e culture" organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio, Etchegaray rilancia con forza il piano della Santa Sede sui Luoghi Santi.
Nonostante l'aggravarsi della situazione la posizione del Vaticano non è cambiata?
"La Santa Sede continua a chiedere che Gerusalemme sia protetta da uno "statuto speciale con garanzie internazionali". Che cosa significa? Che ci devono essere uguaglianza di diritti e trattamento per tutti coloro che appartengono alle comunità delle tre religioni presenti in città - ebrea, cristiana e musulmana - nel contesto della libertà di esercitare attività spirituali e culturali. I Luoghi Santi in città devono essere conservati e i diritti alla libertà di religione, culto e accesso devono essere protetti, si tratti di residenti o pellegrini".
Il governo Sharon, tuttavia, insiste che Gerusalemme resterà per sempre la capitale indivisibile dello Stato ebraico. La trattativa sarà difficile, dunque.
"E' un problema politico che riguarda israeliani e palestinesi, ma la Santa Sede pensa che Gerusalemme è una città insieme unica e universale. E' difficile comprenderla per quella che è nella pienezza della sua vocazione: bisogna comprendere ancora meglio il senso della appartenenza a Gerusalemme delle tre famiglie uscite da Abramo, ebrei, cristiani e musulmani. Ognuno si ritrova a titoli diversi ma ugualmente inviolabili".
E' un appello al governo Sharon e ai palestinesi?
"Sì. Gerusalemme non è un luogo che si possiede ma un luogo che ci possiede, perché è un luogo che appartiene a Dio, un luogo prima di tutto che riassume il destino dell'umanità".
Crede che ci sia una concreta possibilità di risolvere il problema di Gerusalemme, in un futuro prevedibile?
"Credo che una soluzione la si potrà trovare. Secondo me il problema di Gerusalemme non è quello più difficile, nei negoziati che devono riprendere - spero - al più presto possibile. Un problema molto più complicato è l'avvenire dei rifugiati palestinesi, il cui ritorno massiccio farebbe esplodere l'equilibrio demografico (già oggi il 27% degli israeliani non sono ebrei). E poi c'è il cancro dei coloni israeliani nei territori occupati".
Che cosa propone, in proposito?
"La soluzione non può essere lasciata soltanto nelle mani delle due parti coinvolte direttamente. Una organizzazione internazionale, e non sta a me dire quale, deve in un modo o nell'altro potere aiutare a trovare una soluzione a problemi tanto complessi".
Ma che cosa può fare concretamente il Vaticano per aiutare a trovare soluzione alla crisi in Medio Oriente?
"La Santa Sede e il Papa in primo luogo non cessano di richiamare l'attenzione sulla tragedia di un conflitto che rischia di stancare l'opinione pubblica mondiale. Tutto quel che riguarda la giustizia e il rispetto dei diritti umani fa parte della missione specifica della Chiesa. All'Angelus dell'11 agosto il Papa ha lanciato un nuovo grido perché, ha detto, "la comunità internazionale si impegni con più determinazione a essere presente sul terreno per offrire alle due parti la sua mediazione"".
La creazione di uno Stato palestinese può aiutare a risolvere la crisi in Medio Oriente?
"Penso di sì. E' la profonda e legittima aspirazione di un popolo per troppo tempo umiliato: tutta la comunità internazionale, a partire dai popoli mediterranei, deve favorire la ricerca delle condizioni che conducono i palestinesi a prendere al più presto nelle loro mani il proprio destino, e a vivere in pace al fianco degli israeliani che, non lo dimentichiamo, sono loro fratelli di sangue".


IRAQ Bush insiste e vuole la guerra. Ma è sempre isolato
Perplessità negli Stati uniti, altolà della Lega araba
Sommario de
Il Manifesto

Nello stesso giorno in cui la Casa Bianca ha dichiarato di avere in mano "prove sufficienti" per l'attacco militare all'Iraq che sarebbe "dotato di armi di distruzione di massa", la Lega Araba ha ribadito il suo secco no all'intervento militare che "aprirebbe le porte dell'inferno" per il Medio Oriente: così hanno dichiarato i 22 ministri degli esteri arabi al Cairo, favorevoli anche al ritorno degli ispettori per il disarmo e alla fine delle criminali sanzioni contro Baghdad. Sabato, Bush riceverà a Camp David il premier britannico Tony Blair, l'alleato meglio disposto a condividere la sua posizione; a fine settembre sulla guerra all'Iraq è chiamato a discutere il congresso laburista e da lunedì prossimo già il congresso sindacale delle Trade Unions. Lunedì Bush accoglierà a Washington il premier canadese Jean Chretien, poco incline all'attacco, giovedì parlerà all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Eppure le "prove" americane non convincono l'Onu, il mondo intero e nemmeno i congressisti Usa. Sono ormai tanti i senatori e i deputati che chiedono all'Amministrazione "elementi di prova specifici". Intanto, a proposito di guerra, un altolà significativo dal Parlamento europeo che suona a monito anche per la nuova avventura che si prepara: ieri quasi all'unanimità Strasburgo ha chiesto all'Onu l'istituzione di una commissione d'inchiesta sulle stragi e sulle fosse comuni trovate in Afghanistan.


   6 settembre 2002