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L'unico punto di equilibrio tra due opposte esigenze
Stefano Folli sul
Corriere della Sera

Pier Ferdinando Casini aveva promesso di "scontentare tutti" sulla legge Cirami. Frase abile che permetteva al presidente della Camera di tenersi nella manica le poche buone carte di cui disponeva. Al dunque è riuscito nell'impresa di far quadrare il cerchio. Non ha concesso tutto a tutti, ciò che sarebbe stato impossibile; ma ha dato qualcosa a ciascuno dei due schieramenti. Più che scontentare, ha accontentato. In misura moderata. Non ha realizzato un incontro tra posizioni ch restano lontane, ma ha trovato un punto d'equilibrio. Vediamo come. Nel merito l'arabesco procedurale di Casini va incontro alle esigenze della maggioranza, ossia al suo diritto di far approvare la legge. Non poteva essere altrimenti, data la forza dei numeri.
Il centro-destra ricava dalla cruciale giornata di ieri la cosa più importante: tempi certi per approvare il testo sul "legittimo sospetto". Subito dopo il 23 settembre, se le commissioni Giustizia e Affari Costituzionali avranno concluso il loro lavoro. O al più tardi all'indomani del 10 ottobre, data ultima oltre la quale si andrà comunque in aula. Significa che entro metà ottobre al più tardi la legge sarà votata in via definitiva.
Berlusconi non ha motivo di lamentarsi. Tempi più stretti, nel segno di una fin troppo sospetta urgenza, avrebbero costituito uno sgarbo al Parlamento, imponendo alla Casa delle Libertà un prezzo politico molto salato.
La scadenza di ottobre rappresenta un ragionevole compromesso che, senza insultare l'opposizione, non pregiudica il nesso (innegabile) tra il varo della legge e il processo di Milano. Dunque la maggioranza avrà quello che vuole. Ma che cosa guadagna il centro-sinistra?
Senza dubbio evita la mortificazione e ottiene varie garanzie: il doppio esame in commissione, il voto segreto... Avrebbe voluto, certo, tempi ancora più lunghi. E in realtà il suo desiderio era di tenere il caso aperto fino a novembre, così da intralciare i piani berlusconiani. Questo non era plausibile. Tuttavia l'Ulivo ricava dalle scelte di Casini un paracadute politico per la fase che si aprirà dopo il grande girotondo del 14.
Mancano dieci giorni alla manifestazione di piazza del Popolo. E fino ad allora si capisce che i toni resteranno per lo più intransigenti. La bandiera dell'ostruzionismo non sarà ammainata. Ma all'indomani del 14 qualcosa potrebbe cambiare. Coloro che al vertice del centro-sinistra - a cominciare da Fassino e Rutelli - stanno cercando un modo per non essere risucchiati dai movimenti di piazza avranno la possibilità di tornare in Parlamento per fare politica in condizioni dignitose.
Sotto questo profilo la decisione di ieri è apparsa più che opportuna. E' facile prevedere che cosa sarebbe successo nell'Ulivo se il dibattito parlamentare fosse stato soffocato per la pressione della Casa delle Libertà. In quel caso davvero la logica dei girotondi e dell'ostruzionismo avrebbe prevalso su tutto, in una clima di sfiducia verso il Parlamento.
Ora invece c'è un maggiore equilibrio e l'opposizione può forse giocare la sua partita: ovviamente non per bloccare la legge Cirami (mancano i numeri), ma nel processo politico che comincerà dopo il rito collettivo del 14. E che riguarda l'identità futura della sinistra. Il confronto sarà ovviamente duro, ma all'interno di un alveo istituzionale più garantito.
E' un esito che si deve all'abilità di Casini, ma anche - per una volta - al buon senso della maggioranza. Difficile pensare che Berlusconi non abbia dato il suo "nulla osta" alla soluzione del caso. E senza dubbio il Quirinale avrà motivo di soddisfazione: il capo dello Stato e i suoi consiglieri hanno seguito la vicenda in modo discreto ma assiduo.


Legge "sposta processi": no alla procedura d'urgenza
Luana Benini su
l'Unità

Se il buon giorno si vede dal mattino, per il ddl Cirami sul legittimo sospetto si potrebbero creare alla Camera condizioni meno deflagranti di quelle di un mese fa al Senato. Ma non è detto. Diverso indubbiamente l'approccio adottato dal presidente della Camera, Pierferdinando Casini, rispetto a quello del suo omologo a palazzo Madama, Marcello Pera.
Casini in conferenza dei capigruppo ha accolto le richieste dell'opposizione di una assegnazione del provvedimento alle commissioni congiunte Affari costituzionali e Giustizia ("una innovazione rispetto alla prassi", motivata, ha spiegato, in base alla "specifica situazione politica" che però "non può costituire un precedente"). Ha accolto, sia pure in parte (solo per quanto riguarda le pregiudiziali di costituzionalità e il voto finale) la richiesta del voto segreto. Non era affatto scontato. E non era scontato neppure che il ddl non fosse sottoposto a procedura d'urgenza.

Nella situazione data, il presidente della Camera ha mostrato di sapersi destreggiare sul piano scivoloso, ma inevitabilmente ha scontentato i forzisti, i falchi della Cdl, a partire dal capogruppo azzurro Elio Vito che la sua stizza l'ha manifestata apertamente in conferenza dei capigruppo e dopo, in aula: "Non condividiamo tutte le decisioni prese dal presidente Casini, ma le rispettiamo". A denti stretti anche il presidente forzista della Commissione Affari Costituzionali, Donato Bruno, che ha dichiarato di "accettare" le decisioni del presidente della Camera aggiungendo: "Voglio vedere l'umore dei miei...Certo, però, siamo stati chiamati al nostro dovere e lo faremo".
Per la verità Casini non ha fatto pendere la bilancia interamente dalla parte dell'opposizione. I capigruppo del centrosinistra e Franco Giordano di Rifondazione (che su questa materia stanno facendo una battaglia comune)avevano chiesto a Casini in conferenza dei capigruppo di riconoscere "l'eccezionale rilevanza politica del provvedimento" e di applicare pertanto l'art. 24 (comma 12) del regolamento di Montecitorio che avrebbe garantito il non contingentamento dei tempi per tutto l'iter del provvedimento. Questo Casini non l'ha accettato, anche se, come ha rilevato Pierluigi Castagnetti, "l'aver detto sì all'abbinamento Affari Costituzionali-Giustizia, conferma, di fatto, che tale provvedimento è rilevante anche sotto il profilo costituzionale". In definitiva il presidente della Camera ha accolto tre richieste su quattro dell'opposizione ma la maggioranza ha ottenuto la possibilità di approvare la legge senza dilazioni infinite. La legge infatti è stata calendarizzata in aula il 25 settembre (a patto che sia concluso l'esame in commissione), o in subordine, il 10 ottobre. L'aver stabilito la data di riserva permette, in base al regolamento, di contingentare i tempi in seconda convocazione. Pierluigi Castagnetti ha subito giudicato irrealistica la data del 25 settembre per il poco tempo a disposizione in commissione e ha contestato la data di riserva come data vincolante. Da parte sua, Elio Vito ha espresso parere opposto sostenendo che la data del 25 può tranquillamente essere rispettata e che quella del 10 ottobre può anche essere anticipata. Casini ha stoppato rapidamente il dibattito precisando che la data del 10 ottobre resta fissata anche se "la decisione può essere rivista ed è subordinata all'andamento dei lavori in commissione". Precisazione che ha "tranquillizzato" l'opposizione.



D'Alema ed i movimenti
Paolo Franchi sul
Corriere della Sera

"Il timore, fondato, è che si disperda il patrimonio di credibilità e di affidabilità che la classe dirigente di questo Paese ha accumulato dal 1992 al 2001". Per Massimo D'Alema il vistoso peggioramento dei conti pubblici non è solo "il primo effetto di una politica fiscale avventurosa", ma anche "il primo fallimento di un'analisi della realtà italiana e internazionale". Secondo la quale "per far prendere velocità al treno dell'economia sarebbe bastato togliere di mezzo lacci e lacciuoli, colpire il sindacato, incoraggiare la propensione all'illegalità di una parte della borghesia italiana". E invece? "Invece, adesso, il governo che aveva promesso miracoli dovrà fare la stangata. E ci sarà ugualmente il rischio che il treno deragli".
Ma non siamo certo i soli, in Europa, a essere nei guai.
"Lo so bene. Ma è quasi inutile ricordare che, per lo stock di debito accumulato non negli anni del centrosinistra, ma nei decenni precedenti, per noi il vincolo di bilancio è assai più forte che per altri. E le polemiche sul Patto di stabilità sembrano fatte apposta per riaccreditare l'idea dell'Italietta della spesa facile, che cerca di sfuggire ai vincoli e agli impegni, e di scaricare sugli altri costi che, con l'euro, sono diventati inaccettabili".
Non le sembra un po'curiosa una sinistra che considera il Patto di stabilità alla stregua di un tabù intoccabile?
"Far saltare il Patto di stabilità per restituire margini di elasticità ai bilanci dei singoli Paesi vorrebbe dire rinazionalizzare le politiche di bilancio, e quindi, con la moneta unica, far scattare una diffidenza reciproca che, nemmeno tanto alla lunga, minerebbe tutta la costruzione europea. Tutto all'opposto, si dovrebbe concordare in sede europea un pacchetto di grandi investimenti strategici, da non considerare ovviamente ai fini del calcolo del deficit, per rilanciare l'economia: ricerca, innovazione, grandi infrastrutture, formazione. Si riaffaccia in Europa la necessità di una guida politica, di scelte e di regole che solo la politica può indicare, perché quella che stiamo vivendo è la crisi del liberismo estremista. Anche se c'è chi pensa di uscirne con una sorta di keynesismo di guerra".

Torniamo in Italia. Come giudica le decisioni del presidente della Camera sul percorso parlamentare della legge Cirami?
"Le trovo molto equilibrate e positive perché consentono un confronto serrato, certo, ma non distruttivo, e danno prestigio al Parlamento: se il ruolo delle Camere si riduce a quello di semplice ratifica delle decisioni del governo, non basta certo un pistolotto del presidente del Senato a restituire loro credibilità".
Con tutto il rispetto per il Parlamento, le ricordo che siamo in un sistema maggioritario.
"Guardi, sono così favorevole al sistema maggioritario che, dipendesse da me, la legge finanziaria non dovrebbe essere emendabile. Ma il discorso cambia quando sono in ballo i diritti, le libertà, le questioni di coscienza. Il guaio è che, nella filosofia di questo governo, la legge finanziaria è contrattabile, i problemi processuali dei suoi esponenti sono temi su cui porre la fiducia".
Lei sarà in piazza con i girotondini, il 14 settembre?
"No. Gli organizzatori non erano tenuti a conoscere il calendario delle iniziative di partito, e non ne hanno colpa: ma io il 13, il 14 e il 15 settembre sono impegnato in tre feste dell'Unità in Emilia. L'iniziativa, comunque, è positiva. Solo che...".
Solo che?
"Solo che trovo gratuite, datate e anche un po' stantie certe polemiche che l'accompagnano, da ultime le contestazioni del professor Ginsborg, secondo il quale io baderei solo al Palazzo: ho appena finito di scrivere un libro che proprio dalle trasformazioni della società prende le mosse. E poi, partiti e movimenti, Palazzo e società civile... anch'io, come tutti, ho qualche nostalgia per la giovinezza, ma non al punto di parlare nel linguaggio politico in voga a cavallo tra i Sessanta e i Settanta. Ognuno deve fare al meglio il proprio lavoro. Io ho grande rispetto per quello dei movimenti, ma sono un uomo politico, e il mio compito è quello di fare quanto è nelle mie forze per dare più forza e visibilità a un'alternativa a questo governo".
Ma forse è proprio questa divisione del lavoro che i girotondini contestano.
"Dipingere un Paese nel quale ci sono solo da una parte i girotondini e dall'altra Berlusconi è interesse esclusivo di Berlusconi medesimo, non capisco perché alcuni dei leader dei movimenti non riescano a capirlo. Il centrodestra mostra la corda, e non solo sul terreno della legalità. Il Patto per l'Italia è già entrato in crisi, il governo non può mantenere gli impegni. Lo sciopero generale non è davvero infondato. Ma io dico che non basta, così come non bastano i movimenti...".
Non basta per cosa: per dare una spallata a Berlusconi?
"No, l'idea della spallata non è realistica, e neppure ragionevole, in un sistema maggioritario".



"Questo è un governo peronista ma non bastano i girotondi"
Massimo Giannini su
la Repubblica

"Peronismo. Non mi viene nessun altro modello, per descrivere questa destra vecchio stile, tutt'altro che liberale, che governa l'Italia". Francesco Rutelli, leader dell'Ulivo, lancia la campagna d'autunno contro Berlusconi. Ma avverte il centrosinistra: "I girotondi sono una ricchezza, ma non bastano. Dobbiamo tornare ad essere maggioranza, non una minoranza combattiva. Abbiamo due anni per darci un progetto e una classe dirigente".
Rutelli, l'Italia non è l'Argentina: da dove arriva questo accostamento tra Berlusconi e Peron?
"Dall'evidenza dei fatti. Dopo oltre un anno, stanno dimostrando quello che valgono: propaganda martellante e populismo. Non sanno governare, e tutte le bugie stanno venendo al pettine. Soprattutto non è avvenuto quello che temevamo dopo il voto del 13 maggio: una destra che sull'onda di quella vittoria rompe gli argini, e consolida un vero blocco sociale. Sta avvenendo l'esatto contrario: con tutti i clamorosi errori che commettono, il consenso popolare si incrina".
Ieri sulla giustizia e sul ddl Cirami per il legittimo sospetto le posizioni si sono un po' ammorbidite, no?
"La soluzione non è quella che chiedeva il centrosinistra. Ma certo, tra le decisioni di ieri e la macelleria istituzionale fatta al Senato c'è una differenza. A questo punto abbiamo parecchie settimane per trasmettere al Paese un messaggio: il governo continua a difendere gli interessi di pochi, mentre affondano gli interessi degli italiani. Questo è il senso della battaglia che faremo sulla Cirami".
Berlusconi è "sfortunato". Guardi quello che sta succedendo all'economia: la ripresa non c'è, e i conti peggiorano.
"Non è sfortunato, è incapace. Sull'economia crollano miseramente i castelli delle bugie, con le quali la Cdl ha vinto le elezioni. Già in campagna elettorale noi dicevamo che si profilava un ciclo congiunturale difficile. Mi ricordo invece che c'era chi, come il presidente di Confindustria D'Amato, puntava a un tasso di crescita stabile e duraturo del 4% all'anno. Neanche il Mago Otelma poteva fare previsioni del genere. Oggi tocchiamo con mano che di Maghi Otelma è pieno, questo governo".
Voi avreste fatto di meglio?
"Senta, loro avevano presentato un Dpef che prevedeva un aumento del Pil al 3,1%. Poi l'hanno rettificato, prima al 2,3 e poi all'1,4%. Il fatto è che per il 2002 finiremo al di sotto dell'1%. Questi non sono solo vaticini sballati. Sono scelte che avranno conseguenze catastrofiche sulle tasche degli italiani. L'economia non cammina con l'illusionismo. Ora da questa gestione dissennata temo riflessi rovinosi per le politiche sociali. Vedo altri tre fronti ad altissimo rischio. La sanità e la scuola. E poi gli enti locali: il governo era partito con slogan tambureggianti sul federalismo, e ora si accinge a fare un drammatico taglio di risorse alle autonomie locali, che non può che tradursi in un aumento delle tasse e delle tariffe locali".
Questo, in parte, succedeva anche con i governi di centrosinistra.
"Ma non è mai successo quello che invece si verificherà con il governo di centrodestra: a consuntivo, nel 2002, scopriremo che grazie a Berlusconi, che ha vinto promettendo meno tasse per tutti, la pressione fiscale reale è aumentata. Bel risultato".
E'ancora convinto che il Cavaliere stia per "destituire" Tremonti ?
"Tremonti al governo è una polizza d'assicurazione per l'Ulivo. Con lui dentro, qualunque governo si liquefa. Da politico dell'opposizione, quindi ho detto e ripeto: temo che Berlusconi lo tolga. Ma da italiano, anche se in un governo di centrodestra, preferirei che al Tesoro ci fosse una persona seria".
Lo vede? Siete disfattisti.
"No, noi siamo preoccupati, perché purtroppo alla fine il conto lo pagheranno gli italiani. Il fatto è che "loro" sono veri catastrofisti: nel senso che producono catastrofi".
Il condono fiscale come lo valuta?
"Una conferma del peronismo dilagante. Un'altra misura immorale, contro la quale daremo battaglia, perchè alimenta le illusioni. Il risultato finale sarà un ulteriore allontanamento dell'Italia dal riequilibrio strutturale dei conti. Per la prima volta da anni rischiamo di veder crescere di nuovo la spirale del debito rispetto al Pil. Questa è la grande preoccupazione dell'Europa: torna la vecchia Italietta, che un tempo era abituata a giocare sulle svalutazioni e oggi pretende di tirare avanti con misure una tantum".
Lo scontro tra i Poli si sta riaccendendo anche sul conflitto di interessi. Frattini vuole accelerare il varo della sua legge.
"Quel testo convalida il conflitto di interessi esistente. Io rinnovo l'invito alle forze ragionanti del centrodestra: raccolgano le nostre richieste, e guardino al modello americano".
Ma sulla vendita appena imposta a Bloomberg le letture sono opposte. Voi dite che è una lezione esemplare. Berlusconi risponde che se neanche al sindaco di New York impongono di vendere le sue tv, non si vede perché le debba vendere lui.
"Sul caso Bloomberg ha perfettamente ragione Sartori. Quella vicenda conferma la piena validità dell'impianto della proposta dell'Ulivo. L'interessato deve risolvere il suo conflitto sulla base delle indicazioni di un'autorità indipendente. E' quello che è successo a Bloomberg. Negli Usa, come noi vorremmo, le misure che eliminano i conflitti di interesse sono flessibili e non precludono affatto la vendita di un bene. Il problema è che secondo il centrodestra qualunque cosa che riguarda Berlusconi non si può toccare. Ma la gente comincia a rendersene conto: ha fatto più effetto la bugia di Berlusconi che da padrone del Milan dice "non compreremo Nesta", e poi invece se lo compra con una telefonata notturna dal castello di Amleto, rispetto alla promessa che aveva fatto prima del voto: "Se non risolvo il conflitto di interessi entro 100 giorni mi dimetto" aveva giurato, ma ne sono passati 450, e lui sta ancora lì in compagnia di un conflitto di interessi sempre più grande".
Non rischiate un'opposizione becera e barricadera, a campare solo con i "no"? Così convincerete qualcuno a non votare più per la destra, ma poi riuscirete a farlo votare per il centrosinistra?
"L'argomento è molto serio. Partiamo da una premessa. La destra non è riuscita a creare un blocco sociale dominante. Noi dobbiamo evitare di trasformarci in una minoranza agguerrita che resiste a Berlusconi. Ai nostri no, rotondi e forti, dobbiamo affiancare la nostra proposta alternativa. Abbiamo due anni di tempo: entro il 2004 dobbiamo dotarci di un progetto, di un programma e di una classe dirigente con i quali riproporci per il governo del Paese".
Due anni sono lunghi da passare.
"La costruzione di un nuovo Ulivo non si fa in sei mesi. In Francia i socialisti sconfitti alle presidenziali e alle legislative si sono dati un anno per organizzare un congresso. In America Gore si affaccia di nuovo dopo due anni di silenzio. Dobbiamo alzare il nostro profilo progettuale unitario. Dobbiamo parlare sia alla parte delusa della società italiana. Dialogare con quel 70% di disoccupati che nel 2001 votò a destra aspettando i miracoli del premier operaio, ma anche con il popolo delle partite Iva e con gli imprenditori".
I girotondi sono una minaccia o un'opportunità? Tutto iniziò con Nanni Moretti che dice "con questi dirigenti non vinceremo mai...". Non c'è aria di frattura tra società civile e ceto politico?
"No, io non vedo questo rischio. Per me questi movimenti sono una risorsa del centrosinistra. Certo da soli non bastano. E ci sono differenze culturali anche in questi movimenti, ma riflettono quelle dei partiti e in ultima analisi di tutta la società italiana. E comunque ho apprezzato il fatto che non vogliano presentarsi come una forza "troppo radicale nè troppo di sinistra"".
Sarà in piazza anche lei, il 14 settembre?
"Senz'altro. L'ho detto subito: ci sarò per portare il mio sostegno alla manifestazione. Anche questo aiuta a far nascere quello che Ilvo Diamanti ha definito "l'Ulivo dal basso"".
E' d'accordo con le proposte di rilancio dell'Ulivo fatte da Fassino? Chi vede nella "cabina di regia"? Amato? Cofferati?
"Nelle proposte di Piero c'è il cammino che stiamo tracciando insieme per i prossimi due anni. Ma non voglio aggiungere altro sulle formule organizzative e sui nomi. Una sola cosa posso dire: serve il lavoro comune di tutti i leader. Non ho e non ho mai avuto il mito dell'autosufficienza".
Resta da dire qualcosa su Prodi. La sua proposta di anticipare lo scioglimento della Commissione Ue è stata letta come un segnale alla politica italiana: sto per tornare. Lei che ne dice?
"Prodi è una grandissima risorsa del centrosinistra. Lui non è in esilio, ma in questo momento rappresenta l'unica e la più avanzata esperienza di governo del centrosinistra italiano in Europa. La sua posizione è cruciale: è lui che si misura con Bush, con Berlusconi e con gli altri governi della destra europea. E' lui che li fronteggia a Joannesbourg, è lui che assume certe posizioni sulla Corte penale internazionale, è lui che difende il Patto di stabilità o il modello comunitario dell'Unione".
Da come parla, lei sembra tradire un cattivo pensiero: è così bravo e importante, che se resta in Europa è meglio.
"Non è così. Dico solo che dobbiamo evitare di immiserire una funzione oggi più importante che mai, come la presidenza della Commissione europea, in una chiave tutta domestica".
Senza di lui, chi e come può battere Berlusconi nel 2006?
"Per battere Berlusconi nel 2006 dobbiamo vincere le amministrative del 2003, le europee del 2004 e le regionali del 2005. Possiamo farcela. Di fronte al peronismo della destra e alla società individualizzata descritta da Baumann il centrosinistra ha dimostrato una solida cultura della coesione. E' la risposta migliore alle troppe ansie della nostra società. Sono convinto che stia tornando attuale".


I girotondini: i politici non parleranno
su
La Stampa

In serata al cinema "Nuovo Sacher" è in programma il film "Ribelli per caso" ma di buon mattino i capi girotondini neanche si accorgono dell´ironia involontaria: sono troppo presi dall´Evento del 14 settembre e infatti resteranno chiusi nel cinema di Nanni Moretti ben otto ore per decidere gli ultimi dettagli organizzativi della kermesse di metà mese. Una riunione-fiume, una specie di vertice dell´Ulivo al termine del quale accade l´impensabile: Nanni Moretti, Paolo Flores d´Arcais, Elio Veltri, Federico Orlando, Marco Travaglio sfilano silenziosi, quasi uscissero da piazza del Gesù, rinviando tutti "alla conferenza stampa di domani". Persino il logorroico Pancho Pardi mantiene le consegne: "no, no, ´un si può parlare...". Ma lo sketch più cinematografico lo interpreta il padrone di casa, Nanni Moretti. Esce dal cinema alle 8 di sera, i cronisti sopravvissuti implorano una mezza parola, alla fine uno invoca "qualcosa di sinistra", ma lui tira dritto senza pronunciare verbo, neppure di cortesia. La scena surreale, da Moretti prima maniera, si ripete lungo trecento metri percorsi a piedi dal regista: "Avete parlato di politica?". E lui zitto. "Lei parlerà il 14?". Silenzio. In una replica, certo involontaria, dell´indimenticabile intervista silenziosa ad Enrico Cuccia, inseguito invano fino all´ingresso di Mediobanca. Ma la lunga riunione è servita comunque a prendere le decisioni più importanti: i politici di professione non parleranno, dunque niente Rutelli e Fassino ma non potrà dire la sua neppure Nando Dalla Chiesa. Largo ai capi girotondini: in piazza del Popolo aprirà e chiuderà la manifestazione Nanni Moretti, mentre gli altri interventi previsti sono quelli del direttore di Micromega Paolo Flores d´Arcais, del direttore dell´Unità Furio Colombo, di Pancho Pardi, di Daria Colombo, di Federico Orlando, di Paolo Sylos Labini e di Gino Strada. E´ confermato che canteranno Francesco De Gregori, Fiorella Mannoia, Luca Barbarossa, Roberto Vecchioni, gli Avion Travel. Mentre era in corso il vertice-fiume, le agenzie hanno rilanciato le dichiarazioni di Antonio Di Pietro: "Io che ho fatto Mani pulite devo sentirmi dire che non posso parlare di giustizia con i cittadini perché non mi spetta. Mi sembra un´inutile prevaricazione. Tenetevelo il vostro palco, io non voglio farmi condizionare dalla nuova nomenclatura dei girotondi".



Il deficit va in condono
Cosimo Rossi su
il Manifesto

Maxicondoni e tagli alla spesa. Nel mirino: pensioni e sanità, ma anche i rinnovi contrattuali, a cominciare dal pubblico impiego. E' questa la ricetta a cui lavora il governo per cercare di arginare la voragine dei conti pubblici. Lacrime e sangue, insomma. Con tanti saluti alle promesse di crescita economica che si autoalimenta grazie agli automatismi del mercato e alla detassazione. E con la minaccia di un nuovo scontro sociale che - su contratti e pensioni - potrebbe far ritrovare Cisl e Uil sullo stesso fronte della Cgil. Ieri Silvio Berlusconi ha convocato a via del Plebiscito il ministro dell'economia Giulio Tremonti (insieme al direttore generale del tesoro Domenico Siniscalco e al direttore delle politiche di coesione Fabrizio Barca) per fare il punto in vista della manovra finanziaria dopo gli ultimi dati sul deficit pubblico, che ad agosto è salito in complesso 34 miliardi di euro.
Per adesso l'Italia ha confermato, nella notifica inviata all'Unione europea, le stime del deficit per l'anno in corso (1,1%) e per il 2003 (2,2%) contenute nel Dpef. Il governo intende insomma varare la finanziaria sulla base dei dati del Dpef. Senonché, la stima di crescita del 2,3% è già crollata all'1,3. E, anche a detta di Confindustria, se a fine anno si raggiungerà l'1% sarà grasso che cola. Per mantenere inalterate le stime del deficit l'unica soluzione è dunque far lievitare l'entità della manovra, che, se in un primo tempo era calcolata in circa 20 miliardi di euro, oggi è già volata a 30.
Tant'è che il responsabili delle relazioni industriali di Confindustria, Guidalberto Guidi, chiede senza troppi peli sulla lingua (dalla festa del Campanile di Telese, generosa in fischi) che il governo intervenga con il contenimento della spesa. Leggi: stipendi, sanità e pensioni, dettaglia Guidi. Impossibile, gli replica il sottosegretario la lavoro al welfare, Maurizio Sacconi, memore di aver contratto un patto con Cisl e Uil, che hanno acconsentito a intervenire sul mercato del lavoro con la deroga all'articolo 18.

Per Tremonti si annuncia dunque un autunno di passione. A detta del capogruppo della Margherita, Pierluigi Castagnetti, il ministro dell'economia addirittura non sarebbe in grado di restare sulla sua poltrona fino a Natale. Ma il suo licenziamento sarebbe come una modificazione genetica dell'alleanza berlusconiana.
Fatto sta, comunque, che i guai finanziaria tormentano il governo quasi al punto di relegare in secondo piano il disegno di legge sul legittimo sospetto. Il governo "deve riferire subito in parlamento sulla situazione dei conti pubblici, e ci deve venire il presidente del Consiglio, non Tremonti, che ormai non è più né credibile né affidabile", chiede il segretario dei Ds Piero Fassino in vista del dibattito che si svolgerà a Montecitorio il 19 settembre.
Berlusconi non accontenterà Fassino, ma certo da ieri segue passo-passo il lavoro di Tremonti. Il problema è non perdere il consenso di Cisl e Uil come nel '94. Da questo punto di vista i nodi più delicati sono le pensioni, la sanità e il rinnovo contrattuale del pubblico impiego. Ma il quadro delle misure allo studio tocca proprio i punti più delicati. Il maxi-condono è quasi certo. Dovrebbe essere triplo: fiscale, previdenziale e edilizio, per un totale di una decina di miliardi. Per quanto riguarda invece la sanità, si studia la reintroduzione del ticket statale (da 1,5 euro). Tra le nuove entrate si punta soprattutto sulla febbre delle lotterie (per cui nascerà presto l'Agenzia dei giochi). Mentre si vuole rafforzare il blocco del turn-over e contenere al massimo la spesa per i contratti pubblici. Ma, alla fine, l'intervento che consentirebbe di fare davvero cassa per risarcire la voragine creata dalla "finanzia creativa" di Tremonti sarebbe quello sulle pensioni di anzianità.


Johannesburg: fiera dell'inutile
Francesco Fusco su
Il Nuovo

Nel mio salotto c'e un quadro, un metro per settanta, di quelli definiti polimaterici. E' fatto con sabbia incollata al cartone, sulla quale sono disposte baracche, fatte con ritagli di lattine di bevande varie, delle quali mantengono le insegne, scatole di fiammiferi, sono le famose matchbox houses, le case fatte di lamiera e cartone, pezzetti di legno che dovrebbero essere pali per l'energia elettrica, un'autocisterna, un furgone della compagnia dei telefoni, una scavatrice, tutte giocattolo, due mucche, panni stesi al sole, un jeans e una gonnellina rossa, e tanti uomini e donne di creta, tutti neri. Sullo sfondo un enorme cartellone stradale che pubblicizza una bevanda, a fare da contrasto. Rappresenta Soweto, il famoso quartiere di Johannesburg, teatro della eterna miseria del Sud Africa. L'ho dal 1997, da quando cioè lo ha concepito e realizzato il suo autore Jakson Nkumanda, un artista sudafricano, ormai presente in tutti i musei più importanti del mondo per la sua capacità espressiva di descrivere una realtà che giunge ai nostri occhi soltanto attraverso i documentari ( visto da destra o visto da sinistra), e dai resoconti giornalistici, anche questi viziati da posizioni ideologiche, ma che questo artista sa riproporre con ingenua immediatezza e per questo con maggiore forza.
E' li e me lo guardo, mentre scorro le cronache di questo ennesimo, inutile e anche scandaloso, evento che è la Conferenza di Johannesburg. Dal 25 Agosto al 4 Settembre, per dieci giorni, 60.000 ( sic!) delegati si sono riuniti per arrivare alla stesura di più documenti che dovrebbero salvare il mondo dalla rovina, dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, diminuire gli scarichi pestilenziali dei mezzi di trasporto e delle industrie, dei sistemi di riscaldamento ancora alimentati a legna o con escrementi animali lasciati seccare, gli incendi delle foreste o la deforestazione per far posto a strade o a stabilimenti, debellare malattie come l'Aids, decidere sulla bontà o meno degli OGM ( organismi geneticamente modificati) diffondere tecnologie e conoscenza a paesi che non hanno più neppure il bue per tirare l'aratro e delegano i bambini o le donne a questo mestiere.
E' li e me lo guardo, mentre all'orecchio mi giungono i resoconti dell'alluvione in Cina, o della nube tossica che sovrasta l'Oriente.
Mentre lo guardo penso ai 2100 giornalisti che assieme ai 60mila delegati, e ai 190 capi di stato e di governo sono accorsi qui, chi animato dalla speranza di ricevere qualche aiuto, chi spinto dalla volontà di fare qualcosa, chi obbligato da un'opinione pubblica atterrita dalle previsioni catastrofiche che varie organizzazioni non governative diffondono ogni momento. Guardo, e penso all'ONU, alla FAO, alla Commissione UE, giganti nati dall'ambizione di migliorare il mondo, e divenuti strada facendo pachidermi burocratici, il cui costo di gestione potrebbe essere devoluto appunto a migliorare questo nostro pianeta.
Guardo, il quadro, leggo i resoconti, e permettetemi il termine, mi indigno. Mi indigno perché solo uno stupido può pensare che dalla riunione di tante persone possa venir fuori un progetto serio, sensato, capace di essere realizzato. Perché mettere d'accordo tante gente, con idee, necessità, culture e abitudini diverse radicate perché ancestrali, economie e gestione del potere dissonanti, ambizioni e ideali spesso contrapposti, facendo una estrapolazione e ponendo tutto ciò sullo stesso piano, è definibile soltanto irragionevole.
Rappresenta un prezzo molto alto, non solo in termini economici, ma anche in termini di speranze deluse, di trasferimento di responsabilità in termini solo ideologici, e serve solo a scavare vieppiù un solco già profondo fra ricchi e poveri della Terra. “An hungry man is an angry man”. Un uomo affamato è un uomo arrabbiato: Era lo slogan dei contestatori di questo summit a Soweto.



"Berlusconi merita il Nobel"
Antonio Gentile:“Non sono un adulatore”
Marco Bracconi su
la Repubblica

Il senatore di Forza Italia Antonio Gentile, l'uomo che ha deciso di candidare Silvio Berlusconi al Nobel per la pace, creando un apposito comitato, risponde al telefono da Cosenza, città dove è stato eletto "Superando - ci tiene a dirlo - Achille Occhetto di ben otto punti". E accetta di parlare della sua iniziativa pro-Berlusconi solo a patto che non sia l'occasione per una presa in giro: "La nostra è una iniziativa seria - dice - e fa gli interessi dell'Italia".
D'accordo senatore, però ammetterà anche lei che Berlusconi è al governo da un anno e tre mesi. Non è un po' presto per entrare nella storia?
"Niente affatto. L'Italia era in grande difficoltà nella politica estera. Oggi ha un ruolo forte e propositivo".
Tutto in quindici mesi?
"Guardi, quando Berlusconi è diventato capo del governo la stampa internazionale non è stata certo tenera. E gli altri leader, in Europa, lo aspettavano al varco. Ebbene, in poco più di un anno li ha conquistati tutti. E ha restituito all'Italia un ruolo nel mondo".
Sì, ma il nobel non è mica una classifica. Di solito si dà a chi realizza cose che restano nella storia e riguardano tutta l'umanità...
"Perché, l'ingresso della Russia nella Nato non è un fatto epocale?".
Non è stato mica merito solo di Berlusconi.
"In tanti ci avevano provato, ma nessuno ci era riuscito prima. Invece con Berlusconi abbiamo avuto Pratica di mare. E poi ha dimenticato il ruolo che ha avuto nella vicenda dei palestinesi a Betlemme?".
Quei palestinesi li hanno presi in mezzo mondo.
"Ma è stato Berlusconi a lanciare l'iniziativa e ad aprire la strada ad una soluzione del problema. Nessun politico si era prodigato tanto per la causa del Medio Oriente".
Tra le motivazioni che spedirete c'è anche l'annullamento dei crediti per i Paesi poveri. Prodi dice che è roba vecchia.
"Sarà anche vecchia, ma prima se ne parlava, adesso, con Berlusconi, si farà".
Per Di Pietro invece al premier sarebbe meglio dare il Nobel per le bugie.
"Di Pietro pensi alle sue, di bugie. Aveva detto che non sarebbe entrato in politica e invece l'ha fatto. Berlusconi, invece, quello che dice fa".
E l'Unità di oggi l'ha vista?
"No, perché?".
Nella vignetta di Staino si dice che Berlusconi vuole il Nobel per la pace perché ha paura che diano quello dell'economia a Tremonti.
E' divertente".
Senatore, scusi se insisto. Non era meglio aspettare un po', per vedere se il presidente del Cosiglio faceva qualcos'altro di importante?
"Mi creda, quello che è accaduto fin qui è sufficiente. Se Berlusconi continua con la sua azione incisiva di unificazione del mondo, il Nobel se lo merita proprio".
Insomma, un premio che serve per dare slancio alla politica estera italiana?
Anche, perché no?".
Pure a rischio di passare per un adulatore?
"Chi?".
Lei, senatore Gentile.
"Adulatore? Non lo sono affatto. Sono soddisfatto del mio lavoro di parlamentare, e non ho bisogno di adulare nessuno. Io e i membri del comitato lo abbiamo fatto perché siamo convinti delle nostre idee".
Dica la verità, ci spera davvero?
"Certo che ci spero".
E se si fa la guerra all'Iraq?
"Pure in questo caso Berlusconi è il protagonista di una linea di grande moderazione, e si prodiga per evitare un attacco unilaterale a quel paese. Anche per l'Iraq si sta comportando da Nobel".
E lui, il Presidente, che dice?
"Della candidatura al Nobel per la pace non abbiamo mai parlato".
Non ha parlato con nessuno del vertice di Forza Italia?
"A cena, con qualche parlamentare. Ma c'erano anche uomini di governo".
E' vero che lei è appassionato di teatro?
"Già".
E del premio Nobel (vero) Dario Fo che dice?
"Un bravo giullare".


   4 settembre 2002