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La settimana in rete
Uno speciale su Albrecht Dürer
a cura di Primo Casalini - 22 dicembre 2002


La grafica di Dürer sulla
Web Gallery of Art

Fra le recenti novità della Web Gallery of Art, spicca l'inserimento delle principali opere grafiche di Dürer: disegni, acquerelli, xilografie, incisioni, acqueforti ecc. Fra l'altro, le serie complete della Apocalisse e della Piccola e Grande Passione.
Un'altra novità molto suggestiva è l'inserimento nel sito di “commenti musicali” a scelta del visitatore, da Palestrina a Bach, da Machaut a Desprez, da Monteverdi a Haendel. Sulla Web Gallery vedi anche "La Cappella Sistina... a Budapest".

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Albrecht Dürer (1471-1528)



Cenni biografici

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Jan Bialostocki, 1958. Nacque a Norimberga il 21 maggio 1471, dall'orefice Albrecht il vecchio, un ungherese che si era ivi trasferito nel 1455 sposando la figlia di un altro orefice del luogo, Barbara Holper. Dopo un apprendistato nella bottega paterna, D. entra, il 30 novembre 1486, nello studio del pittore e xilografo Michael Wolgemut, restandovi fino all'aprile del 1490, quando intraprende un viaggio di perfezionamento, il cui itinerario resta ignoto fino all'inizio del 1492, allorché giunge a Colmar. Dall'estate del 1492 all'autunno del 1493 è a Basilea, dove lavora presso alcuni xilografi, quindi si reca a Strasburgo. Nel maggio del 1494 rientra a Norimberga ed il 7 luglio sposa Agnes Frey; nell'autunno riparte per l'Italia, visitando Venezia e probabilmente altre città della pianura padana. Ritornato in patria nella primavera del 1495, vi soggiornerà ininterrottamente per vari anni, aprendo una propria bottega. Nel 1498 pubblica l'Apocalisse, il suo più importante ciclo grafico della giovinezza. Quattro anni dopo muore il padre, Albrecht il Vecchio.
Nell'estate o autunno del 1505 il D. intraprende un secondo viaggio in Italia, soggiornando a Venezia fino al gennaio del 1507 e visitando anche Bologna. Rientrato in patria, esegue numerose pitture e cicli di xilografie. Fra il 1512 ed il 1519 lavora per l'imperatore Massimiliano I, partecipando a grandi imprese decorative. Nel luglio del 1520 si reca nei Paesi Bassi per incontrare Carlo V, ritornandone nel luglio successivo. Muore il 6 aprile 1528 ed è sepolto nel cimitero di San Giovanni a Norimberga.



Dagli scritti di Dürer

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Cronaca di famiglia. E in particolare mio padre si compiacque nel vedere con che diligenza mi applicavo all'apprendimento. Per questo egli mi fece andare a scuola. E quando ebbi imparato a leggere e scrivere, mi tolse nuovamente dalla scuola e mi insegnò il mestiere di orafo. E quando poi seppi lavorare per bene, il mio talento mi spingeva più verso la pittura che verso il mestiere di orafo. Ne parlai a mio padre; ma egni non ne era per nulla contento, perché gli rincresceva il tempo sprecato, che avevo impegnato nell'apprendimento dell'arte orafa. Ma egli me lo abbuonò; e quando facevano 1486 anni dalla nascita di cristo, il giorno di Sant'Andrea, mio padre mi allogò come apprendista da Michael Wolgemut, ai suoi ordini per tre anni. In questo tempo Dio mi concesse la diligenza di bene apprendere, ma dovetti sopportare anche molte cose dai suoi lavoranti. E quando terminò il tirocinio, mio padre mi mandò via, ed io restai fuori quattro anni, finché mio padre non mi richiamò. E dopo la mia partenza nell'anno 1490, dopo Pasqua, feci ritorno nel 1494, passata la Pentecoste. Quando feci ritorno a casa, Hans Frey trattò con mio padre e mi diede sua figlia, di nome Agnes, con una dote dell'ammontare di 200 fiorini, e celebrammo le nozze il lunedì prima di Santa Margherita, nel 1494.


Dal diario di viaggio nei Paesi Bassi.
Ma ad Arnemuiden, dove ero approdato in precedenza, mi occorse un grave inconveniente. Quando toccammo terra e gettammo a riva la fune, ci entrò accanto una grande nave con tale forza – proprio quando stavamo scendendo – che nella calca feci scendere tutti davanti a me, finché sulla nave non rimasero altri che me, Georg Kotzler, due vecchie ed il comandante con un mozzo. Quando dunque l'altra nave ci venne addosso, ed io con i suddetti mi trovavo sulla nave senza possibilità di scampo, la spessa fune si spezzò e nello stesso tempo sopraggiunse una potente burrasca, che con violenza spinse indietro la nostra nave. Allora tutti quanti gridammo, ma nessuno volle arrischiarsi in nostro aiuto. Quindi il vento ci risospinse indietro nel mare, il comandante si strappava i capelli gridando, perché tutti i suoi uomini erano scesi e la nave era senza equipaggio. Ci fu spavento e pena, perché il vento era grosso e non c'erano più di sei persone sulla nave. Allora parlai al comandante, che si facesse cuore, e sperasse in Dio e che pensasse a cosa c'era da fare. Se avesse potuto, disse, spiegare la vela piccola, avrebbe tentato nuovamente di farci toccare terra. E così collaborammo faticosamente, la sollevammo più o meno a metà e approdammo nuovamente. E quando quelli a terra, che ci avevano già dati per spacciati, videro come ce la stavamo cavando, ci vennero in aiuto e giungemmo a terra.


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Da una lettera all'amico Pirckheimer da Venezia, 1506. Vorrei che foste qui a Venezia! Qui tra gli italiani ci sono dei compagni tanto gentili, che più passa il tempo più ne incontro, che è una gioia per il cuore; assennati sapienti, buoni suonatori di liuto e pifferai, amanti della pittura e gente di animo assai nobile e retta virtù, i quali mi protestano tanto onore e amicizia. Al contrario vi sono tra loro anche i furfanti più infedeli, mendaci e maligni, che tali non avrei creduto potessero vivere sulla terra. E se lo si ignorasse, si potrebbe fra l'altro credere che sono le persone più care del mondo. Per parte mia, mi viene sempre da ridere quando parlano con me. Sanno che questa loro perfidia è risaputa, ma se ne infischiano veramente. Ho tra gli italiani molti buoni amici che addirittura mi avvertono di non mangiare né bere con i loro pittori. Molti anche tra questi mi sono ostili e copiano il mio lavoro nelle chiese e dove gli capita; poi lo criticano, dicendo che non sarebbe della maniera anticheggiante, e per questo non andrebbe bene. Invece Giovanni Bellini mi ha molto elogiato dinanzi a tanti gentiluomini. Egli gradirebbe avere qualcosa di mio, ed è venuto da me di persona e mi ha pregato di preparargli qualcosa, disposto a ben pagare. E tutti mi dicono quale uomo retto egli sia, così che gli porto anch'io tanto affetto. Egli è molto vecchio, ma è ancora il migliore in pittura.



Tre scrittori su Dürer

Filippo Melantone, 1546. Mi ricordo che il pittore Albrecht Dürer, uomo eccellente per talento ed abilità, disse un tempo di aver amato in gioventù i dipinti dai colori vari e vivaci, tanto da fare la gioia di un suo ammiratore che in uno dei suoi quadri considerasse la varietà delle tinte. In seguito, da vecchio, avrebbe iniziato a guardare la natura cercando di tenere conto del suo aspetto inalterato. Allora avrebbe compreso che proprio questa semplicità è il sommo decoro dell'arte. Non potendo realizzare appieno, egli, come disse, non avrebbe ammirato come un tempo le sue opere, bensì spesso sospirato, quando osservava i suoi dipinti, pensando alle loro imperfezioni.


figura 5
E.T.A. Hoffmann, 1822. Il volto di Dürer era energico e pieno della espressione di un senso sublime. Ma i tratti venivano fuori con troppo vigore, per non compromettere quel certo equilibrio della forma per cui un volto è bello. Lo sguardo ispirato, che spesso si irradiava sotto le fitte sopracciglia intensamente contratte, mostrava l'artista penetrante; un sorriso ineffabilmente leggiadro, nel quale gli si aprivano le labbra quando parlava, l'uomo amabile. Molti credevano di ravvisare sotto gli occhi di Dürer un certo tratto morboso, così come dal colorito non del tutto naturale delle gote l'allusione inquietante a un segreto male interiore. Una siffatta carnagione compare talvolta nei dipinti di Dürer, massimamente nelle figure conventuali, introdotta con molta efficacia, dimostrando come Dürer non disconoscesse il proprio colorito. Dürer non disdegnava un abbigliamento elegante, rendendo in tal modo giustizia del suo corpo ben fatto, le cui varie parti gli servirono spesso da modello. Oggi, una bella domenica, tutto il suo aspetto era particolarmente gradevole a vedersi. Indossava una semplice sopravveste di seta nera di Lione. Il collo e le maniche erano guarnite di velluto a fessure dello stesso colore, con un elegante motivo. Il farsetto era di variopinto broccato d'oro veneziano. I pantaloni a sbuffo, con molte pieghe, arrivavano solo alle ginocchie. Dürer inoltre, con questo abito festivo, come era d'uso, indossava calze di seta bianca, grandi fiocchi sulle scarpe e un berretto, che copriva solo metà del capo, ornato solo di una piccola piuma arruffata e una stupenda pietra preziosa, dono dell'imperatore.


Thomas Mann, 1931. Maestria tedesca! Vogliamo amarla e apprezzarla di un sentimento che nessuno possa sottovalutare. Il mondo di Dürer si affaccia in questa parola con tutto ciò che Göethe chiamava la sua virilità e saldezza, con la sua cavalleria tra morte e diavolo, la sua inclinazione alla passione, il suo tratto segnato dal dolore e il respiro nascosto, la sua malinconia faustiana, la sua devota minuzia che possiede una visione dell'eterno. Qui prevale il tratto grafico sul colore. Probità, dedizione al lavoro, genuinità, arte e pienezza di vita sono qui fuse nel primato etico-spirituale che compete il concetto di tale maestria. Ciò che è audace si fa rispettabile. Lo zelo diventa profondità, la precisione grandezza. Pazienza ed eroismo, dignità e problematica, culto della tradizione e istanza dell'inedito: tutto converge, si fa uno. Ah, e che parte ha ancora in tutto l'inadeguatezza non trasmessa, nazionale e profondamente naturale, l'inettitudine tortuosa in questo mondo cavilloso, trasognato, da vecchio bambino scurrile e demoniaco, malato d'infinito, dell'arte tedesca, che si espone pudica e tuttavia integra: filisteismo e pedanteria, tormentata fatica, autoflagellazione, scrupolosità calcolatrice di nuovo insieme a fondersi in una cosa con quella assolutezza, ostinata insaziabilità, grande stato di bisogno, che genera il valore: questo non–concedersi-nulla, questa ricerca dell'ultima difficoltà, questo rovinare-un-lavoro-e-renderlo-inservibile piuttosto che non giungere con esso in ogni punto all'estremo…


figura 6


Due critici su Dürer

Ernst H. Gombrich, 1950. Albrecht Dürer era figlio di un orafo di fama, venuto dall'Ungheria a stabilirsi nella florida città di Norimberga. Da ragazzo mostrò una straordinaria disposizione al disegno e alcune opere sue di quel periodo ci sono state conservate. Venne messo come apprendista nella più importante bottega di pale d'altare e xilografie, quello del maestro Micael Wolgemut di Norimberga. Finito il tirocinio, seguì il costume di tutti i giovani artisti medievali e viaggiò per ampliare le sue vedute e per cercare un posto dove stabilirsi. Da tempo desiderava visitare la bottega del maggior acquafortista del tempo, Martin Schongauer, ma arrivato a Colmar trovò che il maestro era morto qualche mese prima. Comunque, si trattenne un po' con i fratelli di Schongauer, che avevano assunto la direzione della bottega e poi si recò a Basilea, in Svizzera, allora centro di cultura e di editoria, dove eseguì incisioni in legno per libri. Proseguì poi per l'Italia settentrionale, attraversò le Alpi, sempre tenendo gli occhi bene aperti su quanto gli accadeva di vedere, eseguì acquerelli di caratteristici aspetti alpini e studiò le opere del Mantegna. Tornato a Norimberga, per sposarsi ed aprire bottega propria, era ormai padrone di tutte le raffinatezze che un artista nordico poteva sperare di acquistare nel Sud. Dette ben presto prova di possedere ben più di una semplice conoscenza tecnica della sua difficile arte e di essere dotato di quella profondità di sentimento e vivacità di fantasia che sole fanno il grande artista. Una delle sue prime opere importanti fu una serie di grandi xilografie per l'Apocalisse di San Giovanni. Fu un grande successo. Le terrificanti visioni degli orrori del Giorno del Giudizio e i segni ed i portenti che lo precedono non erano mai stati raffigurati con tanta forza e tanta potenza. E' fuor di dubbio che la fantasia di Dürer e l'interesse del pubblico fomentarono l'inquietitudine generale e alimentarono il malcontento contro le istituzioni della Chiesa maturato in Germania verso la fine del medioevo e destinato a sfociare nella riforma luterana. Le tetre visioni degli avvenimenti apocalittici avevano assunto per il Dürer e per il suo pubblico un interesse particolare, poiché non pochi erano coloro che credevano di dover assistere al compimento di quelle profezie durante la loro vita.


figura 7
Erwin Panofsky, 1955. Le opere di Albrecht Dürer segnano, sullo scorcio del secolo XV, l'inizio dell'arte rinascimentale nel Nord. Alla fine di un'epoca artistica che più di ogni altra era stata lontana dall'arte classica, un artista tedesco riscopre, per sé e per i suoi compatrioti, l'antico. Forse fu una necessità storica che questa riscoperta fosse preceduta da un'epoca di completa estraneità. L'arte italiana poté aprirsi la strada verso l'antico per via d'affinità; il Nord poteva giungervi solo per via d'antitesi. E appunto a questo fine tutti i legami che congiungevano l'arte del primo medioevo al passato classico erano stati via via spezzati. Dürer fu il primo artista del Nord che sentì questo “pathos della lontananza”. La sua attitudine verso l'arte classica non fu quella dell'erede né quella dell'imitatore, ma piuttosto quella del conquistador. L'antichità non fu per lui un giardino i cui frutti e fiori ancora verdeggiassero e nemmeno un campo di rovine da cui trarre pietre e colonne: fu piuttosto un “regno” perduto da riconquistare con una spedizione ben preparata. E non appena si rese conto che i valori artistici dell'antichità potevano entrare nell'arte del Nord solo attraverso una riforma dei principi, egli si assunse il compito di questa riforma, nella teoria come nella pratica. Per sua stessa testimonianza, la sua opera teorica (che doveva sostituire i perduti “libri degli antichi”) “mirava a rendere possibile all'arte della pittura di raggiungere col tempo la sua antica perfezione”. E quando, quasi tre decenni prima della pubblicazione della sua Teoria delle umane proporzioni, cercò di realizzare figure classiche in movimento (un movimento del pari classico), lo fece non tanto per abbellire le sue opere di elementi antichi tratti di qua e di là, quanto con l'intento (forse sentito intuitivamente più che consapevolmente maturato) di educare sistematicamente sé ed i suoi colleghi tedeschi a un atteggiamento “classico” verso la forza espressiva e la bellezza connesse al corpo umano.


Notizie sulle illustrazioni

Figura 1 Autoritratto con paesaggio Dipinto su tavola 52 : 41 1498 “Ho qui dipinto il mio sembiante all'età di ventisei anni A. D.” Madrid, Prado.

Figura 2 Autoritratto da ragazzo Disegno a punta d'argento su carta preparata 27,5 : 19,6 1484 “Questo sono io da me stesso ritratto davanti ad uno specchio nel 1484, quando ero ancora un bambino” Vienna, Albertina.

Figura 3 Agnes Frey, moglie di Dürer Disegno a penna in bistro su carta bianca 15,6 : 9,8 1494 Vienna, Albertina.

Figura 4 La grande zolla d'erba Acquerello e guazzo su carta 41,0 : 31,5 1503 Millefoglie, Dente di leone, Gramigna dei prati, Piantaggine maggiore Vienna, Albertina

Figura 5 Leprotto Acquerello e guazzo su carta 25,1 : 22,6 1502 Vienna, Albertina

Figura 6 Il cortile dell'antico castello di Innsbruck Acquerello su pergamena 36,8 : 27 1494 Vienna, Albertina

Figura 7 Granchio Acquerello e guazzo su carta 26,3 : 35,5 1495 Dal vivo a Venezia Rotterdam, Boymans-van Reumingen

Figura 8 Tre contadini in conversazione Bulino 10,8 : 7,7 c.1497 Probabilmente sulla piazza del mercato di Norimberga, dove Agnes, la moglie di Dürer, vendeva xilografie ed incisioni del marito New York, Metropolitan


figura 8

I testi sono tratti da :
“Dürer” di Peter Strieder Rizzoli 1992
“Enciclopedia Universale dell'Arte” UNEDI 1976
“La storia dell'arte raccontata da E. H. Gombrich” Einaudi 1966
“Il significato delle arti visive” di Erwin Panofsky Einaudi 1962


   22 dicembre 2002