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La settimana sulla stampa

Ma che ne sanno loro della piazza?
Luca

Non c'è niente di sovversivo, di ringhioso o di pericoloso in una grande piazza, piena di gente. Diventa pericoloso invece chiudersi nelle stanze vuote di fronte di una tv o nelle stanze asettiche del potere. La piazza invece è bella, fa bene, mette allegria, fa fare amicizia, fa capire tante cose.
Altro che "totalitaria", semmai la piazza può essere totalizzante. A vederla dall'alto è solo una immensa indistinta marea, un raduno di corpi e bandiere come formiche colorate e ondeggianti.
Invece da dentro la piazza diventa ancora più grande, più varia, più diversa. Studenti, pensionati, suore, militanti. Ognuno col suo cartello o bandiera o maglietta o solo con la sua faccia e la sua storia. Tanti, troppi per tentare generalizzazioni. Anche la banda musicale napoletana dopo "Bandiera Rossa" si è esibita in "Cacao meravigliao". Tutti auto-organizzati, auto-convocati, auto-finanziati. Eccola, in un pomeriggio di metà settembre, in piazza San Giovanni la società civile.

Nanni Moretti ha entusiasmato la piazza, pienissima sotto il sole alle tre del pomeriggio. Se l'avessi visto in uno dei suoi film, il mitico Nanni, arringare la folla di San Giovanni mi sarebbe venuto quasi da ridere.
"Gli italiani hanno votato Berlusconi inseguendo un sogno e si sono risvegliati in un incubo".
Hanno parlato in tanti, si è fatto silenzio e poi lunghi applausi quando sul palco è salito Gino Strada, e poi Giuliano Giuliani, don Ciotti e ancora tanti.
Scrittori, registi, studentesse 17enni o intellettuali di mezza età sul palco, e i politici sotto, tra la gente, ad ascoltare, e magari prendere nota.
Sembra diverso, forse almeno per oggi è quasi meglio. E' una manifestazione speciale, diversa, inedita. Ma con un governo così, fuori dalle regole della legalità e della democrazia, ci vuole un'opposizione diversa, speciale. O semplicemente solo unita.
"La ricchezza della nostra convivenza per affrontare l'arroganza del potere", come dice il vecchio Vittorio Foa.


Girotondi e tondi in giro
Cesare

Domani arriveremo in più di 10.000 da Firenze e, se tutto va bene, mi presenterò all'appuntamento con te e gli altri (se non ho capito male alle 14.30 all'angolo tra via Carlo Felice e via Emanuele Filiberto). Colgo anzi l'occasione per convocare alla stessa ora e nel medesimo luogo quanti volessero aderire a un nuovo gruppo da me fondato e alla sua prima uscita ufficiale: i tondi in giro. E' riservato a persone dal fisico tutt'altro che filiforme e il cui peso supera di almeno 10 Kg. il proprio peso forma e che si battono in difesa della giustizia, anche se il suo simbolo - la bilancia - è da sempre un loro acerrimo nemico. Nostro leader di riferimento non può che essere, naturalmente, il prof. Pancio Pardi. Siamo contrari alla depenalizzazione del falso in bilancio e anche del "falso magro" in bilancia. Il nostro slogan per domani sarà: no al legittimo sospetto, si' al legittimo sospchilo. Al gruppo possono associarsi, ma solo come simpatizzanti, anche i magri. Lo statuto vieta invece espressamente l'adesione a qualsiasi titolo di Giuliano Ferrara.


I ragazzi del muretto
Rowena

Beh, eravamo lì, seduti sul muretto della Scala Santa. Massimo, Lodes, Graziella, Bruno, Solimano e io. Ci sono rimasta appollaiata un bel po' di ore, a guardare il fiume di persone che ci passava sotto, tentando di entrare nella piazza. Come un fiume vero, a tratti impetuoso, a tratti quasi fermo, o vorticante in gorghi, o trascinato dalla corrente.
Nessuno ha ancora detto quanto questa piazza fosse singolarmente scarna di bandiere. Certo, ce n'erano: Rifondazione e Ds, Di Pietro e Margherita, e qualche sparuto Ulivo. Ma non tante come in altre occasioni; e altrettanto pochi erano gli striscioni e i cartelli costruiti con consolidata esperienza di manifestanti. Per lo più erano cartelli caserecci, frasi scarabocchiate in fretta col pennarello su cartoni riciclati; programmi "fai da te", lapidari ("+ Ulivo - partiti"... è un bel programma, ben sintetizzato!), oppure lunghe frasi elaborate, frutto di un'evidente incompetenza a parlare per slogan, figlie di abitudine ad un pacato e disteso argomentare.
Passa un cartello, bella calligrafia, in latino: "Quo usque tandem, Silvie, abutere patientia nostra?". La citazione ciceroniana, la correttezza pedante del vocativo maschile, fanno pensare al vecchio professore di Liceo: proprio quello che lanciava invettive e reprimende agli studenti contestatori, che manifestano perchè, si sa, non hanno voglia di studiare! Si, proprio lui! E segue, poco dopo, un cartello in cui si manda, minuziosamente, pedantemente, aff... tutti i ministri del governo, uno a uno. Quando si dice le diverse sensibilità! Cose così, cartelli fatti in casa, di corsa, la sera prima, chè questa è gente che ha lavorato fino al venerdi, e non ha tanto tempo di costruire immagini ad effetto, di perfezionare lo stile. E così ognuno rivela, coi suoi cartelli, la propria personalità, la propria individualità irriducibile a quella di qualsiasi altro.
Io non avevo un cartello, ma se tornassi indietro, ne scarabocchierei uno su un cartone: "Intelligenze di tutto il mondo, unitevi!"


Sciarpe gialle
Massimo

Dovevamo fare qualcosa. Assolutamente.
Così il 15 settembre dell'anno scorso siamo andati per la prima volta in Largo Argentina a chiedere firme per un appello a Ciampi contro il conflitto d'interessi di Berlusconi: erano nate le "Sciarpe Gialle".
Abbiano iniziato a parlare con molte persone, che leggevano il testo ingrandito posto su un cavalletto costruito ad hoc e ci confidavano le loro preoccupazioni, ma soprattutto il senso d'impotenza "perché nessuno fa niente".
Dopo cinque mesi, il 15 febbraio abbiamo presentato al protocollo del Quirinale l'appello con quasi 500 firme.
Mentre stavamo già pensando al dopo-appello, una sera vedo nella posta elettronica l' e-mail di una certa Silvia Bonucci.
"A Milano - diceva - nella redazione de "Il Diaro" mi hanno dato il tuo nominativo su Roma; noi abbiamo organizzato per il 2
febbraio un girotondo attorno al Ministero della Giustizia: ci date una mano?" Siamo andati ed eravamo 8 gatti, 4 noi e 4 loro, ma urlavamo slogan e facevamo volantinaggio per la manifestazione del pomeriggio a Piazza Navona, dove poi avrebbe parlato Moretti.
Una settimana fa mi ha cercato un redattore de "Il Diario" per sapere le altre iniziative di Sciarpe Gialle.
Ci siamo sciolti, ho risposto. Da quando hanno attecchito i girotondi, siamo confluiti - pur come collaboratori esterni - nella stessa organizzazione, perché non aveva senso tenere su un'altra sigla.
Ecco, mi piacerebbe che partiti e partitini fossero in grado di fare il famoso "passo indietro", per lanciare il messaggio che il progetto comune è più forte con un soggetto comune.



IRAQ
Petrolio e Lista della spesa

Petrolio
Petrolio (girano in rete...)


Lista della spesa
Lista della spesa: cosa manca ?


CENTOMOVIMENTI
Lettera di Paolo Flores d'Arcais

Cari amici,
l' incontro dei rappresentanti di tutte le associazioni, club, "girotondi", indetta nel giugno scorso da MicroMega per il 26-28 settembre a Roma, e' ormai superato e quindi non si terra'.
Era stato infatti indetto proprio per discutere possibili iniziative, in un momento in cui il fiume carsico dei movimenti sembrava in fase di pausa sotterranea.
Oggi la situazione e' completamente diversa.
La manifestazione del 14 ha mobilitato energie che non erano immaginabili. La mia personale opinione e' che per prima cosa ci si preoccupi nelle prossime settimane di stabilire a livello di citta' e di regioni contatti tra le associazioni gia' esistenti (e che hanno alimentato la manifestazione di S.Giovanni) e i tanti nuovi club che proprio sull'onda dell'entusiasmo per la giornata del 14 settembre stanno nascendo un po' ovunque, da un pullman, un gruppo di amici, eccetera.
Questo disseminarsi di club va incoraggiato in ogni modo. Sempre a mia personale ma fermissima opinione ritengo invece non utile organizzare riunioni nazionali, e meno che mai dare vita a "coordinamenti" stabili, a "portavoce", o ad altri organismi che finirebbero inevitabilmente, e malgrado ogni ottima intenzione in contrario, per far somigliare i movimenti auto-organizzati ad un partitino.
Inoltre, credo che la dimensione locale sia quella in cui sperimentare l'accresciuta forza e varieta' dei movimenti, perche' e' sicuro che per molto tempo (non voglio dire "mai" solo per scaramanzia) non ci saranno manifestazioni nazionali, che riuscirebbero comunque inferiori al "mare di cittadini" che si e' auto-organizzato il 14.
Gia' i giornalisti continuano ad insistere, contro ogni smentita, che qualcuno pensa a qualcosa di simile a un partito, e vuole partecipare a future "costituenti" dell'Ulivo. In una riunione nazionale i giornalisti troverebbero la conferma di questo loro pregiudizio, e anche se tutti gli interventi dicessero il contrario, di questo "partito" o componente di un "Ulivo allargato" parlerebbero quasi esclusivamente i mass-media.
Sull'onda della manifestazione vi e' anche un grande risveglio di organismi di base dei partiti o delle coalizioni di partiti (Ulivo). E' certo un'ottima cosa, e si realizzeranno certamente occasioni di iniziative comune, ma e' altrettanto importante che i due tipi di associazioni o club restino rigorosamente distinti, proprio per riuscire a incidere anche in una opinione pubblica piu' ampia, che va oltre l'attuale opposizione, quella opinione ieri favorevole a Berlusconi e oggi delusa o, sul versante opposto, quella critica dei cedimenti e dei compromessi dell'Ulivo, e giunta percio' alla disaffezione e al non voto.
E' comunque evidente che ormai siamo un movimento di oltre un milione di teste, unito sui valori fondamentali ma con oltre un milione di sfumature (ecco perche' non ripetero' di nuovo che le mie sono solo opinioni personali, visto che vale per tutti noi "milione"). E' questo che rende unico e assolutamente inedito il movimento di San Giovanni.
Non perdiamoci di vista!

Un grazie a tutti
Paolo Flores d'Arcais


Is Silvio Berlusconi a liberal?
Su
The Economist

Promises, promises. Freeing the economy was Silvio Berlusconi's top priority when his right-wing coalition took office in June last year. If he managed to achieve that aim, many Italians were prepared to overlook his own controversial business past. Mr Berlusconi, a tycoon turned politician, promised to speed up privatisation, overhaul the creaking state pensions system, loosen Italy's rigid labour market, cut taxes, make the government step back and let market forces work their magic. That was the hope.
It has yet to be fulfilled. At the end of August, for example, his government froze the prices of an array of public services-hardly a liberal move. It blocked a rise of less than 2% in the electricity tariff due to take effect on September 1St. No wonder the Refounded Communists. as the unreconstructed bit of Italy's once-Moscow- guided party is known, gave a cheer.
Mr Berlusconi's government is also poised to interfere with energy. It has legislation in hand to annul the independence of Italy's energy regulator, though that would flout the European Union's policy of creating a free market in energy. In banking too, the government has shown an itch to meddle. Earlier this year, on behalf of local councils, it presented a bill that would give it control over a swathe of private charitable foundations with stakes in some big banks.
The irony is that Mr Berlusconi seems to be stemming a tide towards privatisation that preceding left-of-centre governments had encouraged. From 1992 until the beginning of 2001, Italy was one of the keenest countries in the EU to sell off state assets. In that time such sales raised around €113 billion ($1l0 billion). Since March last year, Mr Berlusconi has raised just €235m.
One reason is that both central and local governments still have their fingers in many businesses-and they find it hard to let go of the patronage. The Treasury still owns almost one-third of ENI, a huge energy group, over two-thirds of Enel, a vast electricity company, and 4% of Telecom Italia. Some of Mr Berlusconi's people say it would be foolish to sell now, with the stockmarkets so low. But the political will is plainly lacking as well.
The same timidity makes the government ba1k at changing Italy's over-generous state pensions scheme. At the end of June, Antonio Fazio, who governs the Bank of Italy, warned that public pensions are becoming unsustainable. They now gobble up nearly 15% of Italy's GDP and
40% of the public sector's current spending. But with the trade unions firmly against labour-market reform, while demanding wage increases to match Italy's inflation rate of 2.4%, the government has simply shied away from tackling pensions.
Despite Mr Berlusconi's reluctance to confront the trade unions, Italy still faces an autumn of labour discontent as contracts are renewed. But he has also managed to upset the employers, who had counted him as one of their own. Previous governments had slightly reduced the tax burden. Mr Berlusconi has so far failed to do so. The chairman of Confindustria, the employers' club, wrote to him this week demanding an urgent meeting to discuss such matters.
To give Mr Berlusconi his due, his room for manoeuvre is tight. public-sector finances are shaky. The budget deficit will be close to 2% this year and the ratio of public-sector debt to GDP looks set to rise to almost 111%, despite the EU'S stability pact, which insists that the figure should go down. Ita1y's credibility at the European Central Bank in Frankfurt is falling.
The reasons for Italy's poor economic performance under Mr Berlusconi are various. Like other countries, Italy has been hit by the global downturn. For another thing, the second-biggest part of his coalition, the post-fascist National Alliance, likes government control. And other supporters of the government, such as those who emerged from the ranks of the now defunct Christian Democrats, still believe in paternalistic intervention. But another reason may be that Mr Berlusconi has been preoccupied with other issues, particularly his own problems in court.

It was a telling sign of his priorities that one of his personal lawyers, who also chairs the judicial-affairs committee in the lower house of parliament, threatened parliament's dissolution this week. There would have to be a general election, he said, if a bill is not urgently approved that would have the effect of kiboshing the trials in Milan where Mr Berlusconi and a fellow MP in his Forza Italia party are accused of bribing judges. Until the prime minister frees himself from the rigours of the law, do not expect him to set about freeing the economy.


Dalle valigie di cartone ai “Vescovoni” di Bossi
Beppe del Colle su
Famiglia Cristiana

Il 16 e il 17 agosto del 1893, nella cittadina del Sud della Francia chiamata Aigues Mortes, un conflitto alle saline di Fangousse fra operai francesi e immigrati italiani, "sottopagati e naturalmente non protetti da alcun sindacato" (questo virgolettato e i particolari sulla vicenda che seguiranno sono tratti dal quarto volume della Storia d'Italia della Einaudi e dalla Storia d'Italia dal Risorgimento ai nostri giorni di Sergio Romano, ed. Longanesi), sfociò in una vera e propria "caccia all'italiano" da parte di una folla inferocita, armata di coltelli e di bastoni. Bilancio: un numero imprecisato di morti e numerosi feriti, molti dei quali respinti dall'ospedale. Tre anni prima a New Orleans, negli Stati Uniti, due italiani erano morti impiccati e nove a colpi di fucile in seguito a un'altra sommossa popolare. Non sono che due esempi, fra i tanti. Era il tempo in cui dalla Penisola partivano ogni anno decine di migliaia di emigranti, prima soprattutto verso la Francia, poi verso le Americhe: dai 135.000 del 1869 alla punta massima di 872.000 nel 1913. La sorte di molti di loro aveva esiti tragici, dappertutto.
L'Italia reagì in due modi, sul piano sociale-politico e su quello religioso. Da una parte, si registrò la nascita di due nazionalismi: uno "di classe", con il movimento socialista e le spinte anarchiche, interne e internazionali; uno "patriottico", preludio alle avventure colonialiste in Africa e all'interventismo dannunziano nel "maggio radioso" del 1915.

Ricordiamo queste cose della storia nazionale dopo le dichiarazioni dell'onorevole Bossi a proposito dei "vescovoni" e della Caritas, definiti "i veri razzisti che agiscono per un solo scopo: cambiare il mondo a loro piacere per riempirsi il portafoglio".
Concetti ribaditi anche domenica scorsa a Venezia, al grido di "federalismo adesso o mai più": "Il Governo non ha ancora fatto niente per le riforne costituzionali che sono alla base dell'accordo con la Lega. Bisogna che Berlusconi la smetta di gironzolare e rimetta in linea le truppe". Altrimenti, la Lega è pronta "a battersi all'arma bianca".
Sbalorditi da parole e argomenti più consoni alla bocca di un avventore di bettole che di un ministro, i suoi alleati cattolici hanno reagito dicendo più o meno che "Bossi è fatto così, lui dice quelle cose per tenersi buona una parte del suo elettorato, magari scherzava".
Ma il punto non è Bossi. Dir male dei preti è sport antico. Il punto è che se parla così è perché deve tener conto di un elettorato che questo gli chiede (ma sarà poi vero?), è a quegli elettori che bisogna ricordare che cosa accadeva, cent'anni fa, ai loro nonni. E che, come allora, i loro nonni erano esseri umani, e non bestie, così sono esseri umani, e non bestie, gli immigrati di oggi in Italia. La Chiesa lo sapeva allora e lo sa oggi. E si comporta di conseguenza, perché così ha imparato fin dal principio.


Nanni dei miracoli
Marco Damilano e Giancarlo Dotto su
l'Espresso

Era proprio lui? L'inavvicinabile Nanni, l'uomo più scontroso e fobico della terra? Gli amici più stretti allibivano. Firmava autografi, cantava, baciava chiunque gli capitasse a tiro. Sconosciuti, vecchi, bambini. Baciava quelli che sbagliano scarpe e aggettivi, che vedono i film dei Vanzina e non sanno cos'è la Sacher Torte, baciava giornalisti e massaie. Ha baciato anche Rosy Bindi e Willer Bordon, ma non li ha riconosciuti. Galleggiava come un sughero su quel mare di gente molto trasversale. Era in trance. Quella sorta di “rapimento mistico e sensuale” che detesta nei suoi attori, ma concede volentieri a sé e a Battiato.
Non aveva riconosciuto nemmeno Massimo D'Alema sei mesi prima a piazza Navona, quando scese dal palco dopo il celebre exploit di 3 minuti e 55 secondi, a partire dal quale la parola “girotondo” e la faccia di Francesco Rutelli non sarebbero mai più state le stesse. Un anno prima, alla Croisette, non decifrò Antonio Banderas e Melanie Griffith che lo premiavano. La trance, in quel caso, era da Palma d'Oro. Stavolta era diverso. Tutta quella folla ai suoi piedi era la moltiplicazione mirabolante dei pani e dei pesci. La sua tribù, senza nemmeno l'alibi di un set. Una vera e propria chiamata alle armi, per una vocazione fin lì esercitata nella cerchia dei pochi eletti. Ma quale Woody Allen de noantri! Nanni liberava di colpo l'ebbrezza del Verbo, il kolossal del Profeta e dell'Angelo Sterminatore, da trent'anni covato nel puerile esercizio dell'autoritratto ironico, con la scusa del cinema d'autore. “Parole sante”, era il fax puntuale che gli spediva Jovanotti dopo Piazza Navona. Parole sante sei mesi dopo a San Giovanni, la beatificazione. E nessuno, nessun commediante alla Dino Risi, che avrebbe potuto dirgli: "Scansati". E tanti saluti anche all'amico Giampiero Mughini, vecchio sodale di tenzoni dialettiche e sfide all'ultimo sottaceto, che di lui ha scritto: "Geniale Nanni quando parla di cinema, bambinesco quando racconta le ragioni del suo stare a sinistra".


Intransigente come il padre Luigi, stimato grecista e irriducibile antifascista, ludico come la mamma Agata, insegnante in pensione di latino e greco. "Faccio solo quello che mi diverte", ripete spesso Moretti che è nato in vacanza, a Brunico. Gli piace il gioco, ma detesta perdere o fare da comparsa. Se lo ricordano ancora i compagni, lui che se ne va stizzito dal campo perché non gli passano la palla o le sue deplorevoli gag pur di non perdere a tennis o a ping pong. Un'infanzia, la sua, che lui stesso definisce "terribilmente banale". Una banalità mai vissuta come una colpa, anzi coltivata. "Non mi spaventa annoiare", replica a chi lo accusa per gli estenuanti tempi cinematografici, anche se poi invidiava Fassbinder, capace di fare tre film insieme, mentre lui ne fa uno in tre anni.
"Ti annoi perché sei noioso", gli dice Asia Argento con sospetta immedesimazione nella parte di Valentina, la figlia dodicenne in “Palombella rossa”. I compagni di liceo del Tasso e del Lucrezio Caro fanno fatica a spuntarlo nel mucchio. Ricordano vagamente un tipo anonimo, taciturno, molto educato, che il giorno studiava e la sera giocava a pallanuoto. Comincia a emergere alle prime piume. Prima i baffi e poi la barba. Scopre la cinepresa che diventa la sua protesi. La usa come un entomologo, filmando tutto quanto gli capita come fossero insetti da studiare, a partire da sé. Prati e Monteverde i suoi quartieri a Roma, Mario il suo bar, Pasquinelli la pasticceria. A tutt'oggi non usa il computer e il cellulare. Quella degli anni '70 è la Roma del “Faccio cose, vedo gente”, la sua Roma, i suoi vitelloni spaesati tra un dibattito trotzkista (nasce allora il primo sodalizio con Flores d'Arcais), i cinema d'essai e i frullati da Pascucci. E l'appuntamento rituale, qualche volta autopunitivo, al Filmstudio. Dove, anni dopo, fu proiettato la prima volta “Io sono un autarchico”, che Moravia recensì con benevolenza: "Un buon film comico".
Nanni Moretti come talento comico fu anche la percezione dei fratelli Taviani, spesso importunati all'epoca da quel ragazzo deciso a fare cinema. "Mai visto un tipo così privo di grazia, trarre da questo limite un così grande charme. È la dote dei grandi comici", confidarono a un amico. Con una propensione già allora spiccata a parlare di sé e piuttosto tranchant nei giudizi, come quando sentenziò ai due fratelli un filo perplessi che l'uccisione di Pasolini "era una sentenza di morte per il cinema italiano". "Tu non hai bisogno di noi. Da assistente saresti un rompiscatole, hai la stoffa del cineasta, farai presto il tuo primo film", lo liquidarono profetici i Taviani. Che lo convocarono in seguito per una particina in “Padre padrone” e gli affidarono poi il ruolo principale ne “Il prato”, ma furono costretti a sostituirlo a metà lavorazione. "Era ingestibile, troppo capriccioso", confidò all'epoca uno della troupe. Episodio che, riletto oggi, restituisce all'autobiografia anche il suo celebre monito: “Non fate i capricciosi”, rivolto 23 anni dopo ai politici.



   22 settembre 2002