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Perché l'Occidente non fa le crociate
di Eugenio Scalfari su la Repubblica


CI SONO tanti argomenti in ballo e parecchia confusione nelle teste della gente, cioè di ciascuno di noi nessuno eccettuato. Si parla di guerra, sì alla guerra, no alla guerra, quale guerra, strana guerra. Si parla di civiltà, sono tutte rispettabili, la mia è meglio della tua, razzista chi lo dice, razzista chi mi dà del razzista, il razzismo non esiste parola del genoma, mi razzista? le lu' che l'è negher. Il nemico è il terrorismo, siamo tutti contro il terrorismo, Arafat è il principe dei terroristi, Israele è il terrorista numero uno, Bin Laden è il terrorista nichilista che sta incendiando il mondo, il terrorismo americano è cominciato con Hiroshima.
E ancora, ancora la contabilità dei morti ammazzati: seimila nel crollo delle Torri di Manhattan, cinquecentomila a Hiroshima, un milione e mezzo in Cambogia, sei milioni nell'Olocausto, dieci milioni nei Lager, e i curdi? E il milione di armeni? E ci scordiamo degli albigesi e della notte del San Bartolomeo? Il terrore? I roghi dell'Inquisizione? Gli impalati di Candia e di Famagosta?
Castighi imperscrutabili di Dio, Dio permette al Male di scorrazzare alla conquista delle sue anime, Dio è un'invenzione degli uomini, la lotta del Bene contro il Male, non esiste né il bene né il male.
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Sì, c'è molta confusione nella testa della gente, cioè in quella di ciascuno di noi a cominciare dal nostro presidente del Consiglio: in Parlamento ha ripetuto più o meno ciò che aveva detto a Berlino, a Berlino aveva ripetuto ciò che aveva già detto al vertice del G8, come quelli che conoscono l'ultima barzelletta e la vogliono raccontare a tutti i costi senza accorgersi dell'aria di mesta sopportazione degli astanti.
È stato certamente frainteso dai rappresentanti della Lega araba, da Mubarak, da Chirac, da Jospin, da Schroeder, perfino da Aznar, perfino da Blair; la colpa naturalmente è dei comunisti dell'opposizione che con un giro di telefonate hanno messo in moto uno schiamazzo mondiale. Che forza, l'opposizione italiota!
Ma il migliore di tutti in senso assoluto è stato il capogruppo dei senatori di Forza Italia che, nel salotto di Porta a Porta, ha intimato a D'Alema che pacatamente commentava la gaffe berlusconiana: "Lei deve soltanto tacere, lei non deve proprio parlare" . Quando si dice la tolleranza e il pluralismo dell'Occidente...
Infine nasce il dubbio non dappoco che questo discorrere sulle civiltà, sulle culture, sulle religioni, sul nichilismo etc. etc., sia roba da bar del Commercio o dello Sport che dir si voglia. I problemi sono altri, questi vanno bene per gli intellettuali, per i fottutissimi intellettuali come ha scritto ieri Oriana Fallaci arringandoci tutti per ben quattro pagine del "Corriere della Sera" con un sermone appassionato che ha per tema apparente la strage delle Torri e per tema reale Oriana alla testa della Crociata dell'America contro il resto del mondo.
Le tesi sono esattamente le stesse di quelle di Le Pen il quale tuttavia, con qualche maggiore consapevolezza dell'opportunità politica, si è chiuso in totale silenzio. Ma Oriana no: col piglio della Pulzella è partita per la controguerra santa non solo contro il terrorismo ma contro gli ambulanti che impestano la sua Firenze di finte borse di Vuitton, contro l'Islam, contro il Corano, contro lo chador, alla testa d'un immaginario ed immenso corteo dove campeggiano le pitture di Raffaello, le statue di Michelangelo, i versi della Commedia, le musiche di Bach e le scoperte di Enrico Fermi. Ci fanno ridere gli Averroè e la cultura islamica, non è vero Oriana? Lasceremmo spazi agli altri? Neanche un pollice risponde la Pulzella, non gli regalo niente, se ne stiano a casa loro questi fottuti emigranti. Sì, c'è molta confusione nella testa della gente e proprio per questo nessuno o pochi hanno il tempo d'accorgersi che nel frattempo (nel frattempo) il governo del Cavaliere concede a colpi di legge il sospirato salvacondotto a Silvio Berlusconi, Cesare Previti e Renato Squillante, imputati di corruzione in atti giudiziari. Così quei fottutissimi magistrati saranno finalmente fottuti. Cristo.




Elogio del pensiero relativo
di Ilvo Diamanti su la Repubblica

NEL dibattito politico si avverte, forte e distinta, una tendenza. Tracciare confini netti, profondi, in un mondo che li ha perduti. Riaffermare un pensiero assoluto, in tempi tanto complessi e relativi. Caduto il muro di Berlino; caduta, più modestamente, la Prima Repubblica, dopo l'entusiasmo iniziale, sembra essere subentrato un clima di disorientamento, che ha incoraggiato la costruzione di nuovi muri. O, almeno, muretti. Che, perlopiù, reinventano fratture antiche. In Italia, questo percorso è più evidente che altrove. Forse perché, più che altrove, qui il crollo dei muri aveva lasciato dietro sé cumuli di macerie.
Era nell'aria da tempo, questa tentazione. Basta rammentare, nel nostro piccolo, il clima della lunga (e penosa) campagna elettorale in vista delle elezioni politiche della scorsa primavera. Impostata da Berlusconi e dalla Casa delle Libertà sulla frattura anticomunista. Tema efficace, nonostante la scomparsa del "nemico" (il comunismo), perché forniva a una parte della società italiana un motivo per schierarsi. Identificando il comunismo con il vecchio, lo statalismo, la resistenza alle domande individuali, al vento del mercato. Dall'altra parte, si opponeva, come principale linea antagonista, l'antiberlusconismo. Il richiamo alla mobilitazione contro l' imprenditore mediatico e i suoi interessi. Contro il partito e lo schieramento del Presidente. Divisioni schematiche. Dagli effetti dannosi, soprattutto per il centrosinistra.
Perché l'antiberlusconismo sancisce esplicitamente la centralità di Berlusconi. Perché il comunismo, per quanto sostanzialmente dissolto, ha un fondamento assai più solido e profondo del berlusconismo.
Negli ultimi mesi, però, l'ansia di erigere muri ha superato i confini nazionali, coinvolgendo il contesto globale. La globalizzazione stessa. Divenuta un tema centrale del dibattito politico italiano. Lacerante, dopo il vertice del G8 svoltosi a Genova e le manifestazioni del movimento che l'hanno contrastato. Globali o antiglobali: una scissione netta, profonda, che attraversa il sistema politico. E gli schieramenti, al loro interno.
Poi, da ultima, la tragedia americana. L'attentato alle Torri gemelle. Il cui crollo ha avuto lo stesso effetto del muro di Berlino. A rovescio. Perché ha aperto nuove lacerazioni. Incoraggiando la tentazione di riaprire nuove barriere, in un mondo che pensava di averle vanificate. La frattura fra Occidente e Islam, evocata dal presidente del Consiglio. Per ricalcare, probabilmente, lo schema amiconemico adottato in Italia. Sostituendo i comunisti con l'Islam. L'opposizione fra un concetto, l'Occidente, geopolitico, definito sulla base di principi storici e modelli istituzionali, peraltro variabili. E un'entità religiosa e culturale, l'Islam, come tale impossibile da identificare con un'area (l'Oriente, piuttosto che il Sud) o con un modello di Stato e di sistema politico. Un'alternativa "fra civiltà" implausibile da proporre. A meno di non riassumere l'Occidente nel fondamento cristiano - se non cattolico - piuttosto che nella cultura laica. Peraltro, gli stessi Usa si guardano bene dal marcare questa opposizione, perché insostenibile in una società multiculturale, come quella americana; e dannosa dal punto di vista geopolitico.
Nello stesso Occidente, d'altronde, la tragedia americana, al di là del dolore e della partecipazione unanime che ha suscitato ovunque, ha scavato un'altra frattura. Che investe direttamente il paese bersaglio di tanta barbarie. L'America. Divenuta, dopo la caduta del muro, unico custode e garante degli equilibri mondiali. E' il sentimento antiamericano, che aleggia non solo nei paesi arabi, ma anche in Europa. Se è vero che (indagine Swg) in Italia il 45% della popolazione ritiene che la responsabilità della tragedia di New York vada, in parte, attribuita agli Usa. Alla loro politica nello scacchiere internazionale. Un sentimento - anzi: un risentimento - inaccettabile. Che ha radici vecchie, ma significato nuovo. Perché oggi respira un'aria postideologica. Non spiegabile attraverso il "comunismo" latente nella società italiana (di cui, secondo il "pensiero assoluto", sarebbero espressione i noglobal). Tanto più oggi, che il maggiore alleato degli Usa è proprio la Russia, già capitale dell'impero comunista; guidata da un presidente, Vladimir Putin, che proviene dalla nomenklatura comunista.
Quante fratture, in un mondo dove i muri sembravano crollati.

Come e dove si collocherà chi è e si sente occidentale, ne condivide i valori, i principi, le istituzioni; non ha incertezze sulla lotta dura al terrorismo; ma, al tempo stesso, crede nel dialogo aperto fra culture? Chi pensa che l'Islam è una realtà complessa, in mutamento; e non sia destinato a produrre "mostri" e fondamentalismi? Come e dove si collocherà chi considera gli Usa, da sempre, un solido e stabile riferimento per la democrazia, cui l'Europa e l'Italia debbono molto, ma vorrebbe, comunque, un'Europa più forte, autonoma, capace di diventare soggetto attivo, sul piano geopolitico e culturale? Come e dove si collocherà chi non vede nella globalizzazione solo i rischi, ma anche le opportunità, per allargare la distribuzione di conoscenze e risorse? Chi la considera un processo che può essere criticato, governato diversamente, ma non demonizzato? Chi, peraltro, vede il movimento antiglobale come una realtà composita; chi, anche non condividendone le posizioni, ritiene arbitrario ridurlo alle frange violente e ai gruppi estremi presenti al suo interno? Come e dove si collocherà chi non è comunista, ma non per questo è berlusconiano? Chi non è berlusconiano, ma non per questo è comunista?
Mi dispiace, ma di fronte ad alternative così schematiche non riesco a pormi che in modo relativamente (e forse assolutamente) relativo.
Senza, per questo, sentirmi relativista.



John K. Cooley
Una guerra empia - La Cia e l'estremismo islamico
Elèuthera - 400 pagine - 18,08 euro (35mila lire) - ISBN 88-85060-42-0
Nicola Borzi su il Sole24ore

Quel vaso di Pandora della guerra in Afghanistan.
Una dettagliatissima ricostruzione del rapporto tra la Cia e l'estremismo islamico mette a nudo gli errori prospettici della politica internazionale degli Usa.

L'inglese ha un curioso proverbio: "The hand that rocks the cradle is the hand that rules the world", la mano che dondola la culla è la mano che governa il mondo. La mano che a lungo ha cullato, sostenuto e nutrito i movimenti islamici radicali in Afghanistan e Pakistan, tra la fine degli anni '70 e la fine degli anni '80, è stata quella della Central Intelligence Agency, il servizio di spionaggio statunitense. Ma quella culla a un certo punto è sfuggita dalle mani degli agenti americani. E gli effetti di quelle scelte, funzionali a contrastare l'espansione sovietica verso le calde acque dell'Oceano Indiano, ancora oggi stanno sono sotto gli occhi di un Occidente sempre più atterrito.
Il vaso di Pandora fu aperto nel 1979, ancor prima dell'invasione sovietica dell'Afghanistan, secondo quanto svela il documentatissimo libro della elèuthera "Una guerra empia - La Cia e l'estremismo islamico" di John K. Cooley. Gli Usa iniziarono a sostenere in Afghanistan e Pakistan i movimenti islamici radicali che si contrapponevano ai sovietici, in una manovra di "contenimento" alla quale parteciparono Paesi satelliti quali Egitto e Pakistan, come pure un "insospettabile", la Cina, e uno strenuo avversario dello stesso Islam, quale Israele.
Gli agenti occidentali, non solo americani, utilizzarono un network mondiale di contatti - dislocati dall'Asia all'Europa, con significative presenze in Inghilterra, Francia e nell'allora Repubblica federale tedesca - per arruolare, indottrinare, addestrare e finanziare 250mila combattenti islamici, sciiti e sunniti, provenienti da ogni parte del mondo. Si trattò di una "guerra per procura", il cui esito portò alla disfatta militare e al ritiro sovietico dall'Afghanistan nel 1989. Ma quella debacle non riuscì a chiudere la fonte di nuovi, terribili mali.
La storia "coperta" narrata da Cooley non si ferma con la fine del conflitto afghano-sovietico. Attraverso una mole di prove e documenti davvero notevole, la narrazione traccia le conseguenze di quell'operazione. La vittoria dei Talebani portò alla guerra civile tra le diverse fazioni etnico-militari in Afganistan, che ancora prosegue. La lotta per l'affermazione di una visione radicale dell'Islam, la cui nascita risale alla fine dell'800 nei Paesi arabi quale reazione delle elite religiose e culturali all'occidentalizzazione forzata e alla colonizzazione, non restò a lungo confinata nei deserti e tra le montagne dell'Asia.
La lotta degli islamisti radicali, con forme e in momenti diversi, si è diffusa in tutti i Paesi islamici: ha portato alla destabilizzazione della Cecenia, alla guerra civile in Algeria, ai conflitti etnico-religiosi in Sudan, alle lotte dei movimenti separatisti a Mindanao nelle Filippine e in Indonesia, al rinfocolarsi di azioni terroristico-militari in Libano e ai confini di Israele.
Il suo sanguinoso corollario è stata l'escalation di attentati antioccidentali che negli ultimi anni hanno colpito l'Egitto, con la strage di turisti nella Valle dei Templi di Luxor, la Russia, con l'esplosione di edifici a Mosca, la Francia, con l'estate di sangue delle bombe di Pairigi, il primo attentato del '93 al Trade World Center e i suoi "appena" sei morti, l'esplosione delle ambasciate Usa in Africa, la distruzione dell'ambasciata israeliana in Argentina. Senza dimenticare gli assalti alle basi americane nel mondo, i rapimenti di turisti, l'utilizzo della coltivazione del papavero e la diffusione di enormi quantitativi di droga per finanziare la rete del terrore.
La vera nemesi dell'intervento della Cia in Afghanistan oggi sembra aver preso l'identità e il volto di Osama Bin Laden, il saudita al centro della ragnatela degli estremisti che per anni è stato un “protetto” dei servizi segreti americani. Queli stessi servizi che oggi gli stanno dando la caccia quale “nemico pubblico numero uno”.
A dieci anni dopo dalla caduta dell'Urss, inoltre, i movimenti islamici radicali stanno giocando un ruolo crescente anche nell'Asia centrale ex sovietica - dove, non va dimenticato, sono dislocati missili balistici ex sovietici a testata nucleare - e hanno già fatto capolino anche in Europa, sia occidentale che orientale, dove si sono schierati in campo tra i combattenti della guerra in Bosnia.
L'Occidente è rimasto a guardare. La Guerra del Golfo ha confuso per anni l'attenzione degli analisti con un "rumore di fondo" che ha deviato l'attenzione sul regime di Baghdad. Fino al risveglio tragico dell'11 settembre.

La frase che chiude il libro di Cooley, pubblicato nel luglio 2000, si è avverata come una sinistra profezia: "Il mondo continuerà a soffrire anche nel nuovo secolo per le ripercussioni della guerra afghana del 1979-1989".



  30 settembre