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GORE VIDAL Perché odiano noi americani
Su la Stampa

Perché ci odiano"? Naturale, risponde l'americano Gore Vidal, 77 anni, romanziere, sceneggiatore, drammaturgo, attore, politico e riscrittore della biografia di una nazione in un'epica di sette libri terminata con "The Golden Age" (L'età dell'oro), che l'anno scorso ha messo a subbuglio gli Stati Uniti svelando il lato oscuro di miti liberal come Franklin Delano Roosevelt. "Ci odiano perché abbiamo appoggiato dittatori in casa loro. Perché le nostre truppe occupano il suolo dell'Arabia Saudita, sacro per i musulmani". E in Italia? L'antiamericanismo affonda le radici in mezzo secolo di Guerra Fredda: "Tutto risale all'aprile del '48, quando la Cia spese un mucchio di soldi per far vincere la dc e spazzar via Togliatti". Da Villa Rondinaia a Ravello, costiera amalfitana, dove passa alcuni mesi all'anno tra una visita degli amici italiani guidati da Fernanda Pivano e una passeggiata per stradine panoramiche, Vidal riflette sulla crisi scatenata dall'attacco suicida a Manhattan e Washington. Osserva gli scenari della prima guerra mondiale non convenzionale. Confronta il presidente Bush con i suoi predecessori e analizza i segni di un antiamericanismo che non ha mai smesso di fare proseliti anche in Europa: un posto che lui conosce bene.

"In linea teorica, ogni genere di provocazione che gli Stati Uniti hanno inflitto al mondo musulmano - a partire dal secolo scorso per finire con l'occupazione permanente dell'Arabia Saudita per sostenere la famiglia reale - non avrebbe dovuto causare e giustificare la furia di Bin Laden. Ma noi abbiamo provocato, e lui ha risposto. Gli americani - fin dal 1950 e dalla costruzione del loro impero globale - non hanno ancora capito una cosa elementare: che nella storia, come in fisica, non c'è azione senza reazione".

La risposta intelligente quale sarebbe?
"Rimuovere le cause dell'odio in Medio Oriente: cominciando dalle truppe americane sul suolo sacro dell'Arabia Saudita. Noi ci comportiamo come l'antico impero romano, o l'impero bizantino. E impieghiamo mercenari per combattere al posto nostro. Nel frattempo, Bin Laden ha trasformato lo scontro in una guerra di religione come le Crociate del dodicesimo secolo. Forse sarebbe opportuno chiamare Kofi Annan a mediare tra cristiani, ebrei e musulmani. Con tutte le armi nucleari e biologiche che ci sono in giro, la razza umana rischia di sparire".

"Nonostante le sue macchinazioni, Franklin Delano Roosevelt è stato il nostro più grande presidente. Bush al confronto non ha nessuna rilevanza, eccetto che per gli errori che potrà - o vorrà - commettere in questa crisi".
Sempre in quel libro, un personaggio, misurando le azioni di Roosevelt - che secondo lei su Pearl Harbor avrebbe nascosto informazioni agli americani per condurre la nazione in guerra - dice: "Sono pochi quelli che sanno. La maggioranza deve sempre seguire. Questo è il democratic way, la via democratica, degli Stati Uniti". La pensa anche lei così?
"Quella frase è ironica, non va presa alla lettera. Però certo, l'ottanta per cento degli americani non voleva andare in guerra nel '41, e Roosevelt invece ci andò, per salvare l'Inghilterra e la Francia e distruggere Hitler. Alcuni inorridiscono al pensiero che l'abbia fatto con mezzi immorali. Ma i grandi imperatori tendono all'immoralità. E se consegnano il mondo alla loro nazione vengono comunque deificati. Quindi la risposta è no, non è questa la via democratica: leggendo gli altri volumi che ho dedicato all'Impero si scopre che gli Stati Uniti non sono e non si sono mai dedicati a costruire una democrazia. Noi siamo una repubblica per bianchi ricchi, e dediti al business".

Ma questo sentimento antiamericano circola anche a Parigi, Berlino, Madrid, Roma. Lei vive molti mesi dell'anno in Italia, sa darsi una spiegazione?
"Mah, resto residente - ed elettore - in California... Però una cosa la posso azzardare: so bene che la prima vittoria della Cia furono le elezioni italiane dell'aprile del '48, quando spendemmo una fortuna per distruggere Togliatti. Questo ha causato, soprattutto in certi ambienti, un risentimento duraturo".
La lotta al terrorismo farà diventare meno antiamericani gli europei?
"Solo se l'America non farà più politiche imperialiste. Se non deciderà le sorti di governi stranieri, bombardando città balcaniche o fabbriche di aspirine, bersaglio colpito per sbaglio in Sudan. La lista degli errori da non ripetere è lunga".
E gli errori del "nemico senza volto"? Chi è, davvero, Osama bin Laden?
"Uno che a questa domanda risponderebbe: Allah".



Battiato: "Né con gli americani né con i terroristi"
"Vedo un'equivoca rincorsa a disinformare, dei talebani e degli Usa con l'efficienza dei loro uffici stampa"
Su Corriere della Sera

Quando sente evocare una chiamata alle armi planetaria come reazione all'attacco di New York, sceglie la posizione più polemica, al limite della temerarietà: "Né con gli americani né con i terroristi". Quando legge che siamo a un conflitto di civiltà, allo scontro tra Bene e Male, teme che questo sia il pretesto per alzare "barricate d'intolleranza e cominciare una nuova crociata, perché si sottintende che il Male è l'intero universo musulmano".
Quando ascolta certe analisi sull'identità culturale dei kamikaze di Bin Laden, "piene di equivoci interessati", si fa tagliente: per lui sono solo degli "infiltrati nell'Islam, lontanissimi da quanto dice Allah" e si poteva prevedere una simile "risposta al potere imperiale degli Usa e al suo colonialismo becero", come si giustificano.
Franco Battiato alterna ansia e indignazione, in questa vigilia di guerra. Si considera in gioco personalmente, e il gioco non gli piace.
È uno che sta "da due parti e tra due mondi" e lavora perché si capiscano: non per nulla la sua ricerca attinge alla Bibbia come al Corano e lo ha portato ad una spiritualità sincretista per cui lo definiscono un "sufi reincarnato". Ha attraversato il pop e Stockhausen, Wagner e i ritmi circolari dei dervisci, tenendo concerti davanti al Papa e nella Bagdad di Saddam Hussein. George Gurdjieff, il maestro russo al quale s'ispira, incitava a "prendere la comprensione dell'Oriente e la scienza dell'Occidente, per cercare". Lui vuole continuare a farlo. A dispetto di chi, specie a destra, si sorprenderà delle sue idee di oggi.
Battiato, lo choc della tragedia americana rende difficile ragionare in chiave laica sul futuro: prevalgono sentimenti preculturali, la paura, la vendetta.
"Siamo intossicati da migliaia di informazioni, per lo più false, che toccano emozionalità elementari. Io cerco di non lasciarmi coinvolgere né da destra né da sinistra, ma vedo appunto un'equivoca rincorsa a disinformare. Lo fanno i talebani, esprimendo la ferocia di chi non può aver letto il Corano. E lo fanno gli Usa, con l'efficienza dei loro uffici-stampa, per cui è passata la tesi di un attacco all'Occidente. No, questo è stato un attacco all'America. Che doveva aspettarselo. Come d'ora in poi ogni arabo deve attendersi di esser considerato un nemico".
Circoscrivere quell'episodio come un "attacco agli Usa" equivale a dire che quei morti non ci riguardano.
"Tutti i morti ci riguardano, purché non si usi il criterio dei due pesi e due misure. Ricordo il Natale di qualche anno fa, con la tv che trasmetteva un saluto di Hillary Clinton circondata da bimbi felici e pieni di regali: quella stessa mattina la Casa Bianca aveva ordinato un bombardamento su Bagdad, nel quale erano rimasti uccisi molti bambini di cui non importava nulla a nessuno. Vorrei che le vittime innocenti degli attentati di New York valessero quanto le innocenti vittime irachene di un embargo ormai insensato. Infatti, come si può combattere un dittatore affamando un popolo?".
È un discorso che ci porterebbe troppo lontano: restiamo alle Twin Towers e alla strategia di Bush per costruire una grande alleanza contro i terroristi.
"Non accetto che mi si dica: o siete con noi o siete con i terroristi. Sarei costretto a rispondere che non sto né con gli uni né con gli altri, in questa situazione di dominio imperiale nella quale l'Italia è periferia dell'impero. Perché nessuno attacca i lapponi, e c'è invece l'America nel mirino? Chi ha fatto crescere a proprio vantaggio le immense riserve di miseria e odio etnico, o pseudoreligioso, che sono esplose l'11 settembre?".

Lei teorizza che la contaminazione tra culture è un valore. Ma da domani può succedere che, dato il clima, pure l'Islam rifiuti di lasciarsi "contaminare" da noi, di modernizzarsi. E in quel caso sarebbe impossibile un altro suo concerto a Bagdad.
"L'Islam ci è indispensabile, è l'infanzia e l'adolescenza della nostra civiltà. Basta pensare alla musica, all'astronomia, alla filosofia, alla matematica. I grandi mistici sufi erano come Francesco d'Assisi: estremi nell'abbandono delle cose materiali e di una tolleranza infinita. Tra i musulmani la confusione è nata in età abbastanza recenti, tra gente avvelenata da un odio medievale e che dimostra di non conoscere i testi coranici. Sono loro i nemici, sono loro a chiudersi, e grazie a dio sono pochi. Per cui sì, tornerò a Bagdad".



L'ira della Lega araba: "Posizioni razziste"
Su la Stampa

"Sono molto arrabbiato, come tutti i musulmani. Chiamerò Berlusconi. O smentisce ciò che ha detto, o il presidente del Consiglio italiano dovrà fare pubbliche scuse a tutto il miliardo di musulmani che vivono nel mondo per le sue considerazioni razziste". Il segretario della Lega Araba Amr Moussa tuona contro l'affermazione di superiorità della civiltà occidentale espressa mercoledì a Berlino dal presidente del Consiglio. Moussa usa parole durissime, parlando al Cairo con la stampa dopo un incontro con un'assai imbarazzata delegazione diplomatica dell'Unione Europea, guidata da Louis Michel, ministro degli Esteri belga e presidente di turno del Consiglio Ue, e della quale faceva parte anche l'alto rappresentante per la politica estera, Javier Solana, e il commissario europeo agli Affari Internazionali, Chris Patten.
"Allibiti e scioccati", i massimi esponenti della diplomazia europea, impegnati in una difficilissima missione per guadagnare la fiducia di Paesi come Pakistan, Iran, Arabia Saudita ed Egitto, in questa fase delicata della campagna contro il terrorismo, non vogliono credere a loro volta alle parole di Silvio Berlusconi. Incredulo è anche lo staff del presidente egiziano Hosni Mubarak.
Moussa esprime la sua "indignazione" per "le dichiarazioni razziste che hanno passato il limite della decenza" e che mettono l'Italia "in cattiva luce agli occhi del mondo arabo". A proposito di quanto affermato da Berlusconi, Moussa si dice "stupito e arrabbiato come tutti gli arabi per l'attacco alla civiltà islamica. E' una dichiarazione razzista e noi rifiutiamo tutto quello che egli ha detto. Gli chiederò di smentire o di fare pubbliche scuse. Il ministro Michel ha preso le distanze, e lui parla per tutta l'Unione Europea, ma ciò non toglie che Berlusconi abbia fatto accuse inaccettabili andando oltre ciò che ciascuna persona di buon senso può pensare che un primo ministro possa dire. Berlusconi è altamente irresponsabile. In ogni caso dico che la sua civiltà non è superiore alla nostra. Ciò che ha detto Berlusconi non può essere il frutto di una civiltà superiore".

Il commissario europeo agli Affari Internazionali, Chris Patten, rivolto a Berlusconi, sostiene che "gli europei dovrebbero ricordare con grande umiltà che il mondo arabo, ad esempio, non si è mai reso responsabile di un Olocausto". Di fronte alle domande dei giornalisti egiziani, Michel respira profondamente e prosegue: "Né politicamente, né storicamente, né culturalmente e tantomeno moralmente, simili dichiarazioni possono essere ritenute accettabili. Sono estremamente pericolose".

"Quando parliamo di civiltà - prosegue Michel che fin da mercoledì sera a Riad aveva preso contatti con il presidente del Consiglio Guy Verhofstadt, per valutare l'opportunità di una reazione forte alle parole di Berlusconi - dobbiamo renderci conto che ognuna di esse ha una sua grandezza e le sue sofferenze. Solo con il dialogo ciascuna delle nostre civiltà può dare un contributo alle altre. Con la coabitazione e il reciproco rispetto tra civiltà il mondo può migliorare. Non può farlo certo con la sufficienza settaria". Concetto ripreso anche dal leader della Lega Araba Moussa, il quale dopo aver ringraziato Michel per aver preso nettamente le distanze dalla posizione di Berlusconi ha aggiunto che il presidente del Consiglio italiano "dovrebbe leggere di più, istruirsi e informarsi sulla civiltà islamica prima di dire certe cose".



Talebani d'Italia
VALENTINO PARLATO su il Manifesto

Anche la globalizzazione, che pure è antica e procede, non è - come avrebbe detto Mao - un pranzo di gala: una crescita indefinita di benessere prodotto dalla mano invisibile del dio mercato. Vuoi o non vuoi, questa globalizzazione è incappata in una guerra annunciata che ogni giorno diventa più presente e che - lo ha detto il giovane Bush - sarà "lunga e sporca".
Questo piccolo incidente di percorso sta producendo notevoli novità culturali. Così - per esempio - il cavalier Silvio Berlusconi assolutamente relativista in fatto di conflitto di interesse o di falso in bilancio, diventa uomo di principi assoluti in fatto di civiltà: "Non si possono mettere sullo stesso piano tutte le civiltà, bisogna essere consapevoli della nostra supremazia, della primazia occidentale".
Il nostro attuale presidente del consiglio (può accadere di tutto) sembra folgorato dall'editoriale fondamentalista di Angelo Panebianco sul Corsera di ieri: "Il relativismo culturale è una degenerazione del principio di tolleranza inscritto nella democrazia liberale. Si tratta di una forma (dissimulata) di nichilismo".
Convenienze politiche a parte, sembra di essere a un ritorno di analfabetismo, proprio nella nostra "culla" di civiltà.

Imbarcati in questo delirio fondamentalista non ci vuole molto a demonizzare i no-global e tutti quelli che in qualche modo criticano questo nostro mondo occidentale e capitalistico. E così il cavaliere - sempre in sintonia con Angelo Panebianco - denuncia solennemente (fa pensare a Pietro l'Eremita) "la singolare coincidenza di chi dall'interno del mondo occidentale stesso, critica il modo di vivere e di pensare di questo mondo come se fosse colpa sua", e non - fa intendere - di quei selvaggi che sono rimasti "indietro di 1.400 anni".




Rogatorie, il governo battuto due volte
Crepe nella maggioranza, Lega sotto accusa. Berlusconi: non facciamoci condizionare dai giudici
Su Corriere della Sera

Giovedì nero per il centrodestra. La maggioranza è stata battuta due volte alla Camera con lo scrutinio segreto, ha rischiato di andare sotto altre volte e in un clima rovente, con i ministri che accorrevano a tarda sera in aula per votare, ha subito la modifica di uno degli articoli chiave della riforma sulle rogatorie internazionali. Alcuni esponenti del governo, Bossi e Gasparri, hanno minimizzato la portata dell'incidente ma nella notte gli azzurri Vito e Pecorella ("Mi sembra che a questo punto la situazione sia senza rimedio") si sono recati a Palazzo Chigi per tentare di informare Berlusconi. Il presidente del Consiglio, però, non ha potuto riceverli perché impegnato con la Finanziaria. I tempi dunque si allungano: oggi a Montecitorio è previsto il voto finale sul provvedimento di ratifica del trattato con la Svizzera (con diretta tv alle 10.15) ma, ora, il nuovo testo sulle rogatorie deve necessariamente tornare al Senato.



Il procuratore di Ginevra:
una catastrofe, si cancellano prove già formate
Intervista a Bernard Bertossa di Paolo Biondini sul Corriere della Sera del 27.09.2001

GINEVRA - «Questa legge è una catastrofe per la giustizia internazionale. In dodici anni di collaborazione giudiziaria con Paesi di tutto il mondo, non ho mai visto norme del genere. Prima d'ora, mai. Queste vostre nuove regole sulle rogatorie sono in contrasto con tutti gli accordi tra Stati sulla validità delle prove raccolte all'estero: si tratta chiaramente di disposizioni politiche dirette a far cadere le indagini e i processi più delicati. Ma anche per il futuro, per noi magistrati svizzeri diventerà molto più difficile, anzi praticamente impossibile, continuare a collaborare con l'Italia nelle indagini sulla corruzione, sul riciclaggio dei patrimoni mafiosi e sulle organizzazioni che finanziano il terrorismo. Non resta che sperare in un intervento di Bush sul vostro premier Berlusconi: Osama Bin Laden ha soldi in Italia?»

Il procuratore generale di Ginevra, Bernard Bertossa, boccia con parole severe la nuova legge italiana sulle rogatorie svizzere e sulla collaborazione giudiziaria internazionale. Una riforma, o controriforma, che il centrodestra intende far approvare oggi dal Parlamento. L'alto magistrato elvetico (eletto dal popolo), quella «legge italiana» la studia da tempo «e con sincero stupore». Scorrendone gli emendamenti più discussi, ben in vista al centro della sua scrivania, il francofono Bertossa ne discute in un buon italiano, senza pose o toni da denuncia, ma con l'aria di chi si limita a constatare un'evidenza.

Dal suo ufficio vista lago, al terzo piano del «Palace de justice», sono passate le più scottanti indagini internazionali: fondi neri del regime nigeriano, corruzione di finanzieri in Spagna, scandalo Elf e affaire Mitterrand in Francia. In cima alla sua libreria, una ventina di faldoni gialli intestati a Pacolli, Borodin e alla corte di Eltsin ricordano che è ancora apertissimo, tra l'altro, il famoso «Russiagate».

Procuratore Bertossa, alla luce della sua esperienza come giudica la legge sulle rogatorie che il parlamento italiano si appresta a varare?

«Mi sembra manifestamente in contrasto con la tendenza che si va affermando in tutti i Paesi più avanzati. In un momento storico in cui gli Stati Uniti e 1'Ue premono per una maggior trasparenza finanziaria, proponendo di abbattere le barriere che frenano la collaborazione tra giudici e polizie di Stati diversi, l'Italia, invece di andare avanti, fa un grosso passo indietro».

Cosa la preoccupa in questa legge?

«L'articolo 17 è una cosa mai vista. Non conosco nessun'altra norma, nel mondo, in grado di cancellare prove già formate, come se certi versamenti bancari non fossero mai esistiti. Conosco per ragioni di lavoro le inchieste dei magistrati milanesi e so bene che stiamo parlando di documenti bancari di cui nessuno ha mai discusso l'autenticità: renderli addirittura inutilizzabili per qualsiasi irregolarità procedurale, per questioni cavillose sulla semplice trasmissione degli atti, è chiaramente una scelta politica, che contrasta con tutte le convenzioni internazionali sulla validità delle prove raccolte all'estero.
L'articolo 12, con tutto il suo antistorico formalismo, poi, rischia di rendere praticamente impossile collaborare con l'Italia anche per il futuro: non si può pretendere che un magistrato svizzero si adegui alla legge italiana, anzi debba diventare addirittura un esperto. In questo caso mi sembra che l'obiettivo, in inglese "the goal", sia soltanto la prescrizione dei reati».



Rogatorie
Baltazar Garzon su la Stampa

Se il procuratore di Ginevra, Bernard Bertossa, giudica la legge sulle rogatorie in discussione in Parlamento una "catastrofe per la giustizia internazionale", il giudice spagnolo Baltazar Garzon - il magistrato che ha fatto arrestare il dittatore cileno Pinochet, che indaga sul terrorismo basco, che si occupa dell'inchiesta su Telecinco - è ancora più drastico: "Questa legge è una barbarie. Una norma che sancisce l'inutilizzabilità degli atti delle rogatorie per vizi di forma è un attentato alle norme di base che devono garantire l'esercizio della giustizia".
Giudice Garzon, qual è la sua valutazione sulla legge che il Parlamento italiano sta per approvare?
"Se ho capito bene, qualsiasi vizio formale annulla gli atti delle rogatorie internazionali. Ormai è diventata una consuetudine il rapporto diretto tra i giudici dei paesi che chiedono la collaborazione giudiziaria con quelli che devono prestarla. E' questa consuetudine che dovrebbe essere codificata".
Per i sostenitori della legge anche la forma è sostanza: non si può rinunciare al diritto costituzionale del giusto processo.
"Le formalità sono necessarie per la realizzazione della giustizia ma le formalità non devono creare ostacoli al raggiungimento di questo obiettivo. Evidentemente, l'obiettivo della legge è quello di boicottare, di impedire la cooperazione giudiziaria in materia di criminalità organizzata, economica".

Dal punto di vista della sua esperienza professionale, quali difficoltà ha incontrato nell'attivazione della collaborazione giudiziaria?
"Proprio quelle che derivano da un eccessivo rigore nell'interpretazione formalistica di norme che non intaccano i diritti fondamentali. Altre difficoltà insorgono quando si chiede la collaborazione a paesi dove si manifesta un'interferenza del potere esecutivo, che vuole controllare la cooperazione giudiziaria internazionale".




Conflitto d'interessi, vigileranno tre garanti
Il Consiglio dei ministri vara il disegno di legge: i presidenti di Camera e Senato nomineranno l'Authority
Su Corriere della Sera

Il governo alla fine ce l'ha fatta. E ha varato nel consiglio dei ministri, proseguito fino a tarda notte, il disegno di legge sul conflitto d'interesse. Il testo predisposto dal ministro della Funzione Pubblica Franco Frattini prevede l'istituzione di una nuova authority, composta da tre garanti nominati dai presidenti delle Camere. La soluzione escogitata dalla maggioranza di centrodestra - dopo che erano state scartate le altre ipotesi che prevedevano il blind trust o il commissariamento della Fininvest - rappresenta un'autentica novità nelle legislazioni dei Paesi avanzati. L'ultima legge promulgata in materia è quella spagnola del 1995 che prevede regole di incompatibilità tra cariche governative - fino al sottosegretariato - e attività professionali di tipo privato. Per quanto riguarda conflitti di interesse che coinvolgano imprese le norme di Madrid hanno creato il fondo fiduciario, una versione iberica del blind trust. Il disegno di legge Frattini si applica al presidente del Consiglio, ai ministri, i sottosegretari, i commissari straordinari del governi, presidenti di Regioni e province e i sindaci delle 10 città metropolitane. Gli atti sui quali l'authority sarà chiamata a vigilare sono quelli che hanno "un'incidenza specifica sull'assetto patrimoniale del titolare, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado, salvo che il provvedimento riguardi intere categorie di cittadini".

L'authority avrà il potere di aprire un'istruttoria sui casi dubbi e potrà anche, su richiesta del governo, esprimere pareri su disegni di legge ed altro. Ma una volta concluso il lavoro istruttorio e nel caso che i garanti ravvisino violazioni, l'unico strumento di intervento sarà quello di inviare un referto al Parlamento. Le Camere potranno tenerne conto - attivando gli strumenti tipici del lavoro parlamentare come commissioni d'inchiesta o mozioni si sfiducia - oppure potranno decidere di andare avanti ed approvare la legge messa sotto accusa.




Referendum, lite sulla tv
La maggioranza impedisce di varare il regolamento per la campagna elettorale
Vigilanza Rai senza numero legale. Giulietti: è un boicottaggio
Su Corriere della Sera

Vita già agitatissima per la Commissione parlamentare di Vigilanza che ha appena eletto, dopo mille polemiche tra maggioranza e opposizione, il nuovo presidente Claudio Petruccioli. La Commissione non riesce nemmeno a votare un regolamento destinato alla Rai. A pochi giorni dal referendum sul federalismo è infatti ancora in alto mare il provvedimento che disciplina la par condicio nella tv pubblica per l'informazione referendaria del 7 ottobre prossimo. La mancanza del numero legale registrata nella seduta convocata ieri (era assente praticamente tutta la maggioranza, a eccezione dei leghisti Caparini e Peruzzotti) ha impedito alla Commissione di Vigilanza il voto sul provvedimento costringendo il presidente Petruccioli ad aggiornare i lavori a stamattina alle 8.

Ha osservato il diessino Giuseppe Giulietti, "i presidenti delle Camere dovranno farsi carico del problema e assumere le opportune iniziative di garanzia di un diritto popolare. Trovo di cattivo gusto - ha aggiunto Giulietti - che in giornate come queste si boicotti una questione importante come un referendum e credo che ogni ora persa rappresenti un ulteriore sberleffo a tutta la comunità".
L'assenza della maggioranza è stata definita "sospetta" anche dall'esponente della Margherita Michele Lauria, secondo il quale un comportamento del genere potrebbe spiegarsi sia con la volontà di "aiutare la Lega a vanificare il referendum", sia con quella di "fare pressioni sui vertici Rai".




Falso in bilancio: riforma sbagliata, a rischio i diritti degli investitori
Su Corriere della Sera

A luglio la Camera ha introdotto importanti modifiche alla disciplina del falso in bilancio e del falso in prospetto, rispetto al testo messo a punto dalla Commissione Mirone per la riforma del diritto societario. Il tema è di grande rilievo per il Paese. I mutamenti introdotti vanno tutti ad affievolire nettamente la tutela di investitori, soci e creditori. Per il reato di falso in prospetto, non basta più l'aver esposto "intenzionalmente" dati falsi o incompleti, ma è necessario provare "l'intenzione di ingannare i destinatari del prospetto". Le pene variano poi a seconda che vi sia o no stato un danno, ovviamente da determinare precisamente; se ciò non avviene, la pena prevista dal nuovo testo scende al ridicolo "dell'arresto fino a un anno". Dove invece il danno sia determinabile, la pena massima è di tre anni, contro i cinque previsti dal testo Mirone. L'inganno nei confronti degli investitori diverrà reato bagatellare, facilmente riconducibile entro limiti inoffensivi con patteggiamenti vari. In concreto il deterrente è nullo, dato che solo una fulminea scoperta del reato (al massimo entro un anno) e un'autentica serie di blitz processuali potrebbero salvare la sentenza definitiva dalla prescrizione, porto raggiungibile da ogni bravo avvocato. Quasi certa la prescrizione anche per il falso in bilancio, per il quale i cambiamenti proposti si situano sulla stessa linea. Non basta più, come nel testo Mirone, un'azione intenzionale, bensì "l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico", molto più ardua da provare in dibattimento. Le altre modifiche riguardano la punibilità solo su querela di parte per le non quotate, la riduzione delle pene (arresto fino a 18 mesi se non c'è danno per soci o creditori, reclusione fino a 4 anni nei casi più gravi contro i precedenti 5) e il fatto che "le informazioni false od omesse devono essere rilevanti e tali da alterare sensibilmente" la rappresentazione della situazione della società; sono previste soglie minime, la cosiddetta franchigia per modica quantità, dimenticando che, anche con cifre piccole, solo grandi ragioni possono indurre a correre rischi simili e che "minime" tangenti possono causare grandi profitti, fuorviando il pubblico.
I sostenitori degli emendamenti negano qualsiasi intenzione di risolvere indirettamente i problemi legali del presidente del Consiglio, tocca però a chi propone queste modifiche, rispetto a testi messi a punto in due anni di lavori, l'onere di provare quale sia l'interesse pubblico che si vuole tutelare.




  28 settembre