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La Provocazione
Massimo Fini su il Tempo

L'ATTUALE modello di sviluppo, democratico, liberale, ad economia monetaria e di mercato, di cui l'Occidente è l'iniziatore, il portatore e il necessitato esportatore, perché un sistema basato sulle crescite esponenziali deve conquistare incessantemente nuovi spazi commerciali, ha come sua tendenza di fondo, e in parte già realizzata, la "reductio ad unum" dell'intero esistente: un Unico Stato Mondiale, organizzato nelle forme liberaldemocratiche, un Unico Governo Mondiale, un Unico Tribunale Mondiale, un'Unica Polizia Mondiale - la Nato si è finora assunto questo ruolo - un Unico Mercato Mondiale e un unico tipo d'uomo: il Grande Consumatore. Poiché ci siamo dentro, poiché è il nostro modello non riusciamo a percepire quanto di mostruoso, di assolutistico, di totalitario e di violento c'è in esso. Perché non concepisce l'altro da sé. L'altro, si tratti di Taleban, dell'Iran di Khomeini, delle realtà tribali dell'Africa nera, del Fis algerino, della Jugoslavia di Milosevic, è accettato solo nella misura in cui si omologa a noi, assume il nostro diritto, le nostre leggi, le nostre Istituzioni, i nostri costumi, i nostri consumi, la nostra way of life, la nostra economia. Altrimenti è "out", in attesa di diventare, quando occorre, e quando se ne dia il destro, il Male assoluto.
L'Unico Stato Mondiale, che pesca le due radici più profonde nell'astrazione illumista dell'"uomo cittadino del mondo", è una utopia sinistra. Persino Orwell, pensando nero nel suo 1984, aveva immaginato almeno tre grandi agglomerati, Eurasia, Estasia e Oceania.
L'utopia dell'Unico Stato Mondiale, benché sia nata non dal sonno ma dal segno della Regione, e piuttosto da un eccesso di razionalizzazione, non può che partorire mostri. Perché nega l'innegabile: la dialettica e il conflitto, cioè la vita. E poiché il conflitto e la vita non sono abrogabili per decreto, ci si ritorcono contro in altre forme.
Uno di questi mostri, ma non il solo, è il terrorismo internazionale che è una conseguenza diretta dell'Unico Stato Mondiale.

Anche l'Unico Stato Mondiale, contrapponendosi non più a un altro Stato, che non c'è, ma al terrorismo, è costretto a sua volta ad abbandonare dichiarazioni, formalità, codici, regole, a farsi terrorista.
E infatti gli americani, che sono di fatto il governo del mondo, hanno già annunciato che si comporteranno in tal senso, con i bombardamenti indiscriminati, le atomiche, gli omicidi politici, diventeranno così a loro volta terroristi e perdendo quella "superiorità morale" su cui basano la loro fiducia in se stessi.



Le tentazioni dei pacifisti
Lucio Caracciolo su la Repubblica

STA per scoccare la grande ora del pacifismo. Nei primi giorni di shock e di orrore, era un robusto mormorìo di fondo. Oggi, dopo che il mullah Omar e lo sceicco Bin Laden hanno solennemente dichiarato la "guerra santa agli ebrei e ai crociati"- dunque all'intero Occidente - i pacifisti si apprestano a diventare un fattore politico. Sarà bene esserne consapevoli. Perché fra le molte asimmetrie di questo conflitto, la più importante e la meno discussa è che noi abbiamo un'opinione pubblica e i nostri nemici no. Per fortuna. Se questa guerra ha un senso ultimo, ebbene questo senso è di continuare a vivere in un paese in cui le opinioni si dividono.

Quali sono le ragioni del pacifismo, quali le sue forme? Ci sono almeno tre correnti nel vasto oceano dei pacifisti italiani – ma il panorama non cambia troppo negli altri paesi europei. C'è chi la pace la invoca per principio, chi per paura, chi per politica. Di quest'ultima anima del movimento vale discutere le ragioni.

A un esame il più sereno possibile, le tesi del movimento contro la guerra, destinato a culminare nella marcia Perugia-Assisi del 14 ottobre, appaiono piuttosto deboli. Diamo per scontato, naturalmente, che il loro obiettivo sia identico a quello proclamato da Bush a nome del mondo civile: difendere la (nostra) libertà e sconfiggere il (loro) terrorismo. E sgombriamo il terreno da ogni maliziosa lettura ideologica: che molti pacifisti siano mossi da antiamericanismo è senz'altro vero, ma non interessa ai fini della nostra questione - se sia possibile sconfiggere i terroristi senza fare loro la guerra.

Molti, soprattutto in Europa, obiettano al termine "guerra". Questa critica nasce da un teorema in tre parti. Primo: lo scontro con il terrorismo è affare degli americani, i quali "se la sono cercata" e ora reagiscono da sceriffi mondiali. Secondo: la guerra in corso è assimilabile ai grandi conflitti mondiali del Novecento. Terzo: la guerra è la negazione della politica.
Tesi che non convincono. È stata proclamata una "guerra santa" al "regno di Satana", che non è solo l'America, né solo l'Occidente, ma anche la Russia, la Cina, l'India – per tacere dei loro complici arabi o "falsamente musulmani". Insomma, il mondo meno i terroristi, o quasi.

Quanto ai paradossi della geopolitica americana - Washington si trova a combattere i suoi ex amici (Bin Laden e i taliban, già celebrati da Reagan come "guerrieri della libertà") con i suoi ex nemici (Russia anzitutto, ma anche Cina) - non basterebbe un'enciclopedia per contenerli. Ma perché perseverare nell'errore? Suicidarsi per dimostrare di aver avuto ragione sarebbe bizzarro.
Quanto al secondo punto, è stato ripetuto fino alla nausea che questa è una guerra molto particolare. L'aggressione agli Usa è stata scatenata in modo non convenzionale, dunque la risposta della coalizione è inedita. Si compone di misure politicodiplomatiche, economicofinanziarie, di polizia e di intelligence. La replica militare è largamente affidata a covert operations di cui per definizione non sapremo nulla. Se però gli americani dovessero farsi tentare dallo spirito di vendetta, cominciando a sparare missili all'impazzata in giro per l'Oriente islamico, i rischi sarebbero enormi. E la coalizione si spezzerebbe all'istante, lasciando gli Usa dov'erano prima dell'attacco: piuttosto soli, dunque vulnerabili.
È compito degli alleati, a cominciare da noi italiani ed europei, richiamare gli Stati Uniti al principio di utilità, se mai perdessero il controllo dei nervi. La reazione deve battere il terrorismo di sterminio, non moltiplicarlo né eccitare "guerre sante".

Punto finale. La guerra è l'estrema risorsa della politica. Oppure è follia. È un mezzo, non un fine. Dev'essere ben chiaro ed esplicito qual è l'obiettivo della mobilitazione mondiale. La guerra si fa per difendersi e per restaurare la pace. In un ambiente geopolitico possibilmente più stabile. Quanto meno americana e più globale sarà questa guerra, tanto più utile sarà, per gli americani e per il resto del mondo. Altrimenti i pacifisti avranno avuto ragione, malgrado se stessi. Ma i vincitori non permetteranno loro di celebrare.



Dove nascono i carnefici
La fantasia dei carnefici e le tragedie della Storia
Pietro Citati su la Repubblica

COME tutti o quasi tutti sanno, la storia - questa cosa greve, che ci avvolge e ci soffoca - nasce soprattutto dalle nostre immaginazioni e dalle nostre fantasticherie. Durante la Rivoluzione francese, il Terrore scaturì da trent'anni di fantasie sfrenate, che cercavano di violare ogni limite, religioso, politico, erotico; la Rivoluzione russa si nutrì di cinquant'anni di ossessioni nichilistiche; il nazismo sgorgò dal desiderio di morte e di distruzione, che occupò negli anni Trenta le giovani generazioni tedesche.
Sarebbe molto comodo che la storia fosse scritta soltanto dai potenti: la fantasia è molto più terribile; produce temporali di sangue ed esplosioni che squassano l'universo. Anche la catastrofe di New York è figlia dell'immaginazione.

COME i bambini hanno detto, tutto sembrava un film: i terroristi nascosti per anni, i terroristi che salgono sugli aerei con i coltelli inavvertibili ai controlli, le mete scelte con tanta precisione, gli aerei che distruggono i due grattacieli e parte del Pentagono, l'aereo che cerca il Presidente o la Casa Bianca, le speculazioni di Borsa. Sono immagini che conosciamo, da decine di film, che abbiamo visto sbadigliando al cinema o in televisione. Ma c'è, in questa vicenda, qualcosa di assolutamente nuovo, che non avevamo mai incontrato nella storia. Nelle grandi catastrofi, una civiltà (o, come in questo caso, una parte di una civiltà) ne assale e ne colpisce un'altra usando la propria ricchezza fantastica, e ostentandola superbamente. A New York, invece, i terroristi islamici si sono dissimulati: hanno imitato, con uno straordinario dono mimetico, le apparenze più vistose della immaginazione americana ed europea; sono diventati noi, trasformandosi nelle nostre ombre assassine. Il loro nascosto ispiratore ha voluto distruggere l'America e la civiltà occidentale, calcolando gli effetti a catena dell'attentato, il disorientamento, l'incertezza, la paura, la crisi economica. Ma egli ha agito anche per gioco, con ironia, parodiandoci: "Vedete - ha pensato - io vi offro un film vero, come le vostre televisioni (almeno per ora) non sono ancora riuscite ad offrirvi. Tutto è spettacolo, come voi amate: tutto è effetto speciale; ma gli aerei sono veri, le torri vere, il fuoco vero, le rovine vere, il Presidente sfuggito ai nostri colpi è vero, i morti - i nostri e i vostri - sono veri morti. Spero che mi ammirerete. Confessatelo, non vi siete mai divertiti tanto. Non godrete mai più uno spettacolo così grandioso, - a meno che noi, molto presto, non ve ne offriamo un altro".

Poco tempo fa, i probabili complici dei terroristi hanno distrutto le grandi sculture del Buddha in Afghanistan: l'immagine dell'uomo che ha predicato la quiete, la liberazione dell'anima, la tolleranza, la compassione, il balzo fuori dal ritmo diabolico della storia, il nirvana. Distruggere le immagini di chi ha creato gli dei, o le grandi intuizioni morali, è persino più grave che massacrare migliaia di innocenti. Non per altro viviamo: per venerare quelle figure, ricordare le loro parole, sperare di raggiungere la quiete e la liberazione dell'anima. Come noi, gli umili della terra hanno bisogno di questo.



Chi l'ha visto?
Furio Colombo su l'Unità

Passa, fra le altre, la notizia che potranno essere impiegate truppe. Dove? In Italia. Per fare cosa? Per controllare l'ordine pubblico. La ragione? L'emergenza che stiamo vivendo dopo che la tragedia di New York ha acceso la parola guerra. Non è una notizia secondaria. E' vero che lo prevede una legge. Sono le condizioni che fanno scattare quella legge che non conosciamo. Chi ha detto che cosa a chi, quando? Un governo che ama intrattenere la folla, mostrando il leader in doppiopetto su fondo azzurro, non ha una parola da dire, mentre l'Italia vive il peggior momento degli ultimi cinquant'anni. Specialista in comunicazione fulminante e in dialoghi improvvisati con cronisti al seguito, il leader si è assentato quando il cielo si è fatto nuvoloso. I membri del suo governo sono diversamente occupati, chi a perseguitare gli immigrati, chi a difendere mafiosi. Poteva esserci un momento, un momento solo di raccordo con l'opinione pubblica, di riflessione con i cittadini. Il Paese è in pericolo?
Tutti hanno constatato che questo governo frequenta malvolentieri le Camere, che non si è ancora liberato dal copione dei grandi annunci, che non sa trovare un linguaggio che non sia di autocelebrazione e di vittoria. Ma il momento è quello che è. E persino chi vorrebbe avere un altro governo, in questo momento si domanda: che strada abbiamo davanti? Che cosa pensa di fare, come, quando, in quali circostanze, chi ha la responsabilità del Paese in questo momento? Una notizia inglese dice che a Londra, ma anche in alcune città italiane, molti cercano di procurarsi una maschera antigas. Sanno di più o seguono una moda tremenda? Non avremmo mai pensato di rimpiangere la voce di Berlusconi, ma un governo è un governo. Ieri il ministro Sirchia ha fatto sapere, tra una cosa e l'altra "noi siamo preparati in caso di guerra batteriologica". Noi chi? Di chi sta parlando? C'è un vuoto in questo momento in Italia. Un senso di solitudine si riempie di voci malevole, di un triste provincialismo che sbatte a vuoto. Ma un governo capace di darsi una voce seria, serena, responsabile chi l'ha visto?



Rogatorie, scontro frontale
La maggioranza accelera e Casini apre l'aula alla discussione del provvedimento. L'Ulivo insorge
Micaela Bongi su il Manifesto

Il testo sulle rogatorie internazionali dovrà approdare nell'aula della camera oggi. Nessun tentennamento, nessun dubbio, ma anzi una forzatura, nonostante il rischio per la Casa delle libertà di entrare in contraddizione non già con la sbandierata legge sul conflitto d'interessi prossima ventura, figurarsi; ma con l'amico americano George W. Bush

l'allarme lanciato dal candidato segretario dei Ds Giovanni Berlinguer: "Mentre Bush taglia le radici finanziarie, di manovra sui mercati e sul sistema bancario dei terrorristi, il governo italiano prende misure che vanno esattamente nella direzione opposta. E indirettamente, pur di salvare Berlusconi, apre una falla nel sistema d'investigazione, di protezione internazionale". Insomma, accusa Berlinguer: "Si tratta di un tradimento dell'occidente".
Il provvedimento che deve ratificare l'accordo Italia-Svizzera del '98 volto a semplificare gli accertamenti bancari e le testimonianze, in realtà rischia di rendere tutto più difficile. Basteranno leggeri vizi di forma come un timbro mancante o una consegna a mano per rendere inutilizzabili le rogatorie e le relative testimonianze. E grazie allo zelo dei senatori forzisti Marcello Dell'Utri, Lino Jannnuzzi e Paolo Guzzanti, le nuove norme avranno effetto retroattivo. Attenzione, avvertiva poi su Repubblica il procuratore antimafia Pierluigi Vigna: le nuove regole riguardano tutto il codice di procedura penale e non solo le rogatorie tra Italia e Svizzera, andranno applicate a tutte le convenzioni internazionali. Non solo, aggiunge l'opposizione, avranno ricadute sui processi che coinvolgono Silvio Berlusconi, ma "potrebbero ostacolare le ricerche sui movimenti finanziari illegittimi dietro i quali si possono nascondere sia i mafiosi che i terroristi", come mette in guardia Marco Rizzo, Pdci, che si appella al presidente Ciampi.

Ma la Casa delle libertà tira dritto. Nessun emendamento al testo nell'occhio del ciclone, e calendarizzazione immediata del provvedimento per l'aula, che potrebbe licenziare le norme già domani.

Lo scontro al calor bianco si trasferisce nelle commissioni esteri e giustizia, all'esame delle quali passa il provvedimento: "Gli avvocati di Berlusconi preparano norme con le quali i loro studi faranno saltare i processi di Berlusconi", insorgono i ds Anna Finocchiaro e Fabio Mussi. Ma le divisioni investono anche l'opposizione: Verdi e Rifondazione lasciano l'aula delle commissioni per accentuare la loro protesta. Ds e Margherita decidono invece di restare, facendo affidamento sul tempo: se la discussione proseguirà oltre la mezzanotte, concludono, potrebbero saltare i tempi per portare il provvedimento in aula questa mattina.



"Lasciati senza scorta i giudici scomodi"
Borrelli: scelta politica, rinuncio anch'io. Scajola: sbaglia
Su la Stampa

LA definisce "una scelta politica". Di più: "Si è inteso sottolineare pubblicamente un isolamento di un piccolo gruppo di magistrati, evidentemente sgraditi al potere in carica". Non usa mezze misure il procuratore generale di Milano Francesco Saverio Borrelli per protestare contro la decisione di togliere la scorta a tre magistrati di punta del palazzo di Giustizia milanese, Ilda Boccassini, Francesco Greco e Gherardo Colombo. E perché le sue non siano solo parole - "Voglio protestare ad altissima voce", dice - Borrelli annuncia di rinunciare alla tutela di polizia che aveva da molto tempo. Lo stesso gesto di Ilda Boccassini, che dopo essersi vista togliere la scorta che la accompagnava da anni, ha deciso di rinunciare alla tutela e alle altre misure di sicurezza, predisposte in alternativa dalla polizia. Ma il ministro Scajola replica: "Nessuna manovra politica, vogliamo solo eliminare sprechi e recuperare uomini per altri servizi".
A fianco dei magistrati milanesi si schiera Claudio Castelli, segretario di Md, la corrente progressista tra le toghe: "Togliere le scorte è un gesto grave e allarmante". Da cui consegue che "questi magistrati vengono ad avere un oggettivo incremento dei rischi personali". Ma non solo. Per il segretario di Md: "Il messaggio è quello di un indebolimento complessivo dell'azione della magistratura".

Dottor Borrelli, in questo momento ci sono altre emergenze. Non è normale limitare il numero delle scorte?

"Bisogna vedere il modo... Sospetto che questo criterio di risparmio non sia stato adottato nei confronti di tutti. Ma non ho la possibilità di verificarlo".
Lei pensa comunque che si tratti di un'iniziativa politica contro di voi, giusto?
"Sembra indiscutibile che certe decisioni assunte debbano collocarsi nel quadro di un'ostilità contro magistrati che continuano il lavoro di Mani pulite, senza timori e senza guardare in faccia nessuno".

Pensa che ci sia stato un input politico?
"Non so se ci siano input precisi. Noto però che è la prima volta che viene presa una decisione in materia di misure di protezione, difforme dalle richieste del procuratore generale. E mi sembra sospetto che questa decisione, sia stata ratificata dal ministero dell'Interno senza discussioni".
Nella sua lettera al capo della Polizia, come aveva motivato la sua richiesta di non togliere la scorta a questi magistrati?
"Avevo ricordato che Ilda Boccassini, Gherardo Colombo e Francesco Greco sono impegnati in indagini e dibattimenti di grosso spessore e sono considerati simboli di una attuazione della giustizia nei confronti di tutti i cittadini, senza distinzione di posizione politica od economica. E poi sono magistrati ad alto rischio. Vorrei ricordare che Ilda Boccassini ha condotto inchieste molto delicate anche contro la mafia, quando era applicata a Caltanissetta e Palermo. Aggiungevo che questi tre magistrati, oltre ad attestati di solidarietà, erano stati destinatari anche di minacce e di volgarissimi attacchi".



  26 settembre