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L'attacco all'America
Altri commenti - 13 settembre


macerie

Abbattuta a Manhattan la barriera del possibile
Barbara Spinelli su la Stampa del 13.09.2001

Chi ha traversato i cieli di Manhattan per schiantarsi sulle torri gemelle del World Trade Center aveva di certo in mente un'Apocalisse: una scena finale della storia in cui la divinità si rivela, sotto forma di onnipotenza umana o di suprema trascendenza.

Ogni suicidio esibito è un'estasi, e tanto più lo è quando diventa arma di una gang terrorista che non esita a sacrificare la propria via, assieme a quella di migliaia di civili, pur di mettere in scena la potenza che possiede. Non a caso l'islamista radicale Bin Laden si è subito felicitato, non appena è venuto a conoscenza dello stato d'animo che regnava nelle democrazie: "Ringrazio Dio per quel che è successo a Manhattan e a Washington", ha detto. E poco importa se gli autori del crimine restano nell'ombra, se Bin Laden sia o no implicato: lui intanto giubila, assieme ai compagni.

Ha visto un po' più da vicino il paradiso terrestre e magari anche celeste, di cui si voleva appropriare col sangue. Ha avuto la soddisfazione di udire da commentatori e politici frasi che neppure Hitler o Stalin erano riusciti ad ascoltare: l'America in ginocchio, l'America simbolizzata da quel povero fazzoletto bianco che sventola da una delle torri in fiamme e che raffigurerebbe la resa della falsa superpotenza. Il nuovo nemico dell'Occidente è nichilista prima ancora di esser religioso, e tutti i suoi desideri convergono verso quest'unico obiettivo: la nientificazione di una civiltà da cui si sente umiliato e che gli sta davanti con la forza della sua ricchezza, dal suo progresso tecnico, economico, politico.

L'acme dell'estasi per il moderno kamikaze è raggiunta subito dopo il crimine, quando l'uomo occidentale abbassa attonito lo sguardo sulle rovine, e paralizzato da stupefazione dice le parole fatidiche: "un mondo - il nostro mondo - è finito". Questa è una pagina assolutamente nuova, inconcepibile, inimmaginabile, nella storia dell'umanità. "Nulla sarà più come prima" nelle nostre menti e nelle nostre politiche.

Questo terrore precisamente: che un libro si chiuda per sempre e un altro se ne riapra. Che domani non sarà più come ieri. Che non solo l'America ma la modernità stessa siano state punite, da chi si erge a rappresentante di Dio o del Nulla. Dice Omar Bakri, portavoce a Londra di Osama bin Laden: "Per la prima volta l'America è stata colpita a tutti i livelli: civile, politico, militare. Per la prima volta l'America è in ginocchio. Ecco perché i musulmani di tutto il mondo non possono che gioire della più cocente sconfitta dell'America: è una lezione che cambierà il corso della storia".

Quel che per l'integralista è un sogno per il laico democratico è un incubo, e per questo la storia per noi non finisce ma continua: facendo tesoro di ricordi e vissuti, fabbricandosi anche una memoria del presente, che sia utile per la vita di oggi e domani. La memoria delle Twin Towers che implodono potrebbe servirci da guida: questo crimine contro l'umanità è avvenuto, dunque potrà ripresentarsi. Un tabù è stato infranto, il giorno in cui i kamikaze hanno devastato Manhattan e Washington, e nel futuro ci toccherà vivere con questa caduta di tabù e tenerle testa.

"Una volta abbattute le barriere del possibile, che prima esistevano per così dire solo nell'inconscio, è estremamente difficile rialzarle".(Clausewitz, Della guerra).

Se il crimine si globalizza con tanta efficienza è venuto il momento di internazionalizzare al più presto le politiche e le strategie militari, di estendere ancor più il diritto di ingerenza, di smettere le guerre fatte a metà. Sempre che non si voglia dimenticare la lezione di Clausewitz, e si desideri evitare che il crimine si ripeta, per il semplice fatto che l'11 settembre la frontiera del possibile è stata inauguralmente abbattuta.


La finestra sul cortile
Antonio Padellaro su l'Unità del 13.09.2001


Mentre il mondo è in ansia davanti a questa nuova Pearl Harbor, mentre Manhattan continua a bruciare in un incubo televisivo di polvere, fumo e sangue, ecco che qualcuno, qui da noi, spalanca una finestra sul cortile. Parliamo dell'uso strumentale delle emozioni per mettere con le spalle al muro l'avversario politico. Del tentativo di adattare ai piccoli giochi uno stato d'emergenza. Delle modeste vendette consumate dietro l'angolo o tra le macerie. Ha dato il via, poche ore dopo il crollo delle Torri gemelle, Silvio Berlusconi che prima di ritrovare misura ed equilibrio a Montecitorio, si è lanciato in un indecoroso spot pro scudo spaziale: "ora anche i sordi capiranno che serve". Scavalcando perfino il diretto interessato, George W. Bush, che pur sotto l'attacco micidiale del nemico, all'arma stellare non ha neppure fatto cenno. E che dire dell'ex capo dello Stato Cossiga che ieri mattina, a Radio Anch'io, ha proposto di fare subito un nuovo G8 contro il terrorismo. Immediatamente stoppato da quel pericoloso estremista di Giulio Andreotti: "Per l'amor di Dio..."

La Cnn mostra il Pentagono sventrato, ma la domanda che Bruno Vespa ha sulla punta della lingua per il ministro dell'Interno Scajola riguarda i manifestanti di Genova. Non esiste alcun nesso logico tra gli antiglobal e l'apocalisse di New York, se non per macchiare con qualche schizzo di sangue un movimento che dà fastidio. Poi c'è quel giornale che non si nasconde dietro sottintesi e allusioni. Titolo: "Quelli che applaudivano i giottini". Sommario: "Dai McDonald's alle Torri gemelle, primo odiare l'America". Si volta pagina ed ecco, in bella vista, le foto di Armando Cossutta, Oliviero Diliberto, Achille Occhetto. Ovvero: "Tutti gli amici italiani dei terroristi". Una velina, tra le più diffuse e lette nel palazzo, va al sodo e spiega: "Così come negli Stati Uniti, nel nostro Paese i fatti di ieri potrebbero rafforzare il governo di centrodestra. Il bisogno di sicurezza avrà il sopravvento sulle istanze di libertà personale; e anche i fatti del G8 potrebbero comportare nuove interpretazioni".
È stato scritto che, dopo martedì, il mondo non sarà più lo stesso. Neanche l'Italia lo sarà. Quale futuro ci aspetta? Quello prefigurato nel dibattito parlamentare: duro, aspro ma pur sempre ancorato a comuni valori civili e democratici? Oppure quello che si osserva dalla finestra sul cortile: guai per l'opposizione, limiti al diritto di manifestare, meno libertà per tutti?


L'Occidente e l'identità ritrovata
Lucio Caracciolo su la Repubblica del 13.09.2001


Per dodici anni, dal crollo del Muro di Berlino, avevamo sperato che il resto del mondo non aspirasse ad altro che a diventare come noi: ricco, forte e libero. Avevamo immaginato l'ennesima filosofia della storia – un vizio questo sì tipicamente occidentale – secondo la quale i nostri erano valori necessariamente condivisi da cinesi e africani, arabi e sudamericani. Che cos'era la globalizzazione se non il destino inscritto in ogni e qualsiasi comunità umana, al quale era inutile ribellarsi? Parlare oggi di un "mondo senza frontiere" ha un sapore lievemente beffardo. Non tutti vogliono diventare Occidente. Esistono identità irriducibili, valori non negoziabili. L'interdipendenza non significa affatto che siamo tendenzialmente uguali, ma che siamo costretti a misurarci gli uni con gli altri. Così stabilendo dei rapporti di forza, inevitabilmente sorretti dalla fede in alcuni valori fondanti e nei corrispettivi stili di vita.
La differenza non sta solo nei valori, ma nel modo in cui li si difende. Grazie a Dio, l'Occidente non genera kamikaze. Guai se li producesse. Ma tra la sana avversione per ogni forma di fanatismo e l'apatia, se non la sfiducia nelle proprie ragioni, lo spazio è vasto. E va riempito. La lezione del terrorismo, che sia o meno di radice islamica, ci induce a rivalutare il senso della nostra identità. Per difenderlo. Giacché lo scopo ultimo dei terroristi non è di batterci con la violenza, ma di cambiarci. Di spingerci nella camicia di forza di una società securitaria, un incubo popolato di vigilantes e di caserme, in cui è proibito pensare con la propria testa ma tutto va sacrificato alla difesa armata della nostra esistenza.
L'esito peggiore che la mobilitazione antiterrorismo può produrre è una versione aggiornata dello "scontro di civiltà" che un politologo americano, Sam Huntington, ha tentato di erigere a paradigma delle relazioni umane. Profezia che minaccia di autorealizzarsi. Alimentata, fra l'altro, dalla tendenza a considerarsi il fattore unico della politica internazionale che ha segnato la politica estera americana dopo la vittoria contro l'Urss. Il risultato è che gli Stati Uniti non sono mai apparsi, allo stesso tempo, tanto potenti e tanto isolati al mondo come negli ultimi anni. Lo stesso Huntington ha bollato questa deriva come "unilateralismo globale". In parole povere, delirio di onnipotenza. Di cui abbiamo fatto le spese anche noi europei. …


13 settembre