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sulla stampa
a cura di P.C. - 27 dicembre 2003


Iran, si scava sotto le macerie
Forse 40.000 morti
Redazione de
la Repubblica

TEHERAN
- Iran sud-orientale. Da ieri, terra di morte e desolazione. Con il passare delle ore, il bilancio del terremoto nella regione di Bam ha assunto le dimensioni di una catastrofe. La stima ufficiale fatta dal governo parla di 20.000 morti e di 30.000 feriti. Ma secondo il rettore della facoltà di medicina della provincia di Kernan, Iraj Charifi, le vittime potrebbero essere 40.000, delle quali 5.000 già sepolte.
In tutto il mondo c'è mobilitazione per i soccorsi. George W. Bush ha offerto l'aiuto dell'America mentre tre paesi ricchi del Golfo Persico, Arabia Saudita, Kuwait e Emirati Arabi Uniti, hanno reso noto di voler inviare aiuti ai terremotati. Dalla Russia sono partiti medici, specialisti in catastrofi e unità cinofile per la ricerca dei sopravvissuti. Anche il Giappone ha mandato aiuti. La Croce Rossa ha lanciato un appello per la raccolta di fondi per 6,4 milioni di euro. Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il ministro degli Esteri Franco Frattini, sono stati tra i primi a testimoniare alle autorità iraniane la loro solidarietà.
Le autorità iraniane hanno detto che accetteranno gli aiuti di tutti i Paesi, compresi gli Stati Uniti, ma che rifiuteranno quelli di Israele.
I primi aerei con i soccorsi sono arrivati stamattina a Kerman. E' atterrato il C-130 dell'Aeronautica militare italiana con a bordo uomini e mezzi. Intanto Pechino fa sapere che la Cina inviera squadre di soccorso ed aiuti per un valore equivalente a 500mila euro.
Ma affrontare l'emergenza è difficile. Per tutta la giornata di ieri i soccorsi sono stati ostacolati dalla mancanza di energia elettrica e di comunicazioni telefoniche, ma soprattutto dalle distanze - circa trecento chilometri- che separano la città di Bam dagli altri centri abitati.
Nelle strade di ciò che resta della città distrutta, la scena è terrificante. Ovunque si vedono decine di cadaveri che, estratti dalle macerie, vengono allineati per terra in attesa di essere seppelliti. La scossa di ieri è stata violentissima. Secondo il Centro di Geofisica dell'Università di Teheran, il sisma ha avuto una magnitudo 6,3 sulla scala aperta Richter, con epicentro 180 chilometri a est della città di Kerman e circa 1.000 chilometri a sud est di Teheran.


L'Iran trema, Bam rasa al suolo
Stefano Liberti su
il Manifesto

Erano le 5.30 del mattino ieri in Iran (le tre in Italia), quando la terra ha tremato. Una scossa brusca, potentissima (6,7 gradi di magnitudo secondo la scala Richter), che ha inghiottito interi quartieri di Bam, cittadina di 200mila abitanti a 970 chilometri dalla capitale Tehran, trascinando dal sonno alla morte migliaia di persone. Il governatore della locale provincia di Kerman, Mohammed Ali Karimi, citato dall'agenzia di stato Irna, ha parlato di almeno 5000 morti. In tarda sera, un funzionario del governo di Tehran ha dichiarato alla Reuters che le vittime sarebbero in realtà 20mila, ma fonti ufficiose lasciano intendere che il bilancio è molto più alto ed è destinato a salire, considerato che gran parte dei 30mila feriti versano in condizioni gravissime. Il panorama della zona dopo la scossa appare segnato da una profonda devastazione. Secondo testimoni del posto sentiti dall'Irna, la città sembra reduce da un bombardamento, con case piegate su se stesse, edifici rasi al suolo, gente urlante e desolata che si aggira tra le macerie. Le comunicazioni telefoniche con il resto del paese sono interrotte, così come l'erogazione di acqua ed elettricità. File di cadaveri sono stati disposti sul viale principale della città, in attesa di venire seppeliti: solo nella giornata di ieri, duemila persone sono state rapidamente inumate, per evitare il diffondersi di epidemie dovute alle alte temperature che si registrano nella zona durante le ore diurne. Tra le rovine, si è continuato a scavare tutto il giorno alla ricerca di superstiti, con i pochi mezzi a disposizione.
Gli ospedali risultano per lo più inagibili, colpiti dal sisma, tanto che molti feriti sono stati portati in altre località della Repubblica islamica: da Kerman (a 190 chilometri) a città più distanti, come Isfahan, Yazd e Bandar Abbas.
Arg-e-Bam, la città vecchia meta dei pochi turisti che visitano ogni anno la Repubblica islamica e considerata dall'Unesco patrimonio dell'umanità, è stata quasi completamente rasa al suolo. La cittadella costruita con mattoni di argilla e paglia si è sciolta come neve al sole, trascinando nella polvere le sue torri imponenti, le sue scalinate, le scuderie e l'impressionante fortezza che la domina dall'alto.
La posizione isolata della città ha complicato le operazioni di soccorso. Avamposto carovaniero sull'antica via della seta, Bam è sorta in mezzo a una specie di oasi nel deserto del Dasht-é Kavir, a poche centinaia di chilometri dai turbolenti confini col Pakistan e l'Afghanistan. La distanza dalle grandi città, le difficoltà delle comunicazioni - l'aeroporto locale è piccolissimo e per raggiungere Kerman, la città più vicina, ci vogliono tre ore di macchina - hanno ritardato i soccorsi e provveduto a diffondere un certo malumore tra i sopravvissuti, che lamentavano la scarsa tempestività delle missioni di aiuto.
Il presidente iraniano Mohammad Khatami ha rivolto un appello alla comunità internazionale, domandando assistenza. Il governo iraniano ha chiesto in maniera specifica cani da soccorso e macchinari per la ricerca dei corpi tra le macerie, oltre a coperte, medicine, cibo e tende. Un appello che non è caduto nel vuoto: Germania, Belgio, Grecia e Italia sono stati tra i primi a rispondere alla richiesta d'aiuto.

Al coro di solidarietà e di profferte di aiuto si è unito, sia pur non in veste ufficiale, anche l'arci-nemico di Tehran: Israele. Alcune organizzazioni non governative (Ong) di Tel Aviv avrebbero dichiarato l'intenzione di portare soccorso alle vittime del terremoto, nonostante i pessimi rapporti esistenti tra la Repubblica islamica e lo stato ebraico. La notizia è stata resa nota dal ministero degli esteri, che non ha tuttavia fornito ulteriori particolari.
A Ginevra, le Nazioni unite hanno annunciato un primo aiuto d'emergenza di 90mila dollari e l'invio di una squadra di esperti per valutare i danni e coordinare gli aiuti. L'Unione europea ha intenzione di stanziare 800mila euro in aiuti di emergenza. Lo ha detto esplicitamente da Bruxelles Romano Prodi, presidente della Commissione, in un messaggio di condoglianze inviato a Khatami.


Solidarietà oltre la tragedia
Aldo Rizzo su
La Stampa

Dall'Iran degli ayatollah giungono le immagini di un disastro naturale e umano, del terremoto catastrofico che ha quasi raso al suolo la storica città di Bam e ha provocato non si sa ancora quante migliaia di morti. E come sempre, quando la violenza della natura si abbatte su un paese e su un popolo, si è portati a pensare all'inanità delle polemiche politiche e ideologiche e degli scontri d'interesse di fronte alla vulnerabilità estrema della condizione umana, che ci accomuna tutti sulla Terra. Poi le polemiche e le tensioni inevitabilmente riprendono, perché la Storia continua. Ma a volte accade che l'evento catastrofico susciti un moto di solidarietà umana più forte delle rivalità politiche, e che queste ne siano influenzate in profondità, ridimensionandosi se non proprio svanendo. Qualcosa del genere avvenne pochi anni fa tra Grecia e Turchia, dopo un aiuto reciproco più generoso del previsto, di nuovo in occasione di catastrofi sismiche.
Può essere questo, in un diverso contesto, anche il caso dell'Iran, dopo il disastro di Bam? Certo da Teheran, nell'ultimo ventennio e passa, cioè da quando esiste il regime degli ayatollah, sono partite soprattutto invettive e dichiarazioni di ostilità verso il mondo degli "infedeli". E invece ora è stato lanciato un vero e proprio appello alla comunità internazionale, perché vada in soccorso di un'area e di una popolazione sconvolte. E l'appello sta provocando una vasta mobilitazione, a livello di governi e di organizzazioni. Nella drammatica area mediorientale, in senso lato, si profila un intervento esterno all'insegna della solidarietà, senza sottintesi di fede e di cultura e fuori dalle storiche tensioni, anche militari.
L'occasione è tanto più significativa, politicamente, in quanto il regime "islamista" non è più monolitico come un tempo. Se gli eredi di Khomeini, i fautori della teocrazia, sono ancora forti e potenti in gangli vitali dello Stato, uno spirito di rinnovamento e di apertura percorre ormai da vari anni il paese, soprattutto fra i giovani e le donne, e basti pensare a Shirin Ebadi, Premio Nobel per la pace 2003, oltre che al detentore formale del governo, Khatami. La tragedia di Bam potrebbe rafforzare i modernizzatori contro i conservatori, se, beninteso, la solidarietà esterna avrà a sua volta anche un contenuto di comprensione politica.


Davanti al baratro serenamente
Antonio Padellaro su
l'Unità

Raccontano di un baratro Parmalat gigantesco. Ventimila miliardi delle vecchie lire. Decine di migliaia di risparmiatori truffati. Quindici anni di falsi e truffe. Ma c'è, fortunatamente, chi non perde la testa. "Sono sereno. Sereno sul piano personale, sereno per l'attività dell'istituto, e sereno anche per la tenuta del mercato", dice ("La Repubblica, 24 dicembre) rassicurante il governatore della Banca d'Italia. Intorno a lui tutto trasuda dignità, solidità, continuità: dal palazzo Koch dove il banchiere centrale siede tranquillo, al San Sebastiano trafitto alle sue spalle, al completo blu con panciotto d'ordinanza. Antonio Fazio è personalità autorevolissima, di assoluta credibilità, studioso di patristica medievale e dunque abituato a maneggiare le parole con la necessaria prudenza e sapienza. Se si dichiara tre volte sereno, e dunque tre volte quieto, tranquillo, libero da ogni preoccupazione (Zanichelli: vedi alla voce sereno), egli intende dire esattamente quel che dice.
Che su Cirio e Parmalat la vigilanza non spettava alla Banca d'Italia. Che nel collocamento dei bond non si sono segnalati casi di irregolarità formale. Che adesso, tuttavia, è necessario rendere più stringenti i controlli sul mercato. Adesso. Tuttavia.
Una pacata condizione dello spirito accomuna i grandi banchieri e le grandi banche. Come i panciotti e i marmi lucidi dei corridoi. Dichiara, infatti, Cesare Geronzi, presidente di Capitalia, dopo aver ricevuto un avviso di garanzia nell'inchiesta giudizia sul crac Cirio: "Sono più che tranquillo, perché sulla vicenda Cirio sono stato un osservatore distaccato, ma anche impietoso. Sono più che sereno, perché come banchiere so di avere la coscienza a posto" (La Repubblica, 7 dicembre). È sicuramente così anche se mostrandosi "più che sereno" il dottor Geronzi vuole dirci qualcosa che il semplicemente "sereno" dottor Fazio preferisce omettere. Il presidente di Capitalia sospetta che qualcuno la voglia buttare in politica. Che lungo l'asse Berlusconi-Bossi-Tremonti, il caso Cragnotti e il caso Tanzi siano soltanto dei pretesti per sferrare l'attacco finale alla Banca d'Italia. Cioé, l'attacco finale all'istituzione Fazio, che Geronzi rispetta e ammira. Si vorrebbe, in sostanza, sottrarre all'istituto di via Nazionale la funzione di vigilanza, per attribuirla all'Authority per il risparmio caldeggiata dal ministro dell'Economia. Non è un'ipotesi campata in aria visto che Giorgio La Malfa, presidente della commissione Finanze della Camera e alleato di Berlusconi e Tremonti, sferra a Fazio un attacco frontale. Affermando (sul filo del paradosso ma neppure tanto) che se il governatore non si è accorto delle decine di migliaia di risparmiatori che hanno perso i loro investimenti allora, forse, non resta altro da fare che chiudere Bankitalia.
Noi, però, non la vogliamo buttare in politica e molto più modestamente cerchiamo, come tutti, di capire come sia stato possibile che, per quindici anni, nessuno si sia mai accorto di ciò che combinavano in Parmalat. Le fittizie compravendite di latte in polvere a Cuba tramite una società di Singapore, per inesistenti quantità "talmente colossali da generare ormai ilarità all'interno stesso dell'azienda, visto che avrebbero dovuto sommergere l'isola di Castro di latte in polvere Parmalat" (Corriere della Sera, 24 dicembre). Gli ordini di produrre i falsi, artigianalmente creati con Word, scanner, forbici e fax per acreditare presso Bank of America inesistenti depositi per 3,9 miliardi di euro. Un vertice aziendale che qualche perplessità, diciamo così, etica in qualcuno avrebbe pur dovuto suscitarla. Poiché non si è manager inappuntabili il giorno prima, e il giorno dopo mandanti della strategia trita-carta (pacchi di documenti compromettenti diventati coriandoli) o dell'operazione datemi un martello (computer sfondati nel tentativo di distruggere la contabilità occulta delle società off-shore). Potrebbe essere la trama del prossimo film di Natale, "Vacanze a Collecchio", con il rischio che persino Boldi e De Sica la giudichino inverosimile. Eppure, per anni la Consob, a guida ulivista e non, ha avuto poco da obiettare. Qualche dubbio sull'investimento nel fondo alle Isole Cayman, Epicurum viene alla società di revisione Deloitte & Touche; ma solo l'11 novembre quando siamo a pochi giorni dal disastro. Non risultano sopralluoghi della Guardia di Finanza. Nè iniziative particolari dell'Abi, l'associazione bancaria italiana. Della serena presa d'atto dei più illustri banchieri, abbiamo detto. Nessuno sapeva niente. Nessuno ha visto niente.
Non si può guardare ai guai finanziari con ottiche di destra e o di sinistra, ma solo con quelle della correttezza. Lo ha scritto Gustavo Visentini sul "Sole 24Ore" del 24 dicembre. Un articolo da tenere a memoria, spietato nel denunciare l'opacità di un sistema finanziario autoreferenziale, senza concorrenza, in grado soltanto di rinviare le crisi, coprendone le responsabilità. La reintroduzione della banca mista e gli assetti proprietari viziati da partecipazioni reciproche. La confusione di competenze tra Consob e Vigilanza. I controlli di mercato ridotti e il mercato stesso inquinato dal pullulare di conflitti di interesse. La depenalizzazione del falso in bilancio. La nuova legge sulle società azionarie, tutta tesa a ridurre i controlli dei soci "e a favorire la fantasia finanziaria, già oggi particolarmente vivace"…
Autorevoli esperti, dunque, puntano l'indice contro il diffuso groviglio degli interessi e la recente, mitissima legge sul falso in bilancio. Tecnici sopra le parti chiedono al governo d'intervenire perché legiferi con sensibilità etica. Perché impedisca altri, disastrosi casi Parmalat. Ma il numero uno del governo, cosa dice? Che la sua legge sul falso in bilancio non c'entra "proprio niente" con la vicenda Parmalat. Che chi lo dice, "dice il falso". Con simili impegni per il futuro, forse è meglio che i risparmiatori, derubati dei loro risparmi, si mettano l'anima in pace. Serenamente.


Parmalat: deliberato lo stato di insolvenza
Redazione del
Corriere della Sera

PARMA - Il collegio delegato ai fallimenti ha deliberato lo stato di insolvenza della Parmalat. La deliberazione fa sì che scatti immediatamente la procedura di prededucibilità dei crediti a vantaggio dei fornitori di latte. Il collegio ha anche nominato come giudice delegato alle procedure Vittorio Zanichelli che, quando tra una decina di giorni verrà assegnato all'ufficio dei gup (giudici per le udienze preliminari), dovrebbe essere sostituito dall'attuale presidente del Tribunale fallimentare Roberto Piscopo. Inoltre, il collegio ha fissato il termine per la verifica dei crediti che avverrà, secondo quanto stabilito dalla normativa, entro 120 giorni dalla dichiarazione di insolvenza. I creditori entro questo lasso di tempo potranno presentare le loro istanze che verranno poi valutate dal Tribunale fallimentare che stabilirà i crediti da pagare per primi.
TANZI LUNEDÌ IN PROCURA - L'ex presidente della Parmalat, Calisto Tanzi, al momento all'estero, è atteso lunedì 29 dicembre alla procura di Parma. Lo ha reso noto il procuratore capo di Parma, Giovanni Panebianco. La procura di Parma conduce un'inchiesta per false comunicazioni sociali e ai revisori, truffa e aggiotaggio.
PROCURATORE RINVIATO A GIUDIZIO - La procura di Firenze lo scorso il 7 novembre ha chiesto il rinvio a giudizio del procuratore capo di Parma Panebianco per corruzione in atti giudiziari e falso in atto pubblico per una vicenda di finanziamenti tramite la Cariparma. La notizia è stata resa nota il 26 dicembre. "È un colpo basso", ha commentato Panebianco. "È singolare che spunti all'indomani della decisione di aprire un'inchiesta sul crac della Parmalat. Sono sereno, questa storia non c'entra nulla con il lavoro avviato a Parma che va avanti e prosegue senza nessun problema".
CONSUMATORI: SPOSTARE L'INCHIESTA - Sulla base del legittimo sospetto, dal presidente Codacons, Carlo Rienzi per conto dell'Intesa dei consumatori, ha chiesto di togliere dalla procura di Parma l'inchiesta sulla Parmalat dopo il rinvio a giudizio di Panebianco. La vicenda infatti vedrebbe tra i soggetti coinvolti anche Luciano Silingardi, membro del consiglio di amministrazione della Parmalat.
CASINI: FINANZA CREATIVA PRODUCE GUAI - "Il meccanismo così come è non funziona. La finanza creativa è un'invenzione destinata a produrre grandi guai e io sono convinto che il governo e il Parlamento assieme devono lavorare per tutelare i risparmiatori e mettere in atto sistemi di controllo e di garanzia che si sono rivelati inesistenti". È l'opinione del presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, sugli sviluppi del caso Parmalat. "Prima di tutto penso ai lavoratori, poi ai risparmiatori italiani che hanno avuto fiducia e hanno investito in questa azienda e che oggi si trovano in condizioni di grande difficoltà". Casini ha osservato ancora che anziché fare polemiche "bisogna vedere se le istituzioni hanno funzionato, se il sistema dei controlli è adeguato a prevenire certi episodi di malcostume finanziario. I controlli non sono adeguati e i risparmiatori vanno tutelati meglio".


Tanzi all'estero, forse rientra lunedì
Una colossale distrazione di fondi?
Jacopo Orsini su
Il Messaggero

PARMA - Fine anno di lavoro per i magistrati di Parma e di Milano che indagano sul dissesto della Parmalat. Calisto Tanzi intanto per il momento è irreperibile, anche se il suo avvocato, Michele Ributti, ha fatto sapere ai pm che l'ex presidente del gruppo, indagato insieme a un altro ventina di persone, si trova all'estero e che rientrerà per farsi ascoltare dai magistrati di Parma dopo le feste, forse già lunedì mattina. Il patron del gruppo alimentare, attraverso il legale, aveva ricevuto un invito a comparire in Procura a Parma mercoledì mattina per fornire la sua versione di fatti sul dissesto dell'azienda che ha guidato fino a pochi giorni fa.
L'inchiesta sulle manipolazioni dei bilanci dell'azienda alimentare intanto va avanti. La vigilia di Natale i pm Antonella Ioffredi e Silvia Cavallari, titolari dell'inchiesta aperta dalla Procura del capoluogo emiliano, hanno interrogato alcuni dei principali indagati (una ventina in tutto) e hanno discusso come procedere con i colleghi milanesi Francesco Greco, Eugenio Fusco e Carlo Nocerino. Dopo il vertice della vigilia di Natale i pm di Parma e Milano si sono divisi l'indagine in due filoni: i primi, che hanno la competenza territoriale, indagano sulle manipolazioni compiute dalla società negli ultimi quindici anni, mentre i secondi si concentrano sulla vicenda del falso conto da 3,95 miliardi alla Bank of America.
Vista l'entità della voragine (7 miliardi il buco accertato finora ma le dimensioni potrebbero salire anche di molto) in Procura a Milano prende corpo l'ipotesi di una colossale distrazione di fondi. Gli inquirenti sono dunque al lavoro per ricostruire i vari passaggi che hanno permesso di falsificare i conti e per capire dove siano finiti i soldi.
"C'è la massima collaborazione tra la Procura di Milano e quella di Parma e c'è la volontà di portare avanti le indagini il più velocemente possibile nonostante la loro complessità", ha commentato Greco, precisando che "c'è anche un'intesa di massima su quali reati ogni procura perseguirà". "La cosa importante è che non vogliamo abbandonare le persone offese", ha detto ancora Greco che ha passato le feste sulle nevi di Courmayeur in Val d'Aosta e che tornerà a Milano lunedì quando l'inchiesta potrebbe accelerare di nuovo. "Speriamo di mettere in cantiere una serie di cose entro la fine dell'anno", ha aggiunto il magistrato. Per cercare di aiutare i risparmiatori rimasti impigliati nel collasso della Parmalat, verrà anche aperta una finestra nel sito internet della Procura dove si potranno trovare indicazioni sui documenti necessari per presentare una denuncia.
I sostituti emiliani intanto - assistiti dagli uomini del gruppo verifiche speciali del nucleo regionale di Bologna della Guardia di Finanza, guidati dal tenente colonnello Domenico Fornabaio - mercoledì hanno acquisito la documentazione raccolta dai magistrati milanesi e interrogato fra gli altri gli ex direttori finanziari dell'impero di Tanzi Fausto Tonna e Luciano Del Soldato (già ascoltati dai pm lombardi). Tonna, che aveva già ricostruito nel dettaglio come avvenivano le falsificazioni, ha confermato in sostanza quanto già raccontato a Milano. I magistrati emiliani hanno poi ascoltato per sei ore anche l'ex consigliere, Luciano Silingardi, presidente della Fondazione Cassa di risparmio di Parma.
Sempre la vigilia di Natale infine la Guardia di Finanza ha perquisito la villa di Calisto Tanzi, l'abitazione del figlio Stefano e la sede della Parmalat a Collecchio. I finanzieri hanno acquisito una serie di documenti e messo sotto sequestro alcuni locali dello studio di Fabio Branchi, commercialista di Parma dove hanno sede alcune delle finanziarie della famiglia Tanzi.


Le distrazioni di Castelli
Maurizio Chierici su
l'Unità

Il ministro Castelli sapeva da ottobre: i suoi ispettori erano corsi a Parma mentre la procura di Firenze stava lavorando a due inchieste. Ma Giovanni Panebianco procuratore capo non è un giudice rosso, per usare il vocabolario del ministro. Ecco perché ha resistito sulla sua poltrona malgrado denunce e inchieste che hanno inquietato i magistrati Suchau e Fleurit.
Una querela di parte lo coinvolge in associazione a delinquere di stampo mafioso condivisa con Luciano Silingardi, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio. Fino alla svendita a Banca Intesa era riuscito a mantenere anche la presidenza dell'istituto di credito della città, raro privilegio di due posti di comando: uno incaricato di controllare l'altro. Nessuno se ne scandalizzava. Parma è la città del silenzio. Un mese fa l'inchiesta di Firenze si è conclusa derubricando la prima, l'accusa in appropriazione indebita di fondi bancari, termine di prescrizione tre anni: malgrado i pesanti accertamenti la prescrizione ha bloccato il processo. Silingardi salvo; Panebianco no. Ma non si è fermata l'istruttoria sulla strana amicizia tra il giudice e Antonio Rizzone, sospettato di appartenere al clan Santapaola con tenere liason che si allungano alla camorra. Panebianco lo ha raccomandato a Silingardi e in momenti diversi la Cassa di Risparmio gli ha anticipato 7 miliardi e 200 milioni con la sola garanzia dell'amicizia di un magistrato. Sei mesi dopo i miliardi sono stati dichiarati "in sofferenza". Un anno più tardi "inesigibili". Rizzone confessa di avere "spalle robuste" e non si arrende: Panebianco lo riraccomanda e per eccentrica dimenticanza la banca torna a prestare, scordandosi dei miliardi perduti. Castelli sapeva da tempo, eppure solo a ottobre ha ordinato agli ispettori di dare un'occhiata a Parma. Intanto, con discrezione, alcuni magistrati incaricati di inchieste con più o meno gli stessi protagonisti, erano scappati altrove. Castelli sapeva, perché la sua guida spirituale, Carlo Taormina, è schierato come avvocato in un caso non molto diverso da questi intrighi. Andava e veniva da Firenze cercando di interpretare le carte in mano a Suchau e Fleurit. Sapeva, ma come uomo di governo ha preferito lasciar correre. Anche perchè il ministro era impegnato con le sue truppe a trasferire a Brescia il processo Previti. Forse pensava di risolvere il triangolo Banchiere- Magistrato-Mangia miliardi in odor di mafia, in un momento di relax, ma con la riforma della giustizia per la testa facile andar giù di memoria. E Panebianco non è stato sfiorato. Il rinvio a giudizio di Firenze ha messo il ministro nei pasticci: fino alle dieci del mattino non aveva programmato neppure una sospensione di cautela.
Oltre ad angoscia e dolori, la voragine Parmalat esaspera uno scenario grottesco: l'accusato Panebianco torna al prestigio della toga che la Costituzione gli riconosce. Eccolo in prima linea, Tv che pendono dalle sue labbra. Guida l'inchiesta che coinvolge anche Silingardi, membro consiglio amministrazione e da sempre commercialista Parmalat: sei ore di interrogatorio. A dire il vero questo Pm che assieme ai sostituti amava farsi riverire nei pranzi di ogni potente, guidava (e formalmente ancora guida) solo una parte dell'inchiesta. L'altra è affidata a Greco di Milano, terribile pm rosso delle brigate Mani Pulite. Non se ne rassegna. Chissà in quanti gli tirano la giacca. Intervistato dai Tg, il magistrato che a Firenze incolpano, rivendicava il diritto di scavare in solitudine senza interferenze esterne: Milano è lontana, cosa c'entra con Parma ?
Se la Boccassini, Colombo o Greco si fossero sognati di accertare le possibili malefatte di un protagonista tre mesi prima accasciato al loro fianco nel banco degli inquisiti, il ministro Castelli cosa avrebbe fatto? Ispettori che sbarcano dagli Hercules con carri armati e lanciafiamme pronti al fuoco. Tg Mediaset che bombardano, Tg Rai indignati e la commissione Telekom Serbia trasformata a furor di popolo nella "Commissione Boccassini-Colombo-Greco, giustizia corrotta". Con la flemma dell'ingegnere pensoso, il ministro Castelli avrebbe annunciato al Paese: "Andremo fino in fondo senza riguardi per nessuno. È urgente cancellare la vergogna che umilia le persone perbene". Invece, silenzio.
Il precipitare Parmalat ha sciolto il paradosso nelle trame della commedia italiana alla quale Alberto Sordi avrebbe regalato sorrisi indignati a chi vuol ridere almeno a Natale. E il ministro - c'è da scommetterlo - ormai non può far finta di niente. Col broncio del giustiziere rimetterà a posto le cose incolpando "i tempi tecnici di una giustizia superata": la burocrazia della prima repubblica che ha frenato la sua voglia di piazza pulita. O magari si affiderà al fidato Taormina per spiegare l'intreccio perverso, un po' arrabbiato con la sua Padania che sbadatamente, nella voglia matta di inguaiare Fazio, ha cavalcato la piccola storia del grande scandalo.
A dire il vero gli ispettori della Banca d'Italia per due anni hanno sfogliato carte e computer della Cassa di Risparmio, doppia presidenza Silingardi. Quasi un commissariamento per capire come una banca in gran salute, 350 filiali, dopo aver comprato Cassa di Risparmio di Piacenza e Credito Commerciale di Milano, sia finita con l'acqua alla gola. Gli ispettori di Fazio hanno guidato la vendita a Banca Intesa (appena 600 miliardi più azioni speciali per i vecchi soci di Parma) compilando un resoconto impietoso del quale Roma ha mandato copia alla procura di Parma, come prevede la legge. A sfogliarla sempre Panebianco.
Lo smascheramento delle figure meno note coinvolte nel terremoto Parmalat, potrebbe dare alla città una scossa salutare. Se 40 anni fa Tanzi l'aveva svegliata dal nobile torpore eccitando la voglia di allargare gli orizzonti con una specie di febbre che ha rivitalizzato vecchie e giovani imprese, oggi la crisi fuori da ogni regola di Tanzi, potrebbe segnare il nuovo punto di partenza: trasformare la morale di una città che ha bisogno di chiarezza, soprattutto in questo momento. Il carico dell'authorithy le chiede di accertare la genuinità del cibo di un continente. Ma deve farlo con occhi puliti, senza ombre, mormorii e strane consorterie, lasciandosi alle spalle la clochemerle di una provincia la cui trasparenza lascia desiderare come succede in tante province d'Italia. Purtroppo le prime reazioni disilludono. Marco Rosi, presidente degli industriali, ha finalmente scoperto come il governare le banche con legami molto stretti ad una sola industria, sia improprio e pericoloso. Fazio resta il bersaglio finale, ma anche le autorità locali avrebbero, a suo dire, responsabilità nella stortura. Il sindaco Ubaldi (ex sinistra dc, capofila di una lista civica al potere grazie ai 30 mila voti di Forza Italia) ne è risentito: proprio Rosi, consigliere della Cassa di Risparmio fa un discorso così ? In primavera si vota per la provincia e dentro le coalizioni si affilano le armi per strappare la primogenitura. Rosi ha acceso i fuochi. È il protagonista della nuova vita di Parma. Il suo Parmacotto stava precipitando e la Cassa di Risparmio di quel Silingardi che all'improvviso maltratta, gli ha dato una mano certificata dal rapporto della Banca d'Italia, luglio '98: Parmacotto è talmente superaffidata (vuol dire: imbarazzante concessione di prestiti ad un'impresa in declino) che ormai il rischio imprenditoriale si è trasferito da Parmacotto alla Cassa di Risparmio. Una storia oscura riguarda la denuncia delle studio romano Arturo e Mauro Cimaglia, commercialisti con impegni pubblicitari. Contempla un tentativo malaccorto di due alti funzionari della Cassa: volevano convincere i Cimaglia a certificare non so quanti miliardi di pubblicità immaginaria pagati dalla ditta di Parma. I Cimaglia hanno denunciato la Cassa, e la Cassa ha pagato un miliardo e duecento milioni per cancellare l'accusa. Rosi forse non ne sapeva nulla, ma la gentilezza dei bancari della città non meritava lo sdegno di oggi. Guai ai vinti. Oggi il Parmacotto è industria risanata. Quando Berlusconi attraversava anni bui meditando la rivincita elettorale su Prodi, Rosi organizzava per gli imprenditori di non grande levatura discrete gite ad Arcore. La sua devozione ricorda, più virilmente, i trasporti del Bondi Forza Italia. In coincidenza con la vittoria degli azzurri i suoi problemi si sono risolti. Parmacotto va bene, compra aziende e gode di credito eccellente: ha perfino sponsorizzato la Lazio forse su richiesta di una banca generosa. Sta tentando di far passare la gestione pubblicitaria della Gazzetta di Parma a Publitalia. Sarebbe un peccato per la lealtà dell'informazione locale, e non solo, visto la finestra europea che si è aperta sulla città. Un peccato soprattutto per giornalisti che fanno bene il mestiere. Giuliano Molossi, figlio di Baldassarre Molossi, l'uomo che ha rifondato il giornale portandolo a 50 mila copie, aveva lasciato Berlusconi per seguire Montanelli a "La Voce". Immagino quale libertà gli sarà concessa nelle prossime campagne elettorali se la creatura di Dell'Utri mette piede nel vecchio quotidiano. Parma riparte dal presupposto di questa oligarchia ristretta: la scossa Parmalat può stringere i legami o rimettere in discussione solidarietà invecchiate, permettendo alle nuove generazioni di respirare un'aria diversa. Ma è difficile nel posto dove nessuno fino ad oggi si è meravigliato di un Panebianco che conduce l'inchiesta e Silingardi sempre sulla poltrona di una Fondazione miliardaria ma anche ente morale. Resisterà il silenzio di tante persone devote? È la scommessa per il futuro della città. Con un dubbio di coda: quante sono le città come Parma strette in questo tipo di complicità dove si riproducono politica e affari con antiche tracotanze e senza tener conto dei ragazzi che vorrebbero crescere in una società diversa?


"Li fermerà la Corte"
Intervista a Paolo Gentiloni
Nino Bertoloni Meli su
Il Messaggero

ROMA "Quindici mesi per la legge Gasparri, quindici minuti per il decreto a favore di Rete 4". Così Paolo Gentiloni, l'esperto di comunicazioni della Margherita nonché braccio destro di Rutelli, bolla il decreto di Natale che ha ”salvato” Fede dal satellite e Rai 3 dal prosciugamento della pubblicità.
Ma, onorevole Gentiloni, al momento del varo del decreto Berlusconi è uscito dalla sala dei ministri.
"Quello fa parte dell'avanspettacolo. Il provvedimento porta la firma di Berlusconi, altro che. Mai il conflitto di interessi è emerso in maniera così esplicita, lampante. Ci sono voluti solo quindici minuti per approvare un decreto per non far perdere miliardi al premier in quanto proprietario di Mediaset".
Il premier perderebbe miliardi?
"E' stato lo stesso Berlusconi in conferenza stampa a spiegare che senza quel decreto le sue aziende avrebbero perso 488 miliardi di vecchie lire".
Vuol dire in sostanza che Berlusconi è uscito dalla stanza ma i miliardi sono rientrati dalla finestra?
"Proprio così. Non a caso è stato ribattezzato ”il decreto Berlusconi per Berlusconi”. Ma voglio sottolineare una cosa: tutta questa operazione sarebbe stata impossibile se per caso e per avventura nel frattempo fosse stata approvata quella legge che prende il nome da Frattini e riguarda il conflitto di interessi".
Strano questo suo elogio della proposta Frattini: per caso la votereste, questa legge?
"Ovvio che no. Sto facendo un ragionamento per paradossi. Intendo dire che l'enormità del conflitto d'interessi è talmente eclatante in questo caso, che finanche una proposta foglia di fico come quella di Frattini sarebbe entrata in conflitto. Dico di più. Per la sua approvazione mancano solo un voto tecnico sulla copertura finanziaria e il voto finale: in tutto tre ore. Perché dal 22 luglio non si sono trovate queste tre ore?".
Lo dica lei.
"Perfino questa legge senza denti avrebbe messo nelle mani dell'Antitrust di Tesauro un'arma letale contro Berlusconi. Per tutto questo, penso che finiranno per approvarla, se lo faranno, solo quando sarà risolto il problema di Rete 4".
In Parlamento adesso ci sono la legge Gasparri ”riformata” da Ciampi e il decreto Berlusconi-Gasparri: che succederà?
"Semplice: l'anno nuovo si apre all'insegna di un Parlamento monopolizzato dalla controriforma tv. La partita vera si giocherà sulla legge".
Una partita in cui l'opposizione pensa di esercitare un qualche ruolo?
"Vedremo se nella maggioranza c'è chi è pronto ad accogliere sul serio le modifiche proposte da Ciampi oppure se, come temo, vincerà la linea del ”passata la festa, gabbato il Presidente”. Dietro i tanti ossequi formali, infatti, non ho ancora visto impegni seri di modifica tranne che nelle parole di Follini e Tabacci".
Quali sarebbero queste famose modifiche?
"Sono tre. Primo: tornare alla legge precedente sugli affollamenti pubblicitari, le telepromozioni non possono essere un regalo aggiuntivo a Mediaset a danno della carta stampata. Secondo: ridurre l'oceano del Sic a qualcosa che assomigli al mercato rilevante per le tlc. Terzo: indicare una data certa per la fine delle varie proroghe che hanno finora impedito di attuare una decisione, la migrazione sul satellite di Rete 4".
E se nella maggioranza dovessero prevalere le posizioni dei Follini e dei Tabacci?
"Ci sarebbero allora le basi per un confronto serio i cui confini non vanno inventati: sono le modifiche proposte da Ciampi".
Ma lei non ci crede tanto, vero?
"Visto com'è andata finora...Se nella maggioranza prevarranno i falchi, come temo, a quel punto noi faremo il più intransigente degli ostruzionismi, consci che la maggioranza ha ripreso una folle corsa contro un muro".
Ma Ciampi una seconda volta quel provvedimento lo dovrà comunque firmare, no?
"Il muro in questo caso sarebbe la Corte costituzionale che, con alle spalle le sue ultime cinque sentenze in materia e i due messaggi del capo dello Stato, stroncherebbe senza appello una Gasparri bis senza modifiche vere e serie".


Fuoco sui pacifisti israeliani
Michele Giorgio su
il Manifesto

Un Natale di sangue nei Territori Occupati e in Israele, che non ha risparmiato persino un gruppo di pacifisti. Soldati israeliani ieri hanno aperto il fuoco contro manifestanti di nazionalità diverse che protestavano contro la costruzione del muro in Cisgiordania, ferendo gravemente un israeliano e in modo leggero un americano. E' la prima volta che i militari aprono il fuoco per proteggere il Muro, ma non è la prima volta che pacifisti vengono presi di mira. La scorsa primavera a Rafah (Gaza) una giovane americana, Rachel Correy, perse la vita sotto i cingoli di una ruspa israeliana durante la demolizione di una casa. Più di recente, sempre a Rafah, un pacifista britannico, Tom Hurdall, è stato colpito alla testa da un proiettile sparato da una torretta israeliana e da allora giace in ospedale in stato di morte celebrale. I pacifisti, circa 200, appartenenti al gruppo "Anarchici contro la barriera" e a varie organizzazioni di sinistra, stavano dimostrando nel villaggio di Masha, vicino a Qalqilya, uno dei centri abitati più minacciati dalla costruzione del muro. Secondo il portavoce militare israeliano, i soldati avrebbero esploso colpi di avvertimento in aria perché alcuni manifestanti stavano "danneggiando" la barriera. Testimoni invece hanno riferito che i militari hanno sparato ad altezza d'uomo, non appena i manifestanti hanno toccato la barriera. A cadere sotto i colpi sono stati l'israeliano Gil Naamati, che è stato trasferito all'ospedale in gravi condizioni, e un americano. Deputati israeliani di opposizione hanno denunciato il comportamento dell'esercito che, secondo Yosi Sarid (Meretz), "ha superato ogni limite". "L' esercito - hanno affermato altri deputati - deve spiegare come è successo che soldati abbiano sparato contro manifestanti israeliani". E' sconfortante il fatto che la sinistra israeliana sia indignata per il ferimento di manifestanti israeliani e sia rimasta di fatto in silenzio di fronte alla morte di Rachel Correy.

Le truppe israeliane con l'appoggio di alcuni carri armati, ieri mattina erano già entrate in azione nella casbah di Nablus dove hanno perquisito di numerose case. A Bet Furik è stata demolita l'abitazione di Said Al-Hanani, il kamikaze del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Fplp) responsabile dell'ultimo attentato. Al-Hanani, in un messaggio lasciato prima di compiere il suo gesto, ha scritto di aver scelto di diventare uno shahid (martire) per vendicare suo cugino, un capo militare del Fplp, ucciso nei giorni scorsi a Nablus dai soldati. Ieri mentre in Israele si tenevano i funerali delle tre donne e dell'uomo uccisi a Tel Aviv, a Gaza si piangevano i 5 morti del raid aereo sul quartiere di Sheikh Radwan, a Gaza city. Obiettivo ufficiale dell'attacco condotto da elicotteri Apache era Maklid Ahmed, un capo militare del Jihad, e le sue guardie del corpo ma, come è già accaduto troppe volte, sono rimasti uccisi anche civili. Israele sostiene di aver attuato il raid aereo perché Maklid Ahmed stava mettendo a punto un attentato. Due giorni fa un palestinese, che aveva con sé una mina, è stato sorpreso e ucciso da soldati di guardia all'insediamento ebraico di Ganei Tal, nel sud di Gaza.



Regali di Banale
Massimo Gramellini su
La Stampa

Un italiano su due, affermano gli psicologi, è deluso dai regali di Natale che ha ricevuto, perché li ha trovati "inutili e poco personali". Osserva con occhio spento il soprammobile etnico e forse riciclato, la cravatta uguale a quella degli ultimi dieci Natali, lo svegliarino che per accenderlo devi avere una laurea in fisica nucleare. E pensa: perché? Perché, coniuge figlio amico mio, che mi vivi accanto e in qualche caso addosso da una vita, e per tutto l'anno mi hai sentito languire di desiderio dietro un disco jazz che "ne hanno ancora una copia solo in quel negozietto dove non riesco mai a passare...". Perché sotto l'albero mi hai messo i grandi successi di Barbra Streisand, che uno può comprarseli quando vuole pure all'autogrill? E ricordi la sera in cui magnificai quella vecchia raccolta di articoli di Montanelli che stava per uscire in ristampa? Ti stavo dettando un'ordinazione natalizia. E allora perché mi hai preso l'ennesimo Vespa? Se volevo del sonnifero, andavo in farmacia.
Non è un problema di soldi: il regalo di Banale costa come gli altri, spesso oltre. E' che al momento di chiedersi cosa piace alle persone amate, uno scopre di non essersi mai soffermato ad ascoltarle davvero. Per non rischiare, si aggrappa alle scelte incolori: lo stesso metodo con cui vengono selezionate le classi dirigenti. Sarebbe già un progresso riconoscere che ciascuno ha occhi e orecchie soltanto per sé. Continuerebbe a non regalare ai suoi cari le cose che desiderano, ma almeno darebbe loro una copia di quelle che piacciono a lui.


   27 dicembre 2003