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sulla stampa
a cura di Fr.I. - 13 dicembre 2003


Bruxelles, il miracolo non si può fare.
Fallisce la mediazione di Berlusconi
sommari de
l'Unità

«Si è dovuto constatare, dopo questo lungo e intenso lavoro, che non vi è accordo sul punto della maggioranza qualificata. A questo stadio del lavoro, la presidenza non ritiene opportuno proporre soluzioni che sarebbero o al ribasso o comunque inaccettabili per altri Paesi». Finisce così, con queste parole, il tentativo di mediazione della Presidenza italiana della Ue. Nel testo conclusivo della presidenza, hanno raccontato ai giornalisti fonti “vicine alla delegazione italiana”, ci si dovrebbe limitare a ribadire « l'importanza del proseguimento verso la costruzione dell'Europa ad alto livello». I lavori alla Conferenza intergovernativa, insomma, continueranno sotto la prossima presidenza dell'Ue, quella irlandese, a partire dal prossimo primo gennaio.


Battute al veleno con Prodi, è già campagna elettorale
Gelo in conferenza stampa, rapporto segnato da politica italiana
L'inviato del presidente Ciampi per consigliare il premier
Claudio Tito su
l'Unità

BRUXELLES - Se fino a ieri c'erano solo sospetti, adesso c'è la certezza: Silvio Berlusconi e Romano Prodi hanno iniziato la loro personale campagna elettorale. E a mettere il sigillo di autenticità sulla sfida è stato direttamente il Cavaliere. Nella conferenza stampa che ha chiuso l'ultimo Consiglio europeo della presidenza italiana, è stato chiarissimo. Le "interpretazioni maliziose" con cui gli osservatori hanno letto il loro rapporto in questi sei mesi sono "il segno di ciò che Prodi pensa avverrà quando ci troveremo a confrontarci sul palcoscenico nazionale. Se questo avverrà...".

Insomma, le punture di spillo tra i due non sono mancate. Segno che il rapporto tra i due, pur istituzionalmente corretto, è ormai marchiato dalla politica italiana. E seppure impegnato nella mediazione sulla nuova Costituzione europea, il Cavaliere volge uno sguardo anche alle "cose" nostrane.

Così si può leggere anche la presenza a Bruxelles del consigliere diplomatico del Quirinale, Antonio Puri Purini. L'uomo di Ciampi per gli affari internazionali è arrivato nella capitale belga giovedì sera. Ieri ha parlato a lungo con il presidente del consiglio e parteciperà a tutti gli incontri e alle riunioni legate alla Cig. Portando, naturalmente, i "discreti consigli" del Colle. Di cui Berlusconi avrebbe fatto volentieri a meno. Ma di fronte ai quali ha preferito fare buon viso a cattiva sorte, memore forse di una specifica circostanza: negli uffici del capo dello Stato giace ancora il faldone della legge Gasparri. E il "consiglio" del Colle è chiaro: ogni volta che l'Europa è stata messa in difficoltà, il nocciolo duro dei paesi fondatori sono andati avanti.

E anche stavolta, di fronte a ostacoli troppo grandi, la "vecchia guardia" composta da Italia, Francia, Germania e Benelux dovrebbe rappresentare una avanguardia per poi trascinare gli altri. L'idea di una Unione a due velocità, quindi, che deve prestare attenzione anche all'atteggiamento della Gran Bretagna che in passato - con la Thatcher - ha approfittato dei momenti di difficoltà per tentare di plasmare un'Europa secondo le sue esigenze. Un suggerimento che Palazzo Chigi ascolta, ma che nello staff del Cavaliere qualcuno ha recepito malvolentieri.

Resta, però, il Professore l'interlocutore con cui Berlusconi deve fare i conti quotidianamente a Bruxelles. "Al di là di qualche maliziosa interpretazione - ha precisato il Cavaliere - spesso siamo andati anche a braccetto". Per la gioia dei fotografi Berlusconi ha offerto il braccio al vicino invitandolo a mettersi appunto "a braccetto". Il Professore ha raccolto con scarsissimo entusiasmo. Pochi attimi e si è ricomposto alzando i sopraccigli.

Nonostante tutto, il premier non ha perso il suo senso dell'umorismo. La riunione plenaria, infatti, è iniziata con battute e barzellette a raffica. "Per alleggerire il clima - ha esordito - parliamo di donne e calcio". Gelo. Al tavolo erano presenti sei ministre degli esteri: la spagnola De Palacio, la lussemburghese Polfer, l'austriaca Ferrero-Waldner, la finlandese Tuomioja, la portoghese Gouveia e la svedese Freivalds.

Il Cavaliere non si è perso d'animo e rivolgendosi al Cancelliere tedesco ha chiesto sorridendo: "Gerhard, tu che hai esperienza di mogli, dacci qualche consiglio su come trattare le donne". Nessuna risposta. A quel punto ha risfoderato la barzelletta dell'elicottero: "Sorvolo Napoli con mia moglie Veronica. La gente sotto chiede soldi. Io tiro un euro, poi 5, poi 100, poi mille. Ma mia moglie mi dice: "per farli contenti tutti dovresti buttarti tu"". Risate ma anche un po' di imbarazzo. Il premier polacco Miller, infatti, si è presentato al vertice europeo sulla sedia a rotelle proprio a causa di un incidente in elicottero.


Senza copertura, salta il rimborso per famiglie e imprese.
Casini smaschera la finanziaria
sommari de
l'Unità

Finisce con un «taglio» di oltre 3 miliardi, la giornata più lunga per la Finanziaria alla Camera, contrassegnata anche questa da numerosi colpi di scena. Solo intorno alle 20 il governo riesce a prendere la parola e chiedere il voto di fiducia, dopo una lunga e puntigliosa requisitoria di Casini che «cancella» il testo formulato da Tremonti in una decina di punti. Come dire: Casini fa le pulci ai conti del governo e scopre che non quadrano. «Scelte dolorose ma necessarie per la credibilità delle istituzioni», commenta all'uscita dall'aula il presidente. Viene cassata così la misura che avrebbe dovuto restituire ai contribuenti troppo onesti (che hanno verstao più Irpef e Irpeg) seimila miliardi. Per i quali non c'era copertura. Minacce della Lega. «Niente per gli onesti, insomma, sconti per gli evasori», commentano le opposizioni.


Il gioco degli specchi
Il confronto sulla Finanziaria
Massimo Gaggi sul
Corriere della Sera

Giulio Tremonti vuole creare a Genova un Mit italiano, un istituto delle tecnologie capace di rilanciare la ricerca di un Paese che proprio nell'innovazione sta perdendo terreno in modo preoccupante. Ottima idea. Ma forse come sede potrebbe essere scelta anche Roma, via XX Settembre, nei grandi saloni del ministero del Tesoro che di innovazione, in questa legislatura, ne sta facendo parecchia. Con risultati altalenanti. Il 2001 è stato l'anno delle cartolarizzazioni, uno strumento valido per ridurre il deficit senza deprimere l'economia ma non privo di inconvenienti (e che ha prodotto un'allarmante proliferazione di imitatori non sempre in buona fede nelle Regioni e nei Comuni). Il 2002 è stato l'anno dei condoni. Uno strumento non nuovo, certo, ma che è stato riproposto con un effetto «a grappolo» mai sperimentato prima (dalle tasse al canone Rai, ai bolli, ne passarono una dozzina). Stavamo per archiviare il 2003 come l'anno dello smontaggio della Legge finanziaria. Non essendo riuscito a riformare le procedure di bilancio, il governo le ha svuotate, prima trasferendo i nove decimi della manovra nel «decretone» e poi proteggendo l'iter parlamentare di questo provvedimento con un ricorso massiccio ai voti di fiducia.

Il coup de théâtre di ieri dà colore - e un sapore un po' pirandelliano - alla traversata parlamentare intrapresa dal governo: la Camera che presenta emendamenti impresentabili, il governo che li recepisce, il presidente della Camera che li respinge smascherando (con l'aiuto della Ragioneria generale dello Stato, cioè di un organo del Tesoro) la mancanza di copertura finanziaria per ben 3,2 miliardi di euro dei maxiemendamenti che avevano avuto il via libera dello stesso Tesoro. E col Tesoro che adesso si dice sollevato e che informalmente si congratula con Casini per avergli tolto le castagne dal fuoco. Il tutto lievemente, senza drammi, in un gioco di specchi che potrebbe essere la nuova frontiera dell'innovazione politica.

E, passando alle pensioni, Umberto Bossi può tranquillamente sostenere che gli accantonamenti per la liquidazione non vanno in alcun modo toccati come previsto dalla riforma del governo, capovolgendo l'impostazione voluta proprio dal «suo» Maroni. Colpo di scena? La riforma si blocca? Ma no, è solo il gioco di specchi di un dicembre già preelettorale.


Possibile che Berlusconi sia così fortunato?
Antonio Padellaro su
l'Unità

Silvio Berlusconi ha promesso di ricandidarsi a Palazzo Chigi nel 2006, per restarci altri cinque anni. Evidentemente pensa di farcela. Più che sui suoi meriti punta sugli errori altrui. Soltanto un mese fa, infatti, le cose sembravano diverse. La Casa delle libertà era squassata dalla crisi. Ogni giorno Bossi insultava Fini e Casini, prontamente ricambiato. A Montecitorio, i franchi tiratori della maggioranza prendevano la mira sulla legge Gasparri, come addestrandosi all'agguato finale. In Europa, il premier italiano continuava a collezionare figuracce. Poi, dopo la strage di Nassiriya, qualcosa cambia. Come una tempesta di sabbia nel deserto, l'emozione collettiva ricopre nel centrodestra dissidi e ripicche e ne occulta gli indecenti pretesti. A Bruxelles, una mattina, il creativo Tremonti, fino a quel momento ministro di un'economia sgangherata, da zucca si trasforma nel benefattore di Francia e Germania, creativamente riammesse nel Patto di stabilità. Schröeder e Chirac, che a malapena salutavano Berlusconi, ringraziano sentitamente. In Parlamento, la destra, frantumata sulla Finanziaria, porta a compimento la Gasparri: con la compattezza di una falange macedone, dicono ammirati di sé gli azzurri di Arcore.
Si scatenano i peggiori istinti. La legge contro la fecondazione fa ripiombare il Paese negli anni bui del clericalismo più ottuso e delle donne in libertà vigilata. La censura definitiva su Raiot, e la conduzione invasata di Excalibur rappresentano il servizio pubblico Rai così come è stato ridotto: uno straccio per lustrare gli stivali del capo. Ma è anche un segnale di quel che ci attende con la televisione elettorale dei prossimi mesi. Nelle consultazioni europee la propaganda non ha tetti di spesa e si possono fare spot a volontà. È facile prevedere come si comporterà Berlusconi. Da presidente del Consiglio occuperà la Rai con tutti i messaggi a reti unificate che la legge gli consente (senza contare tutti i Porta a Porta che avrà a disposizione ogni volta che vorrà). Da proprietario di tre potenti reti private martellerà gli italiani con le più suggestive autopromozioni, lasciando ai competitori le briciole.
Ma di fronte a questa destra l'opposizione cosa pensa di fare? Spera che Ciampi non firmi la legge Gasparri. Auspica che da parte della Corte costituzionale venga un verdetto contro il Lodo Schifani, così che si riapra il processo Sme all'imputato Berlusconi.
Certo, il Quirinale e la Consulta possono fare molto per limitare le conseguenze delle leggi vergogna, per ripristinare qualcosa di quella legalità calpestata in nome del tornaconto di uno soltanto. Però: la strategia di una coalizione che vuole tornare ad essere maggioranza può essere puramente difensiva? Soprattutto quando un trionfante conflitto d'interessi consente al presidente del Consiglio, Gasparri o non Gasparri, una potenza di fuoco mediatica senza paragoni nel mondo civilizzato.
Una strategia d'attacco, oltre che di contrasto, il centrosinistra ha cominciato a darsela. Ha scelto un candidato premier: Romano Prodi. Ha approvato un programma scritto dal candidato premier. Ha costruito un piedistallo per il candidato premier: la lista unitaria formata da Ds, Margherita e Sdi. Allargabile, si pensava, ad altre forze, ad altri simboli. Quando tutto lasciava credere che con un candidato, un programma e un patto elettorale l'Ulivo avesse finalmente intrapreso la strada giusta per tornare a vincere, sono arrivate due cattive notizie. La spaccatura sulla procreazione assistita tra la Margherita e il resto dell'Ulivo. Il no dello Sdi a Di Pietro.



Iraq, campi di cluster bomb
Hrw: 13mila mine gialle E le mille vittime potevano essere evitate, secondo l'organizzazione per i diritti umani americana. Più colpite le zone centrali dell'Iraq: Hilla, Najaf, Nassiriya
Giuliana Sgrena sul
il Manifesto

Lo spettacolo era agghiacciante all'ospedale di Hilla, l'antica Babilonia, quando eravamo arrivati la mattina del 2 aprile, due giorni dopo uno dei bombardamenti più massicci di un quartiere della città e di alcuni villaggi intorno. L'atrio dell'ospedale, trasformato in pronto soccorso, era inzeppato di letti improvvisati per poter accogliere i sopravvissuti dei bombardamenti: oltre cento in un solo giorno, 33 invece non ce l'avevano fatta. Erano tutte vittime delle cluster bomb, le famigerate bombe a frammentazione, che avevano colpito la popolazione, tutti civili, molti bambini, donne, vecchi, che si trovavano in casa quando, all'ora di pranzo, erano arrivati gli aerei americani a sganciare sulle case il carico di bombe a grappolo. E' solo uno dei tanti episodi della guerra che avevamo testimoniato in Iraq e che è contenuto anche nel rapporto pubblicato ieri dall'organizzazione americana Human rights watch (Hrw) proprio sull'uso delle cluster bomb da parte delle truppe angloamericane durante la guerra. Più di mille iracheni sono stati uccisi o feriti dalle micidiali bombe durante l'invasione, e altri continuano a morire o a restare mutilati perché molti degli ordigni non sono esplosi subito. Secondo il rapporto di Hrw, dal 20 marzo al 9 aprile 2003 sono state usate complessivamente circa 13.000 cluster bomb - 10.782, la maggior parte sparate con i cannoni, dalle forze americane, più 70 bombe sganciate e altre 2.100 sparate da terra dalle forze britanniche - per un totale di circa 2 milioni di mini bombe. Si calcola che un 5 per cento di bombe non siano esplose subito, ma restino depositate nel terreno rappresentando un pericolo per i bambini che sono attratti dal colore giallo dei micidiali ordigni o anche per i contadini che si apprestano a coltivare la terra, o persino per i veicoli che si trovassero a passarci sopra. Il pericolo è tanto più grave perché le bombe sono state usate in zone densamente popolate, compresi alcuni quartieri di Baghdad, come a al Jadida, dove era stato bombardato un insediamento di profughi palestinesi.

Le zone più colpite dalle bombe a frammentazione (micidiali perché provocano in superficie dei piccoli fori ma le schegge penetrano nei tessuti e diventa praticamente impossibile rimuoverle) sono però quelle centrali di Hilla, Najaf e Nassiriya, dove tra marzo e aprile, Hrw ha registrato 2.279 vittime tra i civili, di cui 678 morti e 1.601 feriti. Il 90 per cento dei pazienti curati nell'ospedale di Hilla, secondo il direttore, erano feriti da cluster bomb.

Sotto accusa di Human rights watch anche la strategia della «decapitazione» adottata per intercettare i leader del regime: in 50 attacchi non è stato colpito nessuno degli obiettivi mentre sono state uccise decine di persone, perché si basavano su intercettazioni di chiamate dai telefoni satellitari Thuraya.

«La strategia della decapitazione è stata un totale fallimento sul piano militare, visto che non ha ucciso un solo leader iracheno in 50 attacchi, ma è stata anche un fallimento sul terreno dei diritti umani. Non si può usare un'arma di precisione quando l'obiettivo non è stato individuato con precisione», sostiene Kenneth Roth, direttore esecutivo di Human rights watch.

L'organizzazione non ha la pretesa di fornire delle cifre complessive sul numero delle vittime, sostenendo che forse è impossibile fare un bilancio completo, ma riferisce alcune rilevazioni fatte attraverso dati forniti dagli ospedali: l'Associated press interpellando 60 sui 124 ospedali iracheni subito dopo la fine delle maggiori operazioni di guerra era arrivata a calcolare almeno 3.420 civili morti, ma definiva il conteggio «frammentario» e sicuramente inferiore alla realtà. Di questi più di 400 civili sono morti a Nassiriya, comprese 72 donne e 169 bambini, ai quali occorre aggiungere 700 tra donne e bambini feriti.

Ma soprattutto Hrw sostiene che le vittime dovevano e potevano essere «evitate» perché le forze della coalizione avrebbero dovuto rispettare le convenzioni internazionali sui conflitti, che proibiscono gli attacchi indiscriminati contro i civili.

Il rapporto di Hrw ben illustra gli effetti di quella che Bush paradossalmente ha definito «uno delle più veloci e più umane campagne militari della storia»!


«La Halliburton specula»
Il Pentagono accusa. E per Baker «conflitto d'interessi»
Franco Santarelli su
il Manifesto

NEW YORK - Ultime dalla Halliburton, la compagnia petrolifera che fu di Cheney prima che lui scegliesse se stesso come vice di George Bush. Non contenta di avere ottenuto dal Pentagono un ricchissimo contratto nella «ricostruzione» dell'Iraq senza essere passata per la gara d'appalto, eccola fare la cresta sulle spese, fatturando una somma che secondo ciò che dicono i revisori del Pentagono è in eccesso di 61 milioni di dollari. I lavori per i quale la Halliburton - più esattamente la sua affiliata Kellog, Brown & Root - ha ottenuto il contratto sono la risistemazione dell'industria petrolifera irachena e la fornitura di un «supporto logistico» alle truppe americane lì dislocate: costruzione delle baracche, consegna della posta, eccetera. Al momento di decidere il contratto, a chi lo criticava per non avere indetto una regolare gara d'appalto, il Pentagono rispose che «poche ditte» erano qualificare come la Kellog, Brown & Root a compiere il lavoro necessario, confondendo il significato del termine «poche» con «nessuna». Ma certo non era questo che aveva in mente. La «notifica» della discrepanza fra i suoi conti e quelli del Pentagono è stata già inviata alla compagnia dai funzionari del Defense Contract Audit Agency, che in queste ore, dicono i soliti comici delle notti televisive, «deve essere saltato in testa alla lista degli enti pubblici da eliminare». Ora si aspetta la risposta, che comunque è stata già informalmente anticipata. Quei soldi in più si spiegherebbero con le misure di sicurezza che è stato necessario prendere e con la penuria di mezzi di trasporto che ha reso la consegna particolarmente lenta e quindi più costosa. E poi, siccome il prezzo maggiorato è quello pagato per importare dal Kuwait e dalla Turchia la benzina che l'Iraq non è ancora in grado di produrre in proprio, è possibile - dice la compagnia - che siano stati loro, i kuwaitiani e i turchi, a praticare prezzi i prezzi troppo alti, sicché la colpa della Halliburton sarebbe al massimo quella di non essersene accorta, tanto a pagare era il Pentagono.

M a il problema essenziale è probabilmente che in questa amministrazione si fa praticamente quello che si vuole, senza neanche badare ai conflitti di interesse che vengono creati. Ultimo esempio, proprio quel James Baker incaricato di prendere in mano il problema del debito estero iracheno e che lunedì intraprenderà un viaggio in Europa (sotto i pessimi auspici creati dalla sparata sui Paesi buoni e cattivi dell'altro ieri) cercando la «comprensione» dei creditori. Baker, diceva ieri il New York Times, è membro del gruppo Carlyle e dello studio legale Baker Botts, che hanno enormi interessi proprio in merito a quei debiti iracheni da «perdonare», per cui sarebbe bene che prima si «liberasse» di quei lacci. E' dubbio che lo stiano a sentire.


Omicidio Calvi: le ultime verità
La nuova ricostruzione: «Un antiquario e un commerciante nel gruppo che ha ucciso il banchiere italiano»
Giovanni Bianconi sul
Corriere della Sera

ROMA - Ventuno anni e mezzo dopo l'omicidio, all'elenco dei presunti assassini del banchiere Roberto Calvi si aggiungono altri due nomi. Uno però è quello di un morto, ucciso a coltellate tre mesi più tardi; l'altro è dell'uomo che sarà interrogato stamane negli uffici della Procura di Roma dai magistrati che ancora indagano sulla misteriosa vicenda. Il primo è Sergio Vaccari, un antiquario coinvolto in traffici di droga e opere d'arte trovato nella sua casa di Londra il 16 settembre '82 col cranio fracassato e il corpo trafitto da numerose coltellate; il secondo è Silvano Vittor, un commerciante comparso fin da subito nell'inchiesta sulla morte del presidente del Banco Ambrosiano, nel giugno dell'82. I pubblici ministeri Luca Tescaroli e Maria Monteleone l'hanno convocato per contestargli i nuovi elementi che l'hanno trasformato da testimone in indagato per concorso in omicidio.

Vittor accompagnò Calvi a Londra nel giugno 1982 su indicazione del faccendiere Flavio Carboni (oggi imputato per l'omicidio del banchiere) e per sua stessa ammissione fu uno degli ultimi a vederlo vivo. Nelle diverse testimonianze rese sia in Italia che in Inghilterra dopo il delitto - quando ancora gli inglesi sostenevano che si trattasse di un suicidio - ha raccontato una versione dei fatti dalla quale emersero le contraddizioni che portarono, fra l'altro, all'arresto di Carboni. Pure Vittor finì in carcere con l'accusa di aver favorito l'espatrio clandestino di Calvi, poi uscì e continuò a sostenere la propria ricostruzione delle ultime ore di vita del banchiere. Adesso, dalle carte dell'inchiesta sono emersi nuovi indizi che hanno convinto i magistrati del coinvolgimento di Vittor nell'omicidio.

Nella deposizione davanti ai giudici inglesi nel 1983 Vittor disse che la sera del 17 giugno '82 lasciò Calvi nel residence londinese Chelsea Cloister tra le 23 e le 23,30, dopo che Carboni era andato a cercare i due.

Il banchiere volle rimanere in camera, mentre lui uscì con Carboni e tornò al residence poco più tardi. Quando risalì nell'appartamento affittato per lui e per Calvi, il banchiere non c'era più. La mattina successiva, alle 8, andò a prendere l'aereo che lo riportò a Vienna.
In quella testimonianza emersero alcune contraddizioni rispetto alle risposte date dallo stesso Vittor al pubblico ministero di Roma pochi giorni dopo la morte di Calvi. Ad esempio, Vittor disse agli inglesi che nel pomeriggio del 17 giugno il banchiere aveva saputo di essere stato destituito da tutti i suoi poteri nell'Ambrosiano, cosa che l'aveva depresso ancor più e che - secondo l'interpretazione di allora - poteva averlo convinto a suicidarsi; particolare taciuto al magistrato italiano. Vittor addebitò a «confusioni, dimenticanze e malintesi» le differenze tra le due deposizioni, ma vent'anni dopo molte cose sono cambiate.

Ora anche gli inglesi si sono convinti che Calvi non si uccise ma venne assassinato, hanno aperto un'inchiesta nella quale sono indagati alcuni cittadini britannici e hanno fornito agli inquirenti romani elementi che hanno allargato l'indagine ad altri italiani. Come Vittor, appunto. E come Vaccari se non fosse stato ucciso, probabilmente dalle stesse persone che hanno assassinato Calvi. I sospetti dei magistrati e degli uomini della Direzione investigativa antimafia si concentrano su Francesco Di Carlo il «soldato» di Cosa Nostra arrestato a Londra, anch'egli inquisito per aver partecipato all'omicidio del banchiere su ordine del boss Pippo Calò.

L'omicidio di Vaccari è rimasto un mistero per gli investigatori britannici, che nel 1987 si affrettarono a smentire ogni collegamento tra quella morte e l'arresto di un gruppo di trafficanti di droga avvenuto sempre a Londra, tra i quali Di Carlo. Oggi quel delitto viene collegato alla morte di Calvi anche per via di almeno due contatti accertati tra la vittima e Silvano Vittor, a cavallo dell'uccisione del banchiere.

Se questa ricostruzione si rivelerà esatta, Vaccari sarebbe il secondo assassino di Calvi eliminato dopo il delitto. Il 29 gennaio 1983 infatti, in una strada di Roma un'autobomba tolse di mezzo il camorrista Vincenzo Casillo, indicato da alcuni pentiti come esecutore materiale dell'omicidio avvenuto a Londra sette mesi prima. Casillo era un luogotenente di Cutolo, ma aveva cambiato schieramento passando col clan dei Nuvoletta, legati a Cosa Nostra. E da lì sarebbe venuto l'ordine di ammazzare Roberto Calvi.


La Fenice risorge con Muti
Così apre il teatro dopo l'incendio
Il 14 dicembre, alla presenza del presidente della Repubblica Ciampi, il maestro dirigerà il concerto d'inaugurazione
su
la Repubblica

"Dov'era com'era", lo slogan ispiratore della ricostruzione della La Fenice andata completamente distrutta nel rogo del '97 diventa realtà: domenica il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi inaugura il celebre Teatro veneziano. Ma non sarà l'unica autorità: per Riccardo Muti sul podio dell'orchestra ci saranno anche il presidente della Commissione Europea Prodi, sette-otto ministri italiani e anche il ministro degli Esteri spagnolo Anna De Palacio.

In una sala teatrale addobbata per la grande festa, intrecciati fra loro nei colori bianco, rosso e verde, però non ci saranno solo Vip, ma anche cinquanta residenti veneziani estratti a sorte, altrettanti fedelissimi abbonati del teatro e i 200 acquirenti del biglietto nell'asta su Internet, partita da un prezzo di 2500 euro: un prezzo che pare non avere scoraggiato nemmeno qualche illustre cittadino, pronto a pagare pur di non perdere l'appuntamento con la rinascita della Fenice.

"Un'emozione non si può raccontare". Così ha commentato lo stesso direttore d'orchestra durante le prime prove. E già perché la ricostruzione della fenice è stata totale: il 29 gennaio 1996 un devastante incendio scoppiato nel tardo pomeriggio distrusse il teatro. E non rimase più nulla. Il 6 febbraio però furono già stanziate con decreto legge le prime risorse finanziarie necessarie all'immediato avvio del restauro e venne istituita la figura del Commissario delegato per la ricostruzione del teatro, per la quale il Governo nomina il Prefetto di Venezia.

Il Teatro rinasce così su progetto dell'architetto Aldo Rossi, scomparso nel 1997, su 'ambitì di intervento: le Sale Apollinee, con un restauro conservativo e di ricostruzione, la Sala Teatrale con la ricostruzione filologica, la Torre con la ricostruzione e la creazione di una nuova 'macchina scenica' e le due ristrutturazioni dell'Ala Nord e Sud, con la creazione, in quest'ultima della nuova Sala Rossi, ispirata al Palladio.

Ma l'evento non sarà solo all'interno della Fenice: la Rai trasmetterà l'evento in diretta e FastWeb, il principale operatore alternativo italiano di servizi di telecomunicazione a banda larga, offre a tutti i cittadini del Comune di Venezia, e a chiunque lo desiderasse, l'opportunità di assistere gratuitamente ai concerti in programma nella settimana inaugurale, in diretta dal Cinema Teatro Corso di Mestre o dall'Ateneo Veneto di Venezia.



  13 dicembre 2003