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sulla stampa
a cura di P.C. - 5 dicembre 2003


Russia: bomba su un treno, 37 morti
Ai confini della Cecenia
Redazione del
Corriere della Sera

STAVROPOL (RUSSIA) - Almeno 37 morti e oltre 150 feriti. E' il bilancio di un attentato su un treno avvenuto nella Russia meridionale, al confine con la Cecenia.
L'esplosione è stata causata da un kamikaze, di cui è stato poi recuperato il corpo, che si è fatto saltare all'interno del secondo vagone del convoglio. Lo scoppio, è avvenuto vicino alla città di Yessentuky, ai confini don la Cecenia. Lo ha detto il portavoce del ministero delle Situazioni d'emergenza, Viktor Beltsov. Il treno stava viaggiando tra le città di Kislovodsk e Mineralnye Vody.
LA POTENZA - Secondo i primi accertamenti l'ordigno, equivalente a 10 kg di tritolo. E' esploso alle 07:42 ora di Mosca (05:42 italiane) probabilmente all'interno della carrozza. Alcuni testimoni hanno parlato di due, forse tre donne saltate dal treno poco prima dell'esplosione.Subito dopo l'attentato passeggeri delle altre carrozze presi dal panico si sono lanciati dai finestrini e alcuni di loro sono rimasti feriti non gravemente. Oltre ai morti ci sono 150 feriti, di cui 103 ricoverati negli ospedali, 20 in gravi condizioni. Un aereo della protezione civile è partito da Mosca per portare assistenza medica alle vittime dell'attentato. I passeggeri scampati all'attentato ed altre persone hanno inscenato una manifestazione accusando la polizia di non sapere proteggere la popolazione.
L'ALLARME - Nei giorni scorsi le autorità militari russe avevano reso noto che decine di donne kamikaze stavano addestrandosi per compiere attentati in Russia in vista delle elezioni alla Duma, iniziate già in Cecenia con il voto di una parte degli 80 mila soldati russi di stanza nella repubblica. Il presidente Vladimir Putin è stato informato e il ministro dell'interno Boris Gryzlov ha assicurato che "le bestie" che hanno compiuto quest'azione "saranno catturate e punite come meritano". "Quegli animali - ha detto - non potranno mai sentirsi al sicuro". Secondo il presidente della Duma Ghenandy Seleznyov questa azione serve a "destabilizzare" il paese alla vigilia delle elezioni legislative di domenica.
GUERRIGLIA - Pochi hanno dubbi che si tratti di un'azione della guerriglia cecena che nei mesi scorsi aveva avvertito che avrebbe esportato, e così ha fatto, la guerra fuori della repubblica indipendentista di fronte al totale rifiuto del Cremlino di aprire un negoziato con il leader dei ribelli ed ex presidente Aslan Maskhadov. Quello di oggi è il più grave attentato che si ricordi contro un treno e uno dei più gravi avvenuti quest'anno nella intera Federazione. Si tratta del terzo attentato in pochi mesi nella Russia meridionale dove nel settembre scorso due bombe pari a 5 chilogrammi di tritolo erano esplose al passaggio di un treno passeggeri suburbano fra Kislovosk e Mineraldy Vody facendo sei morti e una trentina di feriti. Il 25 agosto a Krasnodar tre bombe esplosero in tre punti della città facendo tre morti e diversi feriti. Due donne kamikaze avevano compiuto una strage durante un concerto rock a Mosca in luglio uccidendo 15 persone. E un camion bomba aveva fatto in agosto 50 morti all'ospedale militare di Mozdok nell'Ossezia del Nord, mentre in Daghestan era stato ucciso il ministro delle nazionalità Magomedsalik Gusayev.


Caso Cirio, indagato Geronzi
L'accusa: bancarotta e truffa
Redazione de
la Repubblica

ROMA
- Il presidente di Capitalia Cesare Geronzi, è stato iscritto sul registro degli indagati della procura di Roma nell'ambito dell'inchiesta sul dissesto della Cirio. Nei suoi confronti sono state disposte perquisizioni sia a casa che in ufficio. Cesare Geronzi è indagato per bancarotta fraudolenta aggravata in relazione al crac Cirio e per truffa in relazione all'emissione delle obbligazioni della società di Cragnotti. Secca la difesa di Capitalia che riafferma "la totale liceità"
della sua condotta in merito alla vicenda Cirio e assicura di aver messo a disposizione dell'Autorità giudiziaria tutta la documentazione richiesta e precisa che l'ipotesi di reato su cui sta indagando la magistratura è quella di condotta preferenziale in danno di altri creditori. Con Geronzi sono indagati tre funzionari di Capitalia e Banca di Roma. Anche a loro viene contestato il concorso in bancarotta fraudolenta e truffa.
La Guardia di Finanza sta inoltre acquisendo documentazione anche presso le sedi della Banca Popolare di Lodi (oltre che a Roma anche a Lodi) e negli uffici del San Paolo-Imi. Le perquisizioni in corso in diverse città d'Italia sono alcune decine. "Le acquisizioni in corso presso altri istituti di credito come la Banca Popolare di Lodi e il San Paolo Imi servono per capire il collocamento dei bond e smentiamo che in questi istituti di credito vi siano indagati" precisa la Procura di Roma.
Il reato di bancarotta fraudolenta è contestato in concorso con Sergio Cragnotti, una ventina di amministratori della Cirio e altre persone ancora da individuare. Secondo le ipotesi di lavoro della procura, la Banca di Roma sarebbe rientrata nei crediti con la Cirio prima del fallimento, godendo, quindi, di una corsia preferenziale. Per chi indaga, la situazione di dissesto del gruppo sarebbe stata ben nota ai vertici della Banca di Roma, essendo stata quest'ultima, tra l'altro, fino al 2002 socia di Cragnotti & Partners.
Questo ulteriore passo fatto dai magistrati che indagano sulla Cirio è conseguente all'esame della documentazione acquisita fino a questo momento, delle consulenze e della relazione dei commissari giudiziali. Nel frattempo la Guardia di Finanza sta eseguendo numerose altre perquisizioni e sequestrando materiale presso le sedi di altri istituti di credito dove, per il momento, non ci sarebbero indagati.
Recupera in Borsa il titolo Capitalia dopo il forte ribasso delle prime ore della mattina a seguito della notizia dell'indagine su Geronzi. Attorno alle 12,15 il titolo perde lo 0,826% a 2,88 euro. Quanto alle altre banche coinvolte a vario titolo nell'indagine della Procura di Roma, Popolare Lodi perde lo 0,738% a 10,09 euro e San Paolo Imi l'1,727% a 11,15 euro.


Il Colle studia le sentenze della Consulta
Paolo Cacace su
Il Messaggero

ROMA - Ieri mattina erano uno di fronte all'altro nel salone dei Corazzieri del Quirinale. Carlo Azeglio Ciampi e Maurizio Gasparri si sono scambiati una rapida stretta di mano. Niente di più. Negli uffici del Colle sta per arrivare, finalmente, il plico con il testo della legge sul riassetto del sistema radio-televisivo. Dunque, il conto alla rovescia è cominciato. Ma nessuno sa esattamente quando si concluderà. Quando, cioé, il capo dello Stato deciderà se promulgare la Gasparri oppure rinviarla alle Camere, secondo quanto gli consente l'articolo 74 della Costituzione. Se non filtrano indiscrezioni sulla data della ”fumata” presidenziale (che comunque dovrebbe essere successiva al Consiglio europeo del 12-13 dicembre) qualche elemento di chiarificazione si profila sull'iter istituzionale dell'intera questione. Anzitutto, è evidente che Ciampi - proprio per la delicatezza della decisione - intende attenersi rigorosamente al dettato costituzionale. Ergo: le vie davanti a lui sono due. Promulgazione o rinvio. ”Tertium non datur”.
Quanto alle ragioni di un possibile (e probabile) ”no” esse devono essere fondate sul ”merito costituzionale” e non su valutazioni di carattere politico. Ciampi, in altri termini, deve verificare se è "costretto" a non promulgare la legge più che cercare di esercitare un'opzione. Perciò lo staff dei consiglieri giuridici, guidati da Salvatore Sechi, sta passando al setaccio le norme della Gasparri confrontandole con la sentenza della Corte costituzionale del novembre 2002 (n.466) per verificare se la legge aggira o viola quanto disposto dalla Consulta che ha fissato per il 31 dicembre 2003 un termine "finale, assolutamente certo, definitivo e quindi non eludibile" per il trasferimento delle trasmissioni di Retequattro sul satellite o via cavo. In realtà, l'analisi della sentenza consente di accertare che la Corte ha voluto indicare, una volta per tutte, una data per la fine del regime transitorio che produrrebbe anche altri effetti (terza rete Rai senza pubblicità e liberazione di frequenze per chi detiene già concessioni). Di più: la Consulta sembra quasi anticipare i rischi di ”aggiramento” da parte di riforme come la Gasparri. "La televisione digitale terrestre - afferma - si trova ancora in una fase di mera sperimentazione". D'altra parte sarebbe un errore drammatizzare oltre il dovuto anche il significato di un eventuale rinvio della legge alle Camere. Anzitutto non sarebbe una novità. E' capitato già un centinaio di volte nella storia repubblicana. Nella maggior parte dei casi per mancanza di copertura finanziaria delle leggi. Ma ad esempio - durante la presidenza Cossiga - furono rinviate alle Camere leggi sull'obiezione di coscienza, sull'ordinamento della professione forense e sul servizio sanitario civile. E nessuno gridò al conflitto istituzionale.


I pilastri della ripresa
Mario Deaglio su
La Stampa

Il Presidente della Repubblica fa bene a mettere in guardia contro la retorica del declino: se si esamina il paese provincia per provincia, come il Presidente fa nelle sue frequenti visite sul territorio, si scorgono, infatti, prevalentemente imprese ben inserite nella realtà economica europea e mondiale, indizi di operosità e inventiva. L'economia italiana proprio non è da buttare.
Il vero problema italiano è però quello che non si vede, non quello che si vede: i settori in cui l'Italia continua ad eccellere sono sempre gli stessi mentre attorno a noi il mondo è cambiato. La meccanica e la moda sono apparentemente solide ma il mondo ha scoperto altre dimensioni produttive e attribuisce una minore importanza a questi settori.
Il tutto è complicato dallo sbriciolamento del valore del dollaro che danneggia direttamente la presenza delle imprese italiane sul mercato americano e favorisce la concorrenza, in Italia e altrove, dei paesi asiatici che mantengono la loro moneta ancorata al dollaro. Questa concorrenza diventa, inoltre, sempre più "cattiva" e sleale e le imprese hanno il diritto di essere tutelate di fronte a comportamenti, purtroppo dilaganti, come il puro e semplice furto del marchio "made in Italy" da parte di produttori di altri paesi.
Non possiamo però limitarci a sostenere l'esistente, a mettere in atto tutele doverose, a trastullarci con l'idea pericolosa di barriere doganali che fermino l'"invasione" straniera. E' un dato di fatto che, fuori dai suoi settori di eccellenza, l'Italia mette a segno risultati mediocri. Non basta rallegrarsi dei risultati ottenuti, con il pericolo di indulgere in una sorta di retorica dell'antideclino. Dobbiamo riflettere non già sui molti successi ottenuti ma anche su quelli non ottenuti o che ci stanno sfuggendo. Questa riflessione, purtroppo carente, dovrebbe costituire il sale del dibattito politico.
All'Italia non mancano energie ma spesso queste si logorano per le distorsioni e le strozzature del sistema e altri paesi hanno affrontato situazioni analoghe. Le imprese italiane pagano l'energia assai più dei loro concorrenti e devono sopportare costi assai maggiori per trasportare i propri prodotti. Si aggiunga una netta carenza di livelli di istruzione che, nell'economia di oggi, non può più essere superata semplicemente dal "genio italico" ma richiede un atteggiamento nuovo che induca gli italiani a considerare lo studio come un vero e proprio lavoro e non come un periodo di gioventù relativamente spensierato. La carenza si fa ancora più netta, infine, a livello di ricerca, nella quale i risultati si ottengono solo in tempi lunghi e richiedono risorse, sempre lesinate, in tempi brevi.
Energia e trasporti, istruzione e ricerca sono i quattro pilastri sui quali deve necessariamente poggiare la stessa sopravvivenza italiana in un mondo turbolento. Sta alle forze politiche non indulgere nelle malinconie del declino e costruire attorno a questi pilastri un programma al tempo stesso lungimirante e coerente.


I pezzi d'Italia
Galapagos su
il Manifesto

In quale parte dell'Italia viaggia il presidente della repubblica? E perché parla di "retorica del declino che si sta diffondendo"? Nel denunciare il declino nessuno usa retorica (se vogliamo utilizzare questo sostantivo in senso dispregiativo) e neppure compiacimento: c'è invece fortissima preoccupazione. Dei sindacati, in particolare della Cgil, che, con il declino, stanno assistendo alla distruzione di centinaia di migliaia di posti di lavoro e che con il declino vedono intensificarsi gli attacchi da parte degli industriali ai diritti senza i quali, viene sostenuto, il paese sarebbe più competitivo. Ma il declino (senza retorica) preoccupa da anni anche Bankitalia nella quale è ancora presente l'eredità Ciampi, come testimoniano gli interventi sempre più frequenti delle massime autorità di via Nazionale. In questi giorni il presidente della repubblica dovrà sciogliere l'enigma della legge Gasparri. Quella legge straparla di tecnologia digitale. Ma il digitale non è invenzione e non porta il marchio del made in Italy. Di più: se il presidente vuole informarsi alla televisione, lo schermo che accenderà non sarà sicuramente italiano. E neppure il personal computer che ogni tanto consulta lo è. E non lo sono neppure i telefonini cellulari delle sue guardie del corpo. Il presidente, poi, si guardi bene intorno quando effettua i consueti controlli sanitari di routine: osservi bene quanti sono gli apparecchi diagnostici con il marchio "made in Italy". Le uniche merci sicuramente italiane sono i suoi abiti e i pasti che abitualmente consuma con la speranza che non gli rifilino gli ogm. Ma tutto questo non basta a evitare un declino.

Sicuramente il presidente deve infondere fiducia, non può certamente sostenere che tutto fa schifo. Ma dal Quirinale è lecito attendersi molto di più. Per intenderci uno scatto alla Pertini quando si occupò del terremoto dell'Irpina. Può sicuramente permetterselo. Forse si può fare dietrologia sperando che l'appoggio indiretto al governo (soprattutto a Tremonti) sulla retorica del declino sia stato fatto per rimandare al mittente la Gasparri. Se fosse così sarebbe triste. Anche perché di leggi da rimandare al mittente ce ne sono a dozzine e sarebbe utile che Ciampi facesse sapere agli italiani cosa pensa dei condoni e delle sanatorie per l'Italia dei furbi. Cosa pensa dello scudo fiscale, del condono edilizio, ma anche dell'ultimo premio agli evasori: l'estensione a tutto il 2002 del precedente condono fiscale. E sarebbe anche interessante se il presidente dicesse la sua sugli accordi del `92-'93 (portano anche la sua firma) sulla politica dei redditi sistematicamente violata dal padronato, che stanno portando all'esasperazione i lavoratori ingabbiati da leggi liberticide anti-sciopero.



Trasporti, il 15 un nuovo sciopero
Luciano Costantini su
Il Messaggero

ROMA - Nuovo sciopero di bus, tram e metro il 15 dicembre: 24 ore e tutte programmate. Un altro ”lunedì nero”, una protesta che paralizzerà ancora i grandi centri urbani anche se, questa volta, i cittadini sanno almeno e con largo anticipo che i mezzi pubblici non viaggeranno. Se può essere una consolazione?
Il vertice, fissato per ieri pomeriggio, tra i rappresentanti delle aziende e i sindacati è durato pochissimo, il tempo necessario per prendere atto che non c'erano le condizioni per proseguire la trattativa e, tanto meno, per arrivare ad un'intesa. Cgil, Cisl, Uil hanno così formalizzata la protesta per il 15 dicembre, in tempo utile per rientrare nei termini previsti dalla normativa sul diritto di sciopero che stabilisce una tregua sindacale dal 17 dicembre al 6 gennaio. In pratica, l'altra data utile per scioperare sarebbe stata il 15 gennaio: troppo in là per le organizzazioni dei lavoratori che, invece, vorrebbero chiudere la partita in tempi rapidi. C'è solo da ricordare che il contratto degli autoferrotranvieri è scaduto da due anni.
Il governo ha cercato in qualche modo di intervenire per congelare la vertenza facendo approvare in Commissione Bilancio della Camera un emendamento che eroga 33 milioni per il trasporto pubblico. Troppo poco, hanno spiegato sindacati e aziende (d'accordo almeno su questo punto). "Di milioni ne servirebbero almeno 500. E' una situazione di emergenza, speriamo che arrivino provvedimenti di emergenza", ha sottolineato Enrico Mingardi, presidente dell'Asstra, la sigla che raggruppa le imprese.
Il tavolo negoziale tuttavia non è stato chiuso. Nel senso che non c'è stata una rottura netta: aziende e sindacati continueranno a trattare fin da questa mattina e almeno sino alla vigilia del nuovo sciopero. "Certo è - ha avvertito Fabrizio Solari, leader della Filt/Cgil - che per noi il 15 dicembre rappresenta la data ultimativa per trovare un acordo. Lo sciopero intende sollecitare l'intero sistema a fare la propria parte". "Speriamo che il tempo che ci separa dal 15 dicembre possa essere utilizzato bene", hanno auspicato i delegati di Fit/Cisl e Uiltrasporti, Francesco Seghi e Sandro Degni. Insomma, c'è stato un passo in avanti, ma ancora insufficiente.
La tregua armata (durerà una decina di giorni) mantiene aperte tutte le ataviche problematiche, soprattutto di ordine economico finanziario, legate al settore dei trasporti pubblici, ma acuisce anche la polemica sulla attuale normativa del diritto di sciopero. Il ministro Maroni sarebbe intenzionato a rendere più drastiche e pesanti le sanzioni in caso di violazione delle regole (come è avvenuto a Milano), mentre i sindacati difendono l'attuale disciplina. Anzi, se possibile, rilanciano. Secondo il leader della Fit/Cisl, Claudio Claudiani, gli intendimenti di Maroni rappresentanto una vera e propria "provocazione": "Non si possono utilizzare singoli episodi per ridurre il già esiguo spazio del diritto di sciopero". Secondo il cigillino, Gianpaolo Patta "è vero che esistono troppe restrizioni. E non si capisce perchè, dopo aver concesso oltre 100 euro di aumento ai dipendenti della pubblica aministrazione, non possano essere accolte le giuste richieste degli autoferrotranvieri".


Fecondazione, prevale la linea oscurantista
Luana Benini su
l'Unità

La legge sulla procreazione assistita ha spaccato l'Ulivo e soprattutto la Margherita. Ha spaccato anche il centro destra, ma in misura minore. Anche giovedì sono stati bocciati emendamenti del centrosinistra perché una parte dell'Ulivo ha votato insieme al Polo. Il solco che si è scavato al Senato però non è fra laici e cattolici. Perché non tutti i cattolici si sono schierati per una blindatura della legge. Al di là della sdrammatizzazione che ne fa il segretario diessino Piero Fassino ("È un tema così delicato, è legittimo che ci siano posizioni e opinioni diverse") i rapporti fra Ds e Margherita, in questo frangente, a Palazzo Madama, non sono dei migliori. E c'è anche chi chiama in causa la natura e l'ispirazione della lista unitaria dell'Ulivo che fra i suoi valori fondativi dovrebbe avere almeno quello della laicità dello Stato.
L'EMBRIONE DISCORDE I Ds, compresi i cattolici della Quercia, sono compatti a chiedere almeno di modificare le parti più "oscurantiste" della legge. Ad esempio quelle che vietano la procreazione eterologa alle coppie che non possono assolutamente avere bambini, o sono afflitte da malattie genetiche; ad esempio quelle che impongono alle donne l'impianto di tre embrioni o quelle che proibiscono di verificare se un embrione è portatore di malattie ereditarie, così che la donna deve farsi impiantare l'embrione malato, salvo poi poter abortire...ma l'elenco è lungo. Lo Sdi naviga in piena sintonia con la Quercia. Valdo Spini ieri ha lanciato un chiaro allarme: "Ci vuole coerenza nel centrosinistra. Non si può pensare di costituire una lista unitaria nell'ambito dell'Ulivo all'insegna dell'Europa e poi votare una legge proibizionista che ci colloca fuori delle normative esistenti a livello europeo". Insomma, i cattolici possono fare ciò che vogliono per quanto li riguarda, ma non possono "proibire a tutti i cittadini italiani ciò che è permesso per motivi scientifici e medici validi a livello europeo". Contro la legge, i Verdi e il Pdci (che in questo dibattito portano loro specifiche richieste, come l'accesso alla fecondazione assistita anche da parte delle coppie gay). Alleanza popolare-Udeur è invece schiacciata a difesa della legge e vota con il Polo.
PETALO E PETALO La Margherita è divisa in due. Ma la demarcazione non è netta fra laici e cattolici. Alcuni cattolici della Margherita come Marina Magistrelli e Albertina Soliani, ieri hanno partecipato, insieme ai Ds, a una conferenza stampa per lanciare un appello a tutta la coalizione: impegniamoci a migliorare il testo visto che comunque deve tornare alla Camera per una modifica formale che riguarda gli stanziamenti. Il laico Natale D'Amico ha ricordato ai colleghi cattolici della Margherita lo scoglio dell'accesso alla procreazione per portatori di malattie genetiche: "Se la legge resterà invariata ci sarà una forte discriminazione sociale: chi ha malattie genetiche, ma è ricco, potrà andare all'estero, come nella cattolicissima Spagna, per impiantare embrioni sani avendo così figli non malati...". D'accordo con D'Amico, i cattolici Cinzia Dato, Alessandro Battisti, Tiziano Treu, Luigi Zanda... Ma il gruppone ex Ppi della Margherita, che si appresta a votare con il Polo l'insieme della legge, è molto più consistente. "Qui non ci sono laici o cattolici che innalzano bandiere diverse - ha detto ieri in aula Patrizia Toia ricevendo gli applausi dell'Udc e di Fi - Qui ci sono opinioni diverse".

BURQUA NEL POLO Ma anche nel centro destra ci sono lacerazioni. Se è vero che Chiara Moroni, Nuovo Psi, ieri ha tuonato che "la legge mette a repentaglio la salute delle donne, ne calpesta la dignità". E il sottosegretario agli Affari Esteri, Margherita Boniver, non ha esitato a definirla "legge burqa", "razzista", An, Fi, Udc e la Lega (meno Rossana Boldi, violentemente redarguita da Alessandro Cé) hanno fatto blocco. A capeggiare l'esiguo drappello di senatori laici della Cdl che si oppongono alla legge, il senatore Antonio Del Pennino, repubblicano passato al misto: "Il titolo di questo ddl dovrebbe essere “Percorso a ostacoli verso la procreazione assistita”". Anche Alessandra Mussolini che alla Camera aveva fatto il diavolo a quattro cercando inutilmente di convincere Fini e Buttiglione che obbligare una donna a farsi impiantare un embrione malformato era una vera porcheria, ieri è tornata all'attacco: "Lo Stato è laico e tale deve rimanere. Ho sentito il senatore D'Onofrio (Udc, ndr) sostenere che questo è un regalo che vogliamo fare al Santo Padre per Natale. Io gli rispondo che invece è un danno grave per le donne". Regalo di Natale o patto di ferro tra centro destra e Vaticano come sostiene il diessino Giorgio Tonini dei cristiano-sociali?


Un generale scandaloso
Tricarico propone leggi speciali
Alessandro Mantovani su
il Manifesto

Dal centrosinistra è arrivato un coro di reazioni indignate, provenienti anche dai settori più sensibili alle sirene della sicurezza prima di tutto. E persino il Viminale ha bacchettato il generale Leonardo Tricarico, il consigliere militare di Silvio Berlusconi che ieri, in un'intervista al Corriere della sera, ci ha spiegato che contro il terrorismo "le leggi ordinarie non bastano". "E' una guerra - sostiene Tricarico - e come tale va combattuta. Per garantire la sicurezza dei cittadini è necessario rinunciare ad alcuni diritti e privilegi". C''è da attendersi, annuncia il generale, compressioni del diritto alla riservatezza, procedurre eccezionali di vario tipo e anche la chiusura di qualche moschea che rappresenta "un rischio per i cittadini". Secondo Tricarico, su certe cose non è ammessa neanche la critica: "E' impensabile - ha affermato il generale - che il provvedimento di espulsione per sette integralisti islamici firmato dal ministro dell'interno Giuseppe Pisanu scateni critiche e polemiche". Impensabile? Proprio così. "Se esiste la prova che alcune persone sono pericolose per la sicurezza nazionale - ha proseguito - non solo è giusto ma sacrosanto". Già. Le prove però dovrebbe valutarle la magistratura e nel caso dei sette espulsi del 18 ottobre (indagati a Torino) i giudici competenti avevano appena rigettato le richieste d'arresto proprio perché gli indizi circa l'attualità del pericolo non erano stati ritenuti sufficienti, neppure per un provvedimento di natura cautelare che com'è noto non richiede la prova piena.
E' un segnale inquietante, quello del generale Tricarico, innanzitutto perché le indagini sui presunti terroristi islamici presentano già oggi parecchi aspetti discutibili, quasi esorbitanti dal diritto comune. E ora la linea la danno i militari. Palazzo Chigi e il ministro della difesa Antonio Martino si sono guardati ben dal commentare. E neppure dal centrodestra nel suo insieme sono arrivati commenti critici: stavolta non c'è spazio per l'apparente "garantismo" che si schiera in difesa di Cesare Previti o del capo del partito azienda. L'unica, parziale rassicurazione è giunta dal Viminale: "Nessuna misura potrà, neanche sotto il pretesto dell'eccezionalità, compromettere i diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini". E' quasi una sconfessione di Tricarico: "Ogni eventuale iniziativa legislativa - si legge ancora nella nota del ministero dell'interno - verrebbe ovviamente sottoposta alle valutazioni del Parlamento, nel rigoroso rispetto di quei poteri di indirizzo e controllo ai quali il ministero dell'Interno si è sempre attenuto".

E' un pezzo da novanta, il generale. Nel `99, durante la guerra del Kosovo, Tricarico comandava da Vicenza i bombardamenti "umanitari" sulla Jugoslavia, ai quali l'Italia partecipò sotto governi di centrosinistra, per questo fu insignito da Bill Clinton della prestigiosa "Legion of merit". Ha sessantun'anni e, per dirne una, non si è mai stancato di difendere i suoi colleghi con le stellette accusati di aver nascosto la verità sulla strage di Ustica. Però rimane nella stanza dei bottoni, quale che sia la maggioranza politica in carica.


Il governatore nel suo labirinto
Piero Sansonetti su
l'Unità

Storace, alla fine del suo discorso di mercoledì sera, ha citato Ezra Pound, poeta americano amatissimo dai fascisti (insieme a D'Annunzio, Evola e pochissimi altri).
Ha citato un verso di Ezra Pound non dei più lirici: sembra più un proverbio che poesia.
Dice così: "Se un uomo non è disposto a rischiare per le sue idee, o non valgono niente le idee o non vale niente l'uomo". Ha preso un grande applauso, ha sollevato entusiasmo: gli animi erano accesi. Con chi ce l'aveva Storace? Con il segretario del suo partito che è andato a Gerusalemme a condannare il fascismo? Può darsi, ma allora c'è qualcosa di illogico nella trovata polemica. A Fini puoi rinfacciargli tutto quello che vuoi, anche di avere tradito l'eredità fascista, di essere un trasformista, un democristiano e un berluscones: ma non di essere un codardo che non ha voluto rischiare qualcosa. A Gerusalemme ha rischiato, come dimostrano le reazioni furenti di una parte del suo partito e il pericolo di scissione. Forse Storace non ce l'aveva con Fini: ce l'aveva con se stesso. È lui che ha deciso di non rischiare. Ha mandato avanti Alessandra Mussolini e la signora Almirante, e poi ha fatto marcia indietro lasciando le sue amiche in mezzo al guado. Alla grande adunata dell'Hilton, mercoledì sera, ha escluso la scissione, ha detto che resterà dentro Alleanza nazionale dove in fondo si trova abbastanza bene, ha fatto capire che intende usare la forza del dissenso per "trattare" con Fini. Far pesare il dissenso per avere più potere.
L'idea della scissione, evidentemente, non valeva niente: oppure – a dar retta a Pound- non vale niente Storace.
Come stanno davvero le cose? Perché questo passo indietro? Chi l'ha determinato, o chi lo ha imposto? Probabilmente lo ha imposto uno dei nuovi signori assoluti della politica italiana: Renato Mannheimer. Lo conoscete? È il sondaggista del “Corriere della Sera” e dopo Berlusconi e Vespa è l'uomo politico più potente di Italia. Decide lui le mosse dei partiti. Quelli di sinistra e quelli di destra. Mannheimer due giorni fa ha avvertito Storace: l'ottanta per cento dell'elettorato di An sta con Fini. Lo ha scritto sul “Corriere”. Messaggio chiarissimo: se lasci Fini muori. Storace ufficialmente ha polemizzato con Mannheimer, ha contestato il sondaggio. Però il giorno dopo si è adeguato alla direttiva. Nella politica moderna di questi anni Mannheimer ha preso il posto che una volta era di una grande e riverita signora: “L'Analisi”. Con la “A” maiuscola. Una volta i grandi uomini politici, gli statisti, erano quelli che riuscivano a svolgere un'analisi corretta della situazione e delle forze in campo, e ad intuire la via giusta da prendere. Erano quelli che avevano la fantasia sufficiente per cambiare la strada al momento opportuno. Guidavano le masse: si diceva così. La funzione dei partiti era di organizzazione, mediazione del consenso, e anche di guida e di educazione. Gli statisti erano Togliatti, De Gasperi, Moro, e più tardi Craxi e Berlinguer. Oggi il sondaggismo ha rovesciato tutto. La politica si limita a leggere i risultati dei sondaggi, a osservare dove c'è mercato politico e dove no, e a rispettare questo mercato. Non guida: è guidata. Chi guida è Mannheimer, che peraltro è un eccellente professionista.



La famiglia italiana si sente sola
Il Rapporto del Censis
Alessandra Retico su
la Repubblica

ROMA
- Lasciate sole dalle istituzioni, specie nel momento del bisogno, le famiglie italiane non si scoraggiano: provvedono alla cura domestica e dei figli, introducono questi ultimi (più di quanto non faccia il "pubblico") al mondo del lavoro, riescono persino ad andare in soccorso di chi ne ha bisogno, anche se non fa parte del nucleo parentale. Soldi, non molti: ma spendono, a rischio di indebitarsi.
E' la fotografia delle famiglie italiane scattata dal consueto Rapporto annuale del Censis. Nell'analisi dell'istituto di ricerca quello che colpisce è l'estrema solitudine che le famiglie denunciano: sostenere, curare la casa e i figli è insomma un compito che grava quasi esclusivamente sulle loro spalle. Il 65% delle famiglie si sente in questo isolamento nei momenti di bisogno e lamenta di non ricevere supporto adeguato. Che cosa vorrebbe? Politiche pubbliche più efficaci e pervasive. Alla solitudine, il timore espresso da tre genitori su quattro sul clima in generale della nostra società che si aggrava quando mamma e papà devono pensare al futuro dei loro figli.
Eppure - sostiene il centro di ricerca - nonostante e forse in virtù di questo "la famiglia italiana conferma ancora il suo essere nodo cruciale della società". La rete più salda - vista anche la mancanza di alternative - che tiene e tutela i suoi membri. E che "allarga" le sue maglie di assistenza anche al di fuori delle mura domestiche. L'80,3% degli italiani ha infatti dedicato tempo a persone che si sentivano demotivate o depresse, il 68,6% ha aiutato persone in difficoltà, il 60,3% ha sostenuto nelle faccende domestiche una persona con cui non convive, il 59,2% ha versano soldi ad associazioni, il 26,6% ha svolto attività di volontariato, il 20,8% ha partecipato a progetti di adozione a distanza.
Grande solidarietà e intraprendenza. Anche se l'incertezza, specie per il futuro dei propri figli, è altissima. Il 75% dei genitori ritiene, infatti, che i rischi per i figli sono destinati ad aumentare. Per questo la famiglia si elegge, anche dal punto di vista economico, a sponsor e investitore diventando il più attivo se non l'unico "azionista": è lei infatti che investe a lungo termine sulla formazione, dall'infanzia all'età matura. E' sempre lei a cercare e garantire sbocchi professionali che sembrano sempre più rari. E' lei che continua a sostenere, economicamente, ma non solo, i propri pargoli in età matura. E, insieme alla rete di amici, resta il principale canale di entrata nel mercato del lavoro in Italia: ben il 29,7% degli italiani racconta infatti di aver trovato un'occupazione grazie alla famiglia, grazie a un parente stretto (il 19,3%) o lontano (il 10,4%).
Genitori per sempre e, dunque, figli in eterno: i ruoli si protraggono così ben oltre i tempi fisiologici e anagrafici, per diventare occupazioni "a tempo indeterminato". La tendenza registrata già da qualche tempo, si conferma: anno dopo anno aumenta il numero di giovani che continua a condividere il tetto con mamma e papà. Dal 1993 i 18-34enni celibi o nubili che vivono in famiglia è infatti cresciuta ulteriormente, passando dal 55,5% al 60,1% (dato al 2001).
A fronte di tutto ciò, il paradosso di minori disponibilità economiche eppure la voglia di consumare, a rischio di indebitarsi. Nel 2002 il volume del credito al consumo è cresciuto quasi del 6% e nella prima metà del 2003 del 19%. Che cosa comprano chiedendo prestiti le famiglie italiane? Elettrodomestici, auto e motocicli. Per il Censis, vi sono poi segnali di vivacità, apparentemente non coerenti con la stagnazione dei consumi: nel 2002 la spesa per tv, hi-fi e computer è aumentata del 2,3%, quella per le comunicazioni quasi del 4% e quella per viaggi e tempo libero di un più modesto 0,7%. Anche nella prima metà del 2003 la spesa per i beni durevoli è aumentata dello 0,3%.
Il vecchio amore degli italiani per il "mattone" non muore, anzi. Gli investimenti in abitazioni crescono quasi esponenzialmente visto che solo nei primi cinque mesi di quest'anno, il Censis stima che le famiglie che hanno comprato immobili siano aumentate del 31% rispetto all'anno precedente, mentre la stabilizzazione nei mesi successivi porterà a fine d'anno al valore record di 1.1000.000 case comprate o vendute.


   5 dicembre 2003