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La settimana in rete
a cura di Primo Casalini - 21 dicembre 2003

Nota introduttiva.
1. ”Le massaie non leggono i giornali”, ha asserito il premier. Le reazioni sono state diverse e vivacissime, comprese quelle di molte massaie che hanno scritto ai giornali, che evidentemente leggono. Il “SIAMO TUTTE MASSAIE” di Sandra Bonsanti è uno slogan efficace, ma anche Massimo Gramellini ed Aldo Grasso colpiscono nel segno.
2. ”L'incendio di via Keplero” è uno dei più famosi racconti di Carlo Emilio Gadda, certamente il più divertente. Tragicomico, più che divertente. Il brano inserito in questa settimana in rete l'ho trovato nel sito
arts.ed.ac. L'editore dei libri di Gadda è Garzanti.
3. ”I “Consigli di buona scrittura” di Umberto Eco, quando uscirono, come una “Bustina di Minerva” su L'espresso, furono presi come uno scherzo paradossale. Letti oggi, sono proprio dei consigli di buona scrittura dati mediante la cattiva scrittura.
4. Il 6 dicembre ho inserito nei Bei momenti di Arengario “Lorenzo Lotto a Trescore”, riguardo gli affreschi eseguiti dal Lotto nell'oratorio di Villa Suardi. In data successiva ho rintracciato nel sito Val Cavallina due immagini dell'interno dell'oratorio che non conoscevo; le inserisco nella settimana in rete, accompagnate da diverse immagini di opere del Lotto ancora oggi a Bergamo città o in provincia (Ponteranica, Celana). Inoltre, ho trovato l'immagine di una strana tarsia di Santa Maria Maggiore di Bergamo per cui il Lotto fornì i disegni. La trovate qui sotto, accompagnata da una frase di Giovanni Pico della Mirandola che evidentemente ne costituiva la base culturale.

tarsia di lorenzo lotto
  
Chaos non significa altro che la materia piena di tutte le forme, ma confusa e imperfetta, quando adunque la mente angelica era già piena di tutte le Idee, ma anchora imperfette, e quasi indistinte e confuse, si potea chiamare chaos nel quale nacque amore, cioé desiderio della perfettione di quelle. (Giovanni Pico della Mirandola)
p.c.


La corona imperiale del signor B.
Franco Cordero su
la Repubblica 17 dicembre

Scherzi del calendario. Domenica 2 dicembre 1804 Napoleone Bonaparte, già console a vita, ora imperatore in forza del senatoconsulto 28 floreale anno XII e d´un plebiscito, riceve la corona dal papa in Notre Dame, anzi se la posa sulla testa: è l´11 frimaio anno XII; 29 giorni dopo, 10 nevoso, l´empio calendario repubblicano chiude i fogli. Nell´anno 1805 le sorti imperiali pendono: l´armata d´Inghilterra aspetta l´imbarco a Boulogne e attraversando la Manica conquisterebbe comodamente Londra (William Pitt disegna una guerra partigiana dal Galles), ma lunedì 21 ottobre Nelson affonda i vascelli franco-spagnoli a Trafalgar; su 33 usciti da Cadice, ne tornano 9; 4.398 morti contro i 449 inglesi; svanisce il "Leone marino" (nome criptico dei piani hitleriani d´uno sbarco, settembre 1940). Rischia l´abisso anche la Francia, le cui casse piangono, e mentre la flotta va a picco, muovono guerra i due Imperi continentali, Francesco II d´Absburgo e lo zar Alessandro: se ci fosse anche la Prussia, l´avventura napoleonica finirebbe lì; Federico Guglielmo tergiversa; l´armata d´Inghilterra marcia verso est; a Ulm, l´imperatore parvenu sgomina l´inetto barone Carl Mack. Lunedì 2 dicembre, quando gli 87 mila austro-russi (contro 73 mila) attaccano scendendo dall´altopiano, resiste sulle ali, contrattacca al centro, li divide in due: hanno perso 26 mila uomini, il triplo delle perdite francesi; lo zar se ne va, l´Austria capitola. Austerlitz, giornata radiosa nel cui anniversario, 46 anni dopo, Napoleone Luigi Bonaparte, presidente plebiscitario, decapita la Repubblica.
D´imperi sappiamo qualcosa in Italia. I novecenteschi sono due: uno, effimero, lo rifonda sui colli romani l´ex socialista sputafuoco Benito Mussolini martedì 5 maggio 1936 (dura 5 anni, sebbene lo pseudoimperatore Vittorio Emanuele III, poveruomo, declini il titolo fino alla fuga da Roma, in leggi, decreti, atti notarili, ecc.); anche Mediaset riposa sul niente, irradiato dalle tre famose reti, ma quanto differiscono. L´Etiopia era un affare assurdo: poverissima, conquistata con gran scialo (gas inclusi) contro bande scalze, a casa del diavolo, indifendibile; e dissangua le esauste finanze italiane. Sceso sul Mar Rosso a vendicare Adua, l´infallibile Duce ha messo la testa in un nodo scorsoio consegnando l´altro capo alla perfida Albione i cui possedimenti mediterranei concupisce; e 4 anni dopo, le salta addosso sperando che quel Leone marino tedesco accovacciato sulla Manica non l´attraversi subito: è il suo incubo una fine prematura della guerra. L´impero berlusconiano vale sui 40 milioni d´euro, dicono gli esperti.
L´imperatore, venuto dal buio profondo, usa armi consuete agl´italiani (manifesti, scritte, icone, trombe, tamburi, adunate, soi-disante cultura popolare, paura della concorrenza, avversione al mercato), ma disponendo d´ordigni nuovi riesce dove il mancato demiurgo nero falliva, nella pesca delle anime. Il lampo di genio sta nell´avere cambiato chiave puntando al basso: ilarità turpìloqua, estroversione sguaiata, fuga dal pensiero, menzogna a man salva, l´illusione d´una mammella inesauribile, almeno "cinque minuti d´odio quotidiano"; vuole un pubblico d´11 anni, piuttosto tardo. Così diventa due volte presidente del Consiglio: esporta nel mondo l´immagine d´una Italia fescennina; compra quante cervella vuole; manovra l´apparato legislativo; punta al timone d´una Repubblica presidenziale.
Torniamo al fatidico 2 dicembre. Quest´anno cade martedì, giorno d´una doppia vittoria berlusconiana. A Palazzo Madama i partiti governativi votano militarmente la legge che blinda l´impero: quanti nodding donkeys; porta il nome d´un colonnello ex missino, indi postfascista, ora più o meno abiurante, essendosi accorto che politica razziale e patto scellerato con Hitler siano "il male assoluto" (ah, se il fondatore del secondo impero romano fosse stato alla finestra come quel sornione d´un Francisco Franco, caudillo della Spagna falangista che credeva d´essersi infeudata contribuendo alla costosa vittoria sui "rossi"); la disciplina ha prevalso sulla convinzione, ammette con un mesto sorriso il pastore Udc. Gran bella legge, a chi sappia qualche parola latina rammenta due formule: status quo; senza ante, indica le cose quali sono al momento d´un patto; o più chiaramente, uti possidetis; ognuno tiene quel che ha arraffato. Il Sire d´Arcore aveva tre reti, sappiamo come acquisite (privilegi e guerre da corsa): tante gliene restano, in barba alla Consulta; e attraverso la mano politica comanda le tre pubbliche, quale Unto dal popolo sovrano, giudicabile solo dai suoi pari. Come talvolta succede nelle partite forzaitaliote, più o meno condivise da alleati, clienti, parassiti, saltano fuori aspetti fraudolenti. Tali le due misure antitrust. Primo: niente vieta d´aprire vie digitali, non adesso, beninteso, perché ci vogliono da 6 a 10 anni; e quando l´operazione diventi tecnicamente possibile, i nuovi canali lasceranno intatto l´attuale duopolio nell´audience che porta denaro.
Secondo: rispetto al singolo concorrente la raccolta pubblicitaria ha un tetto, il 20%; bene, ma tutto dipende da come calcoliamo il 100%, e qui l´onorevole inventore della legge o i suoi consulenti, interni ed esterni, nonché ille cui prodest, hanno spiritosamente combinato un mostruoso Sic (Sistema integrato delle comunicazioni), dall´editoria scolastica alle pagine gialle, sicché la soglia preclusiva corrisponde all´attuale 90% della doppia raccolta 2003, stampa e televisione. Trucchi da fiera.
Mentre a Palazzo Madama i militanti Cdl votano questa meraviglia, Mediaset e Publitalia celebrano i rispettivi fasti nella convention monegasca. Sulle miserie italiane fa testo l´Imd World Competitivness Yearbook: siamo scesi dal 33? al 41? posto al mondo; il prodotto interno lordo cala d´un punto; 6 punti, calcolato pro capite; il resto è litania calamitosa; a Milano sopravvivono tramvieri pagati 850 € e l´azienda ne offre 12 d´aumento. Tempi da cornucopia sotto il sole d´Arcore, invece: la raccolta pubblicitaria sale del 6.5%; cresce del 5% l´intero gruppo, senza contare la spagnola Telecinco. Qui entriamo nel capitolo "stile d´Arcore": non è una legge ostile a noi, commenta equanime l´Alter Ego fedelissimo; e come ringhiano gli adepti; se qualcuno osa dire che Mediaset s´ingrassa all´ombra politica, lo portano in Tribunale, delinquente mediatico. Il capo dello Stato firmerà, assevera Berlusco felix. L´altro ieri racconta chi sia lui, un condottiero dei venditori al quale riesce ogni impresa dovunque la tenti (affari, calcio, editoria, entertainment, politica, cultura, mediazioni tra i continenti, ecc.). Stavolta perde. Lunedì sera 15 dicembre il Quirinale rispedisce quel capolavoro alle Camere spiegando perché non sia promulgabile. Martedì l´interessato nega d´esserlo: non sa cos´abbiano votato le assemblee, né gl´importano i contenuti del messaggio negativo (art. 74 Cost.); nell´ultimo giorno del semestre europeo posa a "dolce, estroverso, riflessivo", ma non stupirebbe qualche gaffe rumorosa, perché crede d´avere nel codice genetico un 18 brumaio e annessa corona imperiale

oratorio di villa suardi
  
Padrone a casa nostra
Vittorio Emiliani su
l'Unità 18 dicembre

Le prime reazioni sono state di tipo guascone, “da sbrasùn” si diceva una volta a Milano: non leggo le motivazioni di Ciampi, non me ne occupo io della Gasparri che comunque non "mina" un bel niente, la rivotiamo così com'è… Poi i suoi si sono messi al lavoro con uno scopo preciso, di tipo "aziendale": rimettere subito in moto il Premiato Decretificio Parlamento.
Per salvare dall'andata sul satellite la beneamata Rete 4 occupante abusiva conclamata, da anni, della frequenza spettante a Europa 7. Un vero e proprio condono. Di rincalzo è venuto il direttore generale della Rai Cattaneo a sventolare, ancor prima di Fedele Confalonieri, i licenziamenti a Viale Mazzini qualora lo stesso decreto legge non dovesse mantenere, simmetricamente, la pubblicità su Raitre. Va' dove ti porta la riconoscenza. E la collusione nel duopolio.
È partita allora a tutto campo una campagna, molto gonfiata, sui licenziamenti di massa, a Rete 4, con le cifre più svariate (una volta 700, un'altra 1.000) e con Fede sempre più disperato, e in Rai se non arriverà subito il decreto "salvaMediarai", firmato dal vice-presidente del Consiglio, Fini, perché il presidente Berlusconi, è vero che non se ne occupa proprio, ma figura pur sempre a capo di quella corazzata che in questo micragnoso 2003 ha tirato su gli utili più “grassi” della sua ventennale esistenza. Ieri mattina poi Confalonieri, lavorando di accetta, ha semplificato: se vi amputano un terzo di un'azienda, voi cosa fate? Per la verità Rete 4 è l'ultima delle tre reti berlusconiane e anche ieri, nella “giornata del lutto”, ha portato a casa soltanto un 9,25 per cento di share che è, più o meno, un quinto (e non un terzo) del totale di Mediaset nelle ventiquattro ore.
Comunque di nuova legge Gasparri si parla pochino e sempre più di un decreto legge salvifico da calare però in un Parlamento che – per quanto piegato alle necessità personali e aziendali del presidente del Consiglio - ancora si ostina a lavorare come un Parlamento normale, europeo. Cioè non si rassegna a non discutere, a votare a colpi di fiducia, uno dopo l'altro, a convertire decreti legge e basta, a subire leggi delega larghe larghe, a raffica, a non approfondire molto perché bisogna fare in fretta dato che sulla corsia preferenziale arrivano le leggi "aziendali", quelle tagliate su misura per Silvio e i suoi cari (abolizione dell'imposta di successione, cancellazione del falso in bilancio, rogatorie più ardue, la Cirami, il Lodo Schifani). Fino alla Gasparri, la più ingorda delle normative ad personam e quindi quella predestinata a venire rinviata alle Camere dal presidente della Repubblica Ciampi. Autore di un solo messaggio: sul pluralismo. Puntualmente inascoltato. Sostenitore, sempre Ciampi, della libertà di stampa in più discorsi, e di rimando trattato coi guantoni anziché coi guanti dal presidente-imprenditore-monopolista. Il quale, nel compunto silenzio dei due direttori presenti, ha liquidato come “archeologia” i giornali, la carta stampata. Per i quali il suo Fidel (Confalonieri) ha precisato di provare "ribrezzo" se e quando criticano la Gasparri.
Non è facilissimo in queste condizioni riavviare il motore del Premiato Decretificio Parlamento, mettere in riga deputati e senatori già provati da settimane e settimane di legge finanziaria. Che va e viene perché pure qui il governo ne combina di ogni colore. Tanto che Pier Ferdinando Casini - che anche ieri si è dichiarato apertamente a disagio - deve imporre la riscrittura della Finanziaria perché ci sono troppe leggi di spesa senza copertura. E allora la riscrivono, la tagliano, la blindano con tre maxi-emendamenti sui quali, ovviamente, pongono la fiducia. Dal primo esce fuori, per esempio, che l'osceno, incostituzionale condono edilizio non avrà neppure la foglia di fico, dietro la quale si erano nascosti, per dire di sì, i ministri dell'Ambiente e dei Beni culturali, dei 200-300 milioni di euro ai Comuni per riqualificare le aree degradate dall'edilizia illegale, per passare un velo di cipria sul paesaggio, sulle aree demaniali. Roba da dimissioni se Urbani e Matteoli volessero essere seri, coerenti.
Questa stessa Finanziaria, così tagliata, riaccorpata, ricucita e ancora più avara di promesse, adesso dovrà tornare al Senato. Dove il presidente Pera sembra prioritariamente occupato a smitizzare la Resistenza, e quindi non porrà molti problemi. E pensare che la Costituzione, di cui lo stesso Pera ha fruito, reca la firma di Umberto Terracini, in galera e al confino ininterrottamente dal 1926 al luglio 1943 (dopo, andò "in vacanza" nella Repubblica partigiana dell'Ossola, aria buona). Diciassette anni da carcerato per venire adesso, lui pure, ebreo e antistalinista, “smitizzato”. Lui, assieme a Pertini, Dossetti, Lombardi, Zaccagnini, Lussu, Saragat, Foa, e tanti altri costituenti. Assieme a Ciampi che continua a parlare della Patria mai morta e della Resistenza al nazifascismo dopo l'8 settembre '43.
Andiamo avanti. Al Senato ci sono altri ingorghi. Tutta la materia della delega ambientale, la riscrittura completa del decreto Ronchi sugli scarichi e sui rifiuti pericolosi, naturalmente volta ad abbassare il livello dei controlli, magari a far bruciare un po' a tutti i residui ferrosi. E in quell'ambito c'è l'ormai famoso comma 32, lo stesso che depenalizza il reato di quanti costruiscono abusivamente dentro le aree protette, che so, in un Parco Nazionale o in un sito archeologico. Poiché i deputati l'hanno reso anche più disinvolto, il Senato forse cercherà di correggerlo e quindi dovrà tornare indietro. Poi il 23 gennaio scadrà la delega a Giuliano Urbani per il nuovo Codice dei Beni culturali (ma il Testo Unico non rimonta appena al 1999?) col quale viene smontata, di fatto, la legge Galasso sui piani paesistici che lo stesso Senato, nel 1985, votò quasi alla unanimità dopo un memorabile discorso di Giulio Carlo Argan. Come si fa a negare ad Urbani il suo Codice? E però bisogna dare disco verde al decreto legge "aziendale" (intanto lo approviamo, poi si vedrà, all'italiana) del Presidente Berlusconi. Che non le guarda nemmeno le sue Tv, che proprio non se ne occupa, non fa una telefonata, niente di niente. E per magìa il suo titolo (sino all'altro ieri) sale, sale, l'utile netto va come un missile, la raccolta pubblicitaria si allarga nonostante l'italica micragna. Che importa se il Pil quasi non cresce, se l'Europa fa fiasco e il Parlamento lavora nel peggiore dei modi? "Ciascuno è padrone a casa sua", aveva promesso agli italiani in campagna elettorale e lui Montecitorio e Palazzo Madama li vorrebbe, se potesse, aperti essenzialmente per le visite guidate.

oratorio di villa suardi
  
Siamo tutti massaie
Sandra Bonsanti su
Libertà e Giustizia 12 dicembre

Obsoleto sarà lei… Da molte ore sto cercando di controllare la rabbia che mi sono presa ascoltando quell'esperto venditore di spazzatura che è il nostro presidente del consiglio affermare, con l'espressione assorta di chi cerca consensi attorno a sé, che i giornali, la carta sono un prodotto obsoleto, che nessuna massaia legge. Gli editori? “Costruttori di carrozze”. I direttori? “Dittatori”. Accanto a sé ne aveva un paio di questi dittatori e le cronache non raccontano che faccia abbiano fatto.
La sottoscritta, che è una donna e che ha diretto per molti anni uno di questi prodotti obsoleti, di sicuro si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata, anche per non tirare nel mucchio il primo oggetto che le fosse capitato tra le mani.
Per fortuna i miei colleghi non sono così suscettibili e certamente sono molto più beneducati di me.
Però dovete ammettere: dopo una vita di lavoro e passione, trascorsa tra la carta del giorno prima e quella del giorno di poi, tra tanti giornalisti che non erano stati informati della inutilità di scrivere, dal momento che le massaie non li avrebbero mai letti, così come i fabbricanti di pannolini non avrebbero mai acquistato su quelle pagine spazi pubblicitari, dopo tutto questo, le ore piccole, la faticosa ricerca di verità anche quelle più scottanti e nascoste, dopo tutto ciò improvvisamente parla il Cavaliere (bel cavaliere davvero!) e ti senti una fallita, una con l'orologio fermo mentre la storia corre verso futuri radiosi fatti di mille canali e tanto digitale.
Mi aspettavo una ribellione: di qualcuno della nostra professione (ho visto poco fa che il segretario della Fnsi ha protestato), ma soprattutto di quella parte della classe politica che pure si batte per la libertà di stampa, per il pluralismo dell'informazione. Pensavo che qualcuno si chiedesse: ma è davvero lecito che l'uomo più ricco d'Italia, padrone di tutta l'informazione televisiva, parli a questo modo? Che difenda i suoi interessi commerciali tanto spudoratamente? Che umili una professione, un lavoro che è ancora fra i più appassionanti e soprattutto fondamentale per la formazione del cittadino democratico? Ma chi è lui per dirci obsoleti? Chi si crede d'essere…
Non domino la rabbia. I politici della destra gongolano, quelli del centro sinistra si azzuffano: è lecito dividersi su questioni di coscienza? Nemmeno all'asilo hanno sul serio di questi dubbi.
Buona notte, Italia.
p.s.: sogno la rivolta delle massaie… Scriveteci, care massaie amiche di Libertà e Giustizia…SIAMO TUTTI MASSAIE
p.p.s.: serviva una conferma del conflitto di interessi che è alla base della legge Gasparri? Presidente Ciampi, è arrivata...


La massaia di Arcore
Massimo Gramellini su La Stampa 12 dicembre

Grazie, dottor Premier. E noi che per anni avevamo sbattuto la testa nei rapporti del Censis, con tutte quelle classificazioni in ceti e sottoceti, neanche gli italiani fossero un popolo di carciofini. La Sua ultima berlusconata su stampa & tivù fa piazza pulita di queste sciocchezze. L'Italia è una cosa semplice: la comanda uno e si divide in due. Da una parte l'élite degli sfaccendati che legge i giornali, si eccita fisicamente per un'intervista a Gavino Angius e divora le pagine culturali in cerca di qualche mostra di vasi etruschi. Dall'altra le massaie. Donne allergiche alla parola scritta, segregate in tinello sotto l'occhio vigile della tivù, alle quali i signori mariti concedono la libera uscita solo per andare al supermercato a comprare i prodotti suggeriti dalla tivù. I professionisti della menzogna obietteranno che il mondo dei comuni mortali è un po' cambiato da quando Lei lo lasciò negli Anni 70 per entrare nell'iperuranio degli affari. E che oggi la "massaia" è più che altro una categoria dello spirito, mentre le nostre case sono abitate da donne reali che fanno doppi e tripli lavori e non hanno il tempo di andare dal parrucchiere, figuriamoci di rimbecillirsi davanti agli spot. Lei però non li ascolti e tenga il punto. C'è soltanto un problema. Ieri, al supermercato, ho chiesto un commento sulle Sue parole a quattro "massaie". Si sono offese. Ma la cosa incredibile è che due di loro le avevano già lette. Sul giornale. Forse la Zanicchi ha fondato un quotidiano e non Le ha detto niente.


Anche le massaie leggono...
Aldo Grasso sul Corriere della Sera 12 dicembre

Scrive una lettrice di Vergiate, provincia di Varese: "Sono una massaia di 63 anni. La prima parola che ho imparato a leggere è stata Corriere della Sera e da allora l'ho sempre letto tutti i giorni e se vado all'estero il primo pensiero è dove trovare il Corriere . Vorrei dire al sig. Berlusconi, prima di parlare, riflettere". La signora si chiama Maria Luisa ed è particolarmente arrabbiata col premier che l'ha tirata in ballo in modo offensivo. Non che si sia riferito direttamente a lei ma ha ingiuriato la categoria cui la signora si onora di appartenere: massaia. In margine a un convegno sulla legge Gasparri, Berlusconi ha dapprima liquidato i giornali come "prodotto obsoleto" per poi escludere che la nuova legge favorisca gli introiti pubblicitari per le tv a scapito della carta stampata. E comunque, ha sostenuto, quando gli editori aspirano a togliere fette di pubblicità alle tv (in particolare nel settore dei generi alimentari e dei pannolini) "si illudono" perché "nessuna massaia legge i giornali". Pare dunque che Berlusconi non abbia grande stima delle massaie, incapaci, a suo dire, di tenere in mano un quotidiano, ormai abbruttite davanti al video per seguire "Vivere", "Beautiful" e "Centovetrine" proprio nel momento in cui dovrebbero occuparsi almeno della cucina. Ci risiamo, torna prepotente lo stereotipo della Casalinga di Voghera, emblema della donna trascurata e incolta, poco più che una domestica, signora delle faccende di casa ma incapace di ragionare con la sua testa. E' strano però che Berlusconi chiami ancora una donna "massaia" (la massaia rurale è un'istituzione tipica del regime fascista) e la tratti come una che ha portato il cervello all'ammasso. In fondo se le massaie sono un po' così, così come lui se le immagina, la colpa è anche un po' di chi le ha sottoposte a feroci intontimenti mediatici. Per Berlusconi l'unico consiglio che si può dare loro è sempre e solo un consiglio per gli acquisti. Proviamo invece ad accettare l'invito della signora Maria Luisa: riflettiamo! Prima di parlare e, prim'ancora, di pensare . Nessuno escluso.

pala in santo spirito a bergamo
  
La Resistenza che Pera vuole archiviare
Giorgio Bocca su
la Repubblica 17 dicembre

Dall'8 settembre del ´43 al 25 aprile del ´45 ho vissuto in un mito. La notte del 19 settembre del ´43 credevo di essere al seguito di Duccio Galimberti a Boves incendiata dalle SS del maggior Peiper e invece stavo in un mito inventato dai comunisti, come dice il professor Pera che ? come presidente del Senato ? sta anche lui nel mito: saranno gli storici, dice, a stabilire se esiste o meno una Repubblica fondata sulla Resistenza.
Quarantacinquemila partigiani caduti, ventimila mutilati e invalidi, il più forte movimento di resistenza in Europa dopo quello jugoslavo, gli operai e i contadini per la prima volta partecipi di una guerra popolare senza cartolina precetto, una formazione partigiana in ogni valle alpina o appenninica, la cruenta e sofferta gestazione di una Italia diversa, ma finalmente il professor Pera ci avverte che trattavasi solo di un discutibile mito da affidare agli storici. Anche le pallottole che sibilavano in quel mito saranno convalidate o meno da loro. La fiducia che mostra il presidente del Senato, seconda carica dello Stato democratico fondato su un mito, è davvero singolare: lui rifiuta il mito resistenziale, si duole di aver subito una storia di parte e ne affida la revisione agli storici, separati dalla politica. Cioè a un altro mito, quello della storia scientifica.
Il professor Pera dice di essere stato ingannato dal mito resistenziale inventato dai comunisti e ancora se ne duole.
Vorremmo rassicurarlo: quel mito non è nato dalla fantasia e neppure dalla propaganda politica ma dai fatti di cui narrano le lapidi e i monumenti sorti a memoria in ogni città e villaggio.
Vorremmo anche noi, che ci siamo stati di persona in quel mito, che fossero invenzioni, propaganda, faziosità politica i torturati e impiccati e carbonizzati di Boves di Meina, del Grappa, della Benedicta, di piazzale Loreto dei grandi combattimenti in valle Stura o in val Chisone. Ma qualcosa di vero deve pure esserci stato, ne testimoniano i bollettini della Wermacht quando le divisioni tedesche "si sono aperte la strada verso i valichi con la Francia occupati dai ribelli". Era l´agosto del ?44 e nella realtà, non nel mito, le bande di Giustizia e libertà, dei garibaldini e degli autonomi partecipavano alla grande operazione dello sbarco alleato in Francia. Che mito concreto quello della Resistenza! Quasi quasi sembra vero. La Resistenza come il Vello d´Oro, come il viaggio di Enea da Troia ai Colli latini? Perché no? Anche i miti possono fondare gli Stati, creare delle koinè sociali, delle coesioni nazionali. Ma anche qui oltre il mito c´è stato molto di concreto.
Senza la Resistenza per dire, l´Italia sarebbe ancora un regno, sarebbe ancora allo statuto Albertino. Fu la Resistenza, anche se mitica, a costringere il luogotenente Umberto di Savoia a firmare l´impegno per il referendum.
Lei, presidente Pera, dice che l´antifascismo è superato, che la Resistenza non è più il fondamento dello Stato. Ma è dalla Resistenza non dal suo mito che nascono le regole democratiche. Lo ha riconosciuto persino l´onorevole Gianfranco Fini, apostata del neofascismo: ha detto e scritto che i valori della Resistenza sono quelli su cui è fondata la nostra democrazia e lei e Paolo Mieli volete rinviarli al giudizio degli storici veri? Le dichiarazioni della seconda carica dello Stato, la sua distinzione fra antifascismo e democrazia, la sua adesione al revisionismo reazionario che sta sommergendo non solo il nostro Paese ma l´intero occidente appartengono a quei cicli storici, inspiegabili ma irresistibili, per cui ciò che si credeva morto e sepolto rinasce irrazionale e imperativo come prima. La libertà ha le sue stagioni, ciò che sembrava un dono per cui valeva la pena di rischiare la vita diventa un peso, un rischio intollerabile perché ritorna prepotentemente il bisogno di avere un padrone.
La sua distinzione fra storia e politica, caro professore, è inesistente, ciò che esiste e che sale è la grande marea autoritaria, e il secolare trasformismo per cui si tende sempre a saltare sul carro del vincitore. Non facciamola troppo difficile, troppo nobile, troppo furba. Il rifiuto dell´antifascismo in pratica è adesione al regime autoritario che sta prendendo corpo, è la accettazione della sua prepotenza e delle sue cadreghe, dei suoi posti di potere nell´informazione, nella burocrazia, nel sistema bancario, in tutto.
La denuncia della quasi dittatura comunista è un´altra grandissima balla: la democrazia italiana per mezzo secolo è stata una coesistenza dei diversi che però accettavano le regole comuni costituzionali. Ora anche grazie agli intellettuali come lei sta scivolando verso il pensiero unico dell´affarismo e del disimpegno consumistico, verso la dittatura morbida.
In una cosa lei e i suoi compagni di revisionismo avete ragione: la Resistenza è stata una pagina anomala della nostra storia, nella quale la norma è quella di un unanimismo rassegnato e umiliante, di una maggioranza silenziosa che ha bisogno di un padrone o di giocolieri delle parole, che chiamano pace la guerra, aiuto umanitario le occupazioni, storia la propaganda. Godetevi i vostri cadreghini e le loro prebende, ma non spacciatele per ricerca della verità.

pala in san bernardino a bergamo
  
Tre Buongiorno
Massimo Gramellini su
La Stampa

José Cecchi Gori
13 dicembre
Se qualcuno vi dicesse: "Salve, sono José, il figlio segreto di Vittorio Cecchi Gori, e in cambio di un bel po' di euro posso darvi una parte in un film di fantascienza", voi come reagireste? Decine di aspiranti attrici e attori hanno pagato senza fare neanche una pernacchia, prima che "José" venisse arrestato davanti a Cinecittà (davanti, mica dentro), mentre riscuoteva i frutti del suo talento truffaldino. Che di talento si tratti, non c'è dubbio. Al suo cospetto, "l'uomo delle stelle" che nel film di Tornatore girava la Sicilia facendo finti provini a pagamento, scade a comparsa. Quello si misurava con un'umanità ancora ingenua. Questo con la generazione più cinica e scafata della storia.
Fregare il prossimo è un mestiere molto affollato. Ma nessuno aveva mai osato praticarlo dietro una maschera così improbabile. Intanto l'idea di accreditarsi come erede di un produttore in disgrazia. Poi quel nome spagnoleggiante addosso a un tipo che parlava siciliano e si spacciava per figlio illegittimo di un toscanaccio: la mamma chi era, una torera di Palermo? Infine la firma dell'impresa: il film immaginario era, per l'appunto, di fantascienza. Vittorio e José Cecchi Gori presentano: "Balle stellari". Eppure gli hanno dato retta. E' proprio vero che questo popolo di scettici e di dietrologi riesce a credere a tutto, soprattutto all'incredibile, purché chi glielo vende sappia colpirlo nei suoi sogni e desideri più intimi.

Poveri lavoratori 17 dicembre
Nel silenzio assordante della politica, giustamente impegnata a salvare i Mille di Emilio Fede, l'Annuario 2003 dell'Istat ha fornito ieri un dato da allarme rosso. Crescono gli occupati (+315.000) ma non la distribuzione della ricchezza. Quasi 4 famiglie su 10 dichiarano di star peggio di un anno fa. Salta il nesso, che pareva scontato, fra lavoro e benessere. Il posto sicuro non rappresenta più una garanzia di sopravvivenza dignitosa e al trauma di chi lo ha perso, o lo cerca senza trovarlo, si aggiunge adesso quello di chi uno stipendio ce l'ha, ma troppo basso per consentirgli di conservare il tenore di vita a cui aveva abituato la propria famiglia.
Lo sciopero selvaggio dei tramvieri è l'avvisaglia di un vento gelido che, per tacer dei pensionati, spira ormai su milioni di dipendenti e di "flessibili", che pur rientrando nella casella "buona" degli occupati, guadagnano cifre insufficienti a contrastare l'aumento delle tariffe e dei servizi garantiti un tempo dallo Stato.
Nella pancia della società sta crescendo una generazione di giovani lavoratori che riescono a mantenere a malapena il livello di benessere che avevano quando studiavano. E soltanto grazie all'aiuto dei genitori, le cui entrate vengono così spremute fino all'osso, azzerando qualsiasi propensione familiare al risparmio. Sullo sfondo si accendono le luci del luna park natalizio. Ma a che scopo, se il ceto medio per il quale era allestito lo spettacolo non è messo in condizione di parteciparvi?

Per chi vota sola 18 dicembre
Con buona pace di Berlusconi e delle sue massaie immaginarie, la bussola della politica è nelle mani delle donne sole. Lo rivela uno studio americano sulle Presidenziali del 2000. Nubili e divorziate votarono contro Bush con percentuali che nemmeno i neri: 65 a 35. Ma votarono in poche. Se si fossero recate alle urne quanto le sposate, oggi avremmo Al Gore alla Casa Bianca, Saddam ben pettinato e il parco di Yellowstone senza motoslitte (l'ultima trovata inquinante di George II: nella sua copia della Bibbia mancano le pagine sul rispetto della natura, le avrà mangiate Yoghi).
La single media non è una talebana nevrotica modello Sabina Guzzanti, anche se in astratto preferisce la sinistra alla versione più recente della destra, quella allergica ai diritti civili. E' un'idealista che diffida dei compromessi, altrimenti sarebbe - o sarebbe ancora - sposata. E se alle elezioni si astiene è perché tutti i partiti rimbambiscono di promesse le famiglie, mentre di lei e dei suoi problemi non si occupa nessuno: una sensazione che le ricorda dolorosamente la vita privata. Facile immaginare che da qui alla fine del decennio questa minoranza affamata di riconoscimenti e in continua crescita verrà scoperta, e circuita, dalla politica. Nell'America di Thelma e Louise dovrebbe avvantaggiarsene Hillary Clinton. Mentre nell'Italia di Margherita Buy la voglia di tenerezza e di illudersi ancora potrebbe indurre le single a idealizzare il più femmineo dei maschi: Walter Veltroni.

part. angelo
  
La bambina, il pappagallo ed il Besozzi
da “L'incendio di via Keplero” di Carlo Emilio Gadda
su
arts.ed.ac.


Gli effetti dell'incendio, lì per lì, furono terrificanti. Una bimba di tre anni, Flora Procopio di Giovan Battista, lasciata sola in casa con un pappagallo, dal seggiolone dove l'avevano issata e imprigionata chiamava disperatamente la mamma senza poterne scendere, e grosse lacrime come disperate perle le gocciavano e rotolavano giù, dopo le gote, per il bavaglino fradicio con su scritto "Buon Appetito", fin dentro la polta papposa d'un suo caffelatte dove a poco a poco ci aveva messo a bagno tutto un bastone di pan francese evidentemente mal cotto più alcuni biscotti di Novara o di Saronno che fossero, ma di tre anni loro pure, questo è certo. "Mamma, mamma!" urlava terrorizzata; nel mentre di là dall'altro capo della tavola il variopinto uccello, col suo rostro a naso di duchessa, ch'era solito stimarsi e andare tutto in visibilio e in sollucchero non appena i ragazzi lo apostrofavano di strada "Loreto, Loreto", e anche in superbia, oppure lo prendeva una specie di malinconia e di letargo senza rimedio, o invece se lo incitavano "Voèi, Loreto, canta!… desèdes… canta Viva l'Italia!… Voèi, baüscion d'on Loreto!",allora appena sentire quel "canta" lui rimbeccava con un dolce gorgoglio "Kanta-tì",questa volta invece, povera creatura, altro che Kanta-tì! Oh Dio, sì, difatti, per vero dire, un certo sentore di bruciaticcio lui lo aveva già percepito, se pur senza troppo inquietarsene: ma quando però vide i petali di quella così sinistra magìa
traversargli in diagonale diretta la finestra aperta e poi entrargli in camera come tanti pipistrelli infuocati e mettersi a lambire gli sdrusci della tappezzeria secca e la taparella gialla, di stecchi di frassino, arrotolata coi suoi cordigli frusti nella parte superiore del vano, allora prese tutt'a un tratto a squittire anche lui dal fondo del gozzo tutto quello che gli venne in mente, tutto in una volta, come fosse una radio: e sparnazzava impaurito e pauroso verso la bimba, con impeti sùbiti, mozzati ogniqualvolta, dopo mezzo metro di sbatacchiamento, dalla perfidia inesorabile della catenella che per una zampa lo legava al paletto.
Si diceva che in gioventù avesse appartenuto al generale Buttafava, reduce dalla Moscova e dalla Beresina, indi al compianto nobile Emmanuele Streppi: una gioventù riposata e piena d'idee, in Borgospesso: e fosse riuscito a battere in longevità non solo lo Streppi, ma tutte le più venerande figure del patriziato lombardo, di cui, del resto, andava dicendo corna ai passanti. Stavolta però, di fronte a quel volo di tàlleri affocati che parevano vaporar via dalla zecca maledetta di Belzebù, aveva perso al tutto la trebisonda: pareva impazzire: "Hiva-i-Ità-ia! Hiva-i-Ità-ia!", s'era messo a squittire a squarciagozzo, svolazzando con la catenella tesa alla zampa in una meteora di penne e fra un subisso di carta arsa e fuliggine, nella speranza d'arrivare a propiziarsi la sorte, mentre la bimba strillava "mamma, mamma!" ed urlava terrorizzata dentro il suo pianto, battendo sulla tavola con l'impugnatura del cucchiarone. Finché un certo Besozzi Achille di anni 33, pregiudicato in linea di furto e vigilato speciale della Regia Questura, disoccupato, siccome era costretto, in causa della disoccupazione, a dormir di giorno per poter esser franco a sbrigare un qualche lavoruccio nottetempo, caso mai ce ne fosse di bisogno, e nonostante la vigilanza, tanto da guadagnarsi un boccon di pane anche lui, povero cristo, così fu una vera fortuna e gran misericordia di Sant'Antonio di Padova, bisogna proprio dirlo a voce alta, e riconoscerlo, questa di questo vigilato speciale che dormiva proprio al piano di sopra e nella stanza di sopra, dalla signora Fumagalli: in una ottomana in famiglia; che appena capito il pericolo subito s'era fatto coraggio, lì per lì, tra la paura e il fumo, un fumo che ventava su dalla tromba delle scale come la fosse un camino, e tutte quelle donne precipitanti in vestaglia o in camicia di gradino in gradino, e i gridi, e i bimbi, e la sirena dei pompieri in arrivo. Sfondò l'uscio dei Procopio, a calci, a spallate, e salvò la creatura e l'uccello; e anche un orologio d'oro che c'era sul comò, che però poi quello si dimenticò di restituirlo, e tutti credettero che fosse stata l'acqua dei pompieri, con cui, per poter spegnere il fuoco, avevano inondato la casa da cima a fondo.
Il Besozzi aveva udito le grida: e sapeva che la bambina era sola: perché verso le cinque del pomeriggio era l'ora, giusto, che soleva sbarcare dall'ottomana sulle banchine della risveglia coscienza, tutte ingombre di fastidi con la questura; che si fregava gli occhi, si grattava un po' qua un po' là, specie dentro la zazzera, e finiva col metter la testa sotto il rubinetto dell'acquaio; che si asciugava, – con un asciugamano color topo di chiavica, – che si pettinava – con un suo mezzo pettine tascabile, verde, di celluloide: – e poi, tòltine uno a uno con gran delicatezza i capegli che vi s'erano impigliati, li contava e li consegnava uno dopo l'altro all'acquaio rigurgitante di pile di scodelle e di piatti unti della cucina alla casalinga della "pensione" della Isolina Fumagalli.Poi, sbadigliando, s'infilava quei quattro cenci, e quelle due torpediniere vecchie delle scarpe mezzo sfatte dal sudore dei piedi, finché usciva risbadigliando sul pianerottolo e prendeva stracco stracco a bazzicar giù e su le interminabili scale, pieno di pretesti, e ogni tanto saettava fuori dai buccinatorii il dardo liquido della saliva sui gradini o sul muro, svogliato e inuzzolito ad un tempo, coll'ossa ancor molli dall'ottomana, nella speranza d'un qualche buon incontro. Incontro, oh, si sa, con una qualche casigliana di quelle, e ce n'era delle stagne, e prosperose; e decise: e poi svelte a sbatacchiare i tacchi giù per i gradini tatìc e tatàc fino in fondo, e fino fuori della porta: che qualcheduna di sicura non ne mancavano davvero al numero 14, con tutto che il Keplero c'è fior di negozianti, ormai, che in questi ultimi anni ci sono andati a star di casa con la famiglia. Sicché quel giorno aveva incontrato la madre, una dispettosa!; e sapeva dunque che la bambina era rimasta sola col pappagallo. E così la salvò. E anche il Loreto. Avrebbero un po' imparato chi era, lui, e com'era fatto di dentro; e come li compensava della superbia; e con tutte le grane che la questura andava dietro a piantargli, giorno e notte. Va be': l'orologio: quant'a quello, è un altro conto, si sa: peggio per loro se lo avevano lasciato sul comò, nel momento proprio che gli va a fuoco la casa.
"L'incendio", dissero poi tutti, "è una delle cose più terribili che sia." Ed è vero: fra la generosità e la perplessità de' pompieri d'oro: fra cataratte d'acqua potabile sopra le ottomane pisciose e verdi, ma stavolta minacciate da un ben brutto rosso, e, sopra i cifoni e i credenzoni, custodi magari d'un mezz'etto di gorgonzola sudato, ma leccati già dalla fiamma come il capriolo dal pitone: con zampilli, spilli liquidi, dai serpi inturgiditi e fradici dei tubi di canapa, e lunghe, lancinanti zagaglie dagli idranti d'ottone, che finiscono in bianche zazzere e nube nel cielo dell'agosto torrido: e isolatori di porcellana semi-usti cader giù a pezzi a frantumarsi del tutto contro il marciapiede patatràf!: e fili di telefoni bruciati che svolavano via nella sera dalle lor mensole fatte roventi, con penisole nere e volanti di cartone e mongolfiere di tappezzeria carbonizzata, e giù, tra i piedi degli uomini, e dietro le scale mobili, anse e rigiri e impennate di tubi che sprizzano zampilli parabolici da tutte le parti nella mota della strada, vetri in briciole in un pantano d'acque e di melma, pitali di ferro smaltato ripieni di carote buttati giù di finestra, ancora adesso!, contro gli stivaloni dei salvatori, i gambali dei genieri, dei carabinieri, degli ingegneri comandanti dei pompieri:e il protervo e indefesso cic-ciàc, e cicìc e ciciàc, delle ciabatte femminine a raccoglier pezzi di pettine, o schegge di specchio, e immagini benedette di San Vincenzo de' Liguori dentro lo sguazzo di quella catastrofica lavanderia.


pala di celana (part)
  
Consigli di buona scrittura
di Umberto Eco
Parole catturate in rete

1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.

2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.

3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.

4. Esprimiti siccome ti nutri.

5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.

6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.

7. Stai attento a non fare... indigestione di puntini di sospensione.

8. Usa meno virgolette possibili: non è "fine".

9. Non generalizzare mai.

10. Usare le parole straniere non è bon ton e potrebbero portare a misunderstanding.

11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: "Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu."

12. I paragoni sono come le frasi fatte.

13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s'intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).

14. Solo gli stronzi usano parole volgari.

15. Sii sempre più o meno specifico.

16. La litote è la più straordinaria delle tecniche espressive.

17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.

18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.

19. Metti, le virgole, al posto giusto.

20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.

21. Se non trovi l'espressione italiana adatta non ricorrere mai all'espressione dialettale: peso e! tacòn del buso.

22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono "cantare": sono come un cigno che deraglia.

23. C'è davvero bisogno di domande retoriche?

24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe - o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento - affinché il tuo discorso non contribuisca a quell'inquinamento dell'informazione che certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.

25. Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.

26. Non si apostrofa un'articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.

27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!

28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.

29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.

30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva anche il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l'autore del 5 maggio.

31. All'inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).

32. Cura puntiliosamente l'ortograffia.

33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.

34. Non andare troppo sovente a capo.
Almeno,
non quando non serve.

35. Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.

36. Non confondere la causa con l'effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.

37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.

38. Non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differanza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva - ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica - eccedano comunque le competente cognitive del destinatario.

39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.

40. Una frase compiuta deve avere

accademia carrara di bergamo
  
Chi c'è dietro “Narconon”?
Gianluca Neri su
GnuEconomy 18 dicembre

E' stato più forte di me: ho cliccato. Ero sull'incolpevole Leonardo. Stavo leggendo la sua recensione de “La meglio gioventù”. Pensavo di essere al sicuro. Invece.
Invece sapete quel brivido lungo la schiena di quando, non si sa perché e percome, affiora un dubbio, la sensazione che qualcosa lo si è già visto, e non era nulla di buono?… Clicco, dicevo, su un link demenziale come “Figlio si droga” (amo il trash: avrei cliccato anche se ci fosse stato scritto “Moglie zoccola”, “Sorella baldracca”, “Capufficio stronzo”).
Mi ritrovo sul sito di un “centro di disintossicazione e riabilitazione da droghe e alcool”. Si chiama “Narconon ”, e io questo nome l'ho già sentito. Poi mi fido poco dei disclaimer annebbiati e font extra-small, quindi evidenzio e leggo: “NARCONON® e il logo Narconon sono marchi d'impresa e di servizio di proprietà dell'Association for Better Living and Education International (ABLE) e sono usati con il suo consenso. Si ringrazia la L. Ron Hubbard Library per avere concesso la riproduzione di materiale protetto da copyright”.
Lo sapevo. Scientology. Lo sapevo.
L'avrei comunque scoperto andando avanti con la navigazione: “Come disse il fondatore del Narconon, William Benitez, a proposito di ciò che aveva appreso dai lavori di L. Ron Hubbard che aveva adottato per il programma Narconon, "Ciò che mi aveva stupito era che il lavoro di Hubbard si concentrava non solo nell'identificare le abilità, ma anche in una metodologia pratica (esercizi) grazie a cui svilupparle. Realizzai così che la tossicodipendenza è una disabilità che si instaura quando una persona cessa di usare le proprie abilità essenziali a un'esistenza costruttiva". L'intero programma Narconon è stato sviluppato in base a questa premessa fondamentale: una persona risolve le 'disabilità' aumentando le proprie 'abilità”.
Per la cronaca, William Benitez - sempre che sia realmente esistito - era un un detenuto del carcere statale dell'Arizona tossicodipendente fin dall'età di tredici anni, e quelle dei corsi su corsi (a pagamento, ça va sans dire), degli esercizi, dell'amplificazione delle abilità di una persona, della presa di coscienza di sé, sono le tipiche puttanate che Scientology va spacciando da anni.
Si rischia persino grosso, ad utilizzare il termine “puttanate”. E non perché non si tratti, effettivamente, di puttanate, quanto per il fatto che dall'altra parte c'è Alfredo Biondi, Forza Italia, l'ardito avvocato difensore dell'associazione che ha dichiarato: "Sono orgoglioso di essere amico di Scientology".
E mica per niente, infatti, mentre in Germania Dianetica e succedanei sono lì lì per essere banditi e considerati “associazioni a delinquere”, la Scientology de noi antri, camuffata da caritatevole comunità di recupero per tossicodipendenti, ottiene le raccomandazioni per iscritto di un responsabile della Medicina Interna della Clinica ARS medica di Roma; di un Docente del Ministero di Grazia e Giustizia e del sociologo Sabino Acquaviva.
Acquaviva, tanto perché ve ne rendiate contro, non solo fu il responsabile della programmazione culturale della Rai durante la presidenza di Letizia Moratti, ma anche quello che dichiarò: "Guardi, io so che la tesi che lo spinello si può fumare perché tanto non fa nulla è la stessa degli spacciatori".
Triste che ora le tesi dianetiche, la fuffa e le pastigliette di Scientology stiano invadendo Google AdSense andandosi a posizionare sulle testate di numerosi ed ignari bloggers.
Triste che queste pubblicità testuali non siano chiaramente contrassegnate come si fa con i dialer porno con chiamata intercontinentale, quando è sempre di comunicazione ingannevole che si sta parlando.
Ulteriori e precisissime informazioni su tutto ciò che riguarda Scientology le trovate su “Allarme Scientology ”: spiegare meglio di quanto fanno loro no, non saprei proprio farlo.
Una cosa la posso dire: che uscire dal tunnel della droga per entrare in quello di Scientology rappresenti un miglioramento è tutto da dimostrare.

accademia carrara di bergamo
  
Macché Saddam, è Babbo Natale!
L'increscioso scambio di persona
Lia Celi su
Clarence Paginatré 15 dicembre

Si trovava in Iraq per portare doni ai bambini poveri di Tikrit, ma il diabolico Rais si è sostituito a lui approfittando della somiglianza. I primi sospetti sulla sua vera identità sono scattati quando ha chiesto un interprete norvegese, ora per il riconoscimento ufficiale si attende l'arrivo della Befana. Subito scattate le ricerche di un individuo di pelle olivastra che poco prima della cattura del presunto Saddam è stato visto allontanarsi dal nascondiglio a bordo di una slitta trainata da renne. Avvertito dell'equivoco, Bush raddoppia l'esultanza: "Sono cinquant'anni che sogno di mettere le mani addosso al vecchio bastardo che mi portava sempre carbone". Il prigioniero Santa Claus comunque pare disposto a collaborare con le autorità Usa: avrebbe già rivelato l'ubicazione dei depositi segreti di videogiochi e di peluches. Ora milioni di genitori in tutto il mondo chiedono di processarlo per crimini contro il loro portafoglio, ma è già allarme per le possibili ritorsioni terroristiche: si temono attentati con Barbie kamikaze a bordo di automobiline-bomba.


Milano: caccia all'untore
Riccardo Orioles su Clarence Tantoperabbaiare 15 dicembre

L'azienda del dottor Albertini ha un nome strano, obsoleto e secondo me anche un po' communista: "Comune" di Milano. Il termine è nato parecchi anni fa, quando gli abitanti - non i consumatori, non gl'imprenditori - di alcune case vicine decisero di mettersi d'accordo per provvedere ad alcuni servizi essenziali - non per fare soldi, non per quotarsi in borsa - che secondo loro avrebbero funzionato meglio in comune: le piazze, le strade, le chiese, le mura cittadine.
L'idea, per quanto semplice, non era affatto scontata. Difatti in un primo momento il governo la vietò tassativamente e mandò anzi catapulte e marines per imporre l'ordine e la pace. Grazie al compagno Alberto (da Giussano) e anche a qualche aiuto da Roma il governo fu messo in minoranza e il comune potè andare avanti in santa pace. Ogni tanto, ovviamente, c'erano degl'intoppi: non è mai stato facile persuadere i governi a rispettare i comuni. Scoppiavano "tumulti di estremisti" (come titolavano i giornali), ma i vari Tramaglino, Cattaneo e Turati riuscivano sempre, alla fine, a difendere il buongoverno comune contro il governo.
Renzo Tramaglino, attualmente, fa il tranviere avventizio, prende ottocento euri al mese e con questi deve mangiare, vestire sè e i familiari, mandare i bambini a scuola, pagare l'affitto di casa (nella città più cara d'Europa) e infine pagare le tasse comunali. E' due anni che promettono di rifargli il contratto, ma ogni volta lo rimandano indietro con un bel "Vidit Ferrer".
Alla fine il Tramaglino s'è stufato e ha bloccato tutto. Apriti cielo! Nemico della città e dei cittadini, estremista furioso, untore, sovversivo e chi più ne ha più ne metta.
Eppure il povero Renzo voleva solo il denaro suo; nè il vicerè poteva dire che non ce ne fosse, poichè avendo appena venduto l'azienda elettrica cittadina le casse vicereali erano piene di ducati; impiegati però in speculazioni di borsa e non nella banale gestione dei tram e dei tranvieri. Avendo dimenticato il senso della parola "Comune", l'Albertini credeva infatti d'essere là per commerciare e non per assicurare i servizi ai cittadini.
Così, la prima azienda italiana ad aprire la via all'inflazione è stata, tre anni fa, proprio l'azienda trasporti di Albertini, aumentando il biglietto a un euro (occasione presa al volo!) senza nè migliorare il servizio nè pagare i tranvieri. A Renzo che ha scioperato, bisognerebbe mettere una lapide in Galleria; al sindaco che ha speculato, bisognerebbe chiedere i danni civili per malamministrazione.
Ma naturalmente non sarà così.

polittico di ponteranica
  

Buon Natale dal papa
Personalità confusa 15 dicembre

Ciao a tuti, cari amici, sono ancora io, il Papa. Ecomi qui, mi sono collegato e il caro blogèr confuso mi da ospitalita sul suo sito cosi poso postare e farvi gli auguri di Natale, e racontarvi un po di cose segrete che sui giornali non ve le dicono.

Alora, amici, volevo dirvi che ho comprato i regali di Natale. A Ruini li ho regalato un cilicio nuovo, questo e' di cuoio con i laceti streti, cosi Ruini impara. Al mio portavoce spaniolo Navaro, quela specie di carceriere di papi, li ho preso una cravata orenda, che lui e laico e le cravate se le puo metere, ma io l'ho scelta aposta bruta cosi quando apre il pacheto dovra soridermi e far finta che li piace e invece io lo so che non li piace ah ah che belo scherso. Invece ho fato un bel regalo al mio amico e colega Dalai Lama, un paio di infradito colorate carinisime, liele o spedito col DHL a casa sua sul'Hymalaia.

Il programma del mio natale non e' tanto belo, amici. La sera dela vigilia dovro stare alzato fino a tardi che cè la mesa di mezanote; dopo torniamo neli apartamenti e io e Ruini ci faciamo li auguri, mangiamo asieme una fetina di pandoro e lui si beve un bichierino di rosolio ma a me non lo da, dice che mi fa male.
Il 25 abiamo il pranzo: a me servono solo una minestrina in brodo, Ruini e Navaro invece si fano preparare dai miei cuochi le lasagne e la faraona farcita, e mentre mangia Navaro lo fa aposta a dire che "Mmm, la faraona e buonisima, pecato, karol, che non la puoi asagiare" - perche lui lo sa che io ci resto male, ma io prima o poi lo licenzio quello li, lo mando a fare l'uficio stampa del cardinale di Vladivostok, cosi vediamo se dopo ride ancora.
Invece, questo anno subito dopo il pranzo del 25 Navaro parte, va alle Canarie per le ferie, a me mi toca restare qui a roma in sanpietro. L'unico vantagio e che qui poso andare a vedermi la Sistina nel'orario di chiusura, e senza fare code. Perche la sistina e' il saloto di casa mia. Ma per tuto il resto quelo di papa e un lavoro faticoso.

Ragazi, io vi auguro un buon natale a tuti, vi volio tanto bene, amici, buone feste a tuti, sinceramente.

Il Vostro,

Papa

polittico di ponteranica
  
Frequently asked questions (senza risposta)
Personalità confusa 17 dicembre

Piccola indagine socioculturale. Le domande più frequenti dei prossimi giorni (e per ognuna, tre possibili profili della persona che pone la domanda)

"Hai comprato i regali?"
La persona che ti pone questa domanda spesso è:
a) qualcuno che oramai passa le giornate a tormentarsi pensando alla regalistica natalizia, specie a pensare cosa prendere per la zia Rina, la vecchia zia che non legge, non ascolta la musica, non usa profumi ne' cosmetici, odia le sciarpe, odia le borse, odia ogni forma d'abbigliamento che non sia la sua tuta da ginnastica della soperga, odia il natale, odia le riunioni familiari, odia tutto però il regalo bisogna farglielo altrimenti s'incazza.
b) qualcuno che ha appena comprato i regali e non vede l'ora di elencarteli ("Io invece sì, a mia mamma ho preso una pashmina bellissssssimaaa! Quasi quasi me la tengooo...")
c) qualcuno che non sa cosa che dirti e quindi sfodera l'argomento di conversazione del momento: i regali, appunto.

"Ma tu cosa fai a capodanno?"
Interrogazione posta da:
a) qualcuno che ha già un magnifico programma per la sera di capodanno (fuochi d'artificio, cubiste in lingerie rossa, torrenti di champagne, musica live, droga, balli fino all'alba in una isolata baita d'alta montagna priva di elettricità e raggiungibile solo con gli sci o le racchette da neve e le torce in mano pensachefigata!) e non vede l'ora di raccontartelo dopo che tu gli avrai risposto col solito "Mah, non lo so ancora".
b) qualcuno alla disperata ricerca di qualcosa da fare la sera di capodanno
c) qualcuno che non sa cosa cazzo dirti e quindi sfodera l'argomento di conversazione del momento, il capodanno, appunto.

"Hai fatto l'albero? Il presepe?"
Grrr... Domanda disinteressata formulata da
a) qualcuno che fin da novembre ha in salotto sia l'albero (un abete di tre metri decorato con luminarie e palle comprate dal gioielliere) sia il presepe (un presepe vivente con personaggi interpretati da attori teatrali e animali veri: pecore, bue, asino ragliante, ecc.)
b) qualcuno che si sente in colpa perche' in casa ha solo un mini-alberello sintetico che più che a un albero assomiglia ad una scopa verde montata al contrario
c) qualcuno che non sa cosa che dire e quindi sfodera l'argomento di conversazione del momento: l'albero, appunto.

[Al commiato]
"Ciao, e se non ci vediamo prima delle feste, auguri di buon natale e buon anno!"
Tipica formula di saluto di
a) una persona che sa bene che NON vi vedrete altre volte prima delle feste, ma non osa ammetterlo in quanto ritiene che dirlo apertamente sarebbe antipatico (e poi non si sa mai, i casi della vita: magari ci incontriamo per caso dal panettiere la mattina del 25 e ci facciamo gli auguri lì, di nuovo)
b) qualcuno che sta tentando il record mondiale di auguri di natale, scritti e orali: alla vigilia esauriti parenti amici e conoscenti comincerà a telefonare a numeri a caso e ad abbracciare i i passanti per strada.
c) una persona che al momento di salutarti non sa che altro dire, e quindi aggiunge la solita coda di riverenze natalizie.

pala in santo spirito (part)
  

   21 dicembre 2003