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Berlusca, babbeo, beccati 'sto corteo
Gioite, gente, il lutto è stato elaborato
di Veltrino*

Roma 2 marzo

Roma 2 marzo

E con questo, anche se a Roma manca un Palavobis e se Fausto Bertinotti è rimasto a casa o chissà dove, l'“elaborazione del lutto” può finalmente dirsi conclusa e compiuta. Almeno, speriamo. Lo speriamo noi tanti che siamo qui, ed era ora, a manifestare. Quanti siamo, non si sa: certo non gli 800 mila di cui parla Maura Cossutta dal palco, ma forse nemmeno i 130 mila che vorrebbe la Questura; chissà se davvero il mezzo milione certificato dagli organizzatori. Alle cinque (le fatidiche cinque de la tarde), mentre a San Giovanni già cominciano i comizi, alcuni sono ancora a via Cavour, un paio di chilometri lontano; un'unica fiumana umana copre per tre ore l'intero centro della città (chi la conosce, capisce): da San Giovanni, un “serpentone” fino a Piazza dell'Esedra, ora della Repubblica, con una fontana le cui svestite Najadi sono opera (si possono, talora, trarre auspici?) del nonno di Francesco Rutelli. E già questo dovrebbe dire qualcosa.

Ma altri dettagli dicono certamente di più. Il clima non è di quelli, rassegnati, cui, recentemente, ci eravamo fin troppo assuefatti: Articolo 18, licenziare per giusta causa il premier-operaio; Il processo Sme ad Arcore; Paese di creduloni, lo sanno bene Wanna Marchi e Berlusconi; Ancora le bombe: vogliamo i cornetti; Forca Italia; Servi mai!, affermano alcuni dei mille striscioni. C'è anche Silvio Pantocrator: un tale veste un mascherone perfetto, e porta un cartello, «Se la sinistra continua a litigare, farò il capo dell'opposizione ad interim». Tantissimi nasi da Pinocchio, per «diventare Berlusconi in quattro mosse»: si piega, si indossa, ed è fatta. Infiniti poster con una mano che fa il segno delle corna, ed è «un saluto al Governo». A noi che siamo in piazza, Fassino grida, lui così posato, che «Da oggi parte la vera sfida»; Rutelli preferisce farsi megafono di un'esigenza, nel corteo assai sentita e continuamente ritmata: «È iniziato il cammino dell'unità»; prima dell'Inno di Mameli (ma per fortuna, anche Bella ciao), Giovanni Bachelet issa il tricolore che coprì il corpo di suo padre. Di Pietro aspetta a Santa Maria Maggiore, per manifestare i suoi distinguo: litiga sulle priorità nel corteo e, dopo quel che (fischiato) dice il socialista Luciano Pellicani, anche per un discorso dal palco; insomma, c'era, ma se ne va; i Popolari si distinguono anche loro: attendono ai Fori (così camminano anche di meno).

Tantissimi i giovani, un gran buon segno; tanti i professionisti; il più giovane manifestante è forse la nipote del presidente (fino a martedì) della Rai: Vittorio Emiliani è venuto con la famiglia al completo. Benigni, a casa con l'influenza, manda un messaggio; Cofferati e Veltroni non sono tra le autorità marcianti, ma un po' più dietro; Moretti sembrerebbe non esserci. I Ds romani, al punto topico, intonano un Privatizza il Colosseo; palloncini chissà quanti; un po' di bande e gruppi danzanti in costume; bandiere di tutto il centro-sinistra: anche una, orgogliosamente esibita, del “vecchio” Pci; la colonna sonora si snoda tra Dario Fo, Bregovic, Benigni, Fossati. La parola più gettonata, caro Borrelli, è Resistere: forse ancora un po' troppo difensiva, ma pazienza; Berlusconi da Manfredonia già giura che non ci potrà essere una «spallata»: si vede che la teme, se no non la evocherebbe.

Che morali trarne, mentre la metropolitana romana pare scoppiare? Che soltanto tutti insieme si può sperare; ma forse, che si può sperare: non pochi hanno votato Berlusconi, ed è questa la speranza più vera, senza ben capire quanti mali gliene sarebbero incorsi. Anche a ciascuno di loro; ma soprattutto a ciascuno di noi: a tutti noi, al nostro Paese. Si vanta di essere a capo del Governo che, nei primissimi mesi, ha prodotto più norme e più leggi in assoluto: ma si dimentica di dire che gran parte sono in suo favore; forse non solo: ma soprattutto, certamente, sì. L'«unto del Signore» si unge da solo: con un po' di buon detersivo, forse si può. E a Roma, oggi, in un pomeriggio di quelli quasi primaverili che la città sa regalare, il detersivo sembrava davvero non fare troppo difetto. Se chi stava dietro allo striscione più importante (per la prima volta, preceduto da almeno 20 minuti di corteo e manifestazione: che si sia perduta la mano perfino a queste?) saprà come far mettere in moto la lavatrice. Oddio, ma qualcuno non crederà che io stia pensando a Mani pulite? Perché ormai va tanto poco di moda, che s'avvia a diventare perfino una colpa.

Veltrino


* dietro lo pseudonimo si cela un giornalista e osservatore di vicende romane,
   amico di “
Arengario” e della nostra città.


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  3 marzo 2002