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Palestina e Israele
Opinioni a confronto
Steven H. Waldbaum e Vittorio Amodeo

I fondamentalisti islamici non sono interessati nella lotta palestinese perché il nazionalismo è una distrazione dall'universalismo islamico. I vari gruppi fondamentalisti nel Medio Oriente hanno usata la lotta palestinese come un utile strumento di mobilitazione. Bin Laden ha menzionata questa lotta solo recentemente. Le oligarchie arabe hanno usato questo strumento per deviare l'attenzione
delle masse arabe, diseredate dal loro malgoverno, spostandola contro Israele. C'è come un'alleanza di fatto fra i fondamentalisti arabi e quelli ebrei: giustificano reciprocamente la loro esistenza. Ogni volta che c'è la speranza di pace l'uno o l'altro farà qualche cosa atta a destare l'ira degli altri e giustificare azioni che ostacolano la marcia verso la pace.
Negli US c'è il conflitto fra gli uomini del petrolio e altri gruppi influenti che preferiscono gli Arabi. D'altra parte c'è l'opinione pubblica e altri gruppi di interesse che favoriscono Israele. Durante la guerra fredda era l'unico alleato di fiducia antisovietico nella zona. Poi c'è il sentimento di colpevolezza perché gli US durante l'olocausto non hanno fatto abbastanza per aiutare gli ebrei. Infine c'è l'influenza culturale degli ebrei: i rifugiati accolti dagli US hanno cambiata l'America. Vedi Einstein. Prima del loro arrivo gli US era un backwater (acqua stagnante) nel campo della
cultura. L'impatto si può vedere nel fatto che una parte sostanziale dei premi Nobel americani sono ebrei . La letteratura, il cinema, la pittura, la scienza ecc. hanno una partecipazione fuori misura di loro.
Gli intellettuali ebrei sono infelici con la Destra israeliana, ma il ricordo dell'Olocausto è sempre lì. Gli intellettuali favoriscono Land for Peace , ma sono sotto l'impressione che i palestinesi vogliono
la completa pulizia etnica e il massacro degli ebrei ( la cultura di violenza nella tradizione islamica locale non è posta in discussione).
Steven H. Waldbaum, New York


L'apporto degli ebrei alla cultura americana è davvero rilevante. Gli USA hanno avuto la generosità e l'accortezza di accogliere i migliori cervelli in fuga dall'Europa e così hanno tratto beneficio – per quanto paradossale – anche dalla rivoluzione russa che ha riversato in USA intellettuali e musicisti.
Purtroppo la Palestina è un problema terribile. Gli ebrei sono un popolo da sempre perseguitato, e hanno sofferto prove tremende. Ma questo dovrebbe renderli sensibili, credo, e non già insensibili alle sofferenze ch'essi stessi producono nel popolo palestinese.
Quando, alla fine del 1800, Theodor Herzl propose la creazione di uno stato ebraico, come luogo di insediamento oltre alla Palestina pensò anche all'Argentina: forse sarebbe stata adatta, con i suoi grandi spazi! Poi chiese al califfo turco di acquistare la Palestina in cambio del risanamento delle finanze turche, che erano dissestate, ma il califfo rifiutò. Forse i palestinesi non stavano particolarmente bene sotto i turchi, tuttavia il califfo li difese meglio di quanto non seppero fare gli inglesi dopo il 1920, quando progressivamente abbandonarono il campo alla crescente immigrazione ebraica che avrebbe finito per stravolgere la destinazione del territorio; e in seguito gli inglesi lasciarono il campo agli americani.
L'ebreo Sigmund Freud, richiesto di appoggiare la costituzione di uno stato d'Israele, disapprovò "l'ingiustificato fanatismo" della sua gente che voleva porlo in Palestina, luogo troppo conteso – a suo dire - tra le diverse istanze religiose.
Ora Israele storicamente esiste, e quindi il problema è quello della convivenza con i palestinesi. Ma è difficile comprendere come possano coesistere due stati, quando il (poco) territorio palestinese è diviso e ridotto a una specie di formaggio coi buchi, dove i buchi sono gli innumerevoli insediamenti israeliani dai quali Israele non intende ritrarsi. Alcuni, come il presidente egiziano Mubarak, portano a esempio la soluzione molto civile del Sud Africa, dove neri e bianchi convivono come due etnie in uno stato unico, a parità di diritti, dopo decenni di conflitti sanguinosi. Ma forse pochi ebrei potrebbero accogliere questa soluzione, non so i palestinesi: in ogni caso non viene neppure discussa.
E' facile dire che lo stato unico è un'utopia: ma è quasi sempre utopia ciò che non è ancora realizzato. In definitiva, come riconoscono alcuni intellettuali israeliani, ebrei e palestinesi sono affini, sono cugini: derivano entrambi da antiche tribù confinanti. La distanza tra i neri, numericamente del tutto preponderanti, e i pochi coloni bianchi del Sud Africa era incommensurabilmente maggiore, eppure lo stato democratico plurietnico è stato realizzato. Ma il Sud Africa razzista era stato oggetto di sanzioni ed embargo: Israele al contrario, pur disconoscendo le risoluzioni dell'ONU, viene appoggiato pressoché incondizionatamente e finanziato dagli USA.
Vittorio Amodeo


Da una parte sono in simpatia colle rivendicazioni palestinesi , dall'altra parte c'è il fatto che i palestinesi, anche se lo affermano, non sono pronti di accettare l'esistenza d'Israele.
Proclamano che il vecchio tempio in Gerusalemme (ma Freud le chiama “mura di Erode”, ndr.) è una invenzione degli Ebrei che quindi non hanno titolo a quella terra. Considerando la cultura della violenza islamica, è ovvio che se gli israeliani (fra i quali ci sono molti intellettuali decenti) dovessero perdere una battaglia ci sarebbe una strage.
In questo scontro di due nazionalismi nel passato avevo auspicato uno stato democratico multinazionale, ma considerando gli odi che si sono accumulati ci vorranno parecchie generazioni prima che una cosa simile non sia più un'utopia. Ho concluso malvolentieri che gli Americani debbano intervenire e imporre una soluzione di due stati senza coloni ebrei in Palestina e senza ritorno sul territorio israeliano delle tre generazioni di rifugiati. Altrimenti ci sarebbe una permanente guerra civile ad avere due gruppi etnici che si odiano e sono culturalmente così diversi nello stesso stato.
Steven H. Waldbaum


Nel 1930, dopo le rivolte arabe in Palestina, l'Agenzia ebraica invia a Freud la richiesta di aderire a un appello contro le norme britanniche che limitano l'accesso degli ebrei in Palestina.
Ecco la sua risposta.

Non riesco a superare l'avversione per l'idea di imporre al pubblico il mio nome; neppure l'attuale
momento critico mi sembra motivo sufficiente per farlo. Chiunque voglia influenzare le masse deve infiammarle con qualcosa di eccitante; la mia opinione moderata sul sionismo non consente nulla di simile (…). Non penso che la Palestina possa mai diventare uno stato ebraico, né che il mondo cristiano e il mondo islamico sarebbero disposti a vedere i loro luoghi sacri in mano agli ebrei.
A mio avviso sarebbe stato più sensato fondare una patria ebrea in una terra con meno gravami storici. So però che questa opinione razionale non avrebbe mai suscitato l'entusiasmo delle masse né ottenuto l'appoggio finanziario dei ricchi. Devo tristemente riconoscere che l'infondato fanatismo della nostra gente è in parte colpevole di aver suscitato la diffidenza araba. Non provo alcuna simpatia per una religiosità mal diretta che trasforma un pezzo di mura erodiane in cimelio nazionale, offendendo così i sentimenti della gente del luogo. Giudichi dunque lei se io sia la persona giusta per farsi avanti e confortare un popolo deluso da speranze ingiustificate.
Sigmund Freud



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 28 novembre 2001