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Un altro 29 novembre:
quale futuro per la Palestina?
Maria Gabriella Mansi

Giuseppe, Maria e il Muro
Giuseppe e Maria diretti a Betlemme bloccati dal Muro

Il 29 novembre l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la richiesta di Abu Mazen, presidente dell'ANP (Autorità Nazionale Palestinese), di nominare la Palestina “Stato” non membro, osservatore all'ONU. Il passaggio di status da “organismo” osservatore a “Stato” è stato accolto con commozione ed entusiasmo da gran parte della comunità internazionale e festeggiato con gioia dai palestinesi in Cisgiordania, dove Abu Mazen ha più consensi. In effetti, l'approvazione dell'Assemblea Generale, pur non decretando ufficialmente la nascita di uno Stato palestinese, ha un alto valore simbolico, politico e storico, e rappresenta un buon auspicio per la soluzione pacifica del conflitto mediorientale che porti alla definizione di due distinti Stati.

Da un punto di vista politico, il voto del 29 novembre rafforza la posizione di Abu Mazen e dei palestinesi moderati pronti a negoziare la pace con Israele. L'Assemblea Generale ha quindi voluto premiare l'operato politico dell'ANP, invitando Israele al dialogo, onde evitare il rafforzamento di Hamas e dei gruppi jihadisti sempre più forti di consensi in Palestina. Infatti, il tempo e la radicalizzazione del conflitto giocano a favore dei gruppi più estremi, motivo per il quale è fondamentale negoziare il prima possibile una soluzione pacifica del conflitto. Tuttavia, a dispetto di quest'ultime considerazioni e della volontà dell'Assemblea, Israele ha rifiutato la risoluzione Onu e Netanyahu ha dichiarato che continueranno a costruire insediamenti in Cisgiordania, il che acuirà ulteriormente le tensioni nell'area a danno dei soliti civili! Gli Stati Uniti, che hanno votato contro il passaggio di status della Palestina, hanno invitato Israele al dialogo e si sono dichiarati contrari ad ogni ingerenza della comunità Internazionale che possa interferire nei negoziati tra le due parti. Insomma, Illary Clinton docet, l'Onu si faccia i fatti suoi, a sbrogliare la matassa ci pensino Israele, Palestina, i paesi arabi e gli Stati Uniti. Gli altri, per favore, che non buttino benzina sul fuoco.

Peccato che la questione mediorientale sia nata in ambito internazionale e abbia una portata tale da non poter essere ricondotta solo al bacino ebraico-americano-arabo. La questione nacque in grembo all'Onu e forse proprio alle Nazioni Unite deve essere ricondotta. Storicamente parlando, infatti, la risoluzione dell'Onu ci riporta indietro nel tempo ad un altro 29 novembre, quello del 1947, allorché le Nazioni Unite stabilirono i confini di due nuovi stati, quello ebraico e quello palestinese, con Gerusalemme città internazionale. All'epoca, la Gran Bretagna, che aveva il mandato sulla Palestina, si dimostrò incapace di conciliare la crescente immigrazione ebraica con le esigenze del popolo palestinese, specialmente dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando gli orrori dell'olocausto furono svelati a tutto il mondo e il sionismo divenne la bandiera issata a mo' di riscatto per l'eccidio ebraico. La questione passò alle Nazioni Unite che decretarono la nascita di due Stati. Il mondo arabo allora insorse e scoppiò la prima guerra arabo-israeliano che si risolse con la vittoria ebraica, la proclamazione di Ben Gurion dello Stato di Israele e il pronto riconoscimento da parte degli altri Stati.

Nel mezzo c'è un altro 29 novembre, quello del 1988, quando Yasser Arafat, a capo dell'OLP, proclamò unilateralmente la nascita dello Stato palestinese nei territori occupati da Israele nel 1967, atto che contribuì alla firma degli Accordi di Oslo nel 1993. Quest'ultimi gettarono le fondamenta per la soluzione pacifica del conflitto con il riconoscimento da parte di Israele dell'autorità dell'ANP su alcuni territori, soprattutto nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Tuttavia, quegli accordi furono stipulati tra Israele e l'ANP, dimenticando i palestinesi estremisti, quelli di Hamas, che non riconoscono lo Stato di Israele e hanno il sostegno dei gruppi radicali dell'intero mondo arabo. Uno dei problemi più grandi, infatti, è proprio questa spaccatura all'interno del mondo palestinese-arabo, tra chi riconosce lo Stato di Israele ed è disposto al dialogo e chi, invece, non lo riconosce e vuole liberare la Palestina dall'invasione israeliano-occidentale. In effetti, la vera sfida non è solo dialogare con l'ANP ma anche trovare canali di incontro con Hamas. In questa direzione può essere decisivo l'apporto diplomatico dato da altri paesi del mondo arabo, quali l'Egitto, la Siria e l'Iran che pare abbia rifornito Hamas di razzi a lunga gittata certamente molto più pericolosi degli artigianali razzi Kassam.

Pertanto, migliorare il dialogo con gli altri paesi del mondo arabo può contribuire alla soluzione del conflitto arabo-israeliano. Proprio qui entrano in gioco le Nazioni Unite con il loro potenziale diplomatico; se è vero, infatti, che uno dei principali obiettivi dell'Onu è “mantenere la pace e la sicurezza internazionale”, la Comunità Internazionale non può tirarsi indietro su questa questione così cruciale per il mondo, una questione che, a saper ben leggere, abbraccia tutti in quanto si configura come uno scontro di Civiltà, data appunto l'avversità degli estremisti islamici alla Civiltà occidentale. Per questo, in Palestina, si gioca una partita importante, per questo l'Onu non può stare a guardare, per questo il voto del 29 novembre ha un grande valore politico, per questo Israele deve continuare a intavolare negoziati con l'ANP, Hamas e gli altri gruppi estremisti. Per i civili, per la Pace, per tutti noi: in Palestina può nascere una nuova Civiltà, quella che nasce dalla sintesi, dal meticciamento, da una sincera convivialità delle differenze. Non perdiamo questa occasione.

Maria Gabriella Mansi


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  8 dicembre 2012