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La casta (dei giornalisti)
Franco Isman

sallusti dreyfus-farina

La Federazione nazionale della stampa chiede spazi bianchi sulle prime pagine dei quotidiani «come segno tangibile di protesta», il suo segretario Franco Siddi afferma: «Condanna sconvolgente, in questo momento siamo tutti Sallusti…». «Un'intimidazione a mezzo sentenza», aggiunge Enzo Iacopino, presidente del Consiglio dell'Ordine dei giornalisti.
Dal Quirinale si fa sapere che «il Presidente esaminerà con attenzione la sentenza» (?).
«Trovo sconcertante solo l'idea che un giornalista possa finire in carcere per la pubblicazione di un articolo. Abbiamo toccato uno dei punti più bassi della nostra civiltà giuridica» è il commento di Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere della Sera; «non si può andare in galera per un'opinione, anzi per il mancato controllo su un'opinione altrui» dice il direttore di Repubblica, Ezio Mauro; e Mentana, il mitico direttore del TG7, non è da meno. E non parliamo di quello che scrivono i giornali di destra, dal Giornale in giù.

Siamo tutti Sallusti ? C'è da rabbrividire al solo pensiero ! Un'opinione, anzi il mancato controllo su un'opinione altrui ? Un conto sono le opinioni, per aberranti che possano essere, un altro sono le falsità, sparate nel titolo addirittura.

I fatti reali sono noti anche se la grande informazione ha sorvolato.
A Torino una ragazzina di 13 anni, piuttosto problematica, amoreggia con un amichetto di 15 e resta incinta; ne parla con la madre la quale, essendo lei poco più che una bambina, ritiene che sarebbe necessario farla abortire. Non vogliono mettere al corrente il padre, separato e, come la legge impone, si rivolgono al tribunale che nomina un giudice tutelare; questi autorizza madre e figlia a fare quello che riterranno opportuno. E in un ospedale di Torino avviene l'intervento.

Su Libero, di cui Alessandro Sallusti era direttore responsabile, con lo pseudonimo “Dreyfus”, che Sallusti manterrà segreto per tutta la durata dei processi, appare un articolo dal titolo: “Il giudice ordina l'aborto / La legge più forte della vita”; e il titolo di norma è redazionale e ne risponde il direttore in prima persona. Questo titolo, sbattuto con buona evidenza in prima pagina, è grossolanamente falso in quanto attribuisce al giudice una decisione, anzi una imposizione, che non c'era stata, infatti il giudice non aveva ordinato l'aborto, ma aveva semplicemente concesso che madre e bimba decidessero di loro libera scelta.
E questa falsificazione di un fatto essenziale continua nel corso dell'articolo:
Un magistrato allora ha ascoltato le parti in causa e ha applicato il diritto – il diritto! – decretando l'aborto coattivo”, e poi
Che la medicina e la magistratura siano complici ci lascia sgomenti”, e ancora
Si sentiva mamma. Era una mamma. Niente. Kaput. Per ordine di padre, madre, medico e giudice, per una volta alleati e concordi”; il padre non ne sapeva nulla, il giudice non aveva ordinato ed il medico, se non è obiettore di coscienza, è tenuto ad eseguire il suo compito.
Tutto falso, di questo si sta parlando, questo è quello che i giudici hanno sanzionato, falso strumentale, non reato di opinione. E poi ancora
“… ci fosse la pena di morte, e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo e il giudice”, questa è un'opinione, aberrante ma un'opinione, ma che daccapo incolpa assieme alla madre anche il padre, il ginecologo e il giudice !

Chi volesse rendersi compiutamente conto dell'estremismo di questo indecente articolo, scritto per influenzare l'opinione pubblica in un momento in cui si cercava di abolire o modificare la legge 194 sull'interruzione della gravidanza, lo può trovare nella rassegna stampa della Camera.
Aggiungasi che Libero, né prima né durante i diversi gradi di processo, ha mai sentito il dovere di pubblicare qualsiasi rettifica in cui si dicesse che la notizia era infondata, uno sbaglio di cui chiedere scusa ai lettori e alle persone ingiustamente accusate, il giudice tutelare per primo, pur essendone stato esplicitamente richiesto e come era suo obbligo ai sensi della legge sulla stampa.

Dopo che alcune sere fa a Porta a Porta Vittorio Feltri, successore di Sallusti come direttore del Giornale, si era scagliato contro la viltà di “Dreyfus” che non si era palesato alleggerendo in quel modo la posizione di Sallusti e, fuori onda, ne aveva anche fatto il nome, l'altro ieri in Parlamento c'è stata la conferma del diretto interessato: Dreyfus è Renato Farina, il famoso agente Betulla già stipendiato dai Servizi Segreti (a un giornalista è proibito per legge), condannato per favoreggiamento nel rapimento di Abu Omar, e per questo radiato dall'Ordine dei Giornalisti. Farina quindi non avrebbe potuto scrivere su un giornale e Sallusti, invece che essere osannato come martire della libertà di stampa, dovrebbe essere deferito all'Ordine per questo.

La diffamazione è un reato penale, previsto e sanzionato dall'articolo 595 del Codice Penale che prevede in particolare anche quella commessa a mezzo stampa. Qualcuno vede in questo articolo un contrasto con l'articolo 21 della Costituzione che sancisce che Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione; in realtà la giurisprudenza ha determinato che perché uno scritto non venga considerato diffamatorio e quindi sanzionato è necessario che vi sia un interesse pubblico alla notizia; che i fatti narrati corrispondano a verità; che l'esposizione dei fatti sia corretta e serena. E questo non è certamente per il bieco, falso e strumentale articolo di Dreyfus-Farina, fatto proprio dal direttore responsabile Sallusti che ha sempre coperto l'autore.

Per la diffamazione a mezzo stampa la pena può essere un'ammenda ovvero la reclusione da sei mesi a tre anni. Si tratta di pene eccessive ? Se ne discuta in Parlamento ed eventualmente si escluda la pena detentiva; certo che se c'è un caso di colpa grave, questo è proprio il caso Sallusti.

Franco Isman


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Giacomo Correale
September 29, 2012 10:07 PM

Franco, perfetto! E' incredibile come nel nostro Paese il colpevole venga rapidamente convertito in vittima, con il consenso crescente di una opinione pubblica disinformata.
L'ordine dei giornalisti: questo sì  che è una cosa indecente. A suo tempo ottenne  una legge per la quale  i capi ufficio stampa degli enti pubblici avrebbero dovuto essere  obbligatoriamente iscritti all'albo.  Piero Ottone criticò l'instaurazione di questo monopolio, e fu oggetto di un attacco forsennato da parte dell'Ordine. Ritornò amaramente sull'argomento con un altro articolo dal titolo. "Dimenticavo: cane non mangia cane".

Giacomo



Umberto De Pace
September 30, 2012 3:47 PM

Complimenti a Franco Isman per il suo articolo con il quale concordo in gran parte anche se andrei più cauto sul tema del reato di "diffamazione" il quale presenta aspetti controversi che meriterebbero maggior approfondimento.
Aggiungo solo a completamento dell'informazione che Mentana ha definito su twitter Dreyfus-Farina un "infame" la qual cosa, aggiunta al "vile" appioppatogli dal suo sodale Feltri, direi che è sufficiente a inquadrare il soggetto. Il quale, ad onor del vero, nel suo discorso al senato ha saputo dare il meglio di se in quanto ad oratoria e senso di responsabilità, chiedendo umilmente scusa al magistrato Cocilovo, peccato che fosse grottescamente fuori tempo massimo.
In tutta la vicenda evidenzierei, a mio avviso, due storture: la prima che punire con anni di prigione un reato del genere mi sembra sproporzionato, quando basterebbe imporre, questo si, la replica/rettifica chiarificatrice sul giornale incriminato (come tra l'altro pare abbia chiesto a suo tempo Cocilovo e mai attuata da Libero). La seconda stortura sta nel fatto che a personaggi del genere Dreyfus-Farina venga tuttora dato credito e spazio di espressione su giornali, anche cittadini, o inviti a convegni e manifestazioni pubbliche.

Umberto De Pace



Salvatore Iannazzo
September 30, 2012 5:04 PM

Non sapevo nulla dell'episodio della ragazzina, e non avevo avuto il tempo di informarmi. Per giunta non m'intendo di legge o di leggi, e non sarei quindi in grado di giudicare se determinati comportamenti siano o no ad esse conformi. Facevo dunque ricorso al buon senso, e francamente che qualcuno potesse essere condannato addirittura al carcere per un reato d'opinione mi sembrava eccessivo. Anche se si trattava di Sallusti, personaggio anomalo, antipatico quanti altri mai e spesso scorretto se, com'è il mio caso, lo si giudica esclusivamente dai suoi atteggiamenti nelle numerose presenze in televisione,  della quale - chissà perché (!) - è assiduo frequentatore.
Ora però l'eccellente articolo di Franco, nonché gli ottimi interventi di Giacomo ed Umberto  mi hanno aperto gli occhi. Sallusti dunque non solo ha coperto Dreifus-Farina, con ciò facendosi correo di un'illegalità giustamente condannata dalla legge, ma si atteggia a vittima di un'ingiustizia; e lo fa ricorrendo allo stesso giornale che ha usato per commettere quel reato, ed anche alle immancabili presenze televisive che questo atteggiamento gli ha procurato. Mai però riconoscendo le responsabilità che indubbiamente ricadono sulle sue spalle, sia pure oggi punite in modo eccessivo con il carcere, e cercando di attribuirne la responsabilità ai giudici che, offesi da lui, hanno semplicemente applicato la legge vigente. Devo dire: in perfetto stile "sallustino".

Toti Iannazzo



Giuseppe Pizzi
September 30, 2012 10:45 PM

Penso anch'io che la galera per i reati a mezzo stampa sia uno sproposito, su questo la casta dei giornalisti ha ragione. Tanto più che, dopo la depenalizzazione del falso in bilancio, le falsità raccontate in un articolo di giornale sono punite più severamente di quelle contenute in un bilancio di una società! Inoltre, se è uno scandalo che in Russia le Pussy Riots stiano in carcere per quello che hanno detto (o cantato) perchè qui da noi dovrebbe essere normale che Sallusti vada dentro per quello che ha scritto (o lasciato scrivere)?
Ciò premesso, sul giornalismo italiano di oggi ci sarebbe molto da eccepire. La stampa ha un senso se opera come un contro-potere, la nostra stampa invece è sempre più dedita al contro-canto, alla ripetizione e all'amplificazione delle parole dei potenti, non solo politici, anche industriali, banchieri, ecclesiastici, intellettuali, perfino sportivi. Tranne qualche rara e meritoria eccezione, che fine hanno fatto le inchieste giornalistiche? E il giornalismo di denuncia? C'è stato un tempo in cui i magistrati si attivavano a seguito delle notizie di stampa, oggi la stampa è sempre lì in attesa di una notizia di reato, più che altro per pubblicare documenti riservati che le procure lasciano sgocciolare fuori dai loro archivi. Li chiamano scoop e ci campano su per settimane.
Mi dilungo solo in un paio di casi emblematici.
Vicenda della Regione Lazio, il cosiddetto Laziogate (anche in queste definizioni, sai che fantasia!). Scoppia perchè due compagni di merende, Fiorito e Battistoni, litigano sulla spartizione del bottino, dove il bottino sono i 200.000 euro annui di cui ogni consigliere laziale può disporre a titolo di finanziamento della sua attività politica. Scandalo! Entrano in azione i giornalisti d'opinione (quelli che per mestiere le notizie, invece di scriverle, le leggono sui giornali per commentarle) e ovviamente spelano viva la classe politica che si auto-gratifica mentre chiede ai cittadini di sacrificarsi. Nessuno però che abbia l'onestà e il coraggio di chiedersi: "E noi, dove eravamo"? Quella deliberazione di consiglio, la Regione Lazio non l'ha mica votata a porte chiuse, dov'erano i cronisti dei giornali romani, perchè non hanno svolto la loro funzione di testimonianza e di denuncia, quella che i loro giornali sbandierano per giustificare i sostanziosi contributi pubblici che ricevono? Collusi? Incapaci? O semplicemente assenti, come ci riferisce il nostro Armando, che più volte si è trovato da solo ad assistere ai lavori del Consiglio comunale monzese?
Altro caso, la questione Fiat. Il Corriere della Sera tiene a libro paga due giornaliste, Raffaella Polato e Bianca Caretto, il cui compito esclusivo è di raccontare encomiasticamente i fatti che riguardano la Fiat (non per nulla grande azionista di RCS) e soprattutto le imprese del superuomo che la guida, Sergio Marchionne. Quando non possono fare a meno di raccontare che la Fiat ha perso un altro punto di quota di mercato in Europa, relegano la notizia in appendice a un articolo dedicato ai trionfi della Chrysler in USA. Di Marchionne che annuncia la chiusura di due stabilimenti in Italia parlano in un pezzo sulla Peugeot che in Francia vuole chiudere il suo stabilimento di Aulnay, come se fosse affare della Peugeot anche la chiusura dei siti italiani. Però sul Corriere scrive di economia industriale una firma prestigiosa, Massimo Mucchetti, che avanza ripetutamente un'ipotesi di soluzione. Visto che il marchio Alfa Romeo va male, e la Volkswagen vorrebbe comprarselo, propone che insieme al marchio la VW debba prendere anche uno stabilimento. L'Alfa Romeo diventerebbe tedesca ma le Alfa continuerebbero a uscire da una fabbrica italiana. Marchionne non gradisce, ribadisce perentorio che l'Alfa non è in vendita e da quel giorno la firma di Mucchetti scompare dal Corriere. Ciò che non impedisce al suo direttore Ferruccio De Bortoli di scagliarsi, in un suo elzeviro dell'altro ieri, contro la corruzione e i suoi effetti nefasti.
In un suo intervento recente, Dario Chiarino si chiede: Chi ha eletto la Polverini? chi ha eletto questo Fiorito? Il popolo che elegge i suoi rappresentanti di solito non è migliore di loro". Non sarei così severo con il popolo. Gli elettori scelgono in base a quello che sanno, e quello che sanno lo apprendono dal giornale che leggono, dalla radio che ascoltano in auto mentre vanno al lavoro, dal programma TV che seguono la sera. Ma se nessuno gli racconta le cose come stanno...

Giuseppe Pizzi



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  29 settembre 2012