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L'autocompiacimento del Ricordo
Marcello Veneziani a Monza
Umberto De Pace


Sabato scorso a Monza nell'ambito delle celebrazioni per il giorno del Ricordo il Comune di Monza ha organizzato un'incontro con il noto giornalista Marcello Veneziani. Nel suo intervento Veneziani espone, più succintamente ma in modo molto chiaro, quanto espresso nella sua rubrica su Il Giornale del 10 febbraio: “Lo sterminio degli italiani e la loro espropriazione obbedì a una triplice guerra: la guerra del comunismo contro l'Italia fascista, poi la guerra dei proletari comunisti contro i benestanti borghesi, quindi la guerra etnica contro gli italiani.”
Pur riconoscendogli la pacata quanto fluente oratoria non voglio entrare nel merito di quanto affermato da Veneziani in quanto non mi appassionano le disquisizioni ideologiche e di parte su questi temi, tanto più nel contesto delle loro celebrazioni e ancor più in mancanza di dibattito. La sensazione lasciatami dal suo intervento è quella dell'autocompiacimento del proprio ricordo che spesso accompagna questo tipo di celebrazioni. Mi è quindi tornato in mente quanto affermato più volte da alcuni storici che si occupano da tempo di queste vicende, rispetto alla necessità ineludibile di un confronto fra le opposte memorie e sulla necessità di riflettere sulle ragioni per le quali tale confronto faccia passi così piccoli e lenti. Gli storici però si riferiscono all'Europa e io più banalmente mi guardo in casa e il divario tra le opposte memorie alle volte, come nel caso di Veneziani, mi sembra enorme.
Seguendo l'auspicio degli storici e armandomi di buona volontà alla fine dell'incontro sono andato a salutare Veneziani esprimendogli il mio disappunto su quanto da lui affermato e consegnandogli poche frasi riprese da Gianpaolo Pansa, tratte dal libro “Il gladio e l'alloro”, che non poteva mancare ovviamente di essere citato nel suo discorso e che non per caso avevo portato con me:
… i buoni erano i ragazzi come “Tom”, i cattivi quelli che l'avevano messo al muro con i suoi compagni scalzi. ... Se siamo qui a raccontarcela, dobbiamo dir grazie anche ai tanti senzascarpe comunisti che, nell'Italia della guerra civile, si fecero fucilare in compagnia di molti senzascarpe di tutt'altra ideologia. E' la stranezza del caso italiano, un'anomalia che mi sta bene e mi consente di restare, cocciuto, sulle mie posizioni di sempre”.
Così, tanto per rispondere con una breve battuta alle diverse battute intercalate dal relatore con un'opinione altrettanto autorevole. Ma ciò che più mi premeva chiedere a Veneziani era un'altra e cioè se potesse esserci una base comune dalla quale partire per un confronto che andasse al di là delle proprie personali opinioni; e se, a suo giudizio, questa base potesse essere la relazione finale della Commissione storico-culturale italo-slovena, frutto del lavoro svolto da storici e uomini di cultura di entrambi i paesi dal 1993 al 2000, così come lo è per i principali storici, ricercatori e studiosi della materia. Veneziani mi pare d'aver capito che non conoscesse bene il documento di cui parlavo e accomiatandomi mi sono quindi limitato a suggerirgli di leggerlo.
Nel tornare verso casa pensavo all'ammonimento e auspicio dei sommi storici… altro che piccoli e lenti passi qua non siamo ancora nemmeno partiti!

Umberto De Pace


P.S.: mi permetto di segnalare a margine un'affermazione errata di Veneziani. Non è vero che Pier Paolo Pasolini non ha mai voluto parlare di suo fratello Guido, morto nell'eccidio di Porzus compiuto il 12 febbraio 1945 da partigiani garibaldini. A me risulta che il 15 luglio 1961 sulla rivista comunista “Vie Nuove” Pasolini così rispondeva a un lettore: “ Sulle montagne fra il Friuli e la Jugoslavia Guido combatté a lungo, valorosamente, per alcuni mesi: egli era arruolato nella divisione Osoppo, che operava nella zona della Venezia Giulia insieme alla divisione Garibaldi. Furono giorni terribili: mia madre sentiva che Guido non sarebbe tornato più. Certe volte egli avrebbe anche potuto cadere combattendo contro i fascisti e i tedeschi (…). Invece era destinato a morire in un modo più tragico ancora.
Lei sa che la Venezia Giulia è al confine tra l'Italia e la Jugoslavia: così, in quel periodo, la Jugoslavia tendeva ad annettersi tutto il territorio e non soltanto quello che, in realtà, le spettava (…). Mio fratello, pur iscritto al Partito d'Azione, pur intimamente socialista (è certo che oggi sarebbe stato al mio fianco), non poteva accettare che un territorio italiano com'è il Friuli, potesse essere mira del nazionalismo jugoslavo. Si oppose e lottò.
Negli ultimi mesi, nei monti della Venezia Giulia la situazione era disperata, perché ognuno era tra due fuochi. Come lei sa, la Resistenza jugoslava, ancor più che quella italiana, era comunista: sicché Guido venne a trovarsi come nemici gli uomini di Tito, tra i quali c'erano anche degli italiani (…). Egli morì in un modo che non mi regge il cuore di raccontare (...). Io sono orgoglioso di lui.”
Tratto da “Il dolore e l'esilio. L'Istria e le memorie divise d'Europa” di G. Crainz


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  16 febbraio 2012