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I Cento giorni: riforme e controriforma
di Giacomo Correale

I primi cento giorni del governo Berlusconi sono ormai passati da tempo.
A guardare e a sentire, non sembra che ci sia molto più che ordinaria amministrazione.
Garrone, presidente dei giovani industriali ha definito la manovra economico-finanziaria del governo "timida e incolore". Per D'Amato, presidente di Confindustria, occorre passare dalle parole ai fatti con le riforme. Le stesse cose ha detto il governatore della Banca d'Italia.
Come dire che siamo ancora alle parole. Senza arrivare a definire "miserabile", come ha fatto il giornale tedesco Der Spiegel, il bilancio dei primi cento giorni di Berlusconi, si può quanto meno dire che non sono stati esaltanti.
Quanto alle misure a favore di pensionati e famiglie povere, fanno tanto pensare alla nota frase affissa in tanti bar: "Si fa credito solo ai novantenni, purché accompagnati dai genitori".  

LE RIFORME

Al di là di che cosa si intende per "riforme" (molti pensano a cose diverse), due cose sembrano certe:

Invece di avviare le riforme, il governo Berlusconi ha cominciato bloccandone una, di grande importanza: quella dell'istruzione.

Eppure, nei cento giorni una grande riforma è passata definitivamente: quella del cambiamento, indiscutibilmente rivoluzionario, del titolo V della Costituzione, che dà tutto il potere alle regioni e agli enti locali salvo quelli specificamente riservati allo Stato. Peccato che questa riforma sia andata in porto per merito dell'Ulivo (coraggio signor Ulivo, si mostri, non si schermisca troppo!) e con l'opposizione del Polo delle Libertà.  

LA CONTRORIFORMA

In compenso procede come un rullo compressore la Grande Controriforma: quella sulla giustizia, fermamente voluta da sempre dal presidente Berlusconi, quasi che fosse un caso personale.
Questa controriforma viene da lontano, e cioè dall'inizio del governo dell'Ulivo.

Situazione iniziale.
Il sistema giudiziario italiano non viene considerato nelle sedi internazionali particolarmente ingiusto e vessatorio. Vi è tuttavia un aspetto grave, per il quale l'Italia viene ripetutamente posta sul banco degli accusati sul piano internazionale: la lunghezza dei processi e delle detenzioni in carcere di persone in attesa di giudizio (il che equivale a una giustizia negata).
Che fare? E' lapalissiano: fare di tutto perché i processi durino di meno e gli inquisiti vengano liberati o incarcerati al più presto. Ad esempio rendendo esecutiva una condanna o una assoluzione dopo due livelli di giudizio conformi, o comunque limitando il ricorso al terzo livello di giudizio della Cassazione, come era previsto circostanziatamente dal programma di Prodi.

E invece questo obiettivo passa in seconda linea. Si delinea invece una strategia, che comincia fin dall'inizio della legislatura a maggioranza ulivista, che prende il nome di "giusto processo". Bisogna attribuire al genio di Berlusconi, ai suoi esperti mediatici e alle sue panzer divisionen di avvocati, l'invenzione di questo termine. E alla debolezza dell'Ulivo il farsi imporre le regole del gioco dalla minoranza, nonostante che delle 88 tesi di Prodi ben nove delineassero un organico programma di riforma della giustizia). Chi può esserci, infatti, che non vuole un giusto processo? Risultato: un insieme di norme garantiste, in parte ineccepibili, ma fortemente sbilanciate a favore del possibile colpevole, a danno della possibile vittima.
Tra le altre cose del “giusto processo” c'è l'invenzione del Giudice per l'udienza preliminare (GUP), per bilanciare il supposto eccesso di potere dei Giudici per le indagini preliminari (GIP). Risultato: aggiunta di un altro passaggio destinato ad allungare ulteriormente i tempi dei processi.
Il seguito della controriforma è l'aspetto programmatico su cui si è maggiormente concentrata la nuova maggioranza, procedendo con il vento in poppa, anzi con un turbo nel motore (cioè con criteri di priorità e urgenza immotivati, e quindi quanto meno sospetti):
1. Depenalizzazione del falso in bilancio. Risultato: da ora in poi un piccolo azionista che avesse l'impressione di essere stato imbrogliato, per dimostrarlo dovrà dichiarare guerra a potenti consigli di amministrazione, e pagare legioni di avvocati adeguate a quelle degli avversari.
2. Restrizioni alle rogatorie internazionali. Risultato: rendere più difficili e laboriose (e quindi più lunghe) le collaborazioni internazionali per assicurare alla giustizia i responsabili di crimini finanziari.
Situazione e Risultato finale: la durata dei processi e della detenzione preventiva, per quanto leggermente diminuita (mi sembra) grazie ad altre misure, è ancora a livelli inaccettabili e continua ad esporre l'Italia alle condanne internazionali, come quelle di Amnesty International. Ma la Grande Controriforma ha funzionato, specialmente per impedire a tempo indeterminato le condanne a carico dei ricchi e dei potenti.  

Ma a guardar bene, questi provvedimenti inerenti alla giustizia fanno parte di una Più Vasta Controriforma, che sta fortemente a cuore del presidente del Consiglio quasi che lo riguardasse personalmente, e che si è sviluppata in modo serrato, con priorità assoluta su ogni altro provvedimento, nei primi cento giorni. Di essa fanno parte:
3. Il condono per coloro che hanno esportato illegalmente capitali all'estero per non pagare le tasse. Risultato: ritorno nel nostro ospitale Paese dai paradisi fiscali di capitali e capitalisti illegali, di cui sentiamo molto il bisogno (Occorre dire che secondo gli esperti questo provvedimento avrà poche probabilità di successo, perché non abbastanza conveniente rispetto alla possibilità di continuare a restare in paradiso).
4. L'abolizione totale della tassa sulle successioni e donazioni, esentando anche i redditi più alti (cosa che avviene solo in Italia, come risulta da una indagine del Sole 24 Ore). Risultato: le mancate entrate le dovranno pagare tutti, a vantaggio di pochi.
5. La finta legge sul conflitto di interessi. Si tratta di una legge "finta", perché non definisce preventivamente, come tutte le norme di questo tipo nel mondo, le incompatibilità tra ruoli nelle istituzioni democratiche e ruoli nella proprietà e negli organi direttivi di grandi concentrazioni economiche. Istituisce invece una risibile "autorità" che dovrebbe intervenire nelle singole fattispecie del conflitto di interessi. Risultato: nessun conflitto di interessi verrà accertato e sanzionato, perché la stalla verrà chiusa (per modo di dire) solo dopo che i buoi saranno scappati. E nessuno riuscirà mai a farli rientrare.

E' facile immaginare il prossimo passo di questa "Più Vasta Controriforma": la separazione dei pubblici ministeri dalla magistratura giudicante, e la loro riconduzione sotto le sempre più ampie ali del governo.
In tal modo la separazione dei poteri, fondamento della democrazia da Montesquieu in poi, sarà un ricordo del passato: dopo l'eliminazione sostanziale della separazione tra potere esecutivo e potere legislativo, grazie a un regime di effettiva dittatura della maggioranza e di soggezione di questa al governo (salvo augurabili sussulti di orgoglio), anche il potere giudiziario verrà ridotto a più miti consigli: quelli del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Capo del Governo (le maiuscole diventano d'obbligo), che deciderà tra l'altro quali reati siano da perseguire, e quali no.

“E quinci sien le nostre viste sazie” (Inferno, XVIII, 136).  

Giacomo Correale



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 19 ottobre 2001