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We want sex e le quote rosa
Franco Isman


generale afgano consiglio di amministrazione

Proprio ieri ho visto un bel film: We want sex di Nigel Cole che racconta in modo leggero, ma non per questo meno serio, lo sciopero del 1968 delle 187 donne dello stabilimento Ford di Dagenham (40.000 gli operai maschi) per condizioni di lavoro migliori, ma poi addirittura per la parità salariale: “vogliamo un trattamento che si basi sulla professionalità, non se abbiamo il pisello o no”, e lo striscione, da cui deriva il titolo italiano del film, in realtà si era piegato e non si vedeva la scritta completa: ”We want sex equality”.
Uno sciopero storico che, con l'appoggio della battagliera segretaria di Stato per i servizi sociali, la rossa Barbara Castle, ha portato nel 1970 alla legge sulla parificazione dei salari in Gran Bretagna. Traguardo raggiunto in Italia nel 1977 con la legge n.903, anche qui con ministro del Lavoro una donna: Tina Anselmi.

Sono un ammiratore delle donne, per piacere niente sorrisini, e ho sempre ritenuto sommamente ingiusto che, anche quando una donna lavora, il peso della casa debba ricadere interamente o quasi sulle sue spalle. Predico bene e razzolo così così, infatti, nonostante qualche sussulto di collaborazione, i piatti li lava sempre mia moglie…

Ma le quote rosa no, le ritengo sbagliate ed anche irriguardose per le donne stesse: in magistratura, dove le donne sono la maggioranza, si trovano spesso presidenti donna, nell'esercito, dove le donne sono da poco entrate e sono poche, non ci sono generali donna. Nei consigli di amministrazione di Telecom, Finmeccanica, Selenia e chi più ne ha più ne metta, non ci sono donne, ma quante ce ne sono nelle categorie dirigenziali da cui derivano gli amministratori? Imporre che dal prossimo anno un quinto degli amministratori delle aziende pubbliche e di quelle quotate in borsa debbano essere donna, e un terzo a partire dal 2015, non può che creare squilibri e “si crea un privilegio femminile per legge”, come ha detto il senatore Roberto Mura, ahimè leghista, con il serio rischio di persone nominate per obbligo di legge e non per effettive qualità dirigenziali. Ma contrarie si sono anche dichiarate le senatrici Adriana Poli Bortone ed Emma Bonino.

Un conto è eliminare le discriminazioni e un altro è imporre delle quote. Visto l'anelito di demagocrazia, assecondato dai nostri reggitori dove non dà troppo disturbo, arriveremo, chissà, alle quote verdi e, per rispettare le quote, ci sarà qualcuno obbligato per legge a sposare un gay anziché la donna dei suoi sogni…

Franco Isman

matrimonio gay


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Umberto Bellia
March 17, 2011 12:37 PM

Condivido in linea di principio le tue considerazioni ma praticamente, tenuta presente la mentalità comune italiana, può essere utile anche la imposizione ex Legge per iniziare un percorso. Oggi è abbastanza condiviso il diritto alla parità salariale ma ti posso assicurare che la L.903 anche da parte di molti colleghi del Sindacato  non venne accolta con entusiasmo.

Umberto Bellia



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  16 marzo 2011