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Perché mio fratello rischia la vita a Kabul
Una lettera al presidente del Consiglio
Franco Isman



Il Corrierone pubblica oggi, con lancio in prima pagina, una lettera aperta indirizzata al presidente del Consiglio di Giulia Franchi, sorella di un commilitone del capitano Massimo Ranzani, l'ultimo dei morti italiani nella “missione di pace” a Kabul.

Giulia dice di essere una ragazza fortunata, proveniente da una famiglia “solida” che le ha dato una sana educazione, le ha permesso di laurearsi e di avere un lavoro che la soddisfa e le consente una certa tranquillità economica. Lo stesso per il fratello di cui racconta:

Le voglio parlare di mio fratello. Si chiama Dario, ha due anni in meno di me. È partito per l'Afghanistan a ottobre, nella brigata Julia da Vipiteno. Mio fratello fa parte di quella lunga schiera di uomini e di donne che partono perché vogliono proteggere la propria patria e la propria bandiera, sposano un Ideale e per quell'Ideale combattono e a volte muoiono. Mio fratello aveva tante altre possibilità, poteva stare a Torino a lavorare nello studio di mio papà, dove aveva iniziato dopo il diploma da geometra e per cui aveva preso tutte le abilitazioni possibili, e dove avrebbe guadagnato il doppio di quello che guadagna ora.

Ad agosto sarebbe dovuto andare a Pinerolo, in una base vicino a casa. È stato chiamato per andare a Vipiteno, una settimana di preavviso e senza battere ciglio, con le vacanze già prenotate, ha preso la sua roba ed è andato. «È il mio dovere» . Dario era in uno dei quattro lince dell'attentato del 28 febbraio a Shindand dove ha perso la vita Massimo Ranzani. Ha visto il suo commilitone amico e compagno morire e altri tre rimanere feriti.

Ho sentito Dario che ringraziava Dio e la mia nonna per averlo protetto perché dieci metri prima è saltato un lince per cui solo il caso o il destino ha impedito che non ci fosse lui ma un altro. Sembrerà un'assurdità perché di queste cose se ne parla sempre troppo poco e si spendono parole inutili e stupide, ma mio fratello è orgoglioso di quello che sta facendo, e con lui tanti suoi compagni. Hanno un Ideale, un Progetto, una Missione: proteggere la patria. E sa che cosa motiva questi soldati? Sa cosa dà loro la forza di alzarsi ogni giorno? Il credere nel proprio Ideale. Non si tratta di soldi, non è la divisa, non è nient'altro che un sentimento nobile e pulito. E l'unica cosa che possiamo fare noi da qui, noi in Patria, è portare rispetto per il loro lavoro, gratificarlo, onorarlo e celebrarlo come merita.


Quanta retorica: non contesto i nobili principi di Giulia e di suo fratello, anche se ho sempre creduto che in Afghanistan vengano mandati soltanto volontari, e allora l'andata “senza batter ciglio” a Vipiteno sarebbe la conseguenza di un preciso impegno.
Soprattutto, faccio fatica a credere che i nostri soldati in Afghanistan pensino davvero di essere lì per proteggere la Patria e che questo sia il loro Ideale, il Progetto e la Missione da compiere e che sia questo Ideale a dar loro “la forza di alzarsi ogni giorno”. Senza questo Ideale rimarrebbero probabilmente in branda.
Giulia dichiara di non occuparsi di politica né di Etica e, naturalmente, la pensa come la sua educazione l'ha portata a pensare, nulla da eccepire, e ci mancherebbe. Mi fa però specie che il Corriere pubblichi con tale rilievo questa lettera. Segno dei tempi.

Franco Isman

PS Mi auguro che la lettera di Giulia Franchi sia autentica e non sia una "elaborazione" del Corriere…



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  4 marzo 2011